Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Ricorda la storia  |      
Autore: VaVa_95    28/12/2012    6 recensioni
28 dicembre 2012. Sono già passati tre anni dalla morte di Jimmy. I Deathbats lo piangono e lo ricordano. Ma loro? Cosa fanno loro? Cosa fa Brian?
Il chitarrista decide di seguire il consiglio di Matt. Decide di scrivere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Letters from our souls



Image and video hosting by TinyPic
 





Ciao Jimmy.
Ti sto scrivendo una lettera. Si, sto scrivendo una lettera, io.
Prendere nota prego, non succederà mai più.
Il bello è che non so nemmeno che cosa scrivere. Ho solo preso carta e penna. Insomma, può uscire di tutto con carta e penna, no? Una canzone, per esempio.
Invece no, io sto scrivendo, sto scrivendo a te. Me l’hanno consigliato i ragazzi, qualche giorno fa. Hanno detto che mi avrebbe aiutato a stare meglio. Avrebbe aiutato ad evitare di chiudermi in camera tutto il giorno mentre loro cercano in tutti i modi di farmi uscire, inutilmente.
Il fatto che siano sempre qui, però, sempre pronti ad aiutarmi, a farmi alzare quando cado, mi dà forza. Quella forza necessaria per sopravvivere. Per loro, mica per me.
Sai, con oggi sono tre anni che sei morto.
Sono tre anni che sono solo al mondo.
Sono tre anni che provo ad andare avanti ma non ce la faccio. E come potrei fare? Senza di te, tutto perde senso.
Tutto. Anche la musica.
E pensare che è proprio da lì che tutto è cominciato.
Te lo ricordi? Io si. Mi ricordo anche la data: 20 agosto 1991. Avevamo solo dieci anni. Ed eravamo piccoli. Se non altro, però, sapevamo già come girava il mondo, sapevamo già quel che volevamo fare. Il nostro primo vero punto di incontro.
Ci siamo presi a pugni, quel giorno, e ci hanno cacciato dal negozio. Ma sai, ora vorrei tornare lì e abbracciare il negoziante perché quel giorno mi fece conoscere la persona più importante della mia vita. Strano come le opinioni cambiano.
E mentre eravamo seduti su quel muretto a tirarci frecciatine (giusto per non prenderci a pugni di nuovo, ti ricordo che sei tu quello che ha fatto più male, mica io!), ti sono cadute le bacchette della batteria dalla tasca. Ti ricordi, quanto ho spalancato gli occhi? E ti ricordi i tuoi occhi blu illuminarsi al “suono la chitarra”? Io me lo ricordo. Non l’ho mai dimenticato, neanche per un istante.
Non te l’ho mai detto, ma quella notte ti sognai. Sognai i tuoi occhi azzurri, la loro purezza, la loro lucentezza… la loro gentilezza.
Tu facevi tanto il cattivo ragazzo, senza mai immaginare, neanche per un attimo, quanto i tuoi occhi tradivano il tuo comportamento. Sono sempre stati puri. Sono sempre stati buoni.
È lì che ho capito che io e te saremmo rimasti insieme, per sempre. Nonostante tutte le difficoltà che ci saremmo trovati ad affrontare. Ci saremmo sempre stati, l’uno per l’altro.
Ed è quello che è successo.
Ti ricordi? Tutti i Natale passati insieme? Mi ricordo che quando avevamo tredici anni tuo padre indicò una calza con scritto “Brian” appesa al caminetto, dicendomi che ormai facevo parte della famiglia, perché rendevo felice te come nessun’altra persona al mondo.
È sempre stato come un secondo padre, per me.
E l’unico uomo in grado di sostenerci sempre anche se non riusciva a capirci. Perché diciamocelo, lui non ci ha mai veramente capito, non capiva perché volevamo affrontare il mondo della musica e non capiva nemmeno come mai volevamo un futuro senza certezze, perché fare musica porta  a questo. Non si sa quel che succede, un attimo prima sei al centro della scena e un attimo dopo la gente non si ricorda nemmeno chi sei.
Ma è sempre rimasto lì. A dire che gli Avenged Sevenfold erano la band migliore del mondo. Chissà se lo pensa ancora. Se continua a sostenerlo a gran voce.
Già, ti ricordi? La nostra band. I nostri progetti. I sogni di cinque ragazzi chiusi in un nome e in un teschio con le ali. Ma che poi si sono realizzati, tutti quanti.
 
Sono uno schifo, Jim, un vero schifo. Tu non mi volevi di certo così.
Non volevi che abbandonassi tutti, insieme ai ragazzi.
Perché ho abbandonato tutti. Ho lasciato Joe e Barbara, ho lasciato Leana. Ho detto loro che mi sarei fatto vivo, senza poi alzare quella cavolo di cornetta del telefono nemmeno una volta.
Non so niente. Non so cosa fanno. Se stanno bene, se stanno male come me. Non so se mi odiano o se mi vogliono bene come prima.
Spero nella prima opzione, perché me lo merito. Perché sono stato un perfetto stronzo. Di certo, se fossi qui, mi diresti “ma cosa ti prende Bri? Che hai nel cervello, noccioline?”.
Macché, nemmeno le noccioline vorrebbero stare nel mio cervello.
 
I ragazzi stanno bene e, neanche a dirlo, mi fanno stare bene.
Mi fanno sentire vivo, anche se per poco. Con loro sono vivo. Ma quando loro se ne vanno, cosa faccio? Sprofondo sul letto, sul divano, non mi alzo finché non mi viene detto di farlo.
Penso a te, sempre.
E penso anche al fatto che mi amano, mi amano davvero alla follia e lo dimostrano sempre, ma io non ho mai occasione di dire loro “vi voglio bene” per quello che fanno.
Matt è papà, ormai. È un maschietto, ma sono sicuro che lo sai. È un ottimo padre. E continua a dirmi che sono un ottimo zio, ma River mi fa ricredere, dato che tutte le sacrosante volte che lo prendo il braccio il piccolo si diletta a lasciare un ricordino nel pannolino.
Quando sarà più grande gli chiederò che accidenti gli ho fatto di male.
Zacky è sempre il solito. Ma è dimagrito, sai? Non è più la polpetta rotolante a cui eri abituato. A volte vorrei prendere un barattolo di Nutella e farglielo mangiare, ma poi so che Gena mi ucciderebbe, quindi lascio stare. Sai com’è fatta, quella donna.
Johnny non è più il piccolino della situazione. Ora che ci penso, non lo è mai propriamente stato. È sempre stato il più maturo dei cinque. A parte quando è ubriaco, si intende.
Si, il suo vizietto di bere tanto non se l’è fatto passare, ma io e i ragazzi ci stiamo lavorando. Anche noi abbiamo cominciato a moderare le quantità di alcol. Stiamo andando alla grande, pensa che l’altro giorno Val si è pure fatta scappare un complimento.
E non è da lei, lo sai benissimo.
Non si rendono conto del bene che mi fanno.
Ma non si rendono conto nemmeno di quanto mi senta solo.
E meno male che non lo sanno. Altrimenti organizzerebbero qualcosa come “si dai, lanciamo le lanterne cinesi nel cielo” o cose di questo genere.
L’ho visto fare in un film, quello delle lanterne (si, quando so che sto per crollare accetto di vedere stupidi film sdolcinati con Michelle, guarda un po’ come mi sono ridotto): si accendono e poi si lanciano in cielo, ricordando il nome della persona cara che, appunto, non è più sulla terra, ma se ne è andata. Morta. Ma è una cosa veramente stupida.
Lanciare lanterne cinesi nel cielo significa andare avanti. E sai che significa andare avanti? Significa dimenticare.
E io no, non voglio dimenticare. Anche se tutto quello che resta è un vuoto, un enorme vuoto dove prima c’era la persona a cui tenevi, che ora non c’è più.
E il tuo vuoto è troppo grande.
Perché tu sei sempre stato la ragione per cui andavo avanti, ogni giorno. E ora che non ci sei, la tentazione di farla finita è forte, fortissima.
Ma poi penso ai ragazzi, a quanto questa cosa li distruggerebbe: anche loro ti hanno perso, anche loro ne sono usciti devastati. Se perdessero anche me, sarebbe peggio. Faccio ben poco, ma per loro ci sono, sempre.
In fondo, sono la mia ragione di vita.
 
Sai Jimmy, ti ho odiato.
Ti ho odiato, tantissimo. Ti ho odiato perché te ne eri andato.
Perché eri così lontano. Dannatamente lontano. E non potevo raggiungerti. Non potevo salire in macchina e venire da te, perché il posto in cui sei non si può raggiungere.
Ed ero obbligato a stendermi sul letto, a scavare nella mia mente, a cercare un posto in essa per tenerti vivo, per sempre.
Si, sto ripetendo le parole della canzone.
La mia canzone, quella che ho scritto per te. Solo per te.
Quel giorno ho davvero pensato di non vivere più. Ma poi, ho accolto il consiglio di mio padre, che è anche quello che mi ha dato Matt qualche ora fa schiaffandomi questo benedetto foglio in mano: scrivi.
Scrivi perché è il modo migliore per ricordarlo e per farti in qualche modo stare meglio.
Ed è uscita quella canzone. Quella canzone sulla quale ho versato così tante lacrime, così tanto sudore, così tanta tristezza.
Ho dato l’anima per quella canzone. Volevo che fosse perfetta. Perché tu eri perfetto, e lo sei ancora. I ragazzi mi vedevano girare avanti e indietro per lo studio di registrazione, mentre urlavo che non andava bene, che dovevo suonare in un altro modo, dovevo suonare meglio, per te.
Ti ho odiato, in quei giorni, ti ho odiato tanto. Perché mi hai lasciato solo.
Come mai mi hai lasciato solo, Jimmy? Tu sapevi, sapevi che senza di te non ce l’avrei mai fatta.
Ma te ne sei andato comunque.
 
Non fraintendermi, ti prego.
Perché io ti amo. Ti amo alla follia. Perché sei il mio migliore amico. Ma in quei giorni non avevo niente.
Se non il tuo ricordo.
Ed è lì che ho cominciato a ricordare, tutto, ogni singolo attimo passato insieme. Ed è stato strano, preoccupante e al contempo meraviglioso il fatto che non ne avevo dimenticato neanche uno. Mi ricordo tutto, ogni giorno della nostra vita, ogni attimo che abbiamo passato insieme. Come se fosse appena successo. Nella mia mente tutto è ancora lì, intoccato.
Ci sei tu.
Con la tua allegria, con la tua serenità, con il tuo essere semplicemente te stesso. C’è il Jimmy che amo, il Jimmy che continuerò ad amare, il Jimmy che, in qualche modo, sarà sempre con me.
Il mio Jimmy. Il mio e di nessun’altro.
Dopo tutto ciò, è inutile dire che mi manchi.
Mi manchi, tantissimo. A volte mi sembra di impazzire, da quanto mi manchi.
Mi manca la tua risata. Mi mancano i tuoi occhi. Mi manca semplicemente sentire il suono dei tuoi passi in corridoio mentre entravi in camera mia per buttarmi giù dal letto. Mi manca tutto, di te, ogni singola cosa.
Ma, al contempo, so che non devo preoccuparmi.
So che tornerai. Tornerai per me e per i ragazzi.
E sai perché lo so?
Lo so perché non mi hai detto addio.
So che tornerai perché non mi hai mai detto “addio, Brian”. So che tornerai e basta.
E so anche che lì potrò sorridere di nuovo. Potrò ancora scoppiare di gioia. Potrò tornare ad essere il Brian di sempre.
Quello che è morto insieme a te.
E quindi, ritorno alla storia delle lanterne: cosa rimane, quando una persona cara se ne va?
Un vuoto. Un buco.
Ma che viene riempito. Riempito dal ricordo di quella persona stessa.
Il tuo ricordo mi fa ancora vivere. Fa ancora vivere tutti noi.
 
So che questa lettera non la leggerai mai, ma è stato bello scriverla.
Matt aveva ragione: mi sento meglio. Come se tu fossi qui. Come se stessi leggendo.
Ricordatelo, ricordatelo sempre: ti voglio bene.
Con tutto me stesso.
Penso che comincerò a scriverti un po’ più spesso.
Tuo,
Brian.



 

Brian sospirò, appoggiando la penna sul tavolo, per poi prendere in mano quel maledetto foglio di carta, rileggendo quello che aveva scritto.
Si ricordò di quanto scrisse So Far Away: tutte quelle lacrime, tutto quel dolore.
E, inevitabilmente, sentì una lacrima solcargli la guancia, poi un’altra e un’altra ancora. Era da un po’ che non piangeva. Che non si lasciava andare.
- Bri, vieni, siamo tutti in salotto – la voce di Zacky lo fece quasi sobbalzare – stiamo per giocare a Call of Duty e voglio proprio vedere se Johnny riesce a battere il mio rec… oh cazzo, ma tu stai piangendo. -
- Va tutto bene, davvero – esclamò, asciugandosi le lacrime e facendosi abbracciare dall’amico – davvero, sto bene. Ora però andiamo. Voglio essere lì quando lo gnomo malefico batterà il tuo record. Voglio veder scorrere il sangue. -
- Chi hai chiamato gnomo malefico?! Guarda che ti sento! – strillò Johnny dal salotto, probabilmente agitando il joystick – vieni qui a giocare, te, poi vediamo un po’ chi spargerà sangue! -
- Niente spargimenti di sangue in casa mia, che dopo Val dà la colpa a me! – esclamò Matt, scoppiando a ridere.
Anche Brian rise, per poi andare in salotto e sedersi accanto al cantante, mentre Zacky si sedeva accanto a Johnny in modo da compromettere il suo operato in tutti i modi possibili.
- Se non sbloccate Carry On mi arrabbio! – affermò, ridacchiando, pensando alla canzone che avevano scritto apposta per il gioco.
- Toh, Arin ha scritto che per Capodanno tutto è sistemato, si fanno casini a casa sua – esclamò, mostrando al chitarrista il cellulare mentre gli altri due cominciavano a giocare – ma non possiamo mettergli a soqquadro la casa. O Kimberly ci uccide tutti. È peggio di Valary, a volte. -
Brian rise, una risata sincera. Tra le due, in effetti, non sapeva qual era la più maniaca della pulizia. Forse lo erano entrambe in pari merito.
- A proposito… hai fatto quel che ti avevo detto di fare? – domandò, curioso.
Il chitarrista annuì.
- Si, ho fatto. La lettera è in cucina. Spero… spero che la legga. -
- Fidati, la leggerà. Sono sicuro che lo sta facendo, proprio in questo momento. -
 


Jimmy lesse attentamente quel che aveva scritto Brian nelle due ore precedenti. Era rimasto a fissarlo per tutto il tempo, mentre scriveva, mentre guardava attentamente la penna che, sul foglio, dava luce ai pensieri del chitarrista.
“penso che comincerò a scriverti più spesso.
Tuo,                            
Brian”.
L’angelo sorrise, per poi dare un’occhiata ai quattro ragazzi in salotto, che avevano cominciato ad urlare in maniera assurda.
Dava loro massimo venti minuti, poi si sarebbe svegliato Owen. Già traumatizzato all’età di cinque mesi, poteva considerarsi un record.
Si rigirò verso la lettera, per poi prendere la penna.

 
Ti prego, Bri, non smettere di scrivermi. Io leggo. E ti ascolto. Come sempre. Non smettere di credere che sono ancora qui per te. Io ci sono. ci sarò sempre. Non l’hai scritto, nella lettera, anche se sono sicuro che te lo ricordi. Quando ti promisi di tornare, prima di partire per il riformatorio. Quando ti dissi di aspettarmi perché sarei tornato prima che te ne rendessi addirittura conto. Questa volta sarai tu a venire, Bri. Ma non farà male, te lo prometto. Andrà bene.
Ci sarò io, con te.
Come sempre.

 
Appoggiò la penna con cura, per poi guardare quel che aveva scritto sotto la firma del migliore amico. Forse no, non l’avrebbe mai letto. Ma era sicuro che lo sapesse.
Che lo avesse sempre saputo, in qualche modo.

Ti voglio bene, Bri. Ti voglio tanto, tanto bene. A te e ai ragazzi. Non abbiate paura, continuate ad andare avanti così. State andando bene.

Ed era anche inutile aggiungere altro.

 








Note dell'autrice:
Mh. Si. Allora. 
Magari molta gente si aspettava da parte mia una capitolo di Until The End... ma... ecco... vabbè, siamo qui.
Questa OS è uscita per caso. Stamattina, come ogni Deathbat penso, stavo piangendo... ma poi ho pensato a una cosa che mi disse mia madre molto tempo fa, quando morì una persona veramente importante per me e che si, mi ha resa quel che sono: scrivi.
Scrivi perché ti fa senitre meglio. 
Così quel giorno presi carta e penna e scrissi una lettera, che conteneva tutto quello che pensavo, tutto quello che provato, tutto. Davvero tuttto. Ho voluto far fare la stessa cosa a Brian. Perché come ho sempre detto, da quando Jimmy è morto lui NON vive più. Respira, ma solo perché è un automatismo.
Forse sono io che ho una visione drammatica della cosa, forse no. Però... ecco quel che è uscito. 
Brian scrive una lettera a Jimmy, cercando di stare meglio. Accogliendo il consiglio degli amici, dei suoi migliori amici, dei suoi fratelli. Ma continua a mancare Jimmy. Il suo Jimmy. Ed è un vuoto che non si può colmare.

Il riferimento alle lanterne giapponesi (avevo scritto cinesi all'inizio, ho modificato ma se leggete nella OS qualche "cinese" sappiate che in realtà le lanterne sono giapponesi) non è casuale. Come Brian nella fanfiction che si mette a guardare film sdolcinati con la moglie, questo riferimento c'è in tanti film e in tante serie tv. Io mi sono ispirata a The Vampire Diaries, la mia serie tv preferita.
Quindi... boh, niente. 
Vado via.
Ci vediamo presto con Until The End... per qualsiasi cosa, su Twitter sono @SayaEchelon95
Kisses
Vava_95

P.S. se non capite, le parti in carattere Georgia sono le parti scritte, volevo fare in modo di imitare la calligrafia, ehm.
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: VaVa_95