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Autore: Alexandra_ph    26/12/2012    1 recensioni
Pubblico questa FF natalizia scritta nel 2007 sotto il mio nick, ma è firmata CATE e ALEX.
Abbiamo provato ad immaginarci cosa potessero desiderare Harm e Mac come regalo di Natale... e la risposta sta nel titolo della FF (o quasi...)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Appartamento di Harm

 

Nulla. Nulla neppure quel giorno.

Mac non aveva più continuato il gioco: dopo che le aveva lasciato la cravatta sulla scrivania, non aveva trovato più nessun biglietto.

Oh, dannazione! Cosa gli era saltato in mente di risponderle a quel modo?

Credeva che la sua mossa fosse intrigante, la classica “mossa vincente”, ma ora doveva riconoscere che aveva esagerato. Probabilmente lei non aveva apprezzato il gesto, quasi un invito a mettere in pratica le sue fantasie, e aveva deciso di smetterla.

Eppure gli era sembrata l’unica risposta possibile alle parole che lei gli aveva fatto trovare e che gli avevano fatto andare di traverso il tè.

Aveva apprezzato parecchio la sua audacia: lei sapeva benissimo che ciò che aveva scritto poteva metterlo in imbarazzo, o quantomeno farlo distrarre, confondere, e aveva deciso di divertirsi e far avvenire il tutto in pubblico.

La faccia di Sturgis, consapevole che stava accadendo qualcosa ma all’oscuro di tutto, era stata impagabile!

Per questo aveva risposto a quel modo. L’unica cosa che aveva avuto per la mente durante tutta quella giornata era stata l’immagine delle mani di Mac sulla sua cravatta… lasciandogliela sulla scrivania, era certo che quell’immagine che lo aveva tormentato per ore si sarebbe trasformata in realtà: la cravatta sarebbe stata nelle sue mani.

Se lei si fosse davvero arrabbiata, si sarebbe aspettato che il giorno successivo piombasse nel suo ufficio come una furia, restituendogliela e chiedendogli spiegazioni.

Invece nulla.

Per tre giorni però gli erano arrivati continui possibili “porta-messaggi” da parte di Mac: il dossier del caso Grant era passato nelle loro mani, per i motivi più svariati – un appunto da leggere, una firma da apporre, una trascrizione da correggere…- almeno una decina di volte e ogni volta lei chiedeva che le fosse riconsegnato subito dopo. Tiner, che aveva fatto da “taxi” al fascicolo, ad un certo punto aveva persino commentato:

“Certo che questo caso deve essere davvero importante, Comandante!”.

Poi c’erano stati il sacchetto con i panini – Mac, ogni giorno, si era premurata di chiedergli se voleva il pranzo e gli aveva portato dei sandwich dal bar all’angolo- e la tazza di tè al mattino e al pomeriggio, tanto che lui aveva iniziato ad immaginare che lei avrebbe potuto mettere un biglietto persino dentro la tazza, ovviamente senza tè; la busta per raccogliere i soldi che, come ad ogni Natale, il Jag devolveva in beneficenza ai bambini dell’ospedale e il sacchetto contenente il regalo che avevano deciso di fare assieme per il piccolo AJ…

Insomma, un via-vai di possibili “porta-messaggi”. Tutti assolutamente privi di qualunque foglietto azzurro o anche di altro colore.

A quel punto, ormai, era rassegnato che il “gioco” fosse finito.

Mac, con quell’andirivieni, si era probabilmente divertita e si era presa la sua piccola “vendetta”. E lui aveva perso l’unica occasione per dare una svolta alla loro storia.

Il suono del campanello lo sorprese a crogiolarsi nell’autocommiserazione.

Si alzò e andò ad aprire: alla porta c’era Jennifer.

“Ciao Jen… qualche problema? Mattie sta bene?”

“Certo, Comandante. Stasera dorme da Barbara, ricorda?”

“Oh, sì, certo. Cosa posso fare per te?”

“Nulla… sono solo passata a darle questo… “ e gli porse un pacchetto, lungo e sottile.

“Cos’è?”

“Non lo so, signore. Credo sia un regalo… stavo entrando nel portone, quando un fattorino mi ha domandato se conoscevo un certo Harmon Rabb… così ho ritirato io il pacco.”

“Grazie Jen”

“E’ strano… la confezione è identica a quella in cui vengono solitamente avvolte le cravatte…”

“Cravatte?”, la interruppe lui, col cuore al galoppo.

“Sì…  ma… è troppo leggero per contenerne una. Pare vuoto…”.

“Ok, vedrò di cosa si tratta… magari è semplicemente uno scherzo… Grazie ancora, Jen” disse, congedandola.

Lei lo guardò un po’ sorpresa, ma alla fine probabilmente decise che era sufficientemente grande e grosso per aprire un pacchetto, quasi certamente vuoto, senza il suo aiuto.

“Di nulla, signore” e così dicendo si voltò per entrare nell’appartamento che condivideva con Mattie.

Chiusa la porta, vi si appoggiò contro e aprì rapidamente la busta lunga e sottile; non riuscendo ad infilarci una mano, la capovolse e cominciò a scuoterla.

Come aveva ipotizzato Jennifer, non conteneva nulla.

O meglio, non conteneva una cravatta, come teoricamente avrebbe dovuto; tuttavia conteneva qualcosa per lui molto più interessante: un foglietto azzurro, ripiegato su se stesso.

 

 

Staccarmi dalle tue labbra e perdermi nel tuo sguardo.

Osservare poi le mie mani, che si muovono dotate di volontà propria, scivolare sulle tue spalle e scendere ad accarezzare, attraverso il tessuto della giacca blu, il punto esatto in cui ti batte il cuore.

Vederle sfiorare le ali d’oro che brillano fiere sul tuo petto e che mi hanno incantato fin dal primo momento… quelle ali fanno così parte di te che non riesco neppure ad immaginarti senza, nonostante il respiro mi si fermi ogni volta che sei in volo.

Guardarle proseguire verso i bottoni dorati, aprire il primo… e all'improvviso, mentre le mie labbra ricercano dolcemente le tue, sentire le tue mani sulle mie che mi aiutano a liberarti della giacca…

 

 

Lesse con avidità, immaginando la scena  nei minimi dettagli, esattamente come lei l’aveva così abilmente descritta… riusciva persino a sentire su di sé le sue mani che lo toccavano, che armeggiavano con i bottoni della sua giacca per levargliela… ed esattamente come lei aveva immaginato, sentiva il bisogno prepotente di aiutarla a spogliarlo, mentre si stavano nuovamente baciando…

Se Mac voleva farlo impazzire, ci stava riuscendo.

Quando aveva letto l’altro biglietto con l’inizio del suo sogno si trovava in ufficio; ciò che vi era scritto l’aveva intrigato molto, ma non aveva potuto lasciarsi troppo andare alle immagini suggerite dalle sue parole.

In quel momento, invece, era solo; poteva permettersi di abbandonarsi alle sensazioni che la fantasia di Mac gli risvegliava dentro e viverle a sua volta con la sensibilità di un uomo innamorato.

Sì, perché lui era innamorato… e la voleva, la desiderava disperatamente.

Quel “gioco” doveva per forza condurre a qualcosa.

In quegli anni erano stati dapprima colleghi, poi amici; ora era giunto il momento che la loro relazione prendesse in considerazione unicamente la loro essenza di uomo e di donna.

Doveva riuscire a far capire a Mac che era pronto ad avverare le sue fantasie, perché i sogni e i desideri di Mac  altro non erano che i suoi stessi sogni e desideri.

Ma come?

Rilesse per l’ennesima volta le sue parole: “… quelle ali fanno così parte di te che non riesco neppure ad immaginarti senza…”

Le ali d’oro…

Nella sua fantasia Mac descriveva una seducente scena in cui iniziava a togliergli la giacca della divisa e, con la giacca, gli toglieva anche le ali d’oro, che per lei rappresentavano idealmente ciò che lo identificava ai suoi occhi: il pilota, l’ufficiale di Marina… Era sotto l’uniforme, sotto il distintivo, che vi era l’uomo che lei voleva amare.

Nell’immagine rievocata dalla sua fantasia, Mac aveva il controllo della situazione fino al momento in cui “sente” le sue mani che l’aiutano… Mac voleva l’uomo, non il collega o l’amico; ma l’uomo che desiderava, doveva a sua volta essere pronto a spogliarsi di ogni altro suo strato, e lasciarsi amare per ciò che era: semplicemente un uomo.

Ebbene lui le avrebbe dato ciò che desiderava: in risposta al suo messaggio le avrebbe fatto trovare le sue ali d’oro, a simboleggiare che era più che pronto ad amarla libero degli stereotipi che quel distintivo rappresentava – il soldato, l’avvocato, il pilota – ed essere unicamente se stesso.

  
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