Love
in a
heartbeat
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Capitolo #6 ―
Dopo
aver portato Mirìel nel dormitorio femminile, Catherine,
Charlie e Michael si
diressero alla Sala Grande, dove cenarono abbondantemente.
Successivamente si
trascinarono fino alla Sala Comune, dove si accomodarono, a detta loro,
nei
posti migliori, quelli sul divanetto davanti al camino.
–Oh
Michael, ti prego! Raccontami la favola di Pane Pet ! –
continuò Catherine
cercando di convincerlo.
–Peter
Pan, comunque … D’accordo, basta che la smetti!
– aveva detto Michael con un
faccino fintamente scocciato. Catherine
l’abbracciò forte continuando a
ringraziarlo.
–Tutti
i bambini crescono, tutti, tranne uno. –
incominciò Michael cercando di calarsi
nella parte di un perfetto cantastorie o per lo meno in un narratore,
come
quello nei film babbani.
–C’era
una volta un ragazzo di nome Peter Pan, che, dopo aver origliato una
discussione dei genitori sulla sua vita adulta, aveva deciso di non
voler più crescere.
Un giorno, stando sul davanzale della sua finestra, ch’era
aperta, vide le cime
di alcuni alberi, che erano certamente i medesimi di quelli che stavano
nei
giardini di Kensington. Così, il piccolo Peter Pan, che
aveva solamente sette
giorni, essendo ancora uccello, ritornò in volo fino ai
giardini, che erano già
stati chiusi. Quando vi arrivò, fece conoscenza con il corvo
Solomon, che
pareva essere un corvo saggio.
‘Peter
non sei più un uccello, sei umano, ora.’ gli disse
il corvo e da quel momento
Peter seppe di non essere più un uccello, di non saper
più volare, così non
potendo più tornare a casa, rimase a Kensington Gartens. Al
suo arrivo, le fate
erano totalmente terrificate dal piccolo bimbo, che riuscì
rapidamente a
guadagnarsi i loro favori. Peter riuscì a divertire le
piccole fatine con i
suoi modi umani e, con una certa riluttanza, accettò di
suonare il flauto di
pan nelle danze delle fate. Un giorno, la regina Mab, gli concesse il
desiderio
del suo cuore così Peter, nostalgico, decise di tornare
dalla sua mamma. Le
fate, a malincuore, lo aiutano a tornare a casa in volo. Quando
arrivò, il
bimbo vide la sua mamma dormire nella sua vecchia camera da letto,
così decise
di tornare ai giardini per dare il suo ultimo
‘addio’ alle creature magiche che
vivevano lì. Purtroppo, Peter s’intrattenne troppo
a lungo nei giardini, e usò
il suo secondo desiderio di tornare a casa in modo permanente, quando
vi
arrivò, fu distrutto nell’apprendere che, in sua
assenza, la sua mamma aveva
dato vita ad un altro bimbo, da poter amare. Così Peter, con
il cuore infranto,
ritornò a Kensington Gardens, dove una notte
incontrò una bimba sperduta, ella
si chiamava Maimie Mannering. Fecero subito amicizia e il piccolo Peter
le
chiese di sposarlo, Maimie stava per accettare, ma capì che
la sua mamma doveva
sentire terribilmente la sua mancanza, così tornò
da lei. –
–Oh
Michael! È delizioso il modo in cui narri le fiabe!
– disse Catherine
affascinata mentre applaudiva come una bimba spensierata.
–Già,
ma penso che per oggi basti! – disse sorridendole, mentre si
scambiava
un’occhiata eloquente con Charlie, che per tutto il tempo si
era immerso in
pensieri più profondi di quanto lui stesso poteva
immaginare. Arrendevole
Catherine permise a Michael di andare a riposarsi e ben presto Charlie
si
ritrovò –finalmente–
solo con lei.
–E
così sei cugina di Piton. – si era lasciato
sfuggire Charlie, pensando più ad
alta voce che iniziando una discussione vera e propria con Catherine;
non che
non lo volesse, ma non l’avrebbe iniziata così,
sarebbe stato certamente più
delicato e avrebbe trovato parole più adatte.
–Già,
è orribile vero ? In realtà era da sei anni che
mi domandavo il motivo per il
quale il suo comportamento fosse sempre tanto scontroso nei miei
confronti, ora
preferirei non saperlo. Scommetto che lui l’ha sempre saputo,
lui come tutto il
resto della mia famiglia che mi ha spudoratamente tenuta sempre
all’oscuro su
questa faccenda! – sussurrò Catherine lamentandosi.
Charlie
sapeva che sarebbe partita con il suo sfogo, e lui le sarebbe stato
accanto
come sempre, pronto ad ascoltarla e a confortarla. Charlie era
così; lui
riusciva a vedere oltre a quello che Catherine voleva che gli altri
vedessero,
lui sapeva bene quanto in realtà fosse fragile, insicura e
in continuo bisogno
di certezze. Sorrise debolmente e allargò le braccia
lasciando che Catherine vi
si rifugiasse tranquillamente.
–Io
non voglio che sia mio cugino! – piagnucolò.
– Insomma, con tutte le persone
proprio lui doveva capitarmi ? Appena andremo ad Hogsmeade
manderò loro una
strillettera! Posso
capire i miei
genitori, ma Dorian! Insomma mio fratello … Dovrebbe stare
dalla mia parte ! –
continuò frustrata. A
Charlie venne un po’ da ridere ma si trattenne; era una
situazione tanto buffa
quanto singolare. Catherine, la sua migliore amica cugina del
professore più
odiato della scuola.
–Ma
dai Catherine, magari l’ha scoperto poco prima di te
… E poi, voglio dire,
penso che tu abbia cose più importanti a cui pensare, e sai
cosa intendo! –
disse Charlie serio.
Catherine
non sapeva bene come prendere la cosa; Charlie non sembrava aver preso
troppo
male la questione della presunta parentela con Piton, così
si convinse che
magari poteva evitare di pensarci troppo, infondo non cambiava nulla.
–Già
hai ragione, entro domani mattina devo assolutamente iscrivermi al
torneo! –
concordò Catherine, anche se in realtà non aveva
alcuna idea di come poteva
farlo.
***
Charlie
e Catherine si erano augurati la buonanotte già da un paio
d’ore, e Catherine,
non appena si era infilata tra le lenzuola si era subito addormentata.
Non
aveva avuto nemmeno il tempo di pensare ad un modo per iscriversi al
torneo, ma
si sarebbe fatta venire in mente qualcosa la mattina successiva;
infondo era
Catherine Prince, lei era decisamente un punto di domanda vivente, era
proprio
imprevedibile. Era notte fonda, e nel dormitorio femminile tutte le
fanciulle
si erano addormentate da tempo, tutte, tranne una; Mirìel
per quanto potesse
essere ritenuta una “ragazza” non rientrava tra
quelle dormienti. La creaturina
volteggiava nella sua abitazione, mentre guardava Catherine dormire.
C’era
qualcosa che non andava e Mirìel lo sapeva, lo sentiva, ed
era proprio per
questo motivo che aveva nuovamente cercato di scalare quel giglio, per
uscire
dalla sua dimora, senza però riuscirci. Ma prima che potesse
anche solo
escogitare un piano per raggiungere la ragazza, successe qualcosa di
veramente
molto bizzarro. Figure strane le apparvero nitide proprio davanti a lei.
Il
sole
splendeva proprio lì in alto nel cielo, che quel giorno era
azzurro e privo di
nuvole. Era proprio una giornata perfetta per staccare la spina per
qualche ora
e sedersi sul prato per prendere un po’ di sole e rilassarsi.
Molti studenti
infatti, in quella giornata calda di marzo, passeggiavano spensierati
per
Hogwarts, molti, tranne la piccola Catherine Prince, una piccola
Grifondoro del
primo anno. Catherine era una studente molto curiosa e molto studiosa,
ma
probabilmente per il suo fare da saputella, non aveva molti amici; anzi
in
realtà forse c’era solo una persona lì
dentro che sembrava sopportarla e quello
si chiamava Charlie Weasley. Quel giorno sul viso di Catherine non si
poteva
scorgere il suo brillante sorriso che le si poteva scorgere ad ogni
occasione;
no, quella era una giornata no per Catherine, che si era rifugiata nel
bagno
femminile al secondo piano, dopo aver sentito involontariamente alcuni
commenti
poco carini da alcuni compagni di Grifondoro. Appena aveva varcato la
soglia
del bagno, alcune lacrime avevano iniziato a rigarle il viso, mentre si
rannicchiava in un angolo. “Non sono antipatica”
aveva sussurrato a se stessa
tra un singhiozzo e l’altro, balbettando leggermente. Proprio
i suoi
singhiozzi, la sua figura minuta, che cercava rifugio in se stessa e
quelle
labbra increspate in una smorfia triste –proprio con il
labbro inferiore un po’
sporgente- aveva
incuriosito il fantasma
di Mirtilla Malcontenta, che la osservava. Mirtilla si sentiva quasi
chiamata
in causa; era sempre stata lei che veniva presa in giro gratuitamente,
era
sempre stata lei a essere oggetto di scherzi di cattivo gusto e
riusciva quasi
a rivedere se stessa in quella piccola studente dai capelli rossi. Era
per
questo motivo che decise di trovare alcune parole di conforto per
quella
piccola studente.
Mirtilla
si
avvicinò a lei, un poco imbarazzata dalla situazione; non si
era mai ritrovata
nei panni di figura consolatrice, poiché era sempre stata un
poco suscettibile
e sentiva il costante bisogno di rinfacciare la propria morte a
chiunque. Ma
quel giorno era diverso.
–Ehm
... – si
schiarì la voce, più per annunciare la sua
presenza, che per schiarirsi la
voce.
–Come
ti chiami
? – chiese Mirtilla fluttuando da una parte
all’altra davanti a Catherine, che
per la sorpresa sussultò leggermente. Poi aveva accennato un
“Catherine”
debole.
–Io
sono
Mirtilla, Mirtilla Malcontenta … Ma dimmi, perché
piangi ? – continuò Mirtilla,
non che volesse rigirare il coltello nella piaga, ma sarebbe stato
scortese
ammettere di averla spiata. Alla domanda le labbra di Catherine
tremarono
leggermente, e tornò quell’espressione addolorata.
Prima di rispondere però
alla domanda, Catherine rimase per qualche istante interdetta.
–M-mi
prendono
s-s-sempre tutti in giro … e ecco, dicono c-che sono
a-antipatica. – ammise
balbettando Catherine, abbassando lo sguardo imbarazzata. Mirtilla fece
in
tempo a scorgere due lacrimucce rigarle il viso, sentendosi un
po’ in colpa.
–Coraggio!
Non
piangere … non se le meritano! Ecco, forse dovresti essere
più flessibile, no ?
– le consigliò Mirtilla, cercando di fare del
proprio meglio per essere
convincente. Lei voleva davvero esserle d’aiuto,
perché sapeva quanto erano
scomode certe situazioni. Catherine si asciugò il viso con
la manica e abbozzò
un sorriso, si alzò il piedi e ringraziò
Mirtilla.
Ma
la scena mutò …
Catherine si trovava
proprio davanti alla Fontana di Bruinen, sfoderò la
bacchetta ma rimase
immobile. E fu proprio in quell’istante che
Mirìel decise di agire: puntò
lo sguardo sulla ragazza dai lunghi capelli rossi, e si
concentrò. Dalle
piccole labbra della Nemide usciva una dolce melodia, molto attraente e
molto
simile al canto delle sirene.
***
–Cath
? Caath ? Catherine svegliati! – sussurrò piano
Corinne, scuotendo leggermente
l’amica.
Dopo
svariati tentativi, però, Corinne riuscì a
svegliare Catherine, che sembrava
ancora molto assonnata. Quando aprì gli occhi,
constatò che solo loro due erano
sveglie, e cercò di capire per quale motivo fosse stata
svegliata così presto.
–Corinne
perché mi hai svegliata così presto ? –
chiese pacata, mettendosi a sedere. Poi
batté piano la mano sul letto, invitandola a sedere accanto
a sé. Doveva
ammettere che non passava molto tempo con le sue amiche, e non riusciva
a
capire il perché. Ma infondo sapeva che le stava solo
evitando, o meglio, stava
evitando il “momento della rivelazione”,
perché sapeva che prima o poi si
sarebbero accorte delle sue gite notturne ogni mese, e non avrebbe
potuto
mentire a lungo, questo lo sapeva, ma non voleva perderle subito.
–Sei
strana e non passiamo del tempo insieme dall’anno scorso,
quindi ora mi dici
cosa succede. – fece Corinne seria. Catherine
abbassò lo sguardo,
improvvisamente le pieghe del lenzuolo si fecero interessanti.
Sospirò
mestamente e si mordicchiò il labbro inferiore sinistro con
fare nervoso.
–Non
dirmi che “non è niente”,
perché so che c’è qualcosa. Non ti ho
chiesto nulla
prima, perché pensavo che me l’avresti detto tu,
come facciamo sempre. Hai
sempre l’aria stanca, quasi afflitta, mi eviti, o meglio,
eviti tutte noi e
ancora non mi hai spiegato bene cosa ti è successo qualche
giorno fa. Tu sei la
mia migliore amica, e io mi preoccupo per te. –
continuò Corinne prendendole
una mano. Non voleva essere fredda o distaccata, solo che aveva
così tante cose
da chiederle, che non riusciva a formularne una alla volta. Catherine
sorrise
un po’ amareggiata; si chiedeva per quale motivo Corinne
fosse sempre così
diretta, ma non si rendeva conto che anche lei si comportava nello
stesso modo
con gli altri. Chiuse le tendine attorno al letto e fissò
per qualche Corinne
che esigeva delle risposte quantomeno esaurienti e subito. Sotto quella
fitta
chioma di capelli ricci di un castano scuro, v’erano
quegl’occhietti dolci e
speranzosi. Corinne, sebbene fosse un tipo diretto, riusciva sempre a
compensare con quella dolcezza infinita che sprizzava da tutti i pori
del suo
essere.
–Devi
promettermi che non lo dirai a nessuno e che nulla cambierà.
– sussurrò
Catherine incerta. Insomma, se quello doveva essere il momento, doveva
assicurarsi
almeno che non andasse in giro a sventolare il suo stato interessante
ai
quattro venti –non che fosse necessario, ma doveva comunque
farglielo
promettere- e poi be’, non voleva che anche lei se ne andasse
schifata come
aveva fatto Eliah, ma al suo ricordo Catherine s’impose di
pensare ad altro.
Corinne
dal canto suo fece un bel sorriso e annuì, portando la mano
destra al cuore e
la mano sinistra appena sollevata. Poi giurò, cominciando a
chiedersi perché
fosse tanto importante farlo, ma sorvolò.
–Be’,
che dire …– disse non riuscendo a trattenere una
risatina nervosa. –Sono un
lupo mannaro … Fenrir Greyback, sai, la ragazza in estate ?
Quella de “La
Gazzetta del Profeta”, ne stavate parlando il giorno in cui
siamo tornati qui
ad Hogwarts. È per questo che Eliah mi ha lasciata. Eh,
be’ qualche giorno fa
–il giorno in cui sono sparita– era fase di luna
piena, e poi sai com’è andata
durante la punizione con Piton e il resto…–
spiegò velocemente, torturandosi le
mani. Poi alzò di scatto lo sguardo e analizzò
Corinne per qualche istante; non
sembrava essere troppo schifata, o almeno questo era ciò che
poteva scorgere
Catherine sul suo viso.
–Non
è una presa in giro, vero ? – chiese Corinne
scrutando Catherine seria, che di
rimando scosse leggermente il capo senza aggiungere
nient’altro. Il suo sguardo
era già di per sé abbastanza eloquente. Avrebbe
voluto piangere fino ad
addormentarsi, ma doveva essere forte. Doveva superare la cosa, dal
momento che
in realtà lei non l’aveva presa per niente bene.
Lei non l’aveva mai voluto e
odiava esserlo. Ma in quel momento sapeva di poter essere se stessa,
sapeva di
poter lasciarsi andare allo sconforto che provava a causa della sua
nuova
condizione. Quando sentì le minute braccia
dell’amica circondarla, non riuscì a
trattenere le lacrime e i singhiozzi. Ma in quel momento
capì quanto in realtà
era stata sciocca a temere la reazione delle amiche. La loro amicizia
era
qualcosa di meraviglioso e sapeva che erano unite abbastanza da poter
superare
le avversità.
–Oh,
miseriaccia! Avrei voluto vedere la faccia di Piton quando
l’hai disarmato,
oppure quando ha scoperto la “grande rivelazione”.
Comunque per me non cambia
nulla! – sdrammatizzò Corinne con timidezza. Poi
l’abbracciò nuovamente e le
rivolse un gran sorriso, ricordandole che erano migliori amiche.
–Catherine,
non mi diverto a fare l’inquisitore, quindi lo sai che me le
puoi dire le cose!
– la rimproverò leggermente. Poi
ridacchiò e aprì nuovamente le tende, infondo
ora potevano parlare del più e del meno anche senza.
–Comunque
cosa c’è in quella specie di acquario ?
– chiese con un tono curioso e
frizzante, mentre si vestiva. Catherine non rispose, non capiva come
facesse
Corinne ad essere sempre tanto loquace, spesso di mattina. Poi sorrise
e mise
una mano nel vaso, sentì Mirìel sedersi e la
tirò fuori. Gli occhioni marroni
di Corinne si spalancarono; Catherine poteva leggere tutta la
curiosità e la
sorpresa. Le raccontò delle Mimsee e di come lei, Charlie e
Michael l’avevano
creata. Corinne ascoltava diligentemente, e di tanto in tanto batteva
le mani
estasiata, proprio come una bambina che aveva appena ricevuto la cosa
tanto
desiderata. Quando finirono di vestirsi, si ritrovarono a parlare del
torneo, e
fu in quel preciso momento che Catherine parve illuminarsi, anche se
Mirìel
sapeva che era la sua magia che prendeva il sopravvento.
–Ma
certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Andiamo Corinne! Devo
iscrivermi al
torneo! – disse.
***
Ed
eccola lì, al centro della Sala Grande, la Fontana di
Bruinen, illuminata dai
raggi del sole, mentre il resto della sala era avvolto in una soffice
penombra.
Sebbene fosse ancora presto v’era già un via-vai
inconsueto di persone. Chi
studiava, chi in gruppo chiacchierava, v’erano addirittura
alcuni professori
che sedevano già alla tavolata, immersi fittamente in
qualche discussione
avvincente, e poi, lì nei pressi, v’era una
piccola moltitudine di persone
nelle vicinanze della fontana. Catherine ne riconobbe solamente alcuni,
poiché
non provenivano tutti dalla stessa casa. In lontananza alcuni compagni
di
Grifondoro, tra i quali v’era anche Michael Towler, che
pareva immerso
fittamente in una probabile discussione sul Quidditch con i suoi
compagni di
squadra. Le due fanciulle si diressero quindi con grande
curiosità verso
quest’ultimi, dopo aver valutato attentamente la situazione.
Tra quella piccola
folla v’erano molti candidati al torneo e Catherine non
vedeva l’ora di
scoprire con chi avrebbe dovuto misurarsi. Iscriversi pareva essere
molto più
complicato del previsto, infatti ancora nessuno era riuscito
nell’impresa.
–Pare
proprio che bisogna munirsi di molto ingegno, eh ? –
constatò Michael dando
voce ai pensieri delle due ragazze che stavano pensando esattamente la
stessa
cosa.
–Già,
pare proprio dilemmatica la faccenda, ma io ho un’idea
… Spero solo che
funzioni! – esclamò piano, scrutando con fare
serio dapprima la fontana e poi i
possibili candidati, tra i quali, con sua grande sorpresa, anche Eliah
Beery,
che ormai frequentava il sesto anno. I pensieri di Catherine la
portarono ai
vari ricordi legati a quel ragazzo. Sembrava che quella ferita non
volesse
guarire e Catherine ne soffriva, ne soffriva molto. Corinne, che le era
di
fianco, seguì con lo quello della rossa e appena
capì cosa le frullava nella
mente, tentò di riportarla alla realtà. Catherine
gliene fu grata. Non aveva
intenzione di crogiolarsi nel dolore di primo mattino. Poco dopo
incedette
verso la fontana, ma una voce familiare la costrinse a fermarsi.
–Oh
guardate chi c’è qui, Catherine Prince, sporca
traditrice del tuo sangue. Che
ci fai qui ? Non ti hanno detto che questo non è per
apprendiste streghette
alle prime armi ?– disse Winkler che provocò
l’ilarità dei suoi compari di
Serpeverde. Catherine lo raggiunse con passo felpato e gli
puntò contro la
bacchetta. Quell’affermazione aveva suscitato rabbia non solo
nella rossa, ma
anche negl’altri presenti, tanto che alcuni li raggiunsero
protestando e
difendendo la compagna.
–Winkler,
non osare! – ruggì Michael fuori di sé.
Catherine s’interpose tra i due e lo
fissò negl’occhi per molto tempo. Era uno sguardo
tagliente e freddo, che non
le si scorgeva quasi mai sul viso. Ma prima che potesse ribattere
all’offesa
ricevuta, si udì una voce che proveniva da qualche metro
più distante.
–Winkler
su, lasciala in pace e vediamo di cos’è capace.
– disse un ragazzo dai capelli
castano dorati appoggiato ad una colonna nella penombra. Era molto alto
e nei
suoi occhi si poteva leggere il mistero e anche una punta di desiderio.
Era
bello e Catherine per qualche istante si sentì …
Attratta ? Forse Catherine
avrebbe usato proprio quel termine per descrivere cosa provava in quel
momento. I loro
sguardi s’incrociarono
per qualche attimo, che parve loro molto più lungo. Winkler
si fece da parte e
la lasciò passare. Catherine fece ancora qualche passo, in
quel momento sentiva
tutti gli occhi puntati su di lei e fu pervasa da
un’eccitazione mai provata
prima. Ma tra tutti ve n’era uno, il cui peso era maggiore.
Catherine si voltò
e rimase incatenata a quegl’occhi azzurri, che per quanto
fossero glaciali non
le trasmettevano freddezza o superiorità, ma solo
curiosità. Era
eccezionalmente bello e il suo nome era James Evander Avery, ma
Catherine
ancora ignorava tutto ciò. D’un tratto
incominciò a girare attorno alla fontana
esaminandola. Niente di nuovo, i simboli elfici e le rune erano rimaste
ai loro
posti e per quanto aveva potuto decifrare, sapeva solo che tutto
rimandava
all’essenza, la vera e pura essenza delle cose. Ma quella
mattina sembrava
tutto così chiaro e Catherine non capiva perché.
Sapeva solo che per qualche
strano motivo sapeva esattamente cosa fare, ma solo quando
puntò la bacchetta
in direzione della fontana ottenne la consapevolezza delle sue azioni.
Ora era
tutto così ovvio. Essenza. Lei doveva mostrare la sua
essenza, ma prima avrebbe
dovuto acquistare la consapevolezza di ciò che ormai era e
non poteva non
essere. Non era semplice, poiché fonte di un indicibile
dolore, ma era giusto.
Catherine doveva accettare la sua nuova natura. Si concentrò
per un momento su
un pensiero felice: uno in particolare.
–Expecto
Patronum! – pronunciò poi con convinzione. Dalla
bacchetta scaturì un fascio di
luce bianca, che prese forma di un lupo. Correva veloce in direzione
della
fontana e poco dopo, quando la raggiunse, vi s’immerse. Per un momento nulla
accadde, ma poco dopo
dalla fontana si percepì un sibilo. E questo cosa
significava ? Tutti si
stavano porgendo la medesima domanda, ma pareva che nessuno sapesse
darne una
risposta soddisfacente.