COME
UNDONE
Seduti
in casa sua.
Lei
finisce il suo lungo discorso, si alza, va vicino alla vetrata che dà sul vuoto
e sulla città, scuote il capo, allarga le braccia e ha finito le parole.
Vorrebbe
piangere, ma non le riesce. Si limita a piegare le labbra in giù, in una
smorfia dubbiosa e disorientata.
Neanche
guardare fuori serve a qualcosa.
“Io…
non lo so…”
“Non è
questo il punto!” lo interrompe l’altra,
cercando di mantenere la calma almeno nella propria voce, senza però girarsi a
guardarlo.
“Una
volta avrei… tirato su un casino per cambiare le cose. Mi sarei persa anima e
corpo in una roba come questa! Adesso… non lo so, non ti so spiegare, è come se
non volessi più sentire.”
“Ma hai
sempre detto di non essere il tipo per queste paranoie, che la tua personalità
era troppo forte…”
“Dio, e
tu mi sei anche stato ad ascoltare…”
Si mette
una mano davanti alla bocca con un gesto stanco e si sente in colpa.
“Ci
ragioni troppo sopra, dovresti darci un taglio e pensare positivo!”
Nauseata,
si accascia su una sedia vicino al tavolo della sala da pranzo, a pochi passi
da lui e dal divano.
Mi sto
accorgendo di un cambiamento che non mi piace.
Non ci
metto più il cuore. In niente.
Mi sono
come stancata. Mi sono chiusa.
Ne
avevo abbastanza di soffrire, perciò ho preso e ho fatto una cosa che nessuno
si sarebbe mai aspettato da me.
E mi va
bene così. È questa la cosa brutta.
Ti
rendi conto?”
Lei rincara
la dose, animandosi.
Se
qualcuno m’invitasse a cena, non sentirei il sapore di un singolo piatto che ingurgiterei,
e risponderei a chi mi parla senza stare veramente ad ascoltarlo, in
automatico, mettendo su la faccia più adatta alle circostanze.
Se mi
telefonassero per aiutarmi, per parlare di questa merda, io direi di no,
rifiuterei, perché non vedo la merda, dove sta il problema? Io non lo vedo. Non
lo vedo più.”
È
furiosa.
Lui non
dice niente.
“Ho
paura, ho paura per me” affermò, quasi a voler giustificare il suo pianto “Non
me ne frega nulla degli altri, mi importa solo di me. Perché non lo avevo mai
fatto prima, e ora non voglio più saperne di nessuno. A parte te. Non voglio
più che nessuno si azzardi a prendermi e accartocciarmi. Come se fossi un pezzo
di carta. Non voglio più.”
Non era
così quando l’aveva conosciuta, ma una cosa era rimasta: tutto quello che
faceva, lo faceva con il cuore.
L’aveva
vista affrontare situazioni e persone, ogni volta con un esito diverso.
L’aveva
vista gonfiarsi per la gioia, ma anche avvilirsi per la tristezza, e procedere
sicura verso una serena stabilità, per poi cadere, farsi male e raccattare i
cocci, suoi e di altri.
Di chi
fosse la colpa non lo aveva mai saputo con esattezza, ma di una cosa era certo:
i suoi tentativi erano sempre appassionati e sinceri, e finivano sempre per
evolversi in una sentenza definitiva e irremovibile.
Avrebbe
per sempre amato o odiato con tutte le sue forze, senza mai rendersene
pienamente conto.
Si alza
e l’abbraccia senza dire una parola, perché non ce n’è bisogno, è tutto chiaro.
Sta
andando in pezzi, un po’ più in fretta e un po’ più forte delle altre volte,
non riesce a rincollarsi da sola.
Lei non
ricambia la sua stretta ma ci si rifugia dentro singhiozzando debolmente,
irrigidita per la tensione e la rabbia.
Le
sembra che piangere sia roba da vittime.
Lei non
è una vittima, perché una vittima è sconfitta, è inerme ed è indifesa.
Non è
come lei.
Lei è
solo molto arrabbiata e frustrata, vorrebbe stare in cima al mondo per dare una
bella lezione a chi di dovere, altro che vittima indifesa.
“Se non
vuoi uscire, restiamo a casa e facciamo quello che vuoi, stai tranquilla…”
“Scusami
se faccio così. Ti giuro che non sono io a volerlo…”
“Lo
so…”
“No,
non lo sai…”
“Mi
fido.”
L’ha
accettata da subito, e amarla è venuto naturale.
Al
resto penserà dopo, con più calma, con il suo aiuto.
Riattaccherà
ancora una volta quello che si è rotto e si rialzerà senza sapere cosa fare, a
parte che lo farà senza compromessi.
THE END
Il titolo del racconto è tratto dal brano
“Come undone” di Robbie Williams. No scopo di lucro.