Appartamento
di Mac
Ansiosa, tormentata, agitata, stressata.
Depressa e
insoddisfatta.
Sì: ora
poteva aggiungere anche depressa e insoddisfatta
alla lista.
E
dannatamente più frustrata di prima.
Sapeva che
sarebbe andata a finire così! Sapeva che se
avesse fatto quello che Sturgis le chiedeva, il suo cuore avrebbe
finito per
soffrirne ancora di più. Eppure lui lo sapeva bene cosa provava per il
suo
amico, glielo aveva erroneamente confessato mesi prima. Ma nonostante
questo
aveva chiamato lei e non Harriett, non Jennifer, non qualsiasi altro
collega.
Aveva chiamato proprio lei e lei non aveva saputo dire di no.
E ora si
trovava in uno stato di pieno delirio mentale ed
ormonale.
I fatti della
sera precedente tornavano prepotentemente a
tormentarla ogni volta che la sua mente non era occupata in altro: Harm
ubriaco, il suo strano atteggiamento causato dal troppo alcool, quel
ballo (che
era stato più un lento barcollio) stretta a lui, le sue mani che lo
spogliavano
dagli indumenti, la doccia e quella domanda “innocentemente” posta da
Harm, in
uno stato che sembrava quasi di sobrietà:
“Non hai mai
pensato a come sarebbe? Tra noi due… se
facessimo l’amore?”. Da quando lo conosceva ci aveva pensato almeno un
miliardo
di volte! Inizialmente era stata una curiosità puramente fisica: il
Comandante
era veramente un gran bell’uomo ed era umanamente impossibile non
provare
l’inarrestabile voglia di saltargli addosso e provare del buon sesso!
Poi
quella curiosità esclusivamente fisica era diventata ben altro: si
erano aggiunti
la stima, l’amicizia, i sentimenti, l’amore…
Si sentiva
male nell’ammetterlo così spudoratamente, ma
spesso, quando era con Mic, si era chiesta come sarebbe stato con Harm.
Ed ogni
volta si dava un’inspiegabile risposta: MERAVIGLIOSO.
Non si
spiegava perché, ma aveva sempre avuto la certezza
che fare l’amore con Harm sarebbe stato un viaggio in paradiso.
Non sapeva
cosa e se avrebbe risposto a
quella domanda, se Harm non si fosse
addormentato. Avrebbe potuto mentire spudoratamente dicendogli che non
le era
mai passato per la mente, ma non ci avrebbe creduto nessuno, a Sidney
si era
praticamente buttata tra le sue braccia con quella dichiarazione sul
ferry.
Avrebbe potuto rispondergli con la verità, ovvero che ci pensava da
sempre ma
che le loro vite non avevano mai permesso che niente accadesse.
Oppure
avrebbe potuto proporgli di dare un senso reale a
tutte quelle fantasie che per anni l’avevano ossessionata, se soltanto
lui
fosse stato sobrio e se lei fosse stata sicura che non era a causa di
Renèe che
si era ridotto in quello stato.
E per
realizzarle tutte quante, una notte di certo non
sarebbe bastata!
L’unica cosa
sicura era che quella mattina, alle prima
luci dell’alba, lei si era svegliata nel suo letto, con un suo braccio
intorno
alla vita, il suo caldo corpo premuto sulla sua schiena ed il suo
respiro che
le sfiorava il collo.
E in
quell’istante si era sentita bene.
Aveva
indugiato in quello stato per qualche minuto, prima
che la dura realtà la colpisse come una doccia fredda: Harm, nel sonno,
certamente pensava di abbracciare Renèe o chissà quale altra donna
rimorchiata
al bar. E così, a malincuore si era sciolta da quell’abbraccio che non
le
spettava, riuscendo a svincolarsi dal suo braccio senza svegliarlo.
Si era
silenziosamente preparata ad uscire non senza prima
essersi fermata a contemplare la figura addormentata di Harm e non
senza aver
fatto scorrere lo sguardo sul suo fisico lasciato scoperto dal lenzuolo
ormai
sceso fino alla vita.
In ufficio
era stata una vera tortura: si era rintanata
nel suo con le tendine abbassate per paura di vederlo e arrossire come
una
sedicenne, e ogni volta che doveva uscire controllava bene che il bel
Comandante non fosse nei paraggi.
Era riuscita
nel suo intento fino a fine giornata quando,
stanca del lavoro e delle emozioni, si era lentamente avviata verso
l’ascensore. Stava aspettando che si aprissero le porte, quando aveva
sentito
la sua voce.
“Ehi Marine,
eccoti finalmente!”.
Anche senza
guardarlo poteva ben immaginare il suo sorriso
stampato sul volto. Mantenendo lo sguardo sull’ascensore, aveva
risposto al suo
saluto:
“Ciao Harm”.
Respira Mac,
respira! Puoi farcela. E’ solo un tuo
collega. E’ solo Harm. E’ solo l’uomo al quale ti sei svegliata
abbracciata
stamattina. E’ solo l’uomo che sogni da una vita.
MA QUANDO
ARRIVA QUESTO ASCENSORE?
Il silenzio
si era fatto imbarazzante e la situazione non
era migliorata una volta entrati nello stretto spazio dell’ascensore.
“Mac… senti…
io…”
La voce
stentata e insicura di Harm aveva rotto finalmente
il silenzio “io volevo ringraziarti di quello che hai fatto per me ieri
sera,
sei stata veramente un angelo”
“Di niente
Harm, lo avresti fatto anche tu per me, i buoni
amici servono a questo, no?” aveva detto con un sorriso, trovando
finalmente la
forza di guardarlo negli occhi.
Tragico
errore: non appena i loro sguardi si erano
incrociati e il suo sorriso si era formato, la domanda che le aveva
rivolto la
sera prima era tornata a tormentarla.
Per fortuna
il viaggio era durato poco e, fianco a fianco,
si erano diretti alle rispettive auto. Harm aveva aperto la portiera ed
era
entrato nel suo SUV mettendo in moto e abbassando il finestrino:
“Tu hai fatto
molto di più di quanto avrebbe fatto una
buona amica. E visto che ci sono vorrei anche scusarmi del mio
comportamento,
qualsiasi cosa abbia fatto o detto, spero di non averti offesa…”
Offesa?
Scusati più che altro dello stato mentale in cui
mi hai ridotta!
“Non
preoccuparti Harm. Mi spiace solo che tu stia
soffrendo così tanto per Renèe… per il resto… qualsiasi cosa tu abbia
fatto o
detto… so che non la intendevi seriamente…”
Lo sguardo di
Harm era diventato serio; aveva innescato la
retromarcia per uscire dal parcheggio e con un filo di voce aveva
aggiunto,
mentre la macchina era già in movimento:
“Renèe? Renèe
non c’entra proprio niente, e nonostante
tutto, per ogni cosa fatta o detta, ero nel pieno delle mie facoltà
mentali
Mac…”.
E l’aveva
lasciata lì, davanti alla sua macchina, con
quella pesante affermazione tra loro.
Tipico di
Harm! Fare un passo e correre via, buttare un
sasso per smuovere le acque e poi ritrarre subito la mano.
Ah, uomini!
Non li avrebbe mai capiti veramente e in
special modo lui. Con un sospiro che le servì a riprendere il controllo
di sé,
si accomodò sul divano, prese il blocco di fogli azzurri che giaceva
sul
tavolino davanti a sé e decise di concentrarsi sul lavoro. Forse le
sarebbe
servito.
“Bene Mac,
forza, il caso Wintrop!”
Iniziò a
scrivere un paio di appunti e riflessioni che le
erano venuti in mente durante la giornata, un paio di domande da porre
al
testimone ma soprattutto qualche osservazione da fare sulla strategia
difensiva
di Harm.
Almeno queste
erano le sue intenzioni. In realtà, quando
si rese conto di aver scritto soprappensiero, tra le domande da porre
al
testimone, “Hai mai pensato a come sarebbe tra noi?”, capì che era una
battaglia persa.
Strappò con
rabbia il foglio e lo accartocciò gettandolo
nel camino davanti a lei.
Sorrise di
sé, mentre distrattamente iniziava a
scarabocchiare sul foglio successivo. Non poteva andare avanti così,
questo era
sicuro. E l’unico modo per riuscire a superare questa cosa, sarebbe
stato
vivere fino in fondo quella fantasia… si ma come? Sicuramente non nella
realtà,
il bel Comandante era off limits. Guardò la punta della penna mentre
scorreva
senza meta e senza senso sul foglio e sorrise tra sé. Strappò anche
quel foglio
scarabocchiato e iniziò quello seguente con la solita famosa frase,
lasciando
che il resto delle parole seguisse a ruota, senza pensare o riflettere
su
quello che stava scrivendo.
“Hai
mai
pensato a come sarebbe tra di noi? Tra noi due… se facessimo l’amore?”
Riuscire
a far crollare le barriere che proteggono i nostri cuori… Concedersi
l’uno
all’altra senza limiti, senza riserve, senza aver paura di dare e di
ricevere,
senza aver paura di esporci…
Permettere
alle mie mani di fare quel viaggio che da sempre sognano, lasciare le
mie dita
accarezzare il tuo volto, le tue palpebre, le tue labbra… percorrere il
loro
contorno lentamente fino a farle schiudere in un sospiro di piacere e
fremente
attesa. Attesa brevissima, colmata immediatamente dalle mie labbra,
desiderose
di assaggiarti, e riprendere immediatamente quel percorso,
mordicchiando e
tracciando il loro contorno, con la punta della mia lingua, di quelle
labbra che
non ho ancora smesso di fissare e desiderare.
E
le tue
labbra si sottometterebbero al mio volere, schiudendosi per me, dandomi
accesso
alla tua bocca e con essa, alla prima barriera che porta sino al tuo impenetrabile cuore.
Lo squillo
del telefono la risvegliò dal suo stato di
trance.
“Colonnello
MacKenzie… ciao Chloe! No che non mi disturbi,
mi hai solo presa alla sprovvista, ero con la testa tra le nuvole…”
Guardò quelle
poche righe sul foglio, sorrise di sé stessa
ed appoggiò il blocco nuovamente sul tavolino. Di adolescenti ne
bastava una, e
in quel momento quel ruolo spettava a Chloe.