Appartamento
di Mac
Ansiosa.
Tormentata. Agitata.
Stressata…
Avrebbe
potuto continuare la lista per ore, ma nessun
aggettivo avrebbe espresso quello che realmente sentiva. Avrebbe potuto
trovare
milioni di sinonimi pur di non ammettere quello che realmente era il
suo stato.
Era
frustrata! Era tremendamente frustrata. E la colpa era
tutta del suo arrogante, presuntuoso e tremendamente sexy collega.
Non riusciva
a capacitarsi del suo stato emotivo… erano
anni che gli lavorava accanto e, sebbene avesse sempre riconosciuto la
sua
bellezza, non aveva mai provato niente di lontanamente simile.
Dopo Dalton
non si era più fatta avvicinare da nessun
uomo, troppa paura di soffrire ancora. Ma di conseguenza la sua vita
sociale
era precipitata in un baratro. Erano passate settimane, mesi… quasi non
ricordava più quanto tempo era trascorso senza che un uomo dormisse da
lei.
Che fosse
stato quello a farle iniziare ad avere strani
pensieri su Harm?
Non era da
lei autoelogiarsi ma non era cieca, e vedeva
l’effetto che aveva sugli uomini, e non era presuntuoso pensare che
avrebbe
potuto trascinare nel suo letto un uomo senza nessuna difficoltà.
Eppure era
stato proprio in quel periodo che aveva compreso
di non volere un uomo qualunque, ma di desiderare proprio QUELL’UOMO,
quel
pilota di marina alto 1,94 col sorriso più sexy dell’universo.
Si era
persino esposta… c’era mancato poco che dichiarasse
apertamente di volerlo… a dirla tutta, su quel battello a Sidney c’era
mancato
poco che gli saltasse addosso…
Poi era
arrivato Mic… l’ennesimo errore.
L’ennesima
prova che era Harm l’uomo che lei voleva.
Quando
l’aveva baciata… era stata fredda, dura, scostante.
Tutto il contrario di come si sentiva dentro.
Ma perché,
accidenti a lui, l’aveva baciata proprio quando
era ad un passo dall’altare?
Poi ancora
l’incidente di Harm in mare… il suo matrimonio
andato in fumo… la sua fuga a miglia e miglia di distanza, sperando di
riuscire
a stare lontana da lui e strapparselo dal cuore… Harm aveva una donna,
e a
quanto sembrava non era disposto a chiudere quella storia.
Qualche mese
dopo aveva saputo che lui e Renèe si erano
lasciati… a dire il vero era stata lei a lasciarlo per un altro uomo…
forse
proprio per questo lui stava soffrendo ancora…
Negli ultimi
giorni in ufficio le era parso abbattuto,
depresso… lo aveva visto nervoso, triste… diverso dal solito.
Probabilmente la storia
con Reneè era stata più
importante di
ciò che lui stesso le aveva fatto credere con quel bacio.
Eppure lei
continuava a desiderarlo, nonostante tutto.
“Riprenditi Mac… è
uno tra i tuoi migliori amici, è un tuo collega, lavora nell’ufficio
accanto al
tuo e inizia a diventare fastidioso vederlo fare arringhe immaginandolo
completamente nudo…”
Sorrise da
sola buttandosi sdraiata sul sofà a contemplare
il soffitto… una quindicenne in piena tempesta ormonale, altro che duro
Marine!
Mc
Murphy
“Sono
innamorato di lei…”.
Sturgis
Turner guardò il suo migliore amico scolarsi
l’ennesima birra, dopo che finalmente era riuscito ad ammettere quello
che lui
aveva capito al volo non appena aveva visto Harm e Sarah Mackenzie
insieme la
prima volta.
Il divertente
era che alcuni mesi prima lei gli aveva
confessato la medesima cosa.
“Sono
innamorata di lui…” gli aveva detto Mac, quando
stavano parlando proprio di Harmon Rabb, facendogli giurare di tenersi
per sé
tutto quanto.
“Perché non
glielo dici?” suggerì il Comandante Turner,
osservando l’amico chiamare nuovamente la cameriera: era il quarto
boccale che
mandava giù quasi d’un fiato, senza aver toccato cibo.
Harm si voltò
a guardarlo con aria stupita, come se stesse
dicendo un’eresia, non prima d’aver ordinato un’altra birra.
“Non sarebbe
meglio, piuttosto che ubriacarti?”
“Non sono
ubriaco… ” protestò il Comandante Rabb con la
voce già impastata “… e comunque ho già cercato… ho già provato a
farglielo
capire… e non ha voluto saperne… se n’è andata… non ha voluto neppure
ascoltarmi… mi ha lasciato lì… a dire cose stupide, senza neppure
ascoltare… e
io che avrei lasciato anche lei per lei…”
Sturgis
sorrise: non aveva mai visto l’amico ridotto così.
Harm non era solito bere al punto da perdere il controllo della
situazione.
Stava già straparlando. E comunque qualcosa nel discorso che stava
facendo non
gli tornava: non era possibile che Mac non lo avesse lasciato parlare…
non lei,
che probabilmente aspettava quelle parole da chissà quanto tempo.
“Cosa le hai
detto?”
“Che avrei
lasciato…” fece una piccola pausa, quasi gli
fosse necessario ricordare il nome “… Reneè… per lei…”
“E Mac non ha
detto nulla?”
“Mac non mi
ha neppure ascoltato… se n’è andata prima che potesse
sentirlo…”
Sollevò il
boccale e terminò l’ennesima birra.
“Harm…”
“Non ce la
faccio… la desidero troppo… non so più come
fare con lei… ho sbagliato tante di quelle volte…” disse, lo sguardo
perso in
ricordi lontani, la mano che passava nervosa tra i capelli.
“Cameriera…”
bofonchiò immediatamente dopo, prima ancora
di posare il bicchiere sul tavolo.
“Harm…
smettila… non è ubriacandoti che risolverai i tuoi
problemi di cuore“
“Tu non
capisci, Stu. Lasciami in pace… “
“Ok, come
vuoi, amico” disse alzandosi.
Pagò le birre
e disse alla ragazza che lo serviva di non
portargli altro; poi uscì, prese il cellulare e richiamò in memoria il
numero
del Colonnello Mackenzie.
“Mac, sono
Sturgis…ho bisogno di te…” esordì quando lei
rispose.
Quei due
erano innamorati l’uno dell’altra e non
riuscivano a dirselo; sembrava riuscissero ad ammetterlo soltanto con
lui.
Ebbene,
sarebbe stato lui a fare in modo che avessero
l’occasione di confessarselo a vicenda. O, almeno, ci avrebbe provato.
Del resto tra
una ventina di giorni sarebbe stato Natale… quale
regalo migliore per
i suoi due amici?
Appartamento
di Mac
“Sturgis? Che
succede? Stai bene?” si preoccupò immediatamente.
Non era dal Comandante Turner chiamarla per aiuto, di solito si
rivolgeva a…
“Mio Dio
Sturgis, è successo qualcosa ad Harm?”
“Calmati Mac,
non è niente di grave e sia io che Harm
stiamo bene… beh… forse sto meglio io di lui…”
Colse
l’accenno di un sorriso nella voce di Sturgis: dopo
ciò che gli aveva confessato all’inizio di quell’anno, la sua immediata
preoccupazione per Harm probabilmente lo divertiva.
“Che vuoi
dire Sturgis?”
“Voglio dire
che il tuo collega oggi ha deciso di alzare
un po’ il gomito e adesso è seduto su uno sgabello di McMurphy a
straparlare.
In altre circostanze lo porterei a casa io e gli farei un bel caffè, ma
ho un
impegno con mio padre e sai quanto il Reverendo Turner non sopporti
aspettare…
Quindi mi chiedevo se non potessi occuparti tu di lui… se non sei
impegnata.
Altrimenti chiamo qualcun altro.”
“Non
preoccuparti Sturgis, il tempo di uscire di casa e lo
vengo a recuperare. Tu digli solo di non muoversi di lì”.
“Ci posso
provare, ma dubito che capisca anche la minima
parola. Comunque non andrà lontano, le sue chiavi della macchina le ho
io.
Grazie Mac, non so come ringraziarti.”
“Non
preoccuparti Sturgis. Grazie a te.”
Incredula
mise giù il telefono: ubriaco…Harm era ubriaco.
Per qualche strano motivo la cosa le stonava molto. Il compito pilota
di Marina
non amava affatto perdere il controllo; odiava troppo non essere nel
pieno
possesso di tutte le sue facoltà mentali. E per quanto ci avesse
provato,
neppure lei era mai riuscita ad ottenere che qualcosa lo rendesse
vulnerabile
tanto da sconvolgerlo fino a quel punto.
Eppure sapeva
che se lui le avesse permesso di avvicinarlo
un po’ di più, lei sarebbe riuscita a fargli perdere completamente il
controllo
e non osava immaginare ciò di cui sarebbe stato capace Harm senza
freni, senza
limiti, senza inibizioni…
“Stop! Alt!
Fermati marine, ti stai solo facendo del male!
Fai un bel respiro, sfoggia il tuo più bel sorriso da migliore amica e
recupera
quell’imbecille
del tuo collega”, si
ammonì mentalmente. Stava diventando
sempre più difficile tenere a freno la sua fantasia e la cosa iniziava
ad
ammaccare troppo il suo ego.
Possibile che
l’ubriacatura di Harm fosse ancora
conseguenza della sua rottura con Renèe?
In fondo lei lo aveva lasciato da parecchio tempo… Era
anche vero che da
allora non aveva più saputo di altre sue donne…
Il solo
pensiero la fece sentire a disagio. Ma soprattutto
le fece provare varie emozioni contrastanti: senso di colpa per aver
sempre
sottovalutato il suo rapporto con la biondina della televisione;
dispiacere per
il dolore che lui stava ancora provando, ma soprattutto gelosia nei
confronti
di quella donna che aveva avuto la fortuna di entrare così fortemente
nel cuore
di Harm.
D’istinto
prese il suo cellulare e compose a memoria il
numero di casa Roberts… Non avrebbe sopportato dover ascoltare Harm
piangere
per un’altra donna, non sarebbe riuscita a resistere. Ma prima che il
telefono
iniziasse a squillare riattaccò. Bud non sarebbe riuscito a recuperarlo
da solo
e poi Harm aveva bisogno di lei e i suoi sentimenti e le sue
frustrazioni
venivano in secondo piano.
Mc
Murphy
Aprì la porta
del pub ed entrò. Dovette fermarsi un attimo
per far abituare gli occhi all’oscurità che avvolgeva il locale e
soprattutto
alla strana luce blu che era diffusa ovunque. Avanzò verso il bancone
nella
speranza di trovare Harm ancora lì, non aveva proprio voglia di
iniziare a
girare per tutte le vie di Washington per trovarlo.
Iniziò
faticosamente a farsi spazio tra l’elevato numero
di avventori che a quell’ora affollavano il pub, guardandosi intorno
attentamente. Scrutò ogni singola persona, senza tuttavia vederlo.
“No… non hai il
diritto di dirmi cosa devo o non devo bere! Io sono un Comandante della
Marina
Americana e non prendo ordini da una cameriera… se ti dico che voglio
un’altra
birra… tu mi porti un’altra birra…”
Eccolo, lo
aveva trovato.
Si girò in
direzione della voce e lo vide lì, in un
angolo, malamente arrampicato sullo sgabello del bancone, immerso in
una nuvola
di fumo blu… Da quando aveva ricominciato a fumare? Non ricordava di
averlo più
visto con un sigaro in mano da anni.
Lo fissò
ancora per un po’ senza avvicinarsi: era sempre
stato così dannatamente sexy con un sigaro tra le labbra?
Ma era il
sigaro a
renderlo tale o forse l’idea più umana che ne scaturiva?
Allora anche
il ferreo Comandante non riesce a resistere
alle tentazioni e si lascia andare a qualche vizietto ogni tanto!
A dire il
vero poco le importava saperlo. Solo una cosa
era certa: avrebbe dato qualsiasi cosa per essere quel sigaro che
adesso stava
toccando le sue labbra.
Si avvicinò a
lui giusto in tempo per impedirgli di
afferrare l’ennesima birra che la cameriera era stata costretta a
versare. Si
sedette sullo sgabello accanto a lui.
“Non avevi
smesso con i sigari Harm?” chiese sorridendogli
Harm si
voltò, quasi sconvolto dalla sua voce. A quanto
sembrava non si aspettava di vederla lì e certamente lo avrebbe evitato
volentieri.
“Sono
arrivato alla conclusione che fanno meno male di
molte altre dipendenze…” biascicò fissando lo sguardo su di lei. Per la
prima
volta dopo tanti anni trascorsi al suo fianco, lo sguardo di Harm le
sembrava
vuoto, privo di significato o comunque aveva un significato che non
riusciva a
decifrare.
“Andiamo
Harm, ti riporto a casa” gli disse passandosi un
suo braccio intorno al collo e tentando di farlo scendere dallo
sgabello.
“Che c’è?
Adesso vuoi metterti a fare la crocerossina? Hai
deciso… hai deciso di salvarmi
la vita?
Credevo fossimo già in pari… Ah no… è vero: l’ultima volta sono stato
io a
salvartela, evitandoti di sposare Brumby…”
Se non fosse
stato tanto ubriaco da non riuscire neppure
a tenersi in piedi
da solo, ci avrebbe
pensato lei a stenderlo.
Il viaggio
verso casa si preannunciava molto lungo.
Appartamento
di Harm
“Dammi le
chiavi”.
“Chiavi? Ah,
sì… le chiavi… Sono nella tasca dei jeans,
credo. Tasca… tasca davanti.”
“Non puoi
darmele tu?”
“Mhm…
Cos’hai? Paura di toccarmi, Colonnello?” le disse
con un sorriso che non aveva niente a che vedere col suo sorriso
rubacuori, ma
era del tutto simile al sorriso un po’ ebete tipico di uno con una
bella
sbronza.
Doveva aver
bevuto davvero parecchio per essere ridotto in
quello stato. Neppure l’aria del finestrino durante il viaggio sino a
casa era
riuscita a farlo stare meglio.
Lei lo squadrò con
aria truce, quasi volesse incenerirlo. Il problema non era aver timore
di
toccarlo; era piuttosto lui quello che avrebbe dovuto aver paura…
perché se lo
avesse toccato, avrebbe potuto non essere più in grado di fermarsi.
“Ti ho
sorretto fin qui. Credi che lo avrei fatto, se
avessi avuto paura di toccarti?”
Evitò di
aggiungere con che fatica lo aveva fatto. E non
si trattava solo di fatica fisica, considerata la sua stazza. E neppure
perché
era ubriaco.
Harm sollevò
il braccio e spinse in avanti la gamba. Inutile
farlo ragionare, aveva deciso che le chiavi avrebbe dovuto prendersele
da sé.
“Non sei di
grande aiuto…” gli disse con voce stizzita,
mentre infilava la mano nella tasca dei suoi jeans, molto attenta a non
sfiorarlo in zone ‘off-limits’.
“Non voglio…
non voglio privarti… del piacere… di fare la
crocerossina” rispose lui, con un tono che non riuscì a decifrare: se
non fosse
stata certa delle sue condizioni, avrebbe potuto pensare che la stesse
prendendo in giro.
“Perché ti
sei ridotto in questo stato, Harm?” domandò
mentre finalmente chiudeva la porta alle loro spalle, dopo averlo fatto
entrare.
“Mhmm… Hai un
buon profumo…” disse lui, avvicinandosi
pericolosamente al suo collo. Si reggeva in piedi a fatica e lei non ce
la
faceva quasi più a sorreggerlo.
“Sì, grazie”
rispose automaticamente, sforzandosi di non
prestare attenzione al brivido che quella frase innocua le aveva
provocato fin
nel profondo. Era proprio messa male!
“Tu, invece,
puzzi di fumo e di birra. Perché hai bevuto?
Non ti ho mai visto ridotto così” chiese nuovamente.
“Problemi… di
cuore…” rispose lui, mentre con una mano le
spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Harm…”
“Mhm…?”
“Con l’alcol
non si risolve nulla. Credevo lo sapessi,
almeno tu”. Stava facendo il possibile per distrarlo, perché le sue
mani su di
lei la stavano facendo impazzire. Aveva cominciato a sfiorarle il collo
con le
dita.
“Mhm mhm… “
fu l’unica risposta che ottenne. Poi,
finalmente, smise di toccarla, la guardò negli occhi e aggiunse: “Ma fa
stare
meglio…”.
“Solo per
poco… lo sai. E comunque domattina ti sveglierai
con un bel mal di testa. Dovresti bere un bel caffè nero e farti una
doccia,
per sentirti davvero meglio”.
“Nahaa… “
“E poi
metterti a letto…”
“Nahaa. Non
voglio bere del caffè, non mi piace… E non
voglio fare la doccia… e neppure il letto. Voglio… voglio ballare. “
“Ballare?”
domandò divertita. Era strano vederlo così.
“Sì, ballare.
Sai… quella cosa che si fa assieme… con la
musica…” e accennò, con le dita della mano, a due figure che
volteggiavano.
“Sì, Harm. So
come si balla.”
“Bene…” e
barcollando si diresse verso lo stereo. Almeno
aveva una vaga idea di dove si trovasse e di come fosse fatta la sua
casa.
Trafficò per
un attimo con pulsanti e manopole della
radio, finché non riuscì ad accenderla e, miracolo della beata
incoscienza,
trovare persino una stazione di musica soft.
Poi si voltò
verso di lei, con un sorriso compiaciuto
sulle labbra, simile a quello di un bambino quando riesce in un’impresa
più
grande di lui, e le porse la mano, a mo’ di invito.
“Sarebbe
meglio che ti facessi una doccia…”
“Non voglio
stare meglio… sto bene, così… dai, vieni qui…
con me…”
“Harm…”
“Dopo… dopo
prometto…
che farò la doccia… ora voglio ballare…”
“Danzavi
spesso con Reneé?” chiese lei, mentre
controvoglia si apprestava a raggiungerlo. Se fosse stato sobrio… se
solo fosse
stata certa che non si trovava in quello stato perché distrutto
dall’abbandono
di Reneè… se avesse voluto davvero ballare con lei… allora sì che
avrebbe
danzato volentieri con lui. Non avrebbe desiderato altro che trovarsi
tra le
sue braccia.
Ma Harm non
voleva lei… stava soffrendo per un’altra
donna.
“Non voglio
parlare di Reneè… voglio
ballare con te, ora…” le disse
all’orecchio, mentre la abbracciava e si appoggiava contro di lei.
Era eccitato;
lo percepì immediatamente, non appena lui la
strinse a sé. Lei sapeva perfettamente che l’alcol poteva provocare
strani
effetti, anche non voluti, ma il suo cuore e soprattutto il suo corpo
erano
sordi al richiamo della ragione. Saperlo eccitato, pur consapevole che
si
trattava di una semplice reazione fisica del momento acuita dalle birre
che
aveva in corpo, aumentava
ancora di più
il suo desiderio già di per sé frustrante.
Lui sembrava
non rendersi conto dell’effetto che le
faceva; continuava a tenerla stretta, ad avvicinare il volto al suo, a
sfiorarle il collo con le labbra.
Ballando
cercò di dirigerlo verso la porta del bagno…
prima fosse riuscita a fargli fare quella dannata doccia e metterlo a
letto,
meglio sarebbe stato per il suo cuore. Ciò che la faceva stare peggio
era
l’idea che lui stesse immaginando di avere tra le braccia Reneè.
Insopportabile
anche solo pensarlo.
“Harm…”
”Mhm?”
“Dovresti
farti quella doccia, ora”
Un mugolio di
insofferenza le arrivò all’orecchio.
“Harm… per
favore…”
“Vieni anche
tu”
“Nella
doccia? Non se ne parla…”
“Non riesco…
non riesco a reggermi in piedi da solo… devi
aiutarmi tu…” biascicò lentamente.
“Scordatelo!”
Ma capiva che
aveva ragione lui: sarebbe potuto cadere e
farsi male.
“Mhm… niente
doccia… allora balliamo ancora…”
Quella serata
stava diventando un incubo.
“D’accordo.
Ti aiuterò io.”
“Davvero?”
domandò col solito sorrisino ebete.
“Vieni… devi
svestirti…”
“Mhm… mi
piace quest’idea…”
Lei scrollò
il capo: se la situazione non fosse stata
tanto difficile per lei, avrebbe potuto trovarla persino interessante.
L’alcol gli
aveva tolto un bel po’ di autocontrollo e
quell’Harm così diverso la inteneriva e intrigava al tempo stesso. Un
mix
pericolosissimo per la sua stabilità mentale.
Lui si fermò
poco prima del bagno, la lasciò andare,
sollevò le braccia e, ancora instabile sulle gambe, si mise in
posizione,
affinché lei potesse spogliarlo.
“Non hai
intenzione d’aiutarmi? Lasci fare tutto a me?”
“Mhm, mhm… “
rispose con appena un mormorio indistinto.
“E’ più divertente” aggiunse poi.
Già, più
divertente.
A fatica
riuscì a sfilargli la maglia; Harm era davvero
alto! Se ne rese conto quando dovette allungarsi e trafficare un po’
per
sfilargli le maniche, anche perché lui non collaborava affatto: se ne
stava lì,
praticamente inerme, senza neppure assecondare i movimenti per aiutarla.
Quando
finalmente riuscì nell’impresa, era sudata.
Fortunatamente sotto lui indossava una camicia di jeans e non una
t-shirt.
Tuttavia la
sua temperatura corporea salì ulteriormente
quando si accinse a slacciargliela: ad ogni bottone che apriva,
scopriva
lentamente il suo torace…
Sarebbe morta
prima della fine.
Risoluta
procedette il più rapidamente possibile, cercando
di non guardargli il petto. Ma era dannatamente difficile non farlo. O
posava
lo sguardo sulla sua pelle, oppure lo guardava negli occhi… in entrambi
i casi
si sentiva le gambe che non la sorreggevano più. Provò anche ad
abbassare lo
sguardo, ma incontrò l’allacciatura dei pantaloni e ricordò
all’improvviso che,
terminato di levargli la camicia, avrebbe dovuto avventurarsi in un
territorio
ancora più pericoloso.
Decise di
ripetersi, come un mantra, “sono un Marine, sono
un Marine…”, ma al corso d’addestramento non le avevano insegnato come
spogliare un uomo tanto desiderabile resistendo all’impulso di
saltargli
addosso.
La parte più
difficile arrivò fin troppo presto. Allungò
una mano verso la cintura dei suoi calzoni, slacciò il bottone, ma poi
si
fermò. Sollevò lo sguardo e vide che lui la stava osservando.
“Questo
dovresti riuscire a farlo da solo” gli disse.
“E’ più
divertente se lo fai tu…” disse lui, con la solita
voce strascicata e col solito sorrisino idiota.
“Harm… io non
sono Reneè”
“Sono
ubriaco, è vero… ma credo… credo di riuscire ancora
a distinguere che non sei Reneè… “
“Allora
dovresti riuscire anche ad abbassare la cerniera e
levarti i jeans”.
“Agli ordini…
Colonnello” disse mimando in maniera
ridicola il saluto militare, di nuovo quel sorrisetto sulle labbra che
era
tutto un programma.
Ma si limitò
ad aprire la cerniera; poi sollevò le braccia
e disse:
“Coraggio…
ora sono tutto tuo…”
Imprecando
dentro di sé più e più volte, quasi con rabbia
fece scivolare i pantaloni lungo le sue gambe che le parvero infinite.
“Ok, ora
vieni in bagno” disse poi.
“Mhm… non
manca… non manca ancora qualcosa?”
“Ti farai la
doccia con i boxer, se vuoi che ti aiuti io.
Altrimenti, per quanto mi riguarda, il gioco è finito qui. A casa ti ho
portato, il resto non è più un mio problema. E se domattina sarai uno
straccio
e perderai l’udienza, saranno fatti tuoi…” proferì d’un fiato.
Lui alzò
mani, quasi a parare quel fiume di parole.
“Ok, ok… “ e
finalmente si lasciò condurre verso la
doccia.
Aprì l’acqua
e in qualche modo riuscì a ficcarcelo sotto,
senza che le scivolasse a
terra. Sempre
con quel sorriso indecifrabile, che cominciava a dubitare fosse causato
solo
dall’alcol, le aveva proposto di raggiungerlo sotto l’acqua, per fare
meno
fatica, ma lei non aveva neppure risposto. Si era levata la maglietta
per non
inzupparsela, ma non i pantaloni, che si erano bagnati verso il fondo,
nel
tentativo, per altro difficile, di lavarlo restando fuori dal box
doccia.
Ovviamente
tralasciò la zona coperta dai boxer. Già così
era difficile poiché, sotto l’acqua, il tessuto non celava più nulla.
Lui se ne
stava zitto; sembrava osservarla, ma non ne era
sicura. Lei, d’altro canto, fece il possibile per essere rapida ed
evitare
qualunque coinvolgimento emotivo. Solo anni di duro addestramento
militare
riuscirono a farle terminare l’ardua impresa senza perdere
completamente la
ragione.
Avrebbero
dovuto darle una medaglia!
Lo fece
uscire e lo avvolse in un telo asciutto.
Forse a causa
della doccia o forse per colpa del suo
umore, lui era diventato improvvisamente taciturno e meno allegro di
prima.
Collaborò per permetterle di asciugarlo e asciugarsi a sua volta, anche
se il
fondo dei suoi pantaloni rimase bagnato.
Poi si fece
condurre docilmente verso il letto.
Non era
sicura di preferirlo così. Certo, era più facile
da gestire, ma in fondo, nonostante ciò che aveva provocato al suo
cuore,
vederlo meno controllato del solito lo rendeva più umano e, sotto certi
aspetti, ancora più desiderabile.
Restava il
problema dei boxer, che erano completamente
bagnati. Non poteva farlo dormire così.
Approfittò
del telo da bagno con cui era ancora avvolto e
del momento favorevole di docilità e glieli sfilò il più in fretta
possibile;
poi lo aiutò ad infilarsi sotto le coperte. Fu in quel momento che
tutti i suoi
sforzi per non guardarlo risultarono vani: concentrata ad evitare che
lui
cadesse, che il telo non scivolasse a terra, ma al tempo stesso pronta
a
toglierglielo per evitare che si stendesse nel letto ancora avvolto
nell’asciugamano bagnato e bagnasse così anche le lenzuola, si ritrovò
con la
spugna in mano mentre lui, tranquillo e pacifico, si sistemava sul
materasso,
le lenzuola ancora sollevate dalle sue stesse mani.
Imbarazzata,
confusa, eccitata…
Per un attimo
le sembrò che le mancasse il respiro.
Lui parve non
notare la sua esitazione; era al limite
della coscienza e stava scivolando lentamente nel sonno.
Lo coprì col
lenzuolo e fece per allontanarsi, a riporre
le salviette, sistemare in bagno e quindi porre fine a quella tortura
tornandosene a casa propria. Ma una mano le afferrò il polso.
Tornò a
voltarsi verso di lui, steso nel letto.
“Harm…”
“Resta qui…”
mormorò lui, la voce ormai chiaramente
assonnata.
“Devo andare…”
“Resta qui…
Sarah…”
Sarah.
L’aveva
chiamata per nome. E’ proprio vero che l’alcol fa
dire le cose più strane.
“Harm…”
“Finché non
mi addormento…ti prego…”.
Pensò che non
gli ci sarebbe voluto molto… ancora qualche
minuto e poi sarebbe crollato.
Perché il
suono del suo nome sulle sue labbra era tanto
devastante?
Lasciò cadere
a terra gli asciugamani e si stese accanto a
lui, sopra le lenzuola.
Fu
un’impressione o lui si mosse, impercettibilmente,
quasi a cercare maggiormente la sua vicinanza? Quasi ad accoccolarsi
tra le sue
braccia…
Voltò il capo
verso di lei e la guardò negli occhi.
“Non hai mai
pensato… a come sarebbe?” le domandò,
sorprendendola con una voce che non sembrava più quella di un ubriaco.
“Come sarebbe
‘cosa’?”
“Tra noi due…
se facessimo l’amore…”
Non riuscì a
rispondere. Il cuore le salì in gola e da lì
non volle andarsene.
Distolse lo
sguardo, fissando per qualche secondo il
soffitto. Quando tornò ad osservarlo, Harm si era già addormentato.
Restò
immobile, a guardarlo dormire, affascinata dalle
ciglia lunghe che ombreggiavano i suoi incredibili occhi; quegli stessi
occhi
che soltanto un attimo prima sembravano scavarle nell’animo.
Percepiva il
calore del suo corpo anche attraverso il
lenzuolo. La sua pelle ora profumava di bagnoschiuma.
Osservò
l’espressione del suo volto, rilassata nel sonno.
Sollevò
lentamente una mano e gli sfiorò con dolcezza una
guancia: l’ombra della barba stava irruvidendo la pelle liscia.
Lui si mosse
al contatto, imprigionandole la mano tra il
cuscino e la sua testa, quasi desiderasse che lei lo accarezzasse così
per
tutta la notte.
Un’idea
assurda e molto pericolosa.
Eppure…
Era stato
proprio lui a domandarle se non aveva mai
pensato a come sarebbe stato se avessero fatto l’amore…
Esausta dalle
emozioni di quella serata tanto insolita,
scivolò lentamente nel sonno accanto a lui, cullata dal suo respiro e
dall’immagine di loro due insieme.