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Autore: mortuaary    28/12/2012    1 recensioni
- Come si può soffrire e gioire dello stesso istante ?
La realtà in cui vive Katelynn si frantuma davanti ai suoi occhi senza che lei possa reagire. A sua insaputa, ciò che più desidera, l’attende dietro l’angolo.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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I pneumatici sommessamente scrostati dall’usura, di un taxi altrettanto deteriorato, percorrono il lungo tratto che divide Amburgo dal piccolo studio di registrazione. Tom fissa distratto le goccioline di pioggia che lottano flebili per rimanere aggrappate alla lamina di vetro da cui è composto il finestrino a manovella e, mentre una di esse raggruppa le altre formandone una più massiccia, sbuffa, maledicendo la scelta tra un mezzo indiscreto ma obsoleto rispetto alla sua auto sulla quale erano scrupolosamente accomodate le chiappe di Bill.
 
L’unico lato positivo, se così può esser definito, è che si trova già a metà strada: le ore precedenti trascorse a Celle (raggiunta con i mezzi pubblici che tanto detesta) sembravano interminabili. Stando lontano da occhi curiosi, è riuscito a schiarirsi le idee e attuare un piano di fuga con l’aiuto ed appoggio immediato di Irina.
Dopo due orette giunge finalmente a destinazione. Sgancia al taxista una sostanziosa mancia che il povero vecchietto intasca subito, pettinandosi i lunghi baffi bianchi, ma non facendo in tempo a ringraziare o salutare: il ragazzo è già sfuggito dal suo campo visivo.
 

-

 
Sto guardando distrattamente il panorama locale celato al di fuori della finestra e, con sorriso malinconico, do un ultimo tiro alla mia sigaretta mentre Bill suona note familiari al pianoforte. Ammiro le forme che l’acqua ha assunto sulle varie cancellate, trasformandosi in cristalli tanto incantevoli quanto fragili: un po’ come me, in quest’ultimo periodo.
Ad un tratto, tutta la mia attenzione si focalizza sull’unica auto passata di qui nelle ultime due ore e mezza: un taxi malconcio, imbrattato di neve e dall’aspetto visibilmente datato.
Un ragazzo, a diversi metri di lontananza, percorre a rilento la traversa attigua e, man mano che riduce la distanza, conferma la mia supposizione. Si tratta di Tom.
La sua andatura ha qualcosa di particolarmente inconfondibile, ti rimane impressa sin dalla prima volta che la osservi. Raggiunge l’edificio a testa china, assorto nei suoi pensieri e, senza degnarsi di sbirciare verso l’alto, suona il citofono. Con un balzo sono in piedi, fremente, facendo trasalire nuovamente anche il gemello. Lui tronca l’accordo che stava suonando poco prima e apre al fratello, similmente accigliato dai suoi menti.
 
-         Finalmente! – Gli vado incontro tanto velocemente da quasi inciampare sul plaid color porpora che, fino a poco prima, avevo sulle spalle. Mi fermo sulla soglia in punta di piedi.
-         Buongiorno anche a te. Ciao Bill. – Ricambia il mio abbraccio salutando poi, con fare complice, il gemello che gli lancia qualcosa: dal rumore intuisco essere le chiavi dell’auto. Chiude la porta con un rumore sordo, prima di oltrepassarmi indifferente.
-         Un taxi di quel genere non ti si addice per niente. – Sposto i capelli all’indietro, apparentemente noncurante della sua freddezza nei miei confronti.
-         E tu che ne sai? – Bisbiglia, mentre fruga nel frigobar; estrae dei waffel e della glassa alla vaniglia con fare sospettoso. – Uno di voi è stato da queste parti, ultimamente? –
 
Il gemello appare dalla porta a soffietto che divide la saletta in cui ci troviamo -munita di pianoforte ed alcune chitarre acustiche- dalla cabina, contenente tutto il resto.
 
-         Vengo soventemente qui, non penserai mica che tolleri morir di fame. – Tamburella i polpastrelli sullo stipite della porta e poi inarca un sopracciglio: è evidente che avrebbe preferito tenere per sé quest’ammissione.
-         Ok. Beh ho avuto una mattinata abbastanza rozza -non potete immaginare l’odore stantio che risiede nei bar della metropolitana- perciò ho rinunciato a fare colazione. Spiacente per i tuoi waffel. – Infila ciascuno nel tostapane posto sopra il frigorifero e aziona il macchinario, prima di sedersi sul pouf adiacente al mio.
 
La sua apatia è lampante, ciò non fa che disturbarmi. Tendo la testa da un lato, in ascolto, e dai continui rumori provenienti dalla cabina intuisco che Bill è tornato a fare lui-solo-sa-cosa. Ne approfitto così per tastare un po’ il terreno, indagando sui fatti che hanno angustiato il gemello a tal punto; per un attimo, il pensiero di esserne un’ipotetica responsabile dilaga nella mia mente.
 
-         Va tutto bene? – Intimo, mentre il tostapane avvisa che il pasto è pronto.
Si alza, dandomi le spalle ed annuendo: gesto che conferma esattamente il contrario. E’ straordinario come comunichiamo utilizzando semplici gesti involontari: il linguaggio del corpo, talvolta, è molto più sincero del dialogo.
-         Spero non ti sia annoiata con mio fratello. Avevo delle cose urgenti da fare. – Spreme una quantità sovrabbondante di glassa sui waffel, prima di ricomporsi affianco a me.
-         No, assolutamente. Mi auguro che le “cose urgenti” a cui ti riferisci non ti turbino per il resto della giornata. – Sospiro, infastidita dal fatto che esse possano allontanarci. Non ho mai amato le tensioni, mie o altrui che siano.
-         Nulla di grave, ti spiegherò presto. Rivestiti e chiama l’esploratore Paperino, per favore. – Accenna un sorriso mentre, con un ultimo boccone, finisce il primo waffel.
 

-

 
Per qualche strano motivo ho preferito accomodarmi sul sedile posteriore, in viaggio verso chissà dove, rinunciando così alla libertà acquisita da pochi giorni di poter ammirare il mondo dal sedile anteriore. Avendo sempre avuto autisti che guidavano per me, non ho mai necessitato della patente e per la mia posizione ho sempre lasciato che fossero gli altri a scortarmi. A diciotto anni però ero stanca di guardare gli altri agire per me, che fossi una celebrità o meno ormai non contava più. Volevo la mia libertà e, anche se in minima parte, l’ho infine conquistata.
 
I due ragazzi, ammutoliti da mille discorsi retorici in testa, rendono l’abitacolo ancora più pesante da sopportare e, mentre io alleggerisco il tutto mostrandomi sorridente, i chilometri scorrono sotto i nostri piedi. Il pensiero di essere ancora una volta all’oscuro della realtà mi manda in bestia ma, onde evitare di essere rispedita in Russia o da qualsiasi altra parte del mondo, continuo a fingere di non essermi accorta di niente.
 
Sospiro, ponderando lo strano silenzio di Nathan degli ultimi giorni. Che stia architettando una vendetta -com’è suo solito fare- oppure si sia finalmente rassegnato all’idea che non sono una proprietà, benché meno sua?
 
Non distinguo con precisione quante ore siano passate da quando un turbinio di linee continue, qui tratteggiate e qui parallele ci hanno accompagnati in questo viaggio supersonico, giungendo a una stradina residenziale. La guida di Tom ha reso impossibile sia la conciliazione del sonno (nonostante il silenzio persistente) che la concentrazione sulla musica, o su qualsiasi altra cosa.
 
Scorgo il nome di questo vicoletto tranquillo, dove oltre alle auto parcheggiate con rigoroso ordine non vi è anima viva se non tre paia di occhi vacui. Machabäerstraße, Colonia. La stanchezza del viaggio rende irrazionale anche solo il concetto di essere ancora su territorio tedesco.
 
-         Non vorrei sembrare scortese ma, ora posso sapere dove siamo? – Chiedo, una volta scesa dalla macchina ed aver piroettato su me stessa più e più volte.
-         Saliamo. Tutto ti sembrerà più chiaro dopo un bicchiere d’acqua. – Il sorriso imbarazzato di Bill mi riporta alla normalità, sollevandomi dal fatto che sia a conoscenza di dove ci troviamo. Tutto suona meno come un rapimento, ora.
-         Ci vorrebbe della vodka. – Sussurro indugiante, quasi parlassi tra me e me.
 
Ed in men che non si dica ci ritroviamo nell’attico della via con più costruzioni bianche che io abbia visto in tutta la mia vita. La correità con cui si fondono col grigio pallido del cielo è a dir poco nauseante: rende la situazione ancor più gelida.
 
-         Ci sono delle novità. – Annuncia Tom, soppesando accuratamente le parole. La sua intonazione sicura mi fa pensare che alla guida non fosse realmente in modalità “offline” ma meditasse su come iniziare questo discorso, e alle sue conseguenze.
-         Continua. – Senza troppi entusiasmi mi prometto di rimanere quieta.
Con passo meccanico –sembra quasi stia calcolando le distanze tra un piede e l’altro- il ragazzo si aggira per il soggiorno calpestando più volte gli stessi metri quadri della moquette color caffè che avvolge il pavimento. Tenendo a bada di non fissarlo troppo, attendo che prosegua mentre il fratello mi siede accanto, muto e cauto come un felino.
 
- Temo… – schiarisce la voce- temiamo, che vi saranno problemi alla tua sfilata. –
- Posso sempre rifiutare. – Espongo troppo frettolosa e al contempo allibita: tutto avrei pensato meno che il problema riguardasse il mio lavoro. Respiro, ricordando la promessa erettami poco prima. – Scusa, prosegui. –
- E perché perdere un’occasione che sogni da una vita? – La sua voce infastidita sottolinea ancor più l’illogicità della mia affermazione. Non posso rinunciare, per nessun motivo.
 
L’improvviso scroscio della pioggia s’intromette nella nostra conversazione, avvicinandoci nel volerla concludere il prima possibile. Le nuvole hanno scelto il momento peggiore per scontrarsi: l’inquietudine che già scaturisce dalla discussione in atto è vapore acqueo che intacca le vie respiratorie, appesantendo tutti quanti.
 
-         Arriviamo al sodo, per favore. – Supplico, mentre un tuono irrompe sul mio timbro rendendolo quasi feroce. Se non fossi così tesa, sarei scoppiata a ridere. Mi ritraggo, allungando le maniche del maglione fin sopra le nocche.
-         Sì, beh, abbiamo pensato di triplicare la sicurezza e soprattutto non permetterti di alloggiare in hotel in quanto saresti una preda facile. Ti daresti direttamente in pasto al tuo dolce ragazzino, oltre a quei famelici dei paparazzi. – Dall’ultima affermazione percepisco che ci sia già molto di tutto questo sui giornali. Ripenso alla considerazione fatta poco prima in auto.
-         Era scontato che in tutto questo centrasse Nathan. –
-         Irina dice che la vostra lovestory è diventata d’importanza internazionale, non si parla d’altro né sui giornali né in televisione o radio: è come se tutti stessero aspettando un boom definitivo. – Il pensiero di Bill definisce nella mia testa fotogrammi di un imminente futuro che spero di non dover vivere.
-         Tagliando corto, tutti pensiamo che si verificherà qualcosa e preferiamo prevenire che curare. – A questa frase ripenso ai dialetti che spesso recitava mia nonna quand’ero bambina e questo addolcisce un po’ i miei lineamenti.
 
Ora è tutto chiaro: sarei rimasta prigioniera in quest’attico abbagliante sino alla sfilata. Mi fa piacere che vi sia apprensione nei miei confronti, ma non venir nemmeno interpellata su ciò che riguarda strettamente me e la mia vita m’infastidisce. Vorrei poter salire sulla cima del mondo ed urlare le mie ragioni.
 
-         Okay, beh pensate davvero di fermarlo rinchiudendomi qui? – Dallo sguardo che mi rivolge Tom capisco di aver fatto vacillare, in due secondi, tutte le sue supposizioni al riguardo.
Non mi sento granché consapevole, visto che il mio punto di vista non è stato minimamente richiesto.
-         Ci speriamo. – Sbuffa mantenendo il tono fermo e allontanandosi da me. Bill al mio fianco non ha spiccicato parola, è il ritratto fantasma di una sagoma che riflette senza proferir alcuna idea.
Al confronto, preferisco il suo modo di fare rispetto a quello del gemello.
-         Bene, non mi opporrò. E’ per la mia sicurezza e non ho intenzione di rendere infernale l’attesa alla sfilata a cui sogno di partecipare sin da bambina. Con ciò, sappiate che non temo nulla. Non ho paura di affrontare alcuna situazione, in caso si verificasse, ma se accetto questo compromesso è semplicemente per la motivazione che vi ho appena dato. – Concludo, lasciando che il peso di tutta la tensione cumulata si rilasci, abbandonando le spalle al divano.
-         Mi rendo conto che potevamo almeno interpellarti. – Sussurra Bill al mio fianco con lo sguardo chino. La mia mano finisce meccanicamente sulla sua spalla, accarezzandola come a rassicurarlo.
Rivedo scritte le mie considerazioni mentali fatte sul linguaggio del corpo poco prima ed inconsciamente noto d’aver agito mentre Tom era di spalle. Dallo sguardo sorpreso del gemello intuisco che sta pensando lo stesso e mi allontano, sebbene sorridendogli. La mia aggressività non ha alcun potere, quasi scompare, quando ho a che fare con questo ragazzo-felino.
   
 
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