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Autore: roseenrot    27/12/2012    0 recensioni
Mi dispiace.
A volte, divento gelosa pensando che qualcuno potrebbe renderti più felice di quanto possa farlo io. Scommetto che sia colpa della mia insicurezza, perché so che non sono la più carina, la più intelligente, o la più divertente ed eccitante. Ma so che non mi importa quanto difficile e lontano tu sembri; non troverai mai qualcuno che ti voglia bene, come te ne voglio io.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Love in a heartbeat

― Capitolo #6 ―

 

Dopo aver portato Mirìel nel dormitorio femminile, Catherine, Charlie e Michael si diressero alla Sala Grande, dove cenarono abbondantemente. Successivamente si trascinarono fino alla Sala Comune, dove si accomodarono, a detta loro, nei posti migliori, quelli sul divanetto davanti al camino.

–Oh Michael, ti prego! Raccontami la favola di Pane Pet ! – continuò Catherine cercando di convincerlo.

–Peter Pan, comunque … D’accordo, basta che la smetti! – aveva detto Michael con un faccino fintamente scocciato. Catherine l’abbracciò forte continuando a ringraziarlo.

–Tutti i bambini crescono, tutti, tranne uno. – incominciò Michael cercando di calarsi nella parte di un perfetto cantastorie o per lo meno in un narratore, come quello nei film babbani.

–C’era una volta un ragazzo di nome Peter Pan, che, dopo aver origliato una discussione dei genitori sulla sua vita adulta, aveva deciso di non voler più crescere. Un giorno, stando sul davanzale della sua finestra, ch’era aperta, vide le cime di alcuni alberi, che erano certamente i medesimi di quelli che stavano nei giardini di Kensington. Così, il piccolo Peter Pan, che aveva solamente sette giorni, essendo ancora uccello, ritornò in volo fino ai giardini, che erano già stati chiusi. Quando vi arrivò, fece conoscenza con il corvo Solomon, che pareva essere un corvo saggio.

‘Peter non sei più un uccello, sei umano, ora.’ gli disse il corvo e da quel momento Peter seppe di non essere più un uccello, di non saper più volare, così non potendo più tornare a casa, rimase a Kensington Gartens. Al suo arrivo, le fate erano totalmente terrificate dal piccolo bimbo, che riuscì rapidamente a guadagnarsi i loro favori. Peter riuscì a divertire le piccole fatine con i suoi modi umani e, con una certa riluttanza, accettò di suonare il flauto di pan nelle danze delle fate. Un giorno, la regina Mab, gli concesse il desiderio del suo cuore così Peter, nostalgico, decise di tornare dalla sua mamma. Le fate, a malincuore, lo aiutano a tornare a casa in volo. Quando arrivò, il bimbo vide la sua mamma dormire nella sua vecchia camera da letto, così decise di tornare ai giardini per dare il suo ultimo ‘addio’ alle creature magiche che vivevano lì. Purtroppo, Peter s’intrattenne troppo a lungo nei giardini, e usò il suo secondo desiderio di tornare a casa in modo permanente, quando vi arrivò, fu distrutto nell’apprendere che, in sua assenza, la sua mamma aveva dato vita ad un altro bimbo, da poter amare. Così Peter, con il cuore infranto, ritornò a Kensington Gardens, dove una notte incontrò una bimba sperduta, ella si chiamava Maimie Mannering. Fecero subito amicizia e il piccolo Peter le chiese di sposarlo, Maimie stava per accettare, ma capì che la sua mamma doveva sentire terribilmente la sua mancanza, così tornò da lei. –

–Oh Michael! È delizioso il modo in cui narri le fiabe! – disse Catherine affascinata mentre applaudiva come una bimba spensierata.

–Già, ma penso che per oggi basti! – disse sorridendole, mentre si scambiava un’occhiata eloquente con Charlie, che per tutto il tempo si era immerso in pensieri più profondi di quanto lui stesso poteva immaginare. Arrendevole Catherine permise a Michael di andare a riposarsi e ben presto Charlie si ritrovò –finalmente–  solo con lei.

–E così sei cugina di Piton. – si era lasciato sfuggire Charlie, pensando più ad alta voce che iniziando una discussione vera e propria con Catherine; non che non lo volesse, ma non l’avrebbe iniziata così, sarebbe stato certamente più delicato e avrebbe trovato parole più adatte.

–Già, è orribile vero ? In realtà era da sei anni che mi domandavo il motivo per il quale il suo comportamento fosse sempre tanto scontroso nei miei confronti, ora preferirei non saperlo. Scommetto che lui l’ha sempre saputo, lui come tutto il resto della mia famiglia che mi ha spudoratamente tenuta sempre all’oscuro su questa faccenda! – sussurrò Catherine lamentandosi.

Charlie sapeva che sarebbe partita con il suo sfogo, e lui le sarebbe stato accanto come sempre, pronto ad ascoltarla e a confortarla. Charlie era così; lui riusciva a vedere oltre a quello che Catherine voleva che gli altri vedessero, lui sapeva bene quanto in realtà fosse fragile, insicura e in continuo bisogno di certezze. Sorrise debolmente e allargò le braccia lasciando che Catherine vi si rifugiasse tranquillamente.

–Io non voglio che sia mio cugino! – piagnucolò. – Insomma, con tutte le persone proprio lui doveva capitarmi ? Appena andremo ad Hogsmeade manderò loro una strillettera!  Posso capire i miei genitori, ma Dorian! Insomma mio fratello … Dovrebbe stare dalla mia parte ! – continuò frustrata. A Charlie venne un po’ da ridere ma si trattenne; era una situazione tanto buffa quanto singolare. Catherine, la sua migliore amica cugina del professore più odiato della scuola.

–Ma dai Catherine, magari l’ha scoperto poco prima di te … E poi, voglio dire, penso che tu abbia cose più importanti a cui pensare, e sai cosa intendo! – disse Charlie serio.

Catherine non sapeva bene come prendere la cosa; Charlie non sembrava aver preso troppo male la questione della presunta parentela con Piton, così si convinse che magari poteva evitare di pensarci troppo, infondo non cambiava nulla.

–Già hai ragione, entro domani mattina devo assolutamente iscrivermi al torneo! – concordò Catherine, anche se in realtà non aveva alcuna idea di come poteva farlo.

 

***

Charlie e Catherine si erano augurati la buonanotte già da un paio d’ore, e Catherine, non appena si era infilata tra le lenzuola si era subito addormentata. Non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare ad un modo per iscriversi al torneo, ma si sarebbe fatta venire in mente qualcosa la mattina successiva; infondo era Catherine Prince, lei era decisamente un punto di domanda vivente, era proprio imprevedibile. Era notte fonda, e nel dormitorio femminile tutte le fanciulle si erano addormentate da tempo, tutte, tranne una; Mirìel per quanto potesse essere ritenuta una “ragazza” non rientrava tra quelle dormienti. La creaturina volteggiava nella sua abitazione, mentre guardava Catherine dormire. C’era qualcosa che non andava e Mirìel lo sapeva, lo sentiva, ed era proprio per questo motivo che aveva nuovamente cercato di scalare quel giglio, per uscire dalla sua dimora, senza però riuscirci. Ma prima che potesse anche solo escogitare un piano per raggiungere la ragazza, successe qualcosa di veramente molto bizzarro. Figure strane le apparvero nitide proprio davanti a lei.

 

Il sole splendeva proprio lì in alto nel cielo, che quel giorno era azzurro e privo di nuvole. Era proprio una giornata perfetta per staccare la spina per qualche ora e sedersi sul prato per prendere un po’ di sole e rilassarsi. Molti studenti infatti, in quella giornata calda di marzo, passeggiavano spensierati per Hogwarts, molti, tranne la piccola Catherine Prince, una piccola Grifondoro del primo anno. Catherine era una studente molto curiosa e molto studiosa, ma probabilmente per il suo fare da saputella, non aveva molti amici; anzi in realtà forse c’era solo una persona lì dentro che sembrava sopportarla e quello si chiamava Charlie Weasley. Quel giorno sul viso di Catherine non si poteva scorgere il suo brillante sorriso che le si poteva scorgere ad ogni occasione; no, quella era una giornata no per Catherine, che si era rifugiata nel bagno femminile al secondo piano, dopo aver sentito involontariamente alcuni commenti poco carini da alcuni compagni di Grifondoro. Appena aveva varcato la soglia del bagno, alcune lacrime avevano iniziato a rigarle il viso, mentre si rannicchiava in un angolo. “Non sono antipatica” aveva sussurrato a se stessa tra un singhiozzo e l’altro, balbettando leggermente. Proprio i suoi singhiozzi, la sua figura minuta, che cercava rifugio in se stessa e quelle labbra increspate in una smorfia triste –proprio con il labbro inferiore un po’ sporgente-  aveva incuriosito il fantasma di Mirtilla Malcontenta, che la osservava. Mirtilla si sentiva quasi chiamata in causa; era sempre stata lei che veniva presa in giro gratuitamente, era sempre stata lei a essere oggetto di scherzi di cattivo gusto e riusciva quasi a rivedere se stessa in quella piccola studente dai capelli rossi. Era per questo motivo che decise di trovare alcune parole di conforto per quella piccola studente.

Mirtilla si avvicinò a lei, un poco imbarazzata dalla situazione; non si era mai ritrovata nei panni di figura consolatrice, poiché era sempre stata un poco suscettibile e sentiva il costante bisogno di rinfacciare la propria morte a chiunque. Ma quel giorno era diverso.

–Ehm ... – si schiarì la voce, più per annunciare la sua presenza, che per schiarirsi la voce.

–Come ti chiami ? – chiese Mirtilla fluttuando da una parte all’altra davanti a Catherine, che per la sorpresa sussultò leggermente. Poi aveva accennato un “Catherine” debole.

–Io sono Mirtilla, Mirtilla Malcontenta … Ma dimmi, perché piangi ? – continuò Mirtilla, non che volesse rigirare il coltello nella piaga, ma sarebbe stato scortese ammettere di averla spiata. Alla domanda le labbra di Catherine tremarono leggermente, e tornò quell’espressione addolorata. Prima di rispondere però alla domanda, Catherine rimase per qualche istante interdetta.

–M-mi prendono s-s-sempre tutti in giro … e ecco, dicono c-che sono a-antipatica. – ammise balbettando Catherine, abbassando lo sguardo imbarazzata. Mirtilla fece in tempo a scorgere due lacrimucce rigarle il viso, sentendosi un po’ in colpa.

–Coraggio! Non piangere … non se le meritano! Ecco, forse dovresti essere più flessibile, no ? – le consigliò Mirtilla, cercando di fare del proprio meglio per essere convincente. Lei voleva davvero esserle d’aiuto, perché sapeva quanto erano scomode certe situazioni. Catherine si asciugò il viso con la manica e abbozzò un sorriso, si alzò il piedi e ringraziò Mirtilla.

Ma la scena mutò … Catherine si trovava proprio davanti alla Fontana di Bruinen, sfoderò la bacchetta ma rimase immobile. E fu proprio in quell’istante che Mirìel decise di agire: puntò lo sguardo sulla ragazza dai lunghi capelli rossi, e si concentrò. Dalle piccole labbra della Nemide usciva una dolce melodia, molto attraente e molto simile al canto delle sirene.

 

***

–Cath ? Caath ? Catherine svegliati! – sussurrò piano Corinne, scuotendo leggermente l’amica.

Dopo svariati tentativi, però, Corinne riuscì a svegliare Catherine, che sembrava ancora molto assonnata. Quando aprì gli occhi, constatò che solo loro due erano sveglie, e cercò di capire per quale motivo fosse stata svegliata così presto.

–Corinne perché mi hai svegliata così presto ? – chiese pacata, mettendosi a sedere. Poi batté piano la mano sul letto, invitandola a sedere accanto a sé. Doveva ammettere che non passava molto tempo con le sue amiche, e non riusciva a capire il perché. Ma infondo sapeva che le stava solo evitando, o meglio, stava evitando il “momento della rivelazione”, perché sapeva che prima o poi si sarebbero accorte delle sue gite notturne ogni mese, e non avrebbe potuto mentire a lungo, questo lo sapeva, ma non voleva perderle subito.

–Sei strana e non passiamo del tempo insieme dall’anno scorso, quindi ora mi dici cosa succede. – fece Corinne seria. Catherine abbassò lo sguardo, improvvisamente le pieghe del lenzuolo si fecero interessanti. Sospirò mestamente e si mordicchiò il labbro inferiore sinistro con fare nervoso.

–Non dirmi che “non è niente”, perché so che c’è qualcosa. Non ti ho chiesto nulla prima, perché pensavo che me l’avresti detto tu, come facciamo sempre. Hai sempre l’aria stanca, quasi afflitta, mi eviti, o meglio, eviti tutte noi e ancora non mi hai spiegato bene cosa ti è successo qualche giorno fa. Tu sei la mia migliore amica, e io mi preoccupo per te. – continuò Corinne prendendole una mano. Non voleva essere fredda o distaccata, solo che aveva così tante cose da chiederle, che non riusciva a formularne una alla volta. Catherine sorrise un po’ amareggiata; si chiedeva per quale motivo Corinne fosse sempre così diretta, ma non si rendeva conto che anche lei si comportava nello stesso modo con gli altri. Chiuse le tendine attorno al letto e fissò per qualche Corinne che esigeva delle risposte quantomeno esaurienti e subito. Sotto quella fitta chioma di capelli ricci di un castano scuro, v’erano quegl’occhietti dolci e speranzosi. Corinne, sebbene fosse un tipo diretto, riusciva sempre a compensare con quella dolcezza infinita che sprizzava da tutti i pori del suo essere.

–Devi promettermi che non lo dirai a nessuno e che nulla cambierà. – sussurrò Catherine incerta. Insomma, se quello doveva essere il momento, doveva assicurarsi almeno che non andasse in giro a sventolare il suo stato interessante ai quattro venti –non che fosse necessario, ma doveva comunque farglielo promettere- e poi be’, non voleva che anche lei se ne andasse schifata come aveva fatto Eliah, ma al suo ricordo Catherine s’impose di pensare ad altro.

Corinne dal canto suo fece un bel sorriso e annuì, portando la mano destra al cuore e la mano sinistra appena sollevata. Poi giurò, cominciando a chiedersi perché fosse tanto importante farlo, ma sorvolò.

–Be’, che dire …– disse non riuscendo a trattenere una risatina nervosa. –Sono un lupo mannaro … Fenrir Greyback, sai, la ragazza in estate ? Quella de “La Gazzetta del Profeta”, ne stavate parlando il giorno in cui siamo tornati qui ad Hogwarts. È per questo che Eliah mi ha lasciata. Eh, be’ qualche giorno fa –il giorno in cui sono sparita– era fase di luna piena, e poi sai com’è andata durante la punizione con Piton e il resto…– spiegò velocemente, torturandosi le mani. Poi alzò di scatto lo sguardo e analizzò Corinne per qualche istante; non sembrava essere troppo schifata, o almeno questo era ciò che poteva scorgere Catherine sul suo viso.

–Non è una presa in giro, vero ? – chiese Corinne scrutando Catherine seria, che di rimando scosse leggermente il capo senza aggiungere nient’altro. Il suo sguardo era già di per sé abbastanza eloquente. Avrebbe voluto piangere fino ad addormentarsi, ma doveva essere forte. Doveva superare la cosa, dal momento che in realtà lei non l’aveva presa per niente bene. Lei non l’aveva mai voluto e odiava esserlo. Ma in quel momento sapeva di poter essere se stessa, sapeva di poter lasciarsi andare allo sconforto che provava a causa della sua nuova condizione. Quando sentì le minute braccia dell’amica circondarla, non riuscì a trattenere le lacrime e i singhiozzi. Ma in quel momento capì quanto in realtà era stata sciocca a temere la reazione delle amiche. La loro amicizia era qualcosa di meraviglioso e sapeva che erano unite abbastanza da poter superare le avversità.

–Oh, miseriaccia! Avrei voluto vedere la faccia di Piton quando l’hai disarmato, oppure quando ha scoperto la “grande rivelazione”. Comunque per me non cambia nulla! – sdrammatizzò Corinne con timidezza. Poi l’abbracciò nuovamente e le rivolse un gran sorriso, ricordandole che erano migliori amiche.

–Catherine, non mi diverto a fare l’inquisitore, quindi lo sai che me le puoi dire le cose! – la rimproverò leggermente. Poi ridacchiò e aprì nuovamente le tende, infondo ora potevano parlare del più e del meno anche senza.

–Comunque cosa c’è in quella specie di acquario ? – chiese con un tono curioso e frizzante, mentre si vestiva. Catherine non rispose, non capiva come facesse Corinne ad essere sempre tanto loquace, spesso di mattina. Poi sorrise e mise una mano nel vaso, sentì Mirìel sedersi e la tirò fuori. Gli occhioni marroni di Corinne si spalancarono; Catherine poteva leggere tutta la curiosità e la sorpresa. Le raccontò delle Mimsee e di come lei, Charlie e Michael l’avevano creata. Corinne ascoltava diligentemente, e di tanto in tanto batteva le mani estasiata, proprio come una bambina che aveva appena ricevuto la cosa tanto desiderata. Quando finirono di vestirsi, si ritrovarono a parlare del torneo, e fu in quel preciso momento che Catherine parve illuminarsi, anche se Mirìel sapeva che era la sua magia che prendeva il sopravvento.

–Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Andiamo Corinne! Devo iscrivermi al torneo! – disse.

 

***

Ed eccola lì, al centro della Sala Grande, la Fontana di Bruinen, illuminata dai raggi del sole, mentre il resto della sala era avvolto in una soffice penombra. Sebbene fosse ancora presto v’era già un via-vai inconsueto di persone. Chi studiava, chi in gruppo chiacchierava, v’erano addirittura alcuni professori che sedevano già alla tavolata, immersi fittamente in qualche discussione avvincente, e poi, lì nei pressi, v’era una piccola moltitudine di persone nelle vicinanze della fontana. Catherine ne riconobbe solamente alcuni, poiché non provenivano tutti dalla stessa casa. In lontananza alcuni compagni di Grifondoro, tra i quali v’era anche Michael Towler, che pareva immerso fittamente in una probabile discussione sul Quidditch con i suoi compagni di squadra. Le due fanciulle si diressero quindi con grande curiosità verso quest’ultimi, dopo aver valutato attentamente la situazione. Tra quella piccola folla v’erano molti candidati al torneo e Catherine non vedeva l’ora di scoprire con chi avrebbe dovuto misurarsi. Iscriversi pareva essere molto più complicato del previsto, infatti ancora nessuno era riuscito nell’impresa.

–Pare proprio che bisogna munirsi di molto ingegno, eh ? – constatò Michael dando voce ai pensieri delle due ragazze che stavano pensando esattamente la stessa cosa.

–Già, pare proprio dilemmatica la faccenda, ma io ho un’idea … Spero solo che funzioni! – esclamò piano, scrutando con fare serio dapprima la fontana e poi i possibili candidati, tra i quali, con sua grande sorpresa, anche Eliah Beery, che ormai frequentava il sesto anno. I pensieri di Catherine la portarono ai vari ricordi legati a quel ragazzo. Sembrava che quella ferita non volesse guarire e Catherine ne soffriva, ne soffriva molto. Corinne, che le era di fianco, seguì con lo quello della rossa e appena capì cosa le frullava nella mente, tentò di riportarla alla realtà. Catherine gliene fu grata. Non aveva intenzione di crogiolarsi nel dolore di primo mattino. Poco dopo incedette verso la fontana, ma una voce familiare la costrinse a fermarsi.

–Oh guardate chi c’è qui, Catherine Prince, sporca traditrice del tuo sangue. Che ci fai qui ? Non ti hanno detto che questo non è per apprendiste streghette alle prime armi ?– disse Winkler che provocò l’ilarità dei suoi compari di Serpeverde. Catherine lo raggiunse con passo felpato e gli puntò contro la bacchetta. Quell’affermazione aveva suscitato rabbia non solo nella rossa, ma anche negl’altri presenti, tanto che alcuni li raggiunsero protestando e difendendo la compagna.

–Winkler, non osare! – ruggì Michael fuori di sé. Catherine s’interpose tra i due e lo fissò negl’occhi per molto tempo. Era uno sguardo tagliente e freddo, che non le si scorgeva quasi mai sul viso. Ma prima che potesse ribattere all’offesa ricevuta, si udì una voce che proveniva da qualche metro più distante.

–Winkler su, lasciala in pace e vediamo di cos’è capace. – disse un ragazzo dai capelli castano dorati appoggiato ad una colonna nella penombra. Era molto alto e nei suoi occhi si poteva leggere il mistero e anche una punta di desiderio. Era bello e Catherine per qualche istante si sentì … Attratta ? Forse Catherine avrebbe usato proprio quel termine per descrivere cosa provava in quel momento.  I loro sguardi s’incrociarono per qualche attimo, che parve loro molto più lungo. Winkler si fece da parte e la lasciò passare. Catherine fece ancora qualche passo, in quel momento sentiva tutti gli occhi puntati su di lei e fu pervasa da un’eccitazione mai provata prima. Ma tra tutti ve n’era uno, il cui peso era maggiore. Catherine si voltò e rimase incatenata a quegl’occhi azzurri, che per quanto fossero glaciali non le trasmettevano freddezza o superiorità, ma solo curiosità. Era eccezionalmente bello e il suo nome era James Evander Avery, ma Catherine ancora ignorava tutto ciò. D’un tratto incominciò a girare attorno alla fontana esaminandola. Niente di nuovo, i simboli elfici e le rune erano rimaste ai loro posti e per quanto aveva potuto decifrare, sapeva solo che tutto rimandava all’essenza, la vera e pura essenza delle cose. Ma quella mattina sembrava tutto così chiaro e Catherine non capiva perché. Sapeva solo che per qualche strano motivo sapeva esattamente cosa fare, ma solo quando puntò la bacchetta in direzione della fontana ottenne la consapevolezza delle sue azioni. Ora era tutto così ovvio. Essenza. Lei doveva mostrare la sua essenza, ma prima avrebbe dovuto acquistare la consapevolezza di ciò che ormai era e non poteva non essere. Non era semplice, poiché fonte di un indicibile dolore, ma era giusto. Catherine doveva accettare la sua nuova natura. Si concentrò per un momento su un pensiero felice: uno in particolare.

–Expecto Patronum! – pronunciò poi con convinzione. Dalla bacchetta scaturì un fascio di luce bianca, che prese forma di un lupo. Correva veloce in direzione della fontana e poco dopo, quando la raggiunse, vi s’immerse.  Per un momento nulla accadde, ma poco dopo dalla fontana si percepì un sibilo. E questo cosa significava ? Tutti si stavano porgendo la medesima domanda, ma pareva che nessuno sapesse darne una risposta soddisfacente.

   
 
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