1.
SHOPPING
Al mattino furono i rumori
fuori della casa a svegliarla. Un cigolio incessante che penetrava la casa e si
faceva sentire persino nella sua camera. Snape doveva essere sveglio da
parecchio, dato che la sua dava direttamente sulla
strada.
Con un sospiro di rassegnata
irritazione, Tonks uscì dal guscio piacevole delle coperte e si infilò
velocemente un maglione sopra il pigiama, per ripararsi dal freddo. Con le
pantofole ai piedi scese le scale, seguendo il profumo di bacon che saliva dal
pianterreno. Aveva visto la porta della camera di Snape aperta e l’aveva
collegata alla presenza di quel meraviglioso odore in cucina, dato che l’uomo si
era dimostrato un buon cuoco.
Lo vide subito, di spalle,
impegnato a trafficare con degli attrezzi di
cucina.
“Se questo è il ritmo degli
Auror, speriamo di non avere attacchi di prima mattina…” lo sentì
commentare.
“Solo dopo colazione,”
rispose pronta Tonks. “Esiste un regolamento in
proposito!”
“Allora sei in grado di
svegliarti da sola,” le disse girandosi a guardarla. “Credevo che i bambini
avessero bisogno degli adulti anche alla tua età.”
Incerta se rispondere o meno,
si ricordò d’un tratto perché erano lì, cosa li aveva condotti in quella
situazione. Si fermò e decise di procedere con la preparazione della colazione.
Nel silenzio mise in tavola due tazze con relativi piattini, cucchiaini,
tovaglioli e posate. Sentiva lo sguardo di Snape sulla sua
schiena.
“Cosa desideri mangiare per
colazione?” le chiese Snape, secco e quasi irritato dalla
situazione.
“Di solito bevo del the con
biscotti, oppure una brioche. Ma se mi offre qualcosa di pronto, non disdegno
nulla.”
Senza parlare portò in tavola
un piatto di bacon, con burro e piccoli panini.
“Da dove arrivano queste
cose?” gli chiese incredula.
“Sono della casa,” gli disse.
“Forniture base…”
“Allora Molly a sistemato
anche la cucina, oltre al bagno…” dedusse, correttamente,
Tonks.
Mangiarono nel silenzio.
Tonks cercò di osservare Snape senza farsi notare, cosa che era impossibile,
come aveva imparato in anni di scuola, ma decise che dopo tanto tempo poteva
mandare a quel paese la sua soggezione per
quell’uomo.
Era decisamente magro,
scarno. I capelli erano sempre i suoi, lunghi, senza forma e troppo lisci. Il
naso sembrava raccogliere tutto il resto del volto. Anche gli occhi
scomparivano, tranne quando li puntava contro gli altri. Allora diventavano dei
punti luminosi. Non potevi non sentirti presa da quello sguardo. Il collo lungo
e magro, il segno delle spalle aguzze sotto il maglione, le mani ossute e
curate. Solo allora Tonsk notò qualcosa che non quadrava in tutto quello e si
diede della stupida. Come poteva pensare di essere un buon Auror se non era in
grado di riconoscere un cambiamento come quello?
Snape era vestito come un
babbano. E non era vestito di nero. Aveva un maglione di lana marrone scuro, che
sembrava tanto una creazione di Molly. E un paio di pantaloni, sempre marroni,
di velluto.
Orrido.
Facendo cadere il tovagliolo,
Tonks si chinò e gli guardò i piedi. Gli scarponi.
Terrificante.
Terminò velocemente il panino
che aveva in mano.
“Dobbiamo cercare qualcosa da
vestire per lei che non la faccia sembrare un barbone…” gli disse alzandosi e
portando tazza e piattino all’acquaio.
“Ho solo quello che mi ha
dato Remus,” disse lui. “E non ho certo soldi babbani,” le rispose irrigidendosi
sulla sedia. “Qualcosa da ridire anche sulla mia
faccia?”
Tonks rimase in silenzio.
Fissandolo.
“Devo cominciare a pensare
cosa fare per l’Ordine, Miss Tonks. Questa cosa degli acquisti prevede anche la
mia presenza?” le chiese alzandosi a sua volta e avvicinandosi a lei. Subito
spostò lo sguardo verso l’estero della casa.
La strada era
deserta.
“Non penserà di mandarmi a
comprarle maglioni e pantaloni da sola?” le chiese con derisione, senza
guardarlo. “Non è certo mio padre! E anch’io devo lavorare per
l’Ordine!”
Snape strinse gli occhi,
irritato. “Allora cerchiamo di fare in fretta,” concluse attirando a sé le
stoviglie e sbattendo tutto nell’acquaio Mormorò un veloce incantesimo che fece
sollevare le stoviglie, aprire il rubinetto dell’acqua e apparire una spugna e
una schiuma bianca. “Dove sono i soldi e dove si comprano i vestiti?” E
dicendolo se ne andò dalla cucina e Tonks lo sentì salire le scale. Fece un gran
sospiro. Era l’uomo peggiore con il quale avesse mai condiviso
qualcosa.
Rassegnata a trascorrere dei
giorni di tormento e di frustrazione si alzò e prese dal cassetto del mobile in
corridoio, un piccolo comodino di legno intarsiato, dei soldi babbani. Aveva
fatto qualche allentamento nell’usarli e sperò di ricordarsi il corretto valore.
Snape stava scendendo le scale. Aveva indossato il giaccone di lana,
asciutto.
Lei prese semplicemente il
proprio dall’appendiabiti nell’ingresso e appoggiò la mano sulla maniglia della
porta. Subito sentì la mano calda e decisa di Snape sopra la propria. Si girò
con un’espressione interrogativa. Gli era addosso, vicinissimo. Si sentiva un
profumo di muschio, quasi impalpabile. E Snape si sentì colpito dal profumo di
arance e limoni. Si scostò all’indietro, anche se di
poco.
“Almeno sai dove andare e
cosa comprare, Miss Tonks?” Aveva ripreso il suo solito tono di
derisione.
“So cosa comprare per non
farla sembrare un pazzo trai babbani!” gli rispose piccata. “So come si dovrebbe
vestire un uomo della sua età…” disse, sottolineando con enfasi l’ultima
parola.
Snape rimase in silenzio per
un attimo. “Conosci i soldi babbani?”
“Fa parte
dell’addestramento,” disse come per rassicurarlo.
Si aspettava un rimprovero o
un giudizio, ma Snape fece un piccolo sorriso di scherno. E aprì la
porta.
“Negozio di abbigliamento
alla sua sinistra,” gli disse uscendo dietro di lui e chiudendo la
porta.
“Non posso rivedere le mie
donne?” le chiese, alzando il bavero della giacca e stringendoselo attorno al
collo. Le mani erano nude, notò Tonks.
“La lascerò giocare questa
sera, se proprio non riesce a farne a meno,” sbottò lei,
irritata.
Il silenzio le fece
immaginare una smorfia ironica da meritare un pugno in faccia. E allora rimase
in silenzio.
Arrivarono velocemente al
negozio di abbigliamento. Si trovava a poco più di un centinaio di metri, sempre
sulla strada principale. Guardandosi attorno Tonks dedusse che non ci fosse poi
molto altro, a parte quella strada principale. Vide due negozi di abbigliamento
femminile, un panificio e un negozio di frutta e verdura. Poi, passate due case,
arrivarono al negozio di abbigliamento.
C’era un’unica vetrina, a
fianco della porta d’ingresso e mostrava una serie di maglioni colorati e di
pantaloni in velluto o lana. Sembrava molto rigoroso e formale. Tonks si chiese
se
Entrarono e si sentirono
entrambi felici di ritrovarsi al caldo.
“Buongiorno,” disse loro un
commesso. “In cosa posso aiutarvi?”
Prima che Tonks proferisse
parola, Snape prese l’iniziativa.
“Sto cercando dei vestiti per
me. Sono dimagrito e devo cambiare parecchio nel mio guardaroba. A partire dai
pantaloni. Sportivi.”
Il commesso, un uomo di
almeno un decennio più vecchio di lui, lo squadrò da cima a fondo, senza lasciar
trapelare nessuna considerazione sul suo attuale abbigliamento. Gli fece cenno
di seguirlo e lo portò vicino ai camerini.
“Colori preferiti?” gli
chiese, cortese e professionale.
“Scuri. Nero, blu, grigio…”
disse sbrigativamente Snape. “Delle camicie altrettanto scure, niente di
bianco.”
Il commesso fece un cenno di
approvazione e andò a zonzo.
Solo allora Snape si girò a
guardare Tonks. Era in piedi poco distante, le braccia incrociate e lo guardava
sorridendo. Indossava quel suo strano giaccone senza forma, degli stivali
azzurri sotto ad un paio di jeans sformati e tagliati. Guanti e sciarpa erano di
uno strano miscuglio di verde e giallo. Almeno i capelli erano di un comune
color castano.
“Le mancava qualcuno da
comandare, eh, Professore?” gli disse sottovoce. “Adesso può
sfogarsi.”
Snape distolse lo sguardo,
irritato, e cercò un camerino libero. In realtà erano gli unici clienti nel
negozio, dato l’orario. Avevano aperto da meno di mezz’ora. Erano entrambi così
stanchi che si erano svegliati ben oltre l’orario
previsto.
Il commesso ritornò con tre
diversi tipi di pantaloni.
“Sono diversi per colore e
modello. Li provi e mi dica quale preferisce,” gli disse porgendoglieli. Snape
li prese e si chiuse dentro uno dei camerini.
Mentre si toglieva
quell’odiosa cosa di velluto che Molly gli aveva infilato nella borsa, come
pantaloni, sobbalzò sentendo la voce di Tonks, poco
distante.
“Devo rimare per dare il mio
parere?” chiese pacata.
“Mi vesto da solo da parecchi
anni, Miss Tonks!” le rispose a mezza voce, irato.
“Ecco, appunto. Allora
rimango qui per darle un occhio, visti i risultati…” ridacchiò la
ragazza.
Snape si sfilò scarpe e
pantaloni e infilò dei pantaloni lana, grigio scuro. Il commesso ci sapeva fare.
La taglia era perfetta. Erano comodi.
“Se non le spiace le passo
anche una camicia e un maglione, così può già provarli…” sentì dire dall’uomo.
Aprendo leggermente la porta, Severus allungò un braccio e prese gli indumenti,
facendo attenzione a non incrociare lo sguardo di quella odiosa ragazzetta che
Remus gli aveva propinato come custode. Odiosa, divertente e anche dannatamente
attraente. Doveva prendersela con Remus, maledetto
Griffondoro!
Finì di spogliarsi e si provò
tutti gli indumenti. Il maglione era forse troppo largo, ma le maniche erano
perfette. Era dimagrito ancora… pensò. Poi chiuse gli occhi e si domandò perché
stava acquistando vestiti, se il suo destino era solo quello di morire. Per mano
di un Mangiamorte, probabilmente. Ma il suo destino era morire. Prima di farlo
doveva indagare ancora e stanare quanti più luoghi di incontro dei seguaci
dell’Oscuro Signore. O qualsiasi altro elemento utile all’Ordine. Riaprì gli
occhi e uscì dal camerino per controllare come gli stavano quei
vestiti.
Alacremente il commesso si
inginocchiò per prendere la misura della lunghezza dei
pantaloni.
“Glieli sistemiamo in due
giorni, signore, se serve…” gli propose prendendo uno spillo. Ma si accorse che
non erano esageratamente lunghi. “Che scarpe desidera, signore? Così troviamo la
lunghezza esatta.”
“Dei semplici mocassini,
pratici. Delle scarpe da ginnastica, nere.” disse guardando verso Tonks. Che si
lasciò quasi sfuggire di mano il maglione che stava
osservando.
“Scusate,” disse tirandosi un
sorriso sulle labbra e raccogliendo il maglione. Cercò lo sguardo di derisione
di Snape, ma il maledetto stava osservandosi allo specchio. E stava dannatamente
bene, vestito in quel modo. Anche se le rughe sul volto dimostravano tutta la
sua tensione.
Poco meno di dieci minuti
dopo aveva anche provato dei jeans, un paio di scarpe e un altro maglione. Due o
tre camicie.
Altri dieci minuti ed erano
alla cassa per pagare. Snape ascoltò senza battere ciglio l’elenco di quello che
aveva acquistato (tre pantaloni, tre maglioni, cinque camicie, due paia di
scarpe) fino a quando la signora che era alla cassa non aggiunse sciarpa e
guanti grigi e un giaccone imbottito corto. Si girò a guardare verso Tonks che
gli sorrise.
“Ho pensato che potevi averne
bisogno. Il giaccone è molto usato, oramai, non credi?” gli chiese con voce
dolce.
Snape la fissò per alcuni
secondi, poi fece un minimo cenno di assenso.
Sentendo il conto finale,
Severus di rivolse nuovamente a Tonks, che prese da una qualche tasca del suo
giaccone, tasca invisibile a chiunque, le banconote babbane. Severus allungò una
mano e gliele sfilò, sfiorandola leggermente sul
palmo.
Tonks sentì i brividi
risalire fino alla spalla. Ma per fortuna lui si era già rivolto alla cassiera
per pagare e non la guardava.
Si diede della stupida. Non
era certamente la prima volta che un uomo la sfiorava e del tutto casualmente.
Neppure un uomo dell’età di Snape. E soprattutto non poteva assolutamente
provare dell’attrazione proprio per quell’uomo. Che era sempre più umano,
aggiunse. Lo guardò pagare con disinvoltura, prendere il resto e infilarlo in
tasca, prendere i sacchetti e girarsi verso di lei.
“Andiamo?” le
chiese.
Lei annuì e salutò. Il
negozio aveva già altri clienti.
Uscirono in silenzio e
tornarono a casa, uno dietro l’altra, lasciando al commesso l’immagine di una
coppia apparentemente unita, ma molto in crisi.
Camminando lungo la strada
Tonks gli si avvicinò. Trattenendo una risata.
“Scusi la domanda,
Professore. Ma come stiamo a slip e magliette?”
Severus si bloccò sul
marciapiede, costringendo qualche persona a scendere per superarli. La guardò
con gli occhi furiosi.
“Come ti permetti, Miss
Tonks?” le chiese a mezza voce, con un sibilo. “Verresti con me a prendere la
tua biancheria intima?” la sfidò.
“Beh, serve anche quella,
no?” commentò con il cuore in gola e l’espressione tranquilla, la ragazza. “Se
non vuole farlo da solo, io adoro fare acquisti.”
E si incamminò verso casa,
incerta se scoppiare a ridere o controllare che non
Appena rientrati, Severus si
tolse il giaccone e lo appese all’ingresso. Senza girarsi a guardare la ragazza
che lo seguiva, salì le scale e si chiuse in
camera.
Tonks pensò che volesse
sistemare i nuovi acquisti. Non intendeva seguirlo o fargli da balia e se ne
andò in salotto, con una mappa del territorio per ripassare gli indizi lasciati
dai gemelli.
Cercò di non focalizzare la
sua attenzione sulla linea dei pantaloni di Snape oppure sulle sue spalle. Né
sul ricordo del suo petto nudo la sera precedente.
Tonks decise che aveva
proprio bisogno di un uomo. Non c’erano altre spiegazioni. Un bisogno
impellente, visto a chi si stava rivolgendo il suo
pensiero.
Il resto della mattina lo
passarono separati. Al momento del pranzo Severus scese dal piano delle camere.
Tonks era in cucina, intenta a tagliare della
verdura.
“Ti occupi tu del pranzo,
Miss Tonks?” le chiese.
“Sto facendo le cose un po’ a
caso…” ammise Tonks con una smorfia. “Non ho la più pallida idea di cosa
preparare…”
Lo disse guardandolo e rimase
a fissarlo. Allora ci vuole veramente poco per lasciarsi affascinare da un uomo,
si disse Tonks.
Aveva indossato i vestiti
nuovi. Dei jeans scuri e un maglione grigio. Le scarpe sportive, quasi da
ginnastica, nere. Una camicia blu. I capelli raccolti in una coda sottile. La
barba ancora lunga.
Era brutto, si disse Tonks.
Non aveva fascino. Almeno per lei. Eppure le dava i
brividi.
Di paura, si disse. Di
irritazione. Di rabbia.
Ma questo come poteva
spiegare l’immagine che le saliva alla mente di un uomo con un asciugamano
avvolto ai fianchi? Anche nei momenti meno
indicati.
“Cucino io,” disse Snape, un
po’ irritato da quello sguardo fisso su di lui.
Senza nessuna cortesia
cominciò a lavorare.
Il pomeriggio fu lungo e
denso di impegni per entrambi. Severus si chiuse nella sua camera con pile di
pergamene e non si fece vedere per almeno quattro
ore.
Tonks, anche se curiosa, non
osò avvicinarsi alla stanza con una scusa. Rimase in salotto, completò l’analisi
delle mappe e preparò un resoconto dei primi due giorni che inviò a Remus e ad
Arthur, i suoi due riferimenti. La risposta di entrambi, arrivò con i relativi
Patronus, dopo un’oretta, durante la quale lei aveva fatto esercizi di
ginnastica in camera. Era abituata a correre quasi ogni giorno o a fare
palestra, in qualche modo. Non amava l’inattività. Neppure forzata. Muoversi
voleva dire sfogarsi e scaricare la tensione. L’arrivo dei messaggi la trovò in
cucina, incerta se preparare un po’ di te, fuori orario, solo per sé o anche per
il suo prigioniero in libertà.
Prese le due pergamene. La
risposta di Arthur era per rassicurarla che tutto procedeva secondo quello che
avevano definito. Harry, Ron, Hermione e Ginny stavano bene. Anche Ginny si era
fermata con loro. Stranamente Harry si era dimostrato d’accordo con la richiesta
della ragazza.
Remus invece le sottolineava
il fatto che Severus non poteva essere costretto a fare quello che l’Ordine gli
chiedeva e inoltre non erano questi gli accordi. Era sempre stato uno spirito
libero, per volontà e necessità. Non aveva mai avuto nessuno con cui condividere
la sua vita. Né amici, né una compagna. E quindi doveva essere difficile, anche
per lui, passare del tempo a stretto contatto con una donna. Tonks si ripromise
di chiedergli se la scelta di mandarla con Snape era dovuta alla fiducia che
aveva nei suoi confronti o nel tentativo di creare un’intesa tra lei e il
Professore. Gli accordi tra Severus, Arthur e lui erano chiari a tutti e
tre. E comunque sarebbe arrivato
domani per condurlo da Harry. Le chiedeva di avvisare
Snape.
Ripiegando la pergamena,
Tonks decise di andare a chiamare il Professore per il te. Aveva un motivo,
adesso.
Salì le scale ascoltando il
silenzio. Da quando si era rinchiuso nella camera non aveva sentito nessun
rumore, neppure la sua voce. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma sentì solo lo
sfregare di una penna sulla pergamena. Bussò. Il rumore si
interruppe.
“Cosa vuoi, Miss Tonks?” La
voce aveva un tono stanco.
“Sto preparando il te e ho
una comunicazione da Remus.”
“Scendo tra qualche
minuto.”
Tonks rimase indecisa per
alcuni secondi tra la scelta di scendere le scale e rispettare la privacy del
professore o entrare “per caso” chiedendo quale tipo di te preferiva. Poi, con
un sospiro, girò su se stessa e scese le scale. Avrebbe cercato in un altro
momento di trovare soddisfazione alla sua
curiosità.
Quando ormai stava per
versare il te, pronto e caldo, nella sua tazza, la raggiunse il
Professore.
“Grazie,” le disse, vedendola
versare il te. Lei gli porse la tazzina.
“Manca il latte e lo
zucchero,” precisò.
“Ho imparato a berlo senza
nulla, così nero,” le rispose con l’accenno di un
sorriso.
Tonks notò che gli occhi
erano di nuovo lucidi, come se avesse la febbre. Istintivamente gli mise una
mano sulla fronte, per capire se stava male. Lui si irrigidì e spalancò gli
occhi per la sorpresa.
“Lei ha la febbre,” gli
disse, togliendo la mano. Sembrava sorpresa dall’idea che un uomo come il
Professor Snape potesse ammalarsi. Lo guardò con
meraviglia.
“Lo so,” le disse
allontanandosi da lei e mettendosi seduto dall’altra parte del tavolo. “Ho già
preso la pozione, questo pomeriggio. Tra qualche ora se ne va.” E si mise a bere
il te.
“Avrebbe bisogno di riposare
un po’,” suggerì pacatamente. Non sembrava il momento di insistere, neppure per
il suo benessere.
“Non ho tempo, Miss Tonks,
non ho tempo,” e bevve ancora un po’ della bevanda calda. Ne sentiva un estremo
bisogno. La febbre gli faceva salire dei brividi di freddo improvvisi già
dall’inizio del pomeriggio.
Aveva dato la sua parola ad
Arthur e Remus. Doveva scrivere tutto quello di cui era venuto a conoscenza in
quegli anni lavorando per Silente, tutte le informazioni che aveva raccolto sui
Mangiamorte, la loro organizzazione, la loro gerarchia, i loro obiettivi. Erano
informazioni che aveva passato a Silente sempre verbalmente e di cui non c’era
traccia, adesso. Era necessario che l’Ordine potesse averle presto a
disposizione. Sicuramente tutto era stato annotato da Silente da qualche parte,
ma Minerva era ancora alla ricerca dei suoi diari o dei suoi ricordi. Non era
riuscita a trovare neppure il suo Pensatoio. Se Silente non si era preoccupato
di far avere all’Ordine quegli appunti era perché sapeva che Snape poteva farlo
direttamente. Molto del suo lavoro in quei giorni era proprio quello di
ricostruire i ricordi dei suoi ultimi vent’anni, selezionando quello che poteva
essere utile.
“Remus passa domani per
accompagnarla da Harry. Pensa di poter riprendersi per allora?” gli chiese
Tonks, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Ci andrei comunque,” le
rispose. La testa aveva smesso di pulsare. Chiuse un attimo gli occhi per
eliminare la luce che gli dava fastidio. Li riaprì dopo qualche secondo e tutte
le luci della casa erano state spente. Guardò Tonks che gli sorrise,
dolce.
“A me da sempre fastidio la
luce, quando ho la febbre,” e si bevve un po’ del suo
te.
Severus non le rispose, ma
accennò ad un altro sorriso. Prese la tazza con entrambe le mani per scaldarsi
ancora di più.
“Ha acceso il fuoco in
camera?” gli chiese. Lui annuì.
“Forse, se si fa una doccia
calda…” gli suggerì.
“Dopo…” si limitò a
rispondere, quasi casualmente. Sentiva la testa pesante e gli si chiudevano gli
occhi. Mentre lavorava almeno non pensava a come il suo corpo lo stava tradendo.
Con fatica si alzò dalla sedia, ma barcollò.
“Ehi!” esclamò Tonks
raggiungendolo e mettendogli un braccio attorno alla vita. “Adesso lei si sdraia
in salotto e si riposa fino a quando la pozione fa effetto. Quando l’ha
presa?”
“Prima di scendere, non mi
ero accorto dell’orario prima che tu mi chiamassi…” le sussurrò appoggiandosi a
lei e al tavolo. Era veramente difficile stare in piedi. E pensare. E quelle
braccia che lo toccavano gli riempivano la testa.
“Senta, spostiamoci in
salotto. Ce la fa?”
“Lascia che mi appoggi alle
pareti…” le disse con fatica.
Lentamente Tonks gli fece
fare i pochi passi che dalla cucina lo portarono al divano davanti al camino del
salotto. Lo fece sdraiare e gli mise addosso il plaid che era appoggiato su una
delle poltrone. Poi accese il fuoco.
“Quanto tempo deve aspettare
per la pozione?” Gli stava rimboccando il plaid e, arrivata alle spalle, si era
accovacciata vicino a lui.
“Non molto. Ne ho dell’altra
di sopra, vicino al letto.”
“Gliela porto qui. Arieggio
la stanza, intanto.”
“Le pergamene!” esclamò
Severus con forza, afferrandole un braccio. “Non
perderle!”
“D’accordo,” gli disse,
appoggiando la mano sopra quella che le stava artigliando il polso. “Le porto
qui, così sono al sicuro.”
Salì di sopra, preoccupata
per la salute di Snape. Si stava esaurendo, concluse. Stava spremendosi oltre il
possibile.
Nella stanza regnava il
silenzio e il buio. Le luci erano spente e dall’esterno, a quell’ora della sera,
arrivava solo il bagliore di un lampione. Anche il camino era stato spento. Vide
le pergamene sparse sul letto. Da un lato c’erano quelle ancora vuote e
dall’altro tre diverse pile di fogli scritti fittamente. Era la stessa scrittura
che lei aveva visto per anni nei suoi compiti di Pozioni. Stretta e angolosa.
Prese i fogli mantenendo l’ordine. Per ultimi quelli bianchi. Li appoggiò al
comodino con la penna. Andò alla finestra e aprì i vetri e leggermente le
imposte per far entrare un po’ d’aria. La stanza sapeva di chiuso. Guardandosi
attorno vide che oltre alle pergamene non c’era altro che lasciasse capire chi
fosse il proprietario della camera. Nessun indumento, nessun accessorio per il
bagno. Ricordandosi della mattinata Tonks aprì l’armadio e vide gli abiti nuovi
appesi con cura. In basso c’era la biancheria. Si chiese dove l’aveva comprata.
O se l’aveva con sé. Nera e grigia. Odiava il bianco quell’uomo, pensò. Ma aveva
degli slip carini, aggiunse ridendo e chiudendo il
mobile.
Prese le pergamene, la penna
e la pozione e scese al pianterreno. Intenzionata a far vedere al Professore che
non aveva rovinato il suo lavoro, gli si avvicinò. Stava dormendo.
Profondamente. Era sdraiato sulla schiena, la faccia rivolta leggermente verso
il camino. La coda si era disfatta e i capelli erano sparsi sul cuscino.
Appariva molto più giovane e molto meno tormentato con gli occhi chiusi e
l’espressione rilassata. Il respiro era regolare. Con delicatezza gli scostò dei
capelli dalla faccia. Poi Tonks si raddrizzò ripentendosi per l’ennesima volta
in quella giornata, che doveva trovarsi un uomo. Assolutamente. Appoggiò i fogli
sul tavolino a fianco del divano. Si rannicchiò in poltrona, con un libro, in
attesa che si svegliasse. Avrebbe preparato qualcosa di caldo per
cena.
Severus sapeva dove si
trovava. Ricordava di essere passato dalla cucina al salotto e di essere
crollato sul divano. Poi più nulla. Doveva essersi addormentato. La testa non
gli faceva male, anzi si sentiva meglio. Con attenzione aprì gli occhi e riuscì
a guardare il camino, acceso, senza alcun fastidio. Provò a spostare lo sguardo
e vide i piedi di Tonks che spuntavano dalla poltrona. Alzò leggermente la testa
per osservarla e vide che era sveglia, anche se il volto era rivolto alla
finestra. Indossava ancora quegli strani jeans rovinati e un maglione bianco
tutto traforato. Su era rannicchiata sulla poltrona, con un libro appoggiato
sulle gambe. Era bella. Era bella già quando frequentava Hogwarts. Durante il
suo sesto e settimo anno era stato difficile anche per lui non accorgersene.
Aveva un volto così espressivo, un sorriso ironico e la battuta pronta. Sapeva
essere attraente anche con lui, ma non se ne rendeva conto. Era stata forse
l’unica alunna alla quale aveva concesso qualche voto in più solo per il modo in
cui riusciva a tenergli testa con le battute e le domande, senza farsi
intimidire. Per quanto si dimostrava acuta e capace di gestire il suo
metamorfismo con allegria. Lei lo aveva sempre trattato come tutti gli allievi:
un Professore odioso e parziale, pronto a difendere solo la parte cattiva delle
persone.
“Ciao, Miss Tonks,” sussurrò
per non farla trasalire.
Ci riuscì in parte. Lei girò
di scatto la testa, sorpresa.
“Sono passate meno di due
ore… Credevo avrebbe dormito molto di più!” gli disse, quasi
imbronciata.
Lui sorrise. E Tonks lo vide,
per la prima volta, come avrebbe potuto essere con una vita diversa. Non sarebbe
mai stato bello con quei lineamenti, ma poteva essere interessante.
Affascinante. Attraente.
“Sono Professore di Pozioni
per qualcosa, no?” le disse togliendosi la coperta e mettendosi seduto. I
capelli gli scivolarono sulla faccia e lui li spostò dietro le orecchie, con un
gesto lento e gentile. La guardò. No, si disse Tonks, poteva essere anche bello,
quando lasciava uscire la sua dolcezza. Rimasero a fissarsi in silenzio per
qualche secondo. Severus non capiva quella tensione improvvisa, Tonks non
riusciva a liberarsene.
Poi Tonks si tolse da polso
una fascetta elastica bianca e gliela porse.
“Credo che la sua sia finita
tra i cuscini del divano.”
Severus la prese sfiorandole
nuovamente la mano quel giorno, ma
intenzionalmente.
Pettinò i capelli con le mani
e si rifece la coda.
“Come mai ha sempre portato i
capelli lunghi?”
“Perché una ragazza mi ha
detto che stavo meglio così,” rispose
sbrigativamente.
“Chi?” gli chiese,
aspettandosi una risposta caustica.
“Tua zia Bellatrix,” le disse
guardandola. Tonks aprì la bocca per la sorpresa. “Vado a preparare la cena.
Immagino che tu non sia in grado di usare una pentola,” e la lasciò seduta in
poltrona, sorpresa per quella risposta e senza difesa di fronte all’idea che
quell’uomo, quell’uomo così scontroso e intrigante, potesse aver avuto una
storia con sua zia.
Tonks lo raggiunse in cucina
dopo qualche minuto. Aveva risistemato il salotto, cercando di abituarsi
all’idea di Snape e Bellatrix.
“In che occasione mia zia le
ha fatto quella puntualizzazione? Sui capelli, voglio dire…” gli chiese
entrando.
“Eravamo molto giovani, Miss
Tonks.” Severus stava sistemando della verdura tagliata in una padella e si era
già pienamente pentito dell’osservazione fatta, ma era così bella seduta in
quella poltrona… Cercò un modo per sviare il discorso da quel suo
errore.
“Ma Bellatrix è più vecchia
di lei!” esclamò Tonks. “Non potete esservi trovati ad
Hogwarts!”
“A casa Malfoy, in effetti.
Eravamo tutti più o meno lì,” raccontò laconico. Non era esattamente così, ma
nessuno poteva smentirlo. E
soprattutto desiderava chiudere lì con quell’argomento. “Prepara la tavola, Miss
Tonks.”
“Immagino che questo voglia
dire che non se ne parla più di Bellatrix…” sospirò Tonks, afferrando canovacci
e tovaglioli per cominciare ad apparecchiare.
“Limitati a fare quello che
ti ho chiesto, Miss Tonks,” commentò acido Snape.
“Non siamo a scuola,
Professore. E lei sa essere molto meno antipatico, se vuole!”
Snape scelse il silenzio. Si
mise a mescolare le verdure nella padella e a controllare la carne che bolliva
vicino. Non voleva farsi coinvolgere in altre discussioni con quella ragazza.
Tonks sembrò accettare e riprese ad apparecchiare, senza magia, per far passare
del tempo. Snape rimase per tutto il tempo con lo sguardo rivolto verso le
pentole, ascoltando il suono di Tonks che sistemava i piatti e i bicchieri, che
riempiva una caraffa di acqua, che cercava dei panini da scaldare nel frigo, che
prendeva una carota, la puliva e cominciava a
morderla.
“Ma,” ricominciò masticando
la verdura, “come ha fatto ad imparare a cucinare babbano se sua madre era una
strega?” gli chiese. Aveva deciso che era necessario approfittare di quel
momento di grazia, prima che sparisse del tutto.
Errore. Snape si girò con uno
sguardo di fuoco.
“Cosa sai tu della mia
famiglia?” le chiese, guardingo.
“Oh, beh…” disse Tonks quasi
intimorita. “Quello che sanno tutti gli studenti di Hogwwarts. Sua madre era una
strega e suo padre babbano. Ne sa più lei di Arti Oscure di ogni altro
insegnante di Hogwarts. E forse anche di Pozioni. Crede fermamente in Silente. È
stato tra i Mangiamorte, ma poi ne è uscito. È stato il solo?” gli chiese
infine.
Snape era sbiancato
ascoltando quell’elenco. Era la conferma della sua profonda convinzione che non
esistesse nulla di più deleterio di un gruppo di alunni adolescenti per
rovinarti la vita. Odiosi mocciosi. Ritornò a guardare i fornelli senza
rispondere.
“Sa,” continuò imperterrita
Tonks, “ a casa mia non era vietato parlare di quel lato della famiglia che
aveva scelto di stare con Tu-Sai-Chi. Mia madre aveva delle precise opinioni
sulle sorelle. E sui Malfoy. Credo di aver odiato Lucius molto prima di
conoscerlo. Ma non ho mai sentito parlare di lei. Mia madre non l’ha
conosciuta?”
Ancora
silenzio.
“Oh, beh… poco importa,”
concluse con uno sbuffo. “Ha avuto una storia con mia zia
Bellatrix?”
“Hai avuto una storia con
Charlie Weasley? O ti sei limitata a sognarlo di notte?” le chiese
immediatamente lui, sbattendo il mestolo sul piano di marmo della cucina e
girandosi a guardarla, pronto a incenerirla. Il tono della voce era
glaciale.
Tonks rischiò di soffocarsi
con un pezzo di carota. Cominciò a tossire e si versò da
bere.
“Oppure era Bill a tenerti
compagnia nei sogni?” proseguì imperterrito Snape. “Perché era chiaro dove
finivano i tuoi sguardi durante pranzi e cene ad
Hogwarts!”
“Impiccione!” bofonchiò
Tonks, continuando a tossire.
“Cosa hai detto, Miss Tonks?”
le chiese lui avvicinandosi e mettendosi davanti a lei, le mani appoggiate sul
tavolo e la faccia a pochi centimetri dalla sua.
“Ok, ok… cambiamo argomento!”
sussurrò lei. Quello sguardo e quel tono cominciavano a ricordarle più di
qualche episodio del suo periodo ad Hogwarts.
“Limitati a fare il tuo
lavoro e non intrometterti nella mia vita, Miss Tonks!” la minacciò Snape
puntandole un dito direttamente sulla punta del naso.
“Chiaro?”
“Cristallino,” disse
lentamente Tonks guardandolo negli occhi.
“Bene…” E Snape si girò verso
i fornelli per controllare la preparazione della
cena.
“E comunque non ho avuto
nessuna storia con nessun Weasley…” gli disse all’improvviso, dopo qualche
minuto di assoluto silenzio. “E lei dovrebbe limitarsi ad insegnare senza
occuparsi degli affari di cuore dei suoi alunni!” concluse,
sostenuta.
“Il tuo primo bacio credo sia
stato Davidson, Tassorosso. Un anno avanti a te. Quidditch. Hai fatto degli
errori enormi in quel match del tuo quinto anno… guardavi sempre dalla parte
sbagliata…” Snape stava sorridendo a se stesso mentre ricordava quell’episodio.
Tonks era arrossita vistosamente e boccheggiava per la sorpresa e
l’imbarazzo.
“Accidenti a lei!” gli urlò,
balzando in piedi. Fece il gesto di volerlo strangolare, mentre lui si era
girato a guardarla e cominciava a riderle in faccia, divertito dalla reazione di
rabbia e stupore.
“Ohhhhh!” urlò poi Tonks
risedendosi e cominciando a ridere con lui. Era tutto vero, naturalmente. Aveva
giocato in modo terrificante. Il suo capitano l’aveva insultata per ore, a fine
partita. “Lei è un essere odioso,” concluse con un piagnucolio. Decisamente
troppo esagerato per essere vero.
Snape rideva come mai da
anni. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Era troppo bello vederla arrabbiarsi in
quel modo. Aveva completamente fallito il suo tentativo di irritarlo e
rovinargli la serata. Veramente ci era andata molto vicino, ma poi a lui era
venuta l’idea di ripagarla con la stessa moneta. E doveva ammettere, mentre
lentamente riprendeva il suo autocontrollo, che non si divertiva così tanto da
decenni. Sbattendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, si girò a
prendere le pentole e distribuire il cibo nei
piatti.
“È bello quando ride, lo sa?”
gli disse Tonks, evitando di guardarlo, mentre lui la
serviva.
Severus si bloccò con la
pentola in mano. Lentamente, cercando di non pensare troppo, lasciò cadere le
verdure nel suo piatto e si girò per riappoggiare la padella sul
mobile.
Tonks si morse il labbro
inferiore. Aveva esagerato. Adesso aveva decisamente
esagerato.
Ma poi Severus si limitò a
sedersi a tavola, iniziando a mangiare. Lei aspettò un momento e poi lo
imitò.
“Cosa ti ha detto Remus?” le
chiese Snape con il suo solito tono direttivo e
insofferente.
“Harry ha chiesto di vederla.
Arriva domani per accompagnarla da lui.” Sapevano entrambi di esserselo già
detti, ma non era importante ricordalo in quel
momento.
“Bene, credo che sia
necessario incontrare quello smorfiosetto,” commentò pensieroso. “Tu verrai con
noi?” le chiese, guardandola per la prima volta dopo il suo
commento.
“No,” gli rispose. “Lavoro
con Molly e Arthur domani mattina.”
Snape si limitò ad un cenno
di assenso e poi terminò quello che aveva nel
piatto.
“Vado a dormire, allora.
Lascio a te da sistemare qui, mentre faccio la
doccia.”
Tonks fece un piccolo cenno
di assenso, ripromettendosi di salire solo quando lui fosse stato ben chiuso
nella sua stanza. Non era la giornata adatta per vederlo nuovamente avvolto solo
nell’asciugamano.
Merlino! Avrebbe accettato
persino di avere Charlie Weasley vicino a lei quella sera. Anche se
probabilmente lui avrebbe poco cortesemente rifiutato la sua proposta,
invitandola ad approfittare della situazione.
Ringraziamenti lunghi.... che bello!
Mi hanno fatto molto piacere tutti i commenti che avete fatto e spero che vi piacerà anche questo capitolo.
Grazie ad Arabesque, Morgan Snape, marygenoana (ne ho scritta un'altra con questa coppia, se vuoi leggerla...), Hotaru_Tomoe (decisamente innocentista...), Mikhy90, Ellinor, VallyBeffy (non riesco ad apprezzare Remus quanto Severus...), Piccola Vero e Kokkina (non entro nei desideri altrui...!).
Aspetto i vostri commenti per questo capitolo.
Grazie a tutti quelli che hanno letto senza commentare.