Uffici del
Jag –
sala riunioni
“Ciao Sturgis”
“Mac…”
“Harm non è
ancora arrivato?”
“Non ancora”
“Allora… “
disse Mac, posando il fascicolo del caso Grant
sul tavolo “… se non ti dispiace nel frattempo faccio un salto in
cucina a
prendere del caffè… ne vuoi anche tu?”
“No, grazie”
“Ok, solo per
me e per Harm, allora. Torno subito.”
“Da quando
Harm beve il caffè?” domandò Sturgis, mentre
usciva.
In effetti
Harm raramente beveva caffè…
“Per lui del
tè, se lo trovo…” rispose sulla porta,
voltandosi verso il Comandante Turner.
“Grazie Mac,
ma…”. La voce di Harm appena dietro di lei la
colse alla sprovvista e per poco non gli finì addosso.
“Attenta…”
disse Sturgis.
Harm stava
entrando con due tazze in mano ed ebbe la
prontezza di arretrare di un passo, altrimenti avrebbero combinato un
disastro.
La guardò con
un sorriso e le porse la tazza di caffè che
le aveva portato.
“Grazie”
disse imbarazzata. Era la prima volta che si
trovava così vicino a lui, da quando aveva scoperto che aveva letto le
sue
fantasie.
Mentre
prendeva la tazza, le loro dita si
sfiorarono. A quel contatto non riuscì ad
evitare di tornare con la mente alle parole che aveva letto nel
biglietto di
Harm.
“Più la
guardo, più la desidero…”.
Aveva trovato
il suo biglietto la sera prima, nella stessa
cartellina che gli aveva fatto consegnare lei da Tiner e che lui aveva
lasciato
sulla sua scrivania. Era passata un attimo in ufficio, prima di tornare
a casa,
impaziente di scoprire se lui aveva risposto. Harm aveva scritto sul
foglio che
lei gli aveva lasciato dentro per sfidarlo a continuare il “gioco”.
E, a quanto
aveva letto, lui aveva accettato la sfida.
Lei
è così
bella… Più la guardo, più la desidero.
Eppure
continua a rimanere soltanto una fantasia… un sogno proibito.
Chissà
se
ne ha uno anche lei…
Si
scambiarono uno sguardo, per pochi secondi, finché non
sentirono un movimento provenire da dove si trovava Sturgis.
“Allora…
possiamo iniziare?” disse Harm, prontamente
ripresosi dal momento, mentre si sedeva con la sua tazza in mano.
Dovevano
discutere con l’avvocato della difesa, Sturgis,
che voleva un accordo per il suo assistito, il tenente Grant, al fine
di
evitare il processo.
Sarebbe stata
una dura battaglia. Harm era fermamente
convinto della colpevolezza dell’imputato e non aveva alcuna intenzione
di
cedere.
Mac si
sedette a sua volta, sorseggiando il suo caffè.
Vide Harm
avvicinare, con la mano libera, il fascicolo che
lei aveva posato prima sul tavolo, mentre con l’altra si portava la
tazza alle
labbra.
Continuò a
sorseggiare il suo caffè.
Lo vide
aprire la cartelletta e deglutire un primo sorso
di tè, mentre posava lo sguardo sui fogli.
Osservò di
sottecchi la scena, mentre fingeva di
sorseggiare ancora il caffè, che invece aveva appena terminato.
Per un attimo
Harm sembrò concentrato a leggere; poi,
improvvisamente, iniziò a tossire, come se il tè gli fosse andato di
traverso.
“Harm… stai
bene?” gli chiese Sturgis, sorpreso da
quell’eccesso di tosse.
Non appena si
riprese, fece cenno di sì con la testa,
senza tuttavia riuscire a pronunciare una sola parola.
Si voltò
verso di lei, con uno sguardo malizioso e le
sorrise.
Poi,
finalmente, riuscì a ritrovare la voce e disse:
“Sto bene,
sto bene… Possiamo continuare…”
“Ma cosa ti è
successo?” gli domandò Sturgis, osservandoli
divertito.
“Niente… “
“Cos’è? Uno
scherzo? Sembra che tu abbia visto un
fantasma, in quei documenti!” aggiunse Sturgis, senza mollare la presa.
Sembrava aver captato l’elettricità del momento.
“Oh, no,
Sturgis… nessun fantasma… e nessuno scherzo…”
rispose Harm, scrutando di nuovo i fogli.
Sogni...
ad occhi aperti di giorno, nel mondo onirico di notte.
Dolci,
passionali, romantici, erotici, proibiti... tutti con un unico comun
denominatore: TU.
Tu
e la
tua perfetta divisa blu.
Ed
ogni
volta che ti vedo, un solo pensiero si fa strada nella mia
testa:
afferrarti per la cravatta e attirarti a me per un bacio appassionato.
Slacciarne
lentamente il nodo per farla scivolare dal tuo collo e poi,
lascivamente,
abbandonarla a terra dietro di noi...
Poi guardò di
nuovo lei e aggiunse, sottovoce:
“Lo spero
proprio che non si tratti di uno scherzo…”.
Uffici del
Jag
Era stanca.
La giornata
era stata faticosa e, in un certo modo,
stressante. Dopo ciò che era accaduto in sala riunioni al mattino, lei
e Harm
non si erano più visti, lui dapprima impegnato con l’Ammiraglio e poi
con
Sturgis, lei alle prese con un noiosissimo lavoro di archiviazione
assieme a
Jennifer, che richiedeva la sua supervisione. Avevano sistemato
cartelle di
vecchi casi per quasi quattro ore e quando Jen era andata a casa perché
quella
sera aveva un appuntamento, si era offerta di terminare le ultime da
sola, così
il giorno dopo avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente al caso Grant.
Alle 19 il
sottufficiale Coats l’aveva salutata con un
“non faccia tropo tardi, Colonnello!” e da quel momento erano trascorse
altre
due ore, ma era finalmente riuscita a terminare.
Uscì della
saletta dove lei e Jennifer avevano trasportato
tutto il materiale da visionare con una pila di cartelline e documenti
tra le
braccia e aveva appena chiuso la porta con una mano, trattenendo tutto
quanto
in equilibrio con l’altro braccio, quando fece per voltarsi e dirigersi
nell’archivio per depositare i fascicoli che l’indomani Jennifer
avrebbe sistemato,
ma incontrò un ostacolo e gli finì addosso.
Si sentì
trattenere da due braccia forti, altrimenti
avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe caduta. Fortunatamente, invece, a
terra
cadde solo il contenuto della cartellina in cima alla pila, che non era
riuscita
a trattenere. Sarebbe stato un guaio dover sistemare di nuovo tutto.
Stava
cercando di capire contro chi era andata a sbattere,
quando la voce divertita di Harm le giunse da troppo vicino
all’orecchio.
“Era destino,
oggi, che ti avessi tra le braccia…”.
“Harm… che ci
fai ancora qui?” gli chiese, improvvisamente
conscia di essere stretta a lui. Il cuore non le batteva forte solo per
lo
spavento.
Harm la
lasciò andare con dolcezza, permettendole di
ritrovare l’equilibrio.
“Potrei
chiederti la stessa cosa” rispose lui, bello e
imperturbabile come sempre.
Lei si
sentiva uno straccio.
“Ho finito un
lavoro che stavo facendo con Jennifer…”
“E io ti ho
fatto finire tutto quanto a terra…” disse lui,
mentre lei si stava piegando per raccogliere i fogli caduti.
“Non tutto
quanto, fortunatamente…”
“Aspetta… ti
aiuto…” e si abbassò anche lui.
“Mi sembra
una scena già vista…” disse lei, per stemperare
soprattutto dentro se stessa quella sensazione di intimità che l’aveva
colta di
sorpresa.
Si voltò
verso di lui, mentre Harm le porgeva gli ultimi
fogli che aveva raccolto, si alzava e poi le porgeva una mano per
aiutarla ad
alzarsi a sua volta.
Afferrò la
sua mano, ma comprese subito di aver commesso
un errore: lui la trattenne per qualche istante in più del dovuto,
mentre la
guardava intensamente.
Si sentì
sciogliere sotto quello sguardo…
Lo scambio di
fantasie con cui stavano “giocando” andava
bene finché non si vedevano, ma non in momenti come quello, quando
l’unica cosa
che le passava per la mente era di afferrarlo per la cravatta e…
Harm non
aveva la cravatta.
Lo osservò
stupita, perché ricordava benissimo che quel
mattino la indossava, come ovvio, con la divisa blu. Forse, a
quell’ora, se
l’era tolta e l’aveva infilata in tasca.
Ma cosa
diavolo le importava di dove avesse messo la
cravatta?
Non poteva
andare avanti così! Doveva smetterla con quel
“gioco”… non avrebbe portato da nessuna parte… o meglio, l’avrebbe
condotta
dritta al manicomio.
“Mi sembri
stanca…” la voce dolce di Harm interruppe i
suoi pensieri.
“Lo sono,
infatti. Ora vado a casa.”.
“Ti aspetto,
se vuoi”
Santo cielo,
ci mancava quello!
“No, grazie
Harm. Mi fermo ancora un attimo in ufficio…
devo spegnere il computer e… Non voglio trattenerti.”.
“Non sarebbe
un problema per me”.
Ma lo sarebbe
stato per lei: non era in condizioni fisiche
e psicologiche per stargli vicino come amici. Si trovava in un pietoso
stato di
frustrazione e mancanza di autocontrollo e…
No.
Assolutamente no.
“Ti
ringrazio, ma preferisco finire le poche cose che devo
ancora fare senza sapere di far attendere qualcuno…”.
Lui la guardò
con un sorriso dolce, poi annuì, come se
avesse capito che non se la sentiva di averlo vicino.
“D’accordo,
come vuoi. Ma… non fare troppo tardi…”
aggiunse, sfiorandole una guancia con le nocche delle dita. Poi si
diresse
verso la porta per uscire.
Lei rimase
lì, incapace di muoversi, finché non lo vide
sparire oltre l’ingresso.
Con i
polpastrelli della mano sinistra si toccò nello
stesso punto dove le sue dita l’avevano sfiorata…
Cosa
accidenti aveva quell’uomo da sconvolgerla sempre
tanto?
Finalmente
riuscì a muoversi: andò in archivio a
depositare la pila di fascicoli che ancora teneva tra le braccia e poi
entrò
nel suo ufficio, per spegnere il pc e recuperare il cappotto.
Sulla
scrivania una macchia scura attirò immediatamente la
sua attenzione; aggirò il tavolo, sollevò con aria circospetta
l’oggetto in
questione e quando realizzò di cosa si trattava, rimase senza fiato:
Harm aveva
trovato un modo molto intrigante per rispondere al suo biglietto e
proseguire
nel “loro gioco”.
Tra le mani,
in quel momento, aveva la sua cravatta.