Scintilla
La scuola è semivuota a quest’ora: sono le cinque del pomeriggio e i corsi pomeridiani sono finiti ormai da tempo.
Rimani soltanto tu, con i bidelli e pochi altri, sporadici, frequentatori.
Siedi nella vicepresidenza, nella tua scrivania, china su plichi di compiti e verifiche.
I pennarelli colorati sono tutt’attorno a te, sparsi tra altri fogli e postit colorati dalle forme più assurde.
La tua mano scorre veloce sulle righe vergate frettolosamente dai tuoi alunni, mentre borbotti scuotendo il capo.
Pennarello blu per gli errori gravi, rosso per quelli che, nel conteggio finale, trascurerai e verde per quelli di italiano.
E la matita per segnare i punti al lato di ogni riga.
Alla fine li sommerai e, confrontandoli con la griglia per i voti, sarai in grado di assegnare il giusto voto a ciascuno.
Poi, alla fine, appunterai su uno di quei postit gli argomenti che ciascun alunno dovrebbe andarsi a ripassare e lo metterai sull’ultima facciata, proprio sopra il voto.
Sembra così lento questo processo, eppure tu sei rapida, grazie agli innumerevoli anni di esercizio.
Sei in grado di riportare i loro compiti a soli due giorni di distanza.
È tanto vuota la scuola.
Odi unicamente il leggero raschiare della punta del pennarello sulla carta bianca.
È così diversa da poche ore fa, quando il chiasso e gli schiamazzi ti riempivano le orecchie.
Tu non sei mai stata così: non hai mai amato la confusione e anche quando andavi al liceo, preferivi rimanere in classe a sgranocchiare la tua merenda mentre ripassavi per l’ora successiva, mentre tutti, persino i secchioni della classe, uscivano e trascorrevano con gli amici quel piccolo momento di svago che era concesso per liberare la mente.
Non ricordi di aver mai avuto una di quelle amiche del cuore a cui raccontare ogni cosa, con la quale spettegolare durante le lezioni che se avreste dovuto ascoltare, con cui passare interi pomeriggi a chiacchierare invece di studiare o con cui fare le tre di notte a casa sua raccontandovi i segreti più intimi e le speranze più recondite.
Non l’hai mai avuta.
E ora sei ridotta a spaccarti la schiena su una scrivania correggendo compiti a gente a cui non importa nulla di te e della materia che insegni con tanto amore. Per un breve periodo della tua vita hai pensato che insegnare fosse l’unica cosa di cui avevi bisogno.
Poi è nata Caterina, e allora hai creduto che si fosse verificato un miracolo perché tu, proprio tu, avevi trovato marito, avevi avuto una figlia!
Poi lei è fuggita e tu hai versato tutte le lacrime che avevi in corpo sul suo volto, imprigionato nella carta di una fotografia.
Il colore dei tuoi occhi sembra sia sbiadito dopo tante lacrime.
E hai cominciato a vivere solo per queste quattro mura.
Una lacrima cade sul compito che stai correggendo con tanto zelo e tu la guardi stupita: è la prima che cade dopo molti anni. La prima che si rivela dopo che hai chiuso il tuo cuore dentro un’armatura di metallo, impossibile da distruggere.
La guardi e una scintilla ti si accende nel petto.
Muore dopo pochi istanti: sei troppo vecchia perché qualcosa possa cambiare nella triste vita che hai deciso di condurre.