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Autore: damnhudson    28/12/2012    3 recensioni
«La tua mamma almeno c’è.» Rispose la bambina, alzando di nuovo lo sguardo, notando che il bambino ora si avvicinava a lui, stranito.
«Tu hai un papà. Siamo pari, non pensi?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finn Hudson, Santana Lopez
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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× Formal.
 
Due era il numero che univa Finn al tempo.
Due erano i mesi che erano passati da quando aveva baciato Santana sul bus, in quella giornata di neve.
Due erano i mesi che erano passati dalla prima nevicata. E già la neve gli mancava.
 
Erano passati due mesi, in cui Finn e Santana ancora non avevano parlato della situazione che si era creata tra di loro. La ragazza non accettava inviti ad uscire con nessuno, perché davanti a casa sua, abitava una persona parecchio importante alla quale voleva bene e Finn, non usciva più con nessuno che non fosse Mike e Puckerman o la stessa Santana. Mai una volta, si erano seduti a parlare di quel bacio, di come si sarebbero sviluppate le cose, eppure, dopo quel bacio ce ne furono altri successivamente, più belli, più emozionanti più intensi.
Finn e Santana avevano già imparato ad apprezzarsi, sin da piccoli, sin da quando avevano bevuto il tè che si era rivelato acqua, sin da quando lei aveva le codette e lui il capelli a caschetto biondo cenere. Ed era stato così per tutta la loro amicizia, ma ora, ora che stavano lentamente diventando grandi, i due avevano imparato quanto fossero importanti l’uno per l’altro. Si rendeva conto Finn, che senza Santana non ce l’avrebbe fatta a superare nemmeno un giorno e non immaginava nemmeno cosa sarebbe stato per tre mesi, stare in contatto solo in maniera telefonica o per email. L’aria era triste e pesante.
 
Avevano studiato assieme, quel pomeriggio, Finn era pronto e soprattutto aveva molto freddo. Troppo per essere solo a Novembre. Santana un po’ meno, ma si giustificava sempre dicendo che nel suo sangue, scorreva quello latino, ed era calda per antonomasia. L’economia non gli entrava in testa a Finn. La prima liceo non era facile per nessuno, ma i ragazzi si facevano coraggio, pensando che dalla seconda, avrebbero potuto fare domanda e dunque i provini rispettivamente per entrare nelle cheerleader e nella squadra di football. Mentre Finn ripeteva, Santana lo ascoltava distrattamente, guardandolo di tanto in tanto, notando cose sempre nuove: come il neo all’altezza del labbro, piccolo e scuro, le lentiggini sul naso e sparse sulle guance e le labbra, una striscia sottile che, quando sorridevano, formavano una curva. Era così fiera di quello che era il suo migliore amico, perché definizione diversa, ancora non aveva.
L’interrogazione era andata bene, non molto, aveva preso una B, ma almeno non gli restava nulla da recuperare durante l’estate, era salvo in qualche maniera e di nuovo, per ringraziare Santana le diede un bacio, su quelle labbra tanto morbide, ma mai in pubblico. Nessuno sapeva che loro si erano baciati e che lo facevano ancora, con tanto gusto, volendosi bene ogni giorno di più, no. Solo loro lo sapevano e la cosa infastidiva Finn, più di Santana.
 
 
Mancavano relativamente poche giornate al Natale, che Finn odiava tanto ma che Santana invece adorava. Odiava il Natale, perché mai nessun Babbo Natale, da più piccolo, aveva bussato alla sua porta o si era calato dal camino, incastrandosi. Mai nessuno aveva accontentato i suoi desideri più remoti, e ovviamente, mai nessuno aveva bevuto il latte bianco o mangiato i biscotti che lui, con le sue manine, aveva fatto. Erano buoni, li mangiava lui stesso.
Per questo, Finn Hudson, aveva una grossa collezione di libri, di quelli che mai nella vita avrebbe letto, perché erano quelli che costavano di meno, quelli che sua madre poteva permettersi, che aveva trovato alla bancarella davanti all’aeroporto, dove lavorava come donna delle pulizie e potevano permettersi solo quello, perché ad un regalo occasionale, Finn sin da bambino, preferiva mangiare.
Era maturato così in fretta, prima che sua madre potesse bloccarlo. Aveva capito, sin da piccolo, cosa dovesse o no dire alla madre quando piangeva per la solitudine o come abbracciarla e soprattutto quando abbracciarla, quando stava a letto, rannicchiata, chiedendosi perché suo padre se ne fosse andato così presto.
Suo padre. Quando arrivava Natale, Finn smetteva di pensare a suo padre come un eroe, arrivava addirittura ad abbassare tutte le sue foto, sparse per la casa. Non poteva pensare a come un uomo, avesse potuto farsi uccidere, lasciando la sua famiglia a sé stessa. Finn Hudson era diventato uomo, ancora prima di essere un bambino. Non era stato per niente facile, ma aveva stretto amicizia con la notte, aveva imparato, come un attore, a trattenere i respiri, mentre piangeva, quando sua madre era in giro per casa. Gli mancava suo padre, da morire. Per un bambino, crescere senza padre era assurdo.
A volte, durante gli allenamenti di basket, sentiva gli altri bambini chiedere per favore ai propri genitori di non andare alle partite, che li mettevano in imbarazzo. Oh, lui avrebbe pagato tutto l’oro che non aveva per avere Christopher alla sua partita. Gli sarebbe bastata una sola partita. Avrebbe dato il meglio di sé, gli sarebbe bastato un po’ d’orgoglio nel sorriso del padre e poi l’avrebbe lasciato andare, di nuovo, ancora una volta.  
 
E così, i giorni erano passati e il giorno della vigilia era scivolato ai piedi di Finn troppo velocemente.
Santana la viveva meglio, invece. La mattina della vigilia andava a fare la spesa con Marisol e verso le tre di pomeriggio, lei e suo padre, uscivano per andare in cimitero, dove sarebbero andati a trovare tutti i nonni e infine sua madre. Le mancava sua madre, da morire, ma non poteva capire bene Finn, suo padre almeno l’aveva un po’ vissuto e sapeva cosa si stava perdendo, mentre Santana, beh, sua madre era morta troppo presto perché potesse conoscerla. Un velo di tristezza si posò sui suoi occhietti castani, mentre si lasciava aprire la portiera da suo padre, lasciandola andare verso casa di Finn. Si erano messi d’accordo per andare a comprare un regalo alla sua mamma, Carole. Non aveva molti soldi l’ormai ragazzino, ma poteva pur sempre fare qualcosa. San bussò alla porta, trovandosi direttamente Finn ad aprirle la porta.
Le diede un bacio e Santana ricambiò ed uscirono di casa, tranquilli. Ognuno nel suo spazio, senza sfioramenti di mani o che, addirittura Finn aveva le mani nel giubbotto smaniato che portava sempre.
«Sai già cosa le prenderai?» Chiese Santana, facendo girare il ragazzo verso di lei.
«No – Finn si grattò il collo, mordicchiandosi un labbro. – Ma non ho molti soldi. »
Santana rimase in silenzio, senza aggiungere altro.
Il centro commerciale non era distante, anzi, un pezzetto a piedi e uno col bus ed erano arrivati. Finn aveva fatto più volte presente di quanto non vedesse l’ora di avere la patente, camminare non gli piaceva affatto e Santana lo sapeva bene, ma quello era il pezzo che dovevano fare.
 
Il tempo era molto scuro, quella che Finn avrebbe chiamato foschia, Santana l’avrebbe chiamata semplicemente nebbia. Ce n’era uno strato spessissimo e dava una specie di visione strana delle cose. Quasi fossero in un film dal quale presto sarebbe saltato fuori un tipo che li avrebbe ammazzati tutti e due. Almeno erano insieme, pensò Santana.
«Un bracciale!» Propose Santana, mentre camminava tra le vetrine di cristallo della gioielleria che conosceva parecchio bene. Suo padre aggiungeva un ciondolo al suo bracciale ogni volta che andava fuori per lavoro: inutile dire che quel bracciale aveva un’infinità di ciondoli.
«Non ne usa. Lo sai.»
«Già, scusa. – Disse la ragazza, mordendosi l’interno della guancia. – Allora… Una maglietta, ce ne sono di carinissime.»
«Non ho molti soldi, Santana.» Fece lui, osservando un piccolo ciondolo che poteva permettersi. Era a forma di fiamma, era di metallo, ma era carino e Finn sapeva che sua madre era tutto quello che aveva. Sapeva anche che, tutti i suoi risparmi, sarebbero terminati comprando quello, ma era pur sempre sua madre e non avrebbe avuto rimpianti, anche perché il regalo di Santana era già a casa, bello impacchettato in una carta verde acqua.
«Hai visto qualcosa?» Chiese la ragazza, avvicinandosi.
Finn glielo indicò e poi sospirò qualcosa, che Santana non distinse. «Okay, perché le vuoi regalare una fiamma?»
«Perché è la mia mamma. E’… una metafora sull’importanza che lei ha per me. Ci sono volte in cui ho pensato di lasciarmi andare, - Finn non aveva mai detto queste cose a voce alta. Erano quelle cose che pensava quando era da solo, la notte, col cuscino stretto tra le gambe. Quando le lacrime erano incontrollabili e il vuoto interiore incolmabile. – di lasciar perdere tutto, volte in cui ho pensato che stare con papà, di là, sarebbe stato più semplice sia per me che per mamma. Lo so, ho solo quindici anni, ma non sai come ci si sente ad avere tanti problemi economici. I primi anni senza papà sono stati un perenne inverno, anche quando sembrava passato tutto. Avevamo freddo, tantissimo. Ma non il freddo che colmi con l’aria condizionata, quello interiore, quel buco dentro che non colmi mai e non dico che lei sia stata capace di colmare quel freddo, ma me l’ha diminuito. Ecco è questa la metafora: con lei ha fatto meno freddo, era il mio fuoco invernale.»
Finn sospirò, posando lo sguardo su Santana, che lo osservava con gli occhioni spalancanti, mentre cercava qualcosa da dire. Un abbraccio valeva più di mille parole, ma per chi li avesse visti assieme, cosa avrebbe pensato? Troppi problemi e lei odiava i problemi. Circondò la vita del suo migliore amico e lo strinse a sé, sorridendogli contro il petto.
«Poi sono arrivata io.» Disse ridendo.
«Sì, ma tu sei un fuoco latino! Non dimenticarlo.» Lui fece una smorfia divertita e lasciò che la ragazza lo abbracciasse. Si sentiva bene, con quel contatto lui a differenza di Santana che sembrava parecchio a disagio, quasi non vedesse l’ora che terminasse.
Finn la scostò, facendosi servire da un commesso che gli impacchettò anche il regalo mentre quella che voleva fosse la sua ragazza lo osservava. Ma cosa si era messo in testa? Lei era solo la sua migliore amica e nella friendzone ci era rimasto e c sarebbe rimasto per tanto tempo, ancora. Magari sarebbe dovuto uscire nuovamente con Quinn, o fare altre cose.
Lasciare perdere Santana, semplicemente. Sospirò e tornò da lei, con in mano la bustina.
«Possiamo tornare a casa.» Decretò infine, sorridendole. Tirando un sorriso. La latina annuì e lo seguì, silenziosa, finché qualcosa in lei non la fece scattare. Non era successo nulla, Finn aveva solamente salutato una persona che lei non conosceva, se non di fame e a lei non era andato bene per niente. E quella era proprio gelosia. La seconda volta che provò gelosia nei confronti di Finn, ecco. La prima volta si erano baciati e ora lei ribolliva di rabbia e stava per fargli una scenata. Respirò a fondo, più volte e sorrise al ragazzo che di tanto in tanto controllava che lei fosse dietro. C’era, lo seguiva.
«Come la conosci?» Chiese, infine, posizionandosi vicino a lui.
«Chi?»
«Maelle. La ragazza che hai salutato poco fa.» Finn alzò un sopracciglio, osservandola attentamente, mentre cercava di capire qualcosa sulla sua espressione. La conosceva da troppo tempo per non sapere che era arrabbiatissima e.. gelosa, forse?
«Non sapevo nemmeno che si chiamasse Maelle e, Santana, non ti devo nessuna spiegazione.» Concluse lui, facendo girare la busta tra le sue dita, con un gesto fluido.
Santana rise, semplicemente.
«No?» Chiese dunque.
«No, o te ne avrei già data una, se mi interessasse dartene una, non pensi?» Finn stirò nuovamente un sorriso e riprese a camminare. La ragazza lo bloccò, tenendolo alla manica della felpa, sotto il giubbino.
«Fermati.» Chiese lei, gentilmente.
«No. Non mi fermo, perché sono stanco e voglio andarmene a casa, non pensi che siamo stati fuori e insieme per troppo tempo, Santana?»
«Fuori e assieme? Ma sei cretino?» Non poteva crederci, Santana a quello che stava sentendo, soprattutto che venisse da Finn. «Passerei tutto il mio tempo con te, fuori al freddo e sotto la neve, se tu volessi.»
«Ma ti vergogni di come gli altri possano vederci. Ma non posso dire che sto con Santana Lopez. Ma non posso farmi vedere mano nella mano con te, no? Non posso baciarti davanti a tutti. O non è questo, quello che intendevi?» Chiese lui, furioso. Non voleva che queste sue paranoie uscissero così, ma era arrivato il momento che si togliesse qualche sassolino dalla scarpa e di recente tutti quelli che aveva riguardavano la sua amica, amica e basta, amica un cazzo. Perché lui sentiva dei sentimenti che aveva ben definito, sapeva benissimo cosa sentiva nei confronti della ragazza. Amore, amore puro. Che mai si vergognava o che mai voleva lasciarla. Ma effettivamente, aspettarsi che fosse lo stesso da parte dell’altra era troppo.
Santana gli diede un colpo in testa, molto fluido e veloce, tanto che Finn non lo vide nemmeno arrivare. A cosa era dovuto? Non aveva fatto nulla, non aveva nemmeno parlato male. Aveva alzato la voce? Non voleva.
«Sei un idiota, Hudson, non capirai mai nulla delle ragazze. Lo faccio per te.»
«Io sono un idiota? Non tu? Fai queste cose per me, quando sappiamo tutti che ti vergogni di me. Forse dovresti uscire con Puckerman. Lui è uno figo, vero?» Aveva marcato la parola figo, Finn. Come lui non si era mai sentito, eppure stava parlando del suo migliore amico. Sospirò, lasciandosi andare.
«Non mi sono mai vergognata di te, Finn e mai lo farò. Siamo cresciuti assieme. Siamo arrivati sin qui senza vergogna e non vedo come mai dovrebbe crescerne un po’ ora. Sei… oddio, Finn. Sei tutto quello che ho, sin da quando sono bambina e voglio che tu sia sempre questo, per me.»
Santana non era brava con queste cose, ma Finn l’aveva capita alla perfezione e il suo cuore era caldo, la foschia al suo interno era scomparsa: faceva caldo e c’era il sereno. Sorrise, creando quelle adorabili fossette nel suo visino da bambino.
«Mi stai chiedendo di stare assieme formalmente?»
 
 
 Marti. ─
 
Ce l’ho fatta. Ci ho messo una vita lo so, ma sono stata impegnatissima, potete ben capirmi tra scuola e tutto ( vacanze di Natale *coff coff* ) mi sono un po’ persa, ma l’importante è tornare da voi, che mi leggete sempre con tanto impegno, lasciandomi addirittura delle recensioni, wow. Siete tipo i migliori che io potessi trovare.
Non mi aspettavo che qualcuno mi seguisse anche in questa avventura Finntanosa, onestamente, se non i miei soliti, che ringrazio ai quali voglio un bene da morire.
Ma ci siete, mi mettete nelle seguite, nelle preferite e mi leggete e sono estasiata dall’avervi.
Bando alle ciance, sono quattro pagine eheh. Torno più carica di prima… Non odiatemi, io vi voglio tanto bene.
 
Lo so che mio padre non leggerà mai questo primo pezzo di capitolo, ma è dedicato a lui. La storia è molto simile alla sua, non sto qui a spiegarvi, ma è molto ispirata al mio papà. Ti voglio bene e, a vedere le tue partite ci vengo io. Sei il padre più padroso di sempre.
Finito, finito.
Scappo, vi voglio mandare un pezzo di cuore a tutti,
 
Marti.
 

 

 

 

   
 
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