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Autore: Alexandra_ph    25/12/2012    1 recensioni
Pubblico questa FF natalizia scritta nel 2007 sotto il mio nick, ma è firmata CATE e ALEX.
Abbiamo provato ad immaginarci cosa potessero desiderare Harm e Mac come regalo di Natale... e la risposta sta nel titolo della FF (o quasi...)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Appartamento di Mac

 

Ansiosa. Tormentata. Agitata.

Stressata…

Avrebbe potuto continuare la lista per ore, ma nessun aggettivo avrebbe espresso quello che realmente sentiva. Avrebbe potuto trovare milioni di sinonimi pur di non ammettere quello che realmente era il suo stato.

Era frustrata! Era tremendamente frustrata. E la colpa era tutta del suo arrogante, presuntuoso e tremendamente sexy collega.

Non riusciva a capacitarsi del suo stato emotivo… erano anni che gli lavorava accanto e, sebbene avesse sempre riconosciuto la sua bellezza, non aveva mai provato niente di lontanamente simile.

Dopo Dalton non si era più fatta avvicinare da nessun uomo, troppa paura di soffrire ancora. Ma di conseguenza la sua vita sociale era precipitata in un baratro. Erano passate settimane, mesi… quasi non ricordava più quanto tempo era trascorso senza che un uomo dormisse da lei.

Che fosse stato quello a farle iniziare ad avere strani pensieri su Harm?

Non era da lei autoelogiarsi ma non era cieca, e vedeva l’effetto che aveva sugli uomini, e non era presuntuoso pensare che avrebbe potuto trascinare nel suo letto un uomo senza nessuna difficoltà.

Eppure era stato proprio in quel periodo che aveva compreso di non volere un uomo qualunque, ma di desiderare proprio QUELL’UOMO, quel pilota di marina alto 1,94 col sorriso più sexy dell’universo.

Si era persino esposta… c’era mancato poco che dichiarasse apertamente di volerlo… a dirla tutta, su quel battello a Sidney c’era mancato poco che gli saltasse addosso…

Poi era arrivato Mic… l’ennesimo errore.

L’ennesima prova che era Harm l’uomo che lei voleva.

Quando l’aveva baciata… era stata fredda, dura, scostante. Tutto il contrario di come si sentiva dentro.

Ma perché, accidenti a lui, l’aveva baciata proprio quando era ad un passo dall’altare?

Poi ancora l’incidente di Harm in mare… il suo matrimonio andato in fumo… la sua fuga a miglia e miglia di distanza, sperando di riuscire a stare lontana da lui e strapparselo dal cuore… Harm aveva una donna, e a quanto sembrava non era disposto a chiudere quella storia.

Qualche mese dopo aveva saputo che lui e Renèe si erano lasciati… a dire il vero era stata lei a lasciarlo per un altro uomo… forse proprio per questo lui stava soffrendo ancora…

Negli ultimi giorni in ufficio le era parso abbattuto, depresso… lo aveva visto nervoso, triste… diverso dal solito. Probabilmente la storia con Reneè era stata  più importante di ciò che lui stesso le aveva fatto credere con quel bacio.

Eppure lei continuava a desiderarlo, nonostante tutto.

 “Riprenditi Mac… è uno tra i tuoi migliori amici, è un tuo collega, lavora nell’ufficio accanto al tuo e inizia a diventare fastidioso vederlo fare arringhe immaginandolo completamente nudo…”

Sorrise da sola buttandosi sdraiata sul sofà a contemplare il soffitto… una quindicenne in piena tempesta ormonale, altro che duro Marine!

 

 

 

Mc Murphy 

 

“Sono innamorato di lei…”.

Sturgis Turner guardò il suo migliore amico scolarsi l’ennesima birra, dopo che finalmente era riuscito ad ammettere quello che lui aveva capito al volo non appena aveva visto Harm e Sarah Mackenzie insieme la prima volta.

Il divertente era che alcuni mesi prima lei gli aveva confessato la medesima cosa.

“Sono innamorata di lui…” gli aveva detto Mac, quando stavano parlando proprio di Harmon Rabb, facendogli giurare di tenersi per sé tutto quanto.

“Perché non glielo dici?” suggerì il Comandante Turner, osservando l’amico chiamare nuovamente la cameriera: era il quarto boccale che mandava giù quasi d’un fiato, senza aver toccato cibo.

Harm si voltò a guardarlo con aria stupita, come se stesse dicendo un’eresia, non prima d’aver ordinato un’altra birra.

“Non sarebbe meglio, piuttosto che ubriacarti?”

“Non sono ubriaco… ” protestò il Comandante Rabb con la voce già impastata “… e comunque ho già cercato… ho già provato a farglielo capire… e non ha voluto saperne… se n’è andata… non ha voluto neppure ascoltarmi… mi ha lasciato lì… a dire cose stupide, senza neppure ascoltare… e io che avrei lasciato anche lei per lei…”

Sturgis sorrise: non aveva mai visto l’amico ridotto così. Harm non era solito bere al punto da perdere il controllo della situazione. Stava già straparlando. E comunque qualcosa nel discorso che stava facendo non gli tornava: non era possibile che Mac non lo avesse lasciato parlare… non lei, che probabilmente aspettava quelle parole da chissà quanto tempo.

“Cosa le hai detto?”

“Che avrei lasciato…” fece una piccola pausa, quasi gli fosse necessario ricordare il nome “… Reneè… per lei…”

“E Mac non ha detto nulla?”

“Mac non mi ha neppure ascoltato… se n’è andata prima che potesse sentirlo…”

Sollevò il boccale e terminò l’ennesima birra.

 “Harm…”

“Non ce la faccio… la desidero troppo… non so più come fare con lei… ho sbagliato tante di quelle volte…” disse, lo sguardo perso in ricordi lontani, la mano che passava nervosa tra i capelli.

“Cameriera…” bofonchiò immediatamente dopo, prima ancora di posare il bicchiere sul tavolo.

“Harm… smettila… non è ubriacandoti che risolverai i tuoi problemi di cuore“

“Tu non capisci, Stu. Lasciami in pace… “

“Ok, come vuoi, amico” disse alzandosi.

Pagò le birre e disse alla ragazza che lo serviva di non portargli altro; poi uscì, prese il cellulare e richiamò in memoria il numero del Colonnello Mackenzie.

“Mac, sono Sturgis…ho bisogno di te…” esordì quando lei rispose.

Quei due erano innamorati l’uno dell’altra e non riuscivano a dirselo; sembrava riuscissero ad ammetterlo soltanto con lui.

Ebbene, sarebbe stato lui a fare in modo che avessero l’occasione di confessarselo a vicenda. O, almeno, ci avrebbe provato.

Del resto tra una ventina di giorni sarebbe stato Natale… quale  regalo migliore per i suoi due amici?

 

 

 

Appartamento di Mac

 

“Sturgis? Che succede? Stai bene?” si preoccupò immediatamente. Non era dal Comandante Turner chiamarla per aiuto, di solito si rivolgeva a…

“Mio Dio Sturgis, è successo qualcosa ad Harm?”

“Calmati Mac, non è niente di grave e sia io che Harm stiamo bene… beh… forse sto meglio io di lui…”

Colse l’accenno di un sorriso nella voce di Sturgis: dopo ciò che gli aveva confessato all’inizio di quell’anno, la sua immediata preoccupazione per Harm probabilmente lo divertiva.

“Che vuoi dire Sturgis?”

“Voglio dire che il tuo collega oggi ha deciso di alzare un po’ il gomito e adesso è seduto su uno sgabello di McMurphy a straparlare. In altre circostanze lo porterei a casa io e gli farei un bel caffè, ma ho un impegno con mio padre e sai quanto il Reverendo Turner non sopporti aspettare… Quindi mi chiedevo se non potessi occuparti tu di lui… se non sei impegnata. Altrimenti chiamo qualcun altro.”

“Non preoccuparti Sturgis, il tempo di uscire di casa e lo vengo a recuperare. Tu digli solo di non muoversi di lì”.

“Ci posso provare, ma dubito che capisca anche la minima parola. Comunque non andrà lontano, le sue chiavi della macchina le ho io. Grazie Mac, non so come ringraziarti.”

“Non preoccuparti Sturgis. Grazie a te.”

Incredula mise giù il telefono: ubriaco…Harm era ubriaco. Per qualche strano motivo la cosa le stonava molto. Il compito pilota di Marina non amava affatto perdere il controllo; odiava troppo non essere nel pieno possesso di tutte le sue facoltà mentali. E per quanto ci avesse provato, neppure lei era mai riuscita ad ottenere che qualcosa lo rendesse vulnerabile tanto da sconvolgerlo fino a quel punto. 

Eppure sapeva che se lui le avesse permesso di avvicinarlo un po’ di più, lei sarebbe riuscita a fargli perdere completamente il controllo e non osava immaginare ciò di cui sarebbe stato capace Harm senza freni, senza limiti, senza inibizioni…

“Stop! Alt! Fermati marine, ti stai solo facendo del male! Fai un bel respiro, sfoggia il tuo più bel sorriso da migliore amica e recupera   quell’imbecille del tuo collega”,  si ammonì mentalmente. Stava diventando sempre più difficile tenere a freno la sua fantasia e la cosa iniziava ad ammaccare troppo il suo ego.

Possibile che l’ubriacatura di Harm fosse ancora conseguenza della sua rottura con Renèe?  In fondo lei lo aveva lasciato da parecchio tempo… Era anche vero che da allora non aveva più saputo di altre sue donne…

Il solo pensiero la fece sentire a disagio. Ma soprattutto le fece provare varie emozioni contrastanti: senso di colpa per aver sempre sottovalutato il suo rapporto con la biondina della televisione; dispiacere per il dolore che lui stava ancora provando, ma soprattutto gelosia nei confronti di quella donna che aveva avuto la fortuna di entrare così fortemente nel cuore di Harm.

D’istinto prese il suo cellulare e compose a memoria il numero di casa Roberts… Non avrebbe sopportato dover ascoltare Harm piangere per un’altra donna, non sarebbe riuscita a resistere. Ma prima che il telefono iniziasse a squillare riattaccò. Bud non sarebbe riuscito a recuperarlo da solo e poi Harm aveva bisogno di lei e i suoi sentimenti e le sue frustrazioni venivano in secondo piano.

 

 

 

Mc Murphy

 

Aprì la porta del pub ed entrò. Dovette fermarsi un attimo per far abituare gli occhi all’oscurità che avvolgeva il locale e soprattutto alla strana luce blu che era diffusa ovunque. Avanzò verso il bancone nella speranza di trovare Harm ancora lì, non aveva proprio voglia di iniziare a girare per tutte le vie di Washington per trovarlo.

Iniziò faticosamente a farsi spazio tra l’elevato numero di avventori che a quell’ora affollavano il pub, guardandosi intorno attentamente. Scrutò ogni singola persona, senza tuttavia vederlo.  

“No…  non hai il diritto di dirmi cosa devo o non devo bere! Io sono un Comandante della Marina Americana e non prendo ordini da una cameriera… se ti dico che voglio un’altra birra… tu mi porti un’altra birra…”

Eccolo, lo aveva trovato.

Si girò in direzione della voce e lo vide lì, in un angolo, malamente arrampicato sullo sgabello del bancone, immerso in una nuvola di fumo blu… Da quando aveva ricominciato a fumare? Non ricordava di averlo più visto con un sigaro in mano da anni.

Lo fissò ancora per un po’ senza avvicinarsi: era sempre stato così dannatamente sexy con un sigaro tra le labbra?

Ma era il sigaro  a renderlo tale o forse l’idea più umana che ne scaturiva?

Allora anche il ferreo Comandante non riesce a resistere alle tentazioni e si lascia andare a qualche vizietto ogni tanto!

A dire il vero poco le importava saperlo. Solo una cosa era certa: avrebbe dato qualsiasi cosa per essere quel sigaro che adesso stava toccando le sue labbra.

Si avvicinò a lui giusto in tempo per impedirgli di afferrare l’ennesima birra che la cameriera era stata costretta a versare. Si sedette sullo sgabello accanto a lui.

“Non avevi smesso con i sigari Harm?” chiese sorridendogli

Harm si voltò, quasi sconvolto dalla sua voce. A quanto sembrava non si aspettava di vederla lì e certamente lo avrebbe evitato volentieri.

“Sono arrivato alla conclusione che fanno meno male di molte altre dipendenze…” biascicò fissando lo sguardo su di lei. Per la prima volta dopo tanti anni trascorsi al suo fianco, lo sguardo di Harm le sembrava vuoto, privo di significato o comunque aveva un significato che non riusciva a decifrare.

“Andiamo Harm, ti riporto a casa” gli disse passandosi un suo braccio intorno al collo e tentando di farlo scendere dallo sgabello.

“Che c’è? Adesso vuoi metterti a fare la crocerossina? Hai deciso… hai deciso di  salvarmi la vita? Credevo fossimo già in pari… Ah no… è vero: l’ultima volta sono stato io a salvartela, evitandoti di sposare Brumby…”

Se non fosse stato tanto ubriaco da non riuscire neppure a  tenersi in piedi da solo, ci avrebbe pensato lei a stenderlo.

Il viaggio verso casa si preannunciava molto lungo.

 

 

 

Appartamento di Harm

 

“Dammi le chiavi”.

“Chiavi? Ah, sì… le chiavi… Sono nella tasca dei jeans, credo. Tasca… tasca davanti.”

“Non puoi darmele tu?”

“Mhm… Cos’hai? Paura di toccarmi, Colonnello?” le disse con un sorriso che non aveva niente a che vedere col suo sorriso rubacuori, ma era del tutto simile al sorriso un po’ ebete tipico di uno con una bella sbronza.

Doveva aver bevuto davvero parecchio per essere ridotto in quello stato. Neppure l’aria del finestrino durante il viaggio sino a casa era riuscita a farlo stare meglio.

Lei lo  squadrò con aria truce, quasi volesse incenerirlo. Il problema non era aver timore di toccarlo; era piuttosto lui quello che avrebbe dovuto aver paura… perché se lo avesse toccato, avrebbe potuto non essere più in grado di fermarsi.

“Ti ho sorretto fin qui. Credi che lo avrei fatto, se avessi avuto paura di toccarti?”

Evitò di aggiungere con che fatica lo aveva fatto. E non si trattava solo di fatica fisica, considerata la sua stazza. E neppure perché era ubriaco.

Harm sollevò il braccio e spinse in avanti la gamba. Inutile farlo ragionare, aveva deciso che le chiavi avrebbe dovuto prendersele da sé.

“Non sei di grande aiuto…” gli disse con voce stizzita, mentre infilava la mano nella tasca dei suoi jeans, molto attenta a non sfiorarlo in zone ‘off-limits’.

“Non voglio… non voglio privarti… del piacere… di fare la crocerossina” rispose lui, con un tono che non riuscì a decifrare: se non fosse stata certa delle sue condizioni, avrebbe potuto pensare che la stesse prendendo in giro.

“Perché ti sei ridotto in questo stato, Harm?” domandò mentre finalmente chiudeva la porta alle loro spalle, dopo averlo fatto entrare.

“Mhmm… Hai un buon profumo…” disse lui, avvicinandosi pericolosamente al suo collo. Si reggeva in piedi a fatica e lei non ce la faceva quasi più a sorreggerlo.

“Sì, grazie” rispose automaticamente, sforzandosi di non prestare attenzione al brivido che quella frase innocua le aveva provocato fin nel profondo. Era proprio messa male!

“Tu, invece, puzzi di fumo e di birra. Perché hai bevuto? Non ti ho mai visto ridotto così” chiese nuovamente.

“Problemi… di cuore…” rispose lui, mentre con una mano le spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Harm…”

“Mhm…?”

“Con l’alcol non si risolve nulla. Credevo lo sapessi, almeno tu”. Stava facendo il possibile per distrarlo, perché le sue mani su di lei la stavano facendo impazzire. Aveva cominciato a sfiorarle il collo con le dita.

“Mhm mhm… “ fu l’unica risposta che ottenne. Poi, finalmente, smise di toccarla, la guardò negli occhi e aggiunse: “Ma fa stare meglio…”.

“Solo per poco… lo sai. E comunque domattina ti sveglierai con un bel mal di testa. Dovresti bere un bel caffè nero e farti una doccia, per sentirti davvero meglio”.

“Nahaa… “

“E poi metterti a letto…”

“Nahaa. Non voglio bere del caffè, non mi piace… E non voglio fare la doccia… e neppure il letto. Voglio… voglio ballare. “

“Ballare?” domandò divertita. Era strano vederlo così.

“Sì, ballare. Sai… quella cosa che si fa assieme… con la musica…” e accennò, con le dita della mano, a due figure che volteggiavano.

“Sì, Harm. So come si balla.”

“Bene…” e barcollando si diresse verso lo stereo. Almeno aveva una vaga idea di dove si trovasse e di come fosse fatta la sua casa.

Trafficò per un attimo con pulsanti e manopole della radio, finché non riuscì ad accenderla e, miracolo della beata incoscienza, trovare persino una stazione di musica soft.

Poi si voltò verso di lei, con un sorriso compiaciuto sulle labbra, simile a quello di un bambino quando riesce in un’impresa più grande di lui, e le porse la mano, a mo’ di invito.

“Sarebbe meglio che ti facessi una doccia…”

“Non voglio stare meglio… sto bene, così… dai, vieni qui… con me…”

“Harm…”

“Dopo… dopo prometto…  che farò la doccia… ora voglio ballare…”

“Danzavi spesso con Reneé?” chiese lei, mentre controvoglia si apprestava a raggiungerlo. Se fosse stato sobrio… se solo fosse stata certa che non si trovava in quello stato perché distrutto dall’abbandono di Reneè… se avesse voluto davvero ballare con lei… allora sì che avrebbe danzato volentieri con lui. Non avrebbe desiderato altro che trovarsi tra le sue braccia.

Ma Harm non voleva lei… stava soffrendo per un’altra donna.

“Non voglio parlare di Reneè…  voglio ballare con te, ora…” le disse all’orecchio, mentre la abbracciava e si appoggiava contro di lei.

Era eccitato; lo percepì immediatamente, non appena lui la strinse a sé. Lei sapeva perfettamente che l’alcol poteva provocare strani effetti, anche non voluti, ma il suo cuore e soprattutto il suo corpo erano sordi al richiamo della ragione. Saperlo eccitato, pur consapevole che si trattava di una semplice reazione fisica del momento acuita dalle birre che aveva in corpo,  aumentava ancora di più il suo desiderio già di per sé frustrante.

Lui sembrava non rendersi conto dell’effetto che le faceva; continuava a tenerla stretta, ad avvicinare il volto al suo, a sfiorarle il collo con le labbra.

Ballando cercò di dirigerlo verso la porta del bagno… prima fosse riuscita a fargli fare quella dannata doccia e metterlo a letto, meglio sarebbe stato per il suo cuore. Ciò che la faceva stare peggio era l’idea che lui stesse immaginando di avere tra le braccia Reneè. Insopportabile anche solo pensarlo.

“Harm…”

”Mhm?”

“Dovresti farti quella doccia, ora”

Un mugolio di insofferenza le arrivò all’orecchio.

“Harm… per favore…”

“Vieni anche tu”

“Nella doccia? Non se ne parla…”

“Non riesco… non riesco a reggermi in piedi da solo… devi aiutarmi tu…” biascicò lentamente.

“Scordatelo!”

Ma capiva che aveva ragione lui: sarebbe potuto cadere e farsi male.

“Mhm… niente doccia… allora balliamo ancora…”

Quella serata stava diventando un incubo.

“D’accordo. Ti aiuterò io.”

“Davvero?” domandò col solito sorrisino ebete.

“Vieni…  devi svestirti…”

“Mhm… mi piace quest’idea…”

Lei scrollò il capo: se la situazione non fosse stata tanto difficile per lei, avrebbe potuto trovarla persino interessante.

L’alcol gli aveva tolto un bel po’ di autocontrollo e quell’Harm così diverso la inteneriva e intrigava al tempo stesso. Un mix pericolosissimo per la sua stabilità mentale.

Lui si fermò poco prima del bagno, la lasciò andare, sollevò le braccia e, ancora instabile sulle gambe, si mise in posizione, affinché lei potesse spogliarlo.

“Non hai intenzione d’aiutarmi? Lasci fare tutto a me?”

“Mhm, mhm… “ rispose con appena un mormorio indistinto. “E’ più divertente” aggiunse poi.

Già, più divertente.

A fatica riuscì a sfilargli la maglia; Harm era davvero alto! Se ne rese conto quando dovette allungarsi e trafficare un po’ per sfilargli le maniche, anche perché lui non collaborava affatto: se ne stava lì, praticamente inerme, senza neppure assecondare i movimenti per aiutarla.

Quando finalmente riuscì nell’impresa, era sudata. Fortunatamente sotto lui indossava una camicia di jeans e non una t-shirt.

Tuttavia la sua temperatura corporea salì ulteriormente quando si accinse a slacciargliela: ad ogni bottone che apriva, scopriva lentamente il suo torace…

Sarebbe morta prima della fine.

Risoluta procedette il più rapidamente possibile, cercando di non guardargli il petto. Ma era dannatamente difficile non farlo. O posava lo sguardo sulla sua pelle, oppure lo guardava negli occhi… in entrambi i casi si sentiva le gambe che non la sorreggevano più. Provò anche ad abbassare lo sguardo, ma incontrò l’allacciatura dei pantaloni e ricordò all’improvviso che, terminato di levargli la camicia, avrebbe dovuto avventurarsi in un territorio ancora più pericoloso.

Decise di ripetersi, come un mantra, “sono un Marine, sono un Marine…”, ma al corso d’addestramento non le avevano insegnato come spogliare un uomo tanto desiderabile resistendo all’impulso di saltargli addosso.

La parte più difficile arrivò fin troppo presto. Allungò una mano verso la cintura dei suoi calzoni, slacciò il bottone, ma poi si fermò. Sollevò lo sguardo e vide che lui la stava osservando.

“Questo dovresti riuscire a farlo da solo” gli disse.

“E’ più divertente se lo fai tu…” disse lui, con la solita voce strascicata e col solito sorrisino idiota.

“Harm… io non sono Reneè”

“Sono ubriaco, è vero… ma credo… credo di riuscire ancora a distinguere che non sei Reneè… “

“Allora dovresti riuscire anche ad abbassare la cerniera e levarti i jeans”.

“Agli ordini… Colonnello” disse mimando in maniera ridicola il saluto militare, di nuovo quel sorrisetto sulle labbra che era tutto un programma.

Ma si limitò ad aprire la cerniera; poi sollevò le braccia e disse:

“Coraggio… ora sono tutto tuo…”

Imprecando dentro di sé più e più volte, quasi con rabbia fece scivolare i pantaloni lungo le sue gambe che le parvero infinite.

“Ok, ora vieni in bagno” disse poi.

“Mhm… non manca… non manca ancora qualcosa?”

“Ti farai la doccia con i boxer, se vuoi che ti aiuti io. Altrimenti, per quanto mi riguarda, il gioco è finito qui. A casa ti ho portato, il resto non è più un mio problema. E se domattina sarai uno straccio e perderai l’udienza, saranno fatti tuoi…” proferì d’un fiato.

Lui alzò mani, quasi a parare quel fiume di parole.

“Ok, ok… “ e finalmente si lasciò condurre verso la doccia.

Aprì l’acqua e in qualche modo riuscì a ficcarcelo sotto, senza che le scivolasse  a terra. Sempre con quel sorriso indecifrabile, che cominciava a dubitare fosse causato solo dall’alcol, le aveva proposto di raggiungerlo sotto l’acqua, per fare meno fatica, ma lei non aveva neppure risposto. Si era levata la maglietta per non inzupparsela, ma non i pantaloni, che si erano bagnati verso il fondo, nel tentativo, per altro difficile, di lavarlo restando fuori dal box doccia.

Ovviamente tralasciò la zona coperta dai boxer. Già così era difficile poiché, sotto l’acqua, il tessuto non celava più nulla.

Lui se ne stava zitto; sembrava osservarla, ma non ne era sicura. Lei, d’altro canto, fece il possibile per essere rapida ed evitare qualunque coinvolgimento emotivo. Solo anni di duro addestramento militare riuscirono a farle terminare l’ardua impresa senza perdere completamente la ragione.

Avrebbero dovuto darle una medaglia!

Lo fece uscire e lo avvolse in un telo asciutto.

Forse a causa della doccia o forse per colpa del suo umore, lui era diventato improvvisamente taciturno e meno allegro di prima. Collaborò per permetterle di asciugarlo e asciugarsi a sua volta, anche se il fondo dei suoi pantaloni rimase bagnato.

Poi si fece condurre docilmente verso il letto.

Non era sicura di preferirlo così. Certo, era più facile da gestire, ma in fondo, nonostante ciò che aveva provocato al suo cuore, vederlo meno controllato del solito lo rendeva più umano e, sotto certi aspetti, ancora più desiderabile.

Restava il problema dei boxer, che erano completamente bagnati. Non poteva farlo dormire così.

Approfittò del telo da bagno con cui era ancora avvolto e del momento favorevole di docilità e glieli sfilò il più in fretta possibile; poi lo aiutò ad infilarsi sotto le coperte. Fu in quel momento che tutti i suoi sforzi per non guardarlo risultarono vani: concentrata ad evitare che lui cadesse, che il telo non scivolasse a terra, ma al tempo stesso pronta a toglierglielo per evitare che si stendesse nel letto ancora avvolto nell’asciugamano bagnato e bagnasse così anche le lenzuola, si ritrovò con la spugna in mano mentre lui, tranquillo e pacifico, si sistemava sul materasso, le lenzuola ancora sollevate dalle sue stesse mani.

Imbarazzata, confusa, eccitata…

Per un attimo le sembrò che le mancasse il respiro.

Lui parve non notare la sua esitazione; era al limite della coscienza e stava scivolando lentamente nel sonno.

Lo coprì col lenzuolo e fece per allontanarsi, a riporre le salviette, sistemare in bagno e quindi porre fine a quella tortura tornandosene a casa propria. Ma una mano le afferrò il polso.

Tornò a voltarsi verso di lui, steso nel letto.

“Harm…”

“Resta qui…” mormorò lui, la voce ormai chiaramente assonnata.

“Devo andare…”

“Resta qui… Sarah…”

Sarah.

L’aveva chiamata per nome. E’ proprio vero che l’alcol fa dire le cose più strane.

“Harm…”

“Finché non mi addormento…ti prego…”.

Pensò che non gli ci sarebbe voluto molto… ancora qualche minuto e poi sarebbe crollato.

Perché il suono del suo nome sulle sue labbra era tanto devastante?

Lasciò cadere a terra gli asciugamani e si stese accanto a lui, sopra le lenzuola.

Fu un’impressione o lui si mosse, impercettibilmente, quasi a cercare maggiormente la sua vicinanza? Quasi ad accoccolarsi tra le sue braccia…

Voltò il capo verso di lei e la guardò negli occhi.

“Non hai mai pensato… a come sarebbe?” le domandò, sorprendendola con una voce che non sembrava più quella di un ubriaco.

“Come sarebbe ‘cosa’?”

“Tra noi due… se facessimo l’amore…”

Non riuscì a rispondere. Il cuore le salì in gola e da lì non volle andarsene.

Distolse lo sguardo, fissando per qualche secondo il soffitto. Quando tornò ad osservarlo, Harm si era già addormentato.

Restò immobile, a guardarlo dormire, affascinata dalle ciglia lunghe che ombreggiavano i suoi incredibili occhi; quegli stessi occhi che soltanto un attimo prima sembravano scavarle nell’animo.

Percepiva il calore del suo corpo anche attraverso il lenzuolo. La sua pelle ora profumava di bagnoschiuma.

Osservò l’espressione del suo volto, rilassata nel sonno.

Sollevò lentamente una mano e gli sfiorò con dolcezza una guancia: l’ombra della barba stava irruvidendo la pelle liscia.

Lui si mosse al contatto, imprigionandole la mano tra il cuscino e la sua testa, quasi desiderasse che lei lo accarezzasse così per tutta la notte.

Un’idea assurda e molto pericolosa.

Eppure…

Era stato proprio lui a domandarle se non aveva mai pensato a come sarebbe stato se avessero fatto l’amore…

Esausta dalle emozioni di quella serata tanto insolita, scivolò lentamente nel sonno accanto a lui, cullata dal suo respiro e dall’immagine di loro due insieme. 

 

 

 

 

  
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