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Autore: ValeryJackson    27/12/2012    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cammino dritta verso il mio armadietto, senza guardarmi intorno. Voglio evitare il più possibile gli sguardi degli altri. Lo so, è stupido, ma dopo quello che è successo con il ragazzo nuovo mi sento un po’ turbata.
Continuo ad avanzare a testa bassa, fissandomi le scarpe.
Sorpasso l’aula di Economia Domestica. Sono quasi arrivata. Il mio armadietto è a soli dieci passi da li.
Alzo lo sguardo per cercarlo. Lo trovo subito, ma ora non voglio più andarci. No, perché ora lì sostano Jessica e Mark, e si stanno baciando.
Faccio finta di non vederli e raggiungo l’armadietto. Metto la combinazione e lo apro. Prendo il libro di storia e il blocco per gli appunti. Poi richiudo l’armadietto. Loro sono ancora qui.
Mi fanno venire il nervoso. Oggi non è giornata, ma loro non lo capiscono, non se ne vanno.
<< Vi dispiace?>> sbotto ad un certo punto. Loro mi guardano con aria minacciosa. << Dovete proprio pomiciare vicino al mio armadietto?!>> dico con freddezza.
Loro si guardano e iniziano a ridere. << Perché?>> fa Jessica divertita. << Alla Rigida da fastidio perché lei non può farlo? Sei penosa …>>.
Mark si stacca da lei e viene verso di me. Si sistema il giubbotto e gonfia il petto. Il profumo speziato della sua acqua di colonia mi riempie le narici. È alto circa un metro e ottantacinque, cioè otto o nove centimetri più di me.
<< Senti>> mi dice << Questo è l’ultimo dei quattro anni più belli della mia vita, e io non me lo farò rovinare da una Rigida come te. Chiaro?>>.
Sostengo il suo sguardo. Una volta ho letto su un libro che non bisogna mai guardare negli occhi un cane, perché è un segno di sfida. Mi chiedo se anche per gli umani sia così. Spero di si, perché sfidarlo è proprio ciò che ho intenzione di fare ora. Voglio dimostrargli che non ho paura, perché non ne ho. In effetti non ne ho mai avuta. Loro hanno sempre pensato di si perché sono io che glie l’ho fatto credere. Mary mi ha sempre detto di non attirare troppo l’attenzione su di me. Se mi mettessi contro di loro l’attirerei eccome l’attenzione!
Non voglio, non voglio disubbidire a mia madre. Ma ora non riesco a trattenermi.
<< Qual è il problema, Mark?>> dico in tono di sfida. << Non avrai mica paura di me?>>. Lo guardo maliziosa. Lui irrigidisce la mascella, quindi capisco che funziona. Lo fisso ancora un po’ negli occhi, poi lui distoglie lo sguardo.
<< Andiamocene>> dice a Jessica. Le mette una mano dietro la schiena e la trascina via.
Sono piuttosto soddisfatta di ciò che ho fatto, anche se so che ho sbagliato. Ora mi prenderanno ancora più di mira. Non è detto. Ma anche se fosse non m’importa.
Mi dirigo a passo svelto verso l’aula di Scienze e prendo posto infondo alla classe. Suona la campanella e inizia la lezione.
È noiosissima, quindi ci metto poco a decidere di smettere di seguirla e di iniziare a scattare foto. Io amo la fotografia.
Fin da piccola fotografavo ogni cosa; foglie, alberi, paesaggi, persone, visi sconosciuti, animali. Mi piaceva, da morire. Amavo aprire il vano posteriore della macchina e srotolare il nuovo rullino di qualche centimetro, quel tanto che bastava per pinzarlo nella guida. Pensare che quella pellicola vuota presto sarebbe diventata qualcosa e non sapere ancora cosa. Fare i primi scatti a vuoto. Mirare. Mettere a fuoco. Sbilanciarsi avanti e indietro con il busto. Decidere di includere o escludere pezzi di realtà come mi pareva. Ingrandire. Deformare. Ogni volta che udivo il 'clic' dello scatto, seguito da quel leggero fruscio, un brivido mi correva lungo la schiena.
Per me fotografare significa darmi la possibilità di rallentare il battito del tempo, il fluire delle visioni, l'impressione della realtà stessa.  
Mi piace caricarle poi e inserirle nel mio sito web “Striking New York”. In teoria dovrebbe essere un sito della scuola, ma possono accedervi anche persone esterne, e molte volte lo fanno.
Prendo la macchina fotografica dallo zaino e inizio a scattare. Kelly Jackson si sta facendo un treccia. Mattia Gonzales guarda fuori dalla finestra con aria persa. Karin McGrarden e Steven Luiu si stanno tenendo per mano. Bellissimo.
Ad un tratto una mano sbatte sul mio banco. Alzo gli occhi. Il professore mi sta fissando, e dal suo sguardo sembra arrabbiato.
<< Venga con me, signorina Hart>>. Ok, sono nei guai.
Mi alzo con riluttanza e lo seguo fuori dalla classe, poi lungo il corridoio, e infine nell’ufficio del preside. Batte tre volte sulla porta, poi entra senza che nessuno gli dia il permesso.
Il nostro preside si chiama Harris. È grasso e quasi calvo, gli rimangono solo un po’ di capelli sulla nuca e sui lati. Gli pende la pancia dalla cintura. Ha gli occhi piccoli e lucenti, troppo ravvicinati. Sta leggendo un giornale locale. Alza lentamente lo sguardo solo per vedere chi è, poi lo riabbassa velocemente.
<< Buongiorno>> dice con indifferenza.
<< Buongiorno, preside Harris>> dice il professore.
<< Buongiorno>> dico io, con riluttanza.
<< Come posso aiutarla, professor Crubs?>>.
Il professore si impettisce, schiarisce la voce e mi indica. << Questa ragazzina, qui, scatta foto durante la lezione!>>. Mi strappa la fotocamera da mano. Non mi ero neanche accorta di averla ancora. << Con questa fotocamera!>>
Alzo gli occhi al cielo e mi accomodo su una delle due poltrone che ci sono nell’ufficio. Questa sarà una lunga giornata.
Il professor Crubs posa la macchinetta sulla scrivania.
Il preside posa il giornale e guarda prima il professore, poi la fotocamera, poi me, poi la fotocamera, poi di nuovo me. Aspetto la ramanzina, ma lui, inaspettatamente, mi sorride, e sembra che il sorriso gli inghiottisca gli occhi.
<< Una Panasonic Lumix FZ48!>> esclama. << È un’ottima macchinetta!>>
Sorrido a mia volta. Lui è dalla mia parte. << Già>> dico << Lo so. Pensi che ha controlli manuali accanto ai migliori automatismi per i principianti, registrazione video Full HD ed effetti speciali per i fotografi creativi. Manca però il supporto al formato RAW>>.
Lui annuisce. << Già. Ma puoi provare sempre la Panasonic Lumix FZ150. È simile alla FZ48, ma con in più il formato RAW, un display LCD orientabile (comodo in certe situazioni di ripresa) e la registrazione video sempre Full HD ma 1080/60p. Inoltre la macchina supporta un microfono esterno. Sono notevoli le prestazioni, con una velocità massima di scatto che arriva fino a 12 foto al secondo>>.
<< Wow!>> esclamo.
Il professor Crubs si sgranchisce rumorosamente la voce. << Preside Harris! Ha capito cosa ho detto?>>
Il preside lo guarda. << Si, ho capito. Ma non vedo cosa c’è di male…?>>
Il professor Crubs sbuffa, indignato. << Oh, beh … c’è di male che la qui presente signorina Hart pubblica poi le sue foto su quello stupido sito internet!>>
<< Non è stupido!>> mi difendo.
<< Vi dispiace se giudico io?>> fa il preside. Apre il suo pc e lo accende. << Com’è il nome del sito?>>
<< “Striking New York”>> rispondo.
Lui annuisce e scrive il nome del sito. Capisco che si è caricato quando fa un risolino. Si sgranchisce la voce e assume un’espressione che dovrebbe sembrare seria. Ma si nota che si sta divertendo molto.
<< Professor Crubs>> dice. << Lei dovrebbe dare il buon esempio ai ragazzi!>>.
Il professore sembra non capire e raggiunge il preside dietro la scrivania per guardare sul monitor. Mentre sul suo viso spunta un’espressione indignata, su quello del preside si forma un grosso sorriso, che si trasforma subito in una risata.
Io non capisco cosa ci sia di divertente. Il professore mi guarda furioso.
<< Mi spiega perché l’ha fatto?!>> dice e gira il monitor verso di me. A quel punto capisco: c’è una sua foto mentre si scaccola. Mi viene da ridere, ma non lo faccio.
<< La luce era molto buona>> dico.
Lui sbatte un pugno sul tavolo. << Ora capisce?>> dice rivolto al preside. << Io propongo la sospensione!!>>
<< Cosa?!>> chiedo io. << Per una semplice foto?>>
<< Una semplice foto? La chiami una semplice foto questa?>>
Non so cosa rispondere, ma per fortuna il preside mi precede. << Se non vi dispiace, sono ancora io che decido.>> dice rivolto a Crubs, poi si volta verso di me. << Puoi cancellare quella foto dal sito, vero?>>. Annuisco.
<< Ma a che serve? Ormai quella foto avrà già fatto il giro di internet!>>
Io sbuffo e distolgo lo sguardo. Dietro la vetrinetta del preside riconosco il ragazzo nuovo, che evidentemente aspetta l’orario delle lezioni dalla segreteria. Mi sta fissando. Accenno un sorriso, ma lui distoglie subito lo sguardo. Questa cosa mi da fastidio.
<< Vada fuori, per favore>> dice il preside. Non ho sentito il resto della conversazione quindi non so se si riferisce a me. Poi il professore esce furibondo sbattendo la porta. Rimaniamo solo io e Harris, ora.
Lui mi guarda e si alza dalla sedia. Mi raggiunge e si siede sull’altra poltrona vicino a me.
<< Valeri>> comincia con tono calmo e dolce. << Non posso continuare a difenderti sempre. Devi smetterla di pubblicare quelle foto sul tuo sito. Non a tutti può fare piacere>>
<< Sono solo delle semplici foto. Che c’è di male?>>
<< Promettilo>>. Lo guardo. È molto calmo. Non vuole punirmi, ma non ha altra scelta.
<< Qual è la mia punizione?>> chiedo.
Lui ci pensa un po’. << Niente più pubblicazioni senza prima il permesso di professori o studenti.>>
Sgrano gli occhi sbalordita. Lui mi fa l’occhiolino.
<< Promesso?>> chiede.
Annuisco. << Va bene>>
<< Bene>> dice lui alzandosi e tornando alla scrivania. << Puoi andare, ora.>>
Non me lo faccio ripetere due volte. Mi alzo velocemente, prendo la mia macchinetta, accenno un sorriso ed esco da quel losco ufficio. Il preside non è male, e l’arredamento e confortevole, ma è pur sempre il luogo più odiato dagli studenti.
Appena sono fuori dalla stanza noto che ora il ragazzo nuovo sta parlando con la segretaria. Lei gli consegna delle carte. Avanzo velocemente per non farmi notare ma ormai è troppo tardi.
<< Valeri!>> urla Edda, la nostra segretaria. Io mi blocco. << Questo ragazzo è nuovo. È arrivato stamattina.>>
Lo guardo. Lui mi sorride. Il suo sorriso è bellissimo. Bianco e splendente come il sole. Non porta più il cappuccio della felpa, quindi ora si vedono perfettamente i suoi capelli color biondo miele. Avevo ragione, i suoi occhi sono azzurri come il mio cristallo.
<< Perché non lo accompagni al suo armadietto?>> dice Edda, facendomi l’occhiolino. Si avvicina a me. << È proprio un bel ragazzo. Vero?>> bisbiglia. Io sorrido e le faccio cenno di si. Lei risponde al mio sorriso e torna nel suo ufficio.
Guardo il ragazzo nuovo. Edda ha ragione, è proprio bello. Abbasso lo sguardo, imbarazzata dal mio pensiero, come se lui avesse potuto sentirmi.
<< Che armadietto hai?>> gli chiedo.
Lui controlla sul suo foglio di carta. << B111>> risponde. La sua voce è calda e fredda allo stesso tempo.
Fantastico” penso. Il mio è il B115. Significa che lo vedrò praticamente ogni giorno.
<< Bene>> dico. << Vieni, te lo mostro>>. Gli faccio segno col capo di seguirmi e lui non esita un attimo prima di arrivare al mio passo.
Per un po’ restiamo in silenzio, poi decido di rompere il ghiaccio. “È solo un ragazzo” mi dico. “Non è di certo il primo che vedi”. Il primo che vedo no, è vero, ma è il primo che mi fa quest’effetto.
<< Allora … >> comincio. << Di dove sei?>>
Lui esita un attimo, poi risponde. << Toronto>>.
Lo guardo da sopra a sotto. La sua pelle è abbronzata, di quelle abbronzature perfette.
<< Un po’ abbronzato per Toronto>> commento.
<< In realtà …>> dice lui, con un po’ di esitazione. << I miei sono di Toronto, ma io sono nato a Santa Fe>>.
<< Aa … New México!>> dico, con accento spagnolo. Lui ride.
Percorriamo qualche altro passo in silenzio. Poi raggiungiamo il suo armadietto. Ci fermiamo.
<< Ecco, questo è il tuo armadietto, il B111>> dico. << In fondo al corridoio, a destra c’è l’aula di Economia Domestica, mentre in fondo a sinistra ci sono i bagni e l’aula di Storia>>. Lui annuisce.
<< Se hai bisogno di me, il mio armadietto è quello>>. Glie lo indico, ma subito dopo me ne pento. Perché l’ho detto? Non me l’ha mica chiesto. Ora sembrerò spacciata?
Invece, lui sorride. << Grazie>> dice.
Annuisco, sollevata. << Di niente. Io sono Valeri Hart>>. Aspetto che lui mi dica il suo di nome, ma non lo fa. È assorto nel leggere l’orario delle lezioni. Lo guardo in attesa fin quando lui non se ne rende conto.
<< Ah! Ehm … >> balbetta. << Sono John Smith>>.
Lo guardo. Non starà dicendo sul serio? Ovvio che non dice sul serio. È che non vuole dirmi il suo nome. Che scema che sono!
<< Ok>> dico, evidentemente delusa. << È ovvio che non vuoi dirmi come ti chiami. Beh, quando vorrai farlo, sai già qual è il mio armadietto. Ci si vede in giro, “John Smith”>>. Lo saluto e me ne vado.
Non so se ho fatto bene a trattarlo così. Ma ora non voglio pensarci. Se, magari, avevo un minimo di possibilità con lui, ora è sicuro che l’ho persa.
Che stupida! Stupida, stupida, stupida!
  
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