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Autore: Lady Moonlight    28/12/2012    1 recensioni
New York, anno 2012.
In una città contesta tra Nephilim e Vampiri, una minaccia sconosciuta incombe su tutti loro.
Chimera, così è stata soprannominata la creatura che ha scosso l'intera popolazione newyorkese, spargendo ovunque la stilla del terrore.
Astaroth, il Master di New York è morto.
Sebastian è l'unico vampiro in grado di fare ordine nel caos che si è generato, ma è anche l'ultima cosa che il famoso attore internazionale desidererebbe fare.
Alle prese con una bizzarra orologiaia che afferma di conoscerlo, senza però averlo mai visto; un Angelo Decaduto privo di senno; un gruppo di Nephilim adolescenti, oltremodo invadenti; un'umana convinta di amarlo e un altezzoso principe tedesco, dovrà fare i conti con un passato che credeva essersi lasciato alle spalle.
[...] "Ombre mescolate a luci." Raziel girò i palmi delle mani e tra le sue dita, dal nulla, comparve un grosso tomo che sfogliò riluttante. C'erano parole scritte in ogni tipo di lingua e dialetti esistenti. "È questa la natura delle anime."
Prequel di Contratto di Sangue-L'Ombra del Principio
Genere: Avventura, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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05

≈*≈*≈*≈*≈
Giornalisti invadenti

 

 

«Orrore e dubbio confondono i suoi pensieri affranti,
e dal profondo l'Inferno gli si agita dentro,
poiché l'Inferno ha dentro di sé,
l'Inferno attorno a sé,
e non c'è passo che valga ad allontanarlo
dall'Inferno che in lui alberga.»
{Da: Il Paradiso Perduto di J.Milton}

 

 

Azalya si era svegliata con un forte mal di testa quella mattina. Era rannicchiata su una panchina a Central Park e le dolevano tutte le ossa. Circondata da cespugli di bacche colorate e foglie arancioni, si rese improvvisamente conto di quanto fosse godibile il parco in autunno. Non certo per la temperatura, ma la bellezza della natura era innegabile.
Rabbrividì per il freddo e, in un istante di lucidità, si chiese se la dose che si era fatta la sera precedente l'avesse ridotta in uno stato tale da impedirle perfino di ricordare l'ubicazione della sua casa.
L'orologio, due cinghie di plastica verde con un cerchio centrale di metallo, che aveva comprato in una bancarella cinese il mese prima, indicava che erano quasi le otto. L'orario giusto per fare colazione, se solo si fosse trovata nel suo appartamento.
La ragazza fece un bel respiro, prima di trovare il giusto equilibrio che le permettesse di rimanere in piedi senza inciampare nei suoi stessi passi. Imprecò sottovoce, vedendo solo in quel momento di aver perso la giacca.
Si strinse nelle spalle. Poco importava. Era un vecchio maglione di lana ruvida che aveva rubato a qualche vecchietta l'inverno precedente - visto che i genitori adottivi non si erano sprecati nel cercarle qualcosa di adatto per affrontare il gelo della stagione. Sarebbe riuscita a trovare un capo migliore, chiedendo a qualche associazione benefica nell'ambito sociale.
Si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, tirandone fuori qualche spicciolo. Pochi dollari che dovevano bastarle per comprare un biglietto della metropolitana e tornare a casa.
Un cucciolo di Golden Retriever le stava correndo attorno, ma quando lei allungò una mano per accarezzarlo il padrone lo richiamò a sé.
Azalya si ritrovò a sbuffare. Nemmeno un animale riusciva a sopportare la sua presenza.
Pensò a Matt, il ragazzo/amico che frequentava da qualche tempo. Ricordava perfettamente tutti i dettagli delle due notti che avevano passato insieme. Si erano divertiti alla grande, mentre, come serpenti, si erano avvinghiati nel gigantesco letto dei suoi genitori. Assunse un'espressione distante, chiedendosi se anche Matt avesse ripensato a quelle avventure.
Naturalmente no, si disse. Non erano andati a letto insieme per una qualche idea romantica, avevano cercato il divertimento ed entrambi lo avevano ottenuto. Dopotutto, era solo di quello che era fatta la sua vita ultimamente. Sesso, droga, musica e discoteche.
Aveva abbandonato i suoi sogni di frequentare il college dopo la prima dose che un motociclista ubriaco le aveva fatto ingerire senza che nemmeno lei lo sapesse. Dal quel giorno la sua vita era degenerata, in peggio.
Azalya sapeva che ciò che stava facendo era sbagliato. Da qualche parte la ragazza carina e gentile con tutti, la secchiona della classe, le stava elencando i problemi legati all'assunzione di quelle sostanze, ma lei la ignorò. Per più di quindici anni si era mostrata cortese, accettando l'ideache i suoi genitori l'avessero abbandonata sul ciglio di un vecchio orfanotrofio, ma il continuo cambio da una famiglia all'altra l'aveva stremata. Quella condizione di stabilità precaria aveva distrutto la sua voglia di lottare, di battersi per ottenere una borsa di studio che le avrebbe concesso una nuova vita, lontana da assistenti sociali e stanze di orfanotrofi ammuffiti.
Con una smorfia constatò lo stato dei suoi vestiti. Sembrava una ragazzina vestita di stracci. Aveva diciassette anni e alle spalle un lunga carriera fatta di via vai tra istituti e casa-famiglia. Quella in cui viveva adesso non era migliore delle precedenti. L'unico punto positivo era che ai suoi attuali "genitori" non interessava nulla di ciò che faceva durante il giorno. La cosa importante era non portare la polizia sotto casa, il resto era irrilevante.
Con un cenno della mano Azalya salutò un paio di senza tetto che stavano mangiando avidamente un tozzo di pane che il venditore di Hot Dog aveva regalato loro. Amaramente pensò che anche lei un giorno, con molta probabilità, sarebbe stata costretta alla medesima vita di stenti e sofferenze.
Poi, fischiettando tra sé, si avviò verso l'ingresso della metropolitana.
Mentre si faceva largo tra la folla non ebbe problemi a sfilare dalla tasca posteriore di un uomo una copia del "New York Times".
Non le interessava leggerlo. La carta dei giornali era solo un buon combustibile per accendere il fuoco del caminetto. Tornata a casa si sarebbe crogiolata nel tepore delle fiamme.
Lo sguardo le cadde comunque sul titolo, scritto in grassetto. L'intera prima pagina era dedicata agli ultimi avvenimenti accaduti in città.
"Strage notturna, venti le persone coinvolte." tossì, mentre qualcuno la spintonava malamente a lato di una scalinata. "Omicidi efferati, turbano la quieta della città." Si appoggiò ad un muro. "Il killer potrebbe aver agito da solo. Nessun sopravvissuto."
Azalya roteò gli occhi al cielo. La stampa stava esagerando, come sempre faceva nei casi di cronaca.
"I cuori sono stati strappati brutalmente dal petto delle vittime. Il sospettato, probabilmente un deviato mentale, è stato soprannominato: Chimera."

 

***

 

La cattedrale di San Patrizio, di stile neogotico, aveva una forma a croce latina ed era una delle poche chiese che richiamavano alla mente quelle più antiche ed eleganti d'Europa. Il fiorone che spiccava sopra l'entrata principale rimandava un gioco di luci che andavano dal giallo al rosso.
Jennifer indossava un lungo abito perlaceo, le spalle erano lasciate scoperte e Sebastian la osservò mentre riversava sullo stretto corsetto, tutto il suo profondo odio per quegli abiti dalla fattura antica.
"Come potevano indossare questi abiti nel quindicesimo secolo?" chiese esasperata. I segni della notte passata senza dormire erano evidenti sul suo viso, ma il trucco era riuscito davvero a fare miracoli.
"Dov'è finito il nostro Dracula?" la voce squillante del regista, lo raggiunse nel momento esatto in cui lui finiva di stringere il mantello al collo.
"Se ti consola, Jen, è una domanda che mi sono posto pure io."
"Come no." fece lei roteando gli occhi al cielo e assicurandosi che la pettinatura non avesse subito danni. "Tu, le spogliavi le donne."
La risata a cui il vampiro si lasciò andare ebbe il potere di richiamare su di lui le attenzioni di Percy che si diresse immediatamente dalla sua parte.
"Le riprese cominciano tra due minuti." gli spiegò il regista, indicando il set che era stato preparato. "Siamo alla scena in cui il conte Dracula
tenterà di affondare le zanne nel collo di Gwen."

Sebastian incrociò le mani sul petto. Non aveva bisogno che qualcuno gli ricordasse cosa doveva fare. Quella versione alternativa di Dracula era una storia fatta per calcare l'onda cinematografica del momento: vampiri innamorati di donne umane.
Poco più in là, Jennifer/Gwen stava recitando per l'ennesima volta le sue battute.
Lui si sistemò l'orlo della camicia, ripensando al periodo in cui aveva indossato davvero abiti di fattura simile. Le differenze in ogni caso esistevano: i capelli gli erano stati lisciati all'indietro con una quantità eccessiva di gel e aveva un finto pizzetto di barba che gli solleticava il mento.
Trovava quella situazione ironica. Si apprestava a recitare la parte che la storia aveva attribuito a suo padre.
"Avete sentito degli omicidi?" stava bisbigliando poco lontano una truccatrice.
Sebastian si avviò lungo la navata centrale della chiesa seguito da Jennifer. La ragazza camminava in modo piuttosto goffo e dovette sostenerla un paio di volte per impedirle di cadere.
"Se vuoi essere credibile dovrai sforzarti di rimanere dritta." l'avverti lui, facendole appoggiare la mano sul suo braccio.
Prima di posizionarzi al centro della scena, Jennifer gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. La telecamera catturò il suo viso e al via del regista lei cominciò a recitare.
L'espressione sofferente, le mani protese in avanti, la voce tremante…
Lui si ritrovò a pensare che quella era sicuramente una delle migliori interpretazioni date da Jennifer fino a quel momento nella sua carriera.
Gwen le ricorda la sua situazione.
Il suo era un pensiero amaro, tanto quanto le finte lacrime che solcavano il volto dell'attrice. I singhiozzi di Gwen si fecero più forti, più sentiti e per un attimo Sebastian temette che Jennifer non stesse più recitando, ma che si stesse sfogando per i fatti della sera precedente.
Invece, subito dopo, lei riprese a parlare con più trasporto di prima.
In quel film, Dracula alias Vlad Tepes, dopo aver ucciso una giovane donna si era reso conto che la ragazza aveva da poco dato alla luce una
figlia. Il vampiro aveva raccolto la neonata e portatala con sé al suo castello l'aveva chiamata Gwen. In sostanza, la bambina era cresciuta fino a diventare una splendida donna che si era innamorata del suo salvatore e carnefice. La conclusione era aperta. Percy prevedeva di fare un seguito della pellicola.

"Ridicolo!" borbottò Sebastian, calandosi nella parte. " Gwen! Chi è stato? Dimmi chi è stato!" pronunciò Dracula mostrandole i canini.
"Uccidetemi se volete! Uccidetemi e gettate il mio cadavere sul fondo dello stagno!" replicò Gwen, voltandogli le spalle. "A tal punto! A tal punto giunge la vostra crudeltà?"
Sebastian la afferrò per il gomito destro, obbligandola a girarsi nuovamente. C'era sofferenza e c'era amore negli occhi di Jennifer, sentimenti reali che esulavano dal copione.
"Tu sai rendermi crudele, Jen." Le luci di scena furono abbassate e tutta la truppe trattenne il fiato.
Troppo tardi, lui stesso si rese conto del tremendo errore che aveva commesso.
"Stop!" Percy avanzò verso di lui con un'espressione minacciosa, ma che a Sebastian sembrò solo ridicola.
"Andavate così bene!” sbuffò il regista. “La scena era perfetta, l'atmosfera pure!" scosse la testa. "Dovremo rifare tutto da capo. Che errore da principiante, Walker!" lo rimproverò.
Sebastian assottigliò gli occhi, trattenendo a stento un sibilo. Non solo quelle parole erano una critica bella e buona, ma lo aveva anche chiamato con quello stupido cognome umano che si ritrovava a dover portare.
La sua mano guizzò sulle spalle del regista che però non sembrò stupito del gesto. Percy gli sorrise, appoggiando a sua volta le braccia sulle estremità del mantello di scena. "Oh, tranquillo!" lo rassicurò, quasi dovesse placare il suo figlioletto di sei anni. "Sono cose che capitano." gli fece l'occhiolino. "Jennifer può fare questo effetto, soprattutto se si è il fidanzato!" disse ridacchiando.
Lui non spostò la mano di un millimetro. Fu Jennifer che, con una pessima battuta, lo costrinse a liberare il regista.
"Riprendiamo!" ordinò Percy, soffiando sulla tazza di caffè bollente che qualcuno gli aveva portato. 
 

 

"Questa sera non riusciremo a sottrarci alle domande dei giornalisti." la avvisò Sebastian.
Jennifer fece una smorfia e lui non fu da meno. Questioni più importanti richiedevano la sua presenza. Non poteva perdere tempo con un branco di curiosi in cerca dell'ennesimo gossip tra lui e Jennifer.
Gli umani li credevano felicemente fidanzati da quasi due anni. Non sapevano che aveva salvato Jennifer quando lei non sapeva neanche leggere e che avevano trascorso insieme gli ultimi anni delle loro vite.
A passi pesanti entrambi si avviarono verso l'uscita della chiesa con ancora indosso i costumi di scena. Sebastian passò un braccio dietro la schiena di Jennifer e le porse la mano libera in un gesto cavalleresco.
I flash esplosero attorno loro, irritandolo profondamente. In ogni caso, regalò ai presenti uno dei migliori sorrisi che aveva perfezionato nel corso degli anni.
"Signor Walker"
"Sebastian Walker!" stava esclamando qualcuno, sbracciandosi nella sua direzione.
"Le ultime voci sono vere?" domandò una giornalista, mentre tentava di afferrare una manica del vestito di Jennifer.
La sua curiosità ebbe la meglio sul buon senso. "Quali voci?"
Il chiacchiericcio della folla aumentò in modo preoccupante. I membri dello staff erano impegnati nel disperdere quel branco di avvoltoi fastidiosi, ma naturalmente nessun fotografo desistette dallo scattare foto.
"Le voci sono fondate?" la stessa domanda passò sulle labbra di un altro uomo.
Sebastian guardò Jennifer, ma lei ricambiò con uno sguardo smarrito. Alcuni fischi alla loro destra fecero voltare il vampiro, che rischiò di far inciampare Jennifer su uno scalino del selciato .
"Un autografo! Jen, un autografo!" stava supplicando un ragazzo con un quaderno e una penna tra le mani.
"Guardate da questa parte! Di qua!"
"C'è aria di crisi nelle vostra relazione?" gridarono in contemporanea più reporter, gesticolando in maniera imbarazzante.
Ah, ecco, pensò Sebastian con una certa delusione. Non c'era nulla di curioso o di affascinante in quell'ultima trovata giornalistica. Tuttavia, ringraziò il fatto che non ci fossero truppe televisive nei dintorni che potessero riprendere quell’assalto mediatico.
Jennifer sorrise indulgente ad una donna che aveva posto quella domanda; da parte sua, lui mostrò quelle che per tutti erano finte zanne fatte di colla e ceramica.
Fu in quel momento che si accorse di una figura incappucciata che scrutava l'uscita della chiesa dal lato opposto della strada.
Alto, fisico atletico, biondo: nephilim.
Gli era bastata un'occhiata per capire che lo sconosciuto non era umano e che il fagotto che teneva avvolto in una giacca era una spada. Un spada angelica, per di più, strappata al precedente proprietario, o forse, raccolta dopo la sua morte.
In ogni caso, a Sebastian non piacque affatto il modo in cui il mezzosangue stava fissando lui e, soprattutto, Jennifer.
Il solo fatto che quel nephilim si trovasse armato, davanti al nuovo Master di New York lo innervosiva. Ma la cosa che più lo irritava era il non poter stanare quel cacciatore di vampiri lì e subito.
Occhi grigio-verdi, labbra sottili e denti candidi come neve. Lo sconosciuto gli rivolse un sorrisino ironico, certo che lui avrebbe notato quel particolare.
In tutta risposta, Sebastian alzò la mano facendo credere alla stampa di star salutando con trasporto un'altra celebrità. Soddisfatto di quella piccola performance, osservò con malcelata perfidia i risultati della sua azione.
"Chi? Chi ha salutato?" i bisbigli della folla si concentrarono sul nephilim che, notata l'improvvisa attenzione nei suoi confronti, guardò stupefatto prima Sebastian e poi i fotografi che avevano preso a scattare foto.
"Dove?"
"Jhonny Deep?" domandò qualcuno.
"No, non vedi quanto è giovane?" rispose qualcun altro.
L'attenzione di tutti si era concentrata sul ragazzo, che aveva preso a correre come se un branco di vampiri gli fosse alle spalle. Sebastian non dubitava, comunque, che il nephilim avesse maturato esperienze del genere con qualche redivivo in passato.
"Ehi! Sta scappando!" esclamarono i fotografi.
"Chi è? Chi è?"
"Inseguiamolo! Sta fuggendo!"
Approfittando della confusione generale, Sebastian riuscì ad afferrare Jennifer e a trascinarla con sé verso il primo taxi disponibile. Entrambi si infilarono con una sincronia incredibile nel retro dell'auto, mentre alcuni giornalisti, trovato l'inganno, avevano tentato un inseguimento. Ignorando le velate minacce di morte, con cui l’autista del mezzo li stava insultando, i fotografi continuarono imperterriti a picchiare le mani sulla carrozzeria del taxi.
"Dannati reporter! " gridò il tassista, mentre abbassava il finestrino nel tentativo di disperdere il gruppetto di giornalisti. Fece schioccare la lingua sul palato, schiacciando il pedale dell’acceleratore. "Sempre tra i piedi, dico bene?" domandò, guardando Jennifer attraverso lo specchietto retrovisore e facendole l’occhiolino.
Sebastian sbuffò spazientito. "Vada verso Riverside Drive." ordinò all'uomo.

 

***

 

Le labbra di Matt erano state come sempre soffici e calde, ma malgrado la naturale delicatezza che possedevano, erano riuscite a ferire la sua anima più di mille parole. Le brevi frasi, dure e ostili, che il ragazzo le aveva rivolto, avevano costretto Azalya ad allontanarlo con forza da sé, prima di fuggire senza alcuna meta tra i vicoli newyorkesi.
Era stato un errore andare da lui per cercare conforto. Si era illusa che i loro momenti sereni sarebbero potuti bastare per cercare in lui un po' di solidarietà.
Non avrebbe dovuto farsi troppe speranze sul conto di Matt.
Dunque, pensò amaramente, anche per lui valeva meno di nulla. L'unica cosa positiva, di quel loro rapido incontro, era stata la possibilità che aveva avuto di farsi una doccia calda e trafugare qualche vestito della sorella di Matt.
La testa le doleva da fare impazzire ed aveva fame. Con le mani in tasca e l'mp3 tra le orecchie si sedette su una delle tante panchine di Central Park. L'idea di passare un'altra notte all'aperto non la entusiasmava, ma non poteva presentarsi a casa a quell'ora.
Presto sarebbe scoccata la mezzanotte e lei non avrebbe avuto alcun principe da cui scappare. La carrozza sarebbe rimasta una zucca e Cenerentola l'ultima ragazza a cui concedere una scarpetta di vetro.
Azalya si strinse le ginocchia al petto e si dondolò, in precario equilibrio, tra lo schienale della panchina e l'erba del parco.
Ho fame.
Era l'unico pensiero sensato che l’animava in quel momento.
Ho paura.
Considerò che, forse, erano due i pensieri sensati. Aveva una paura folle. Circondata dagli alberi, sola e infreddolita, aveva il terrore di ciò che poteva accaderle rimanendo lì.
Ho paura.
Sussultò, scuotendo appena la testa. Erano stati reali o solo frutto della sua immaginazione i sussurri sinistri che aveva appena sentito?
Una folata d’aria fredda le scivolò addosso, quasi cercando di intrufolarsi tra i suoi vestiti.
Az…
Azal…
Azalya.
Tremò, stringendosi più forte nel giaccone invernale. Poco dopo sciolse l'abbraccio in cui si era avvolta ed appoggiò i piedi sul terreno.
Il vento poteva articolare il suo nome?
Le tornarono alla mente i titoli del giornale che aveva rubato quella stessa mattina e del misterioso killer che si aggirava indisturbato tra le strade di New York.
Forse, era solo la sua immaginazione. Forse, la testa stava dando i primi sintomi di pazzia-visto il suo costante uso di droghe.
Forse, si stava ponendo troppi dubbi che iniziavano con la parola "forse".
Il lampione acceso, a pochi passi di distanza da lei, distorceva le ombre del parco, ma lo starnazzare di alcune anatre nel laghetto vicino era davvero inquietante. Sembrava che anche gli uccelli temessero qualche pericolo in agguato nelle vicinanze.
Non cercò altre spiegazioni, non erano importanti.
Ciò che le interessava era allontanarsi il più possibile da quel luogo.
Corse, inciampando nella radice di un albero e mentre si rialzava nuovi mormorii la trapassarono da parte a parte costringendola a tapparsi le orecchie con le mani.
Si accorse di tremare più di una foglia lasciata in balia del vento.
Male. Fa male! Ho paura.
Quei pensieri accompagnarono Azalya per tutto il tragitto.
Si ritrovò a sfrecciare nel traffico della città ignorando le grida infastidite degli autisti e scostando, senza scusarsi, i passanti che attraversavano le strisce pedonali, finché esausta si lanciò all'interno di una chiesa e lì si accasciò sul pavimento marmoreo. 
 

 

 

Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
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Note: u_u Ditemi, ditemi! Cosa pensate di Azalya? Vi piace, non vi piace? E Jennifer? Personalmente non simpatizzo per Jen, ma è anche vero che poveretta è stata pensata così nella mia testa! XD
Vi faccio fin da ora gli auguri per il prossimo 2013! :D Grazie infinite a chi continua a seguire la storia! Fatemi sapere la vostra opinione! ;) 
By Cleo^.^



Ceoì 

   
 
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