Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: Oscar_    28/12/2012    1 recensioni
Mi hanno detto di non incrociare mai lo sguardo di un artista mentre è intento a immaginare o inventare. Mi hanno avvertito che potevo perdermici. Sebbene non l’avessero detto sorridendo, ho pensato che stessero scherzando. Se solo avessi ascoltato.
« Oggi racconterò per te una storia che nessun altro ha mai udito, Nigel. » Iniziava sempre con quella premessa a narrare, sebbene solitamente parlasse al plurale. « È la storia di un mondo fantastico, popolato da individui diversi da noi, con usanze diverse e tempi diversi. Non tutto di ciò che udirai sarà piacevole. Né tutto si concluderà bene. Ma, se vorrai ascoltare, io pronunzierò questi termini per te, per renderti nota la storia di epoche remote e uomini coraggiosi, persone grazie alle quali noi ci troviamo qui, oggi. Se ciò che mormorerò, se questi sussurri ti inquieteranno o ti arrecheranno fastidio, allora va’, corri lontano senza badare a me. E dimentica queste parole. »
[Il rating si alzerà gradualmente; commenti e critiche sono ben accetti]
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

R.I.P., Raccogli I Pezzi. ➹
Prologo






 

Raccogli I Pezzi,
Racconta Il Passato,
Rimani In Pericolo,
Rinnova Il Presente;
Rugginosi I Piccoli,
Rilegati Insieme, Pennelli;
Restano Immuni Persino
Rumori Imminenti, Perché
Rilasciando I Plastificati
Respiri, In Posizione
Rullano I Piedi.
Riposa In Pace?
Rispondi Invece, Poiché
Raccolti I Pezzi,
Riunito Il Padrone,
Rimarranno Immutati Persino
Rossi Intonachi Perduti
.






Non si dovrebbero mai sottovalutare gli artisti. Gli scrittori, i pittori, i musicisti, gli scultori, coloro che contribuiscono a mettere il mondo sotto una luce differente, forse anche migliore dell’ordinaria visione popolare. Spesso si pensa che il loro “lavoro” non sia veramente utile all’umanità, poiché gli artisti non costruiscono case, né estraggono petrolio, né fabbricano automobili o cellulari d’ultima generazione. Non passano la giornata in azienda, né vengono valutati per le loro capacità fisiche. Eppure anche il contributo degli artisti è fondamentale per mandare avanti il mondo: essi, per alcuni, sono i messaggeri d’un mondo migliore, prescelti da una volontà superiore per mostrare le anteprime di quell’universo che raggiungeremo una volta scomparsi dalla Terra. Ogni artista vede l’umanità e ciò che lo circonda con occhi differenti dalla gente ordinaria. Alcuni scorgono colori dove non ve ne sono, altri fanno il contrario; molti inventano personaggi e creature dove tutto è monotono; ci sono persino individui che vedono, o pensano di vedere, entità dagli occhi vigili ed i tratti androgini laddove la normalità regna sovrana.
Ma cos’è la “normalità”? Attribuiamo questo titolo con facilità, confondendolo con l’abitudine, finendo per mutare il suo significato. Normale è sinonimo d’ordinario, quindi qualcosa che si compie e si ripete all’infinito ogni giorno che passa. Gli artisti cercano di sconvolgere questo susseguirsi d’azioni predestinate e decise da tempo, mutando spesso il corso della storia con qualche opera. Cantanti, disegnatori e scrittori hanno fatto rivoluzioni. Hanno aperto gli occhi a molti ciechi e le orecchie a chi fingeva una sordità inesistente. Spesso non si ascolta non perché non si è in grado, ma perché non lo si desidera. Perché si ha paura.
La mia storia parla di un artista, un artista comune, se così lo si può definire. Un uomo che potrebbe avere venti o cent’anni, persona dagli occhi cupi e nascosti agli indesiderati. Si diceva che la sua fantasia fosse in grado di far scaturire dal nulla mostri ed esseri abominevoli solamente descrivendoli con la sua penna; sì, sto parlando di uno scrittore. Forse il migliore che la città ricordi. Colui che, coi suoi racconti, ha veramente scosso la monotonia, rendendola puro piacere per coloro che decisero di star a sentire.


Mi chiamo Nigel Mitchell. Sono nato a Sugarland nel – 3441 d.C., e sono un Viligòno. Quelli della mia razza possiedono ali giganti, e poteri incredibili e… E non è vero, mi sto facendo prendere dal piacere della narrazione. Avete mai provato a raccontare una storia inventando sul momento, affidandovi solo all’improvvisazione? Con l’attenzione generale puntata addosso, avvertendo il giudizio di tutti scorrere fra gli sguardi curiosi? Io no.
Ebbene, in realtà sono nativo di una cittadella comune, completamente disoccupato e restio nei confronti dell’attività fisica fin da quando ho memoria. Non mi ha mai attirato particolarmente l’idea di dover spostare calcinacci o mattoni dalla mattina alla sera, sebbene possieda una corporatura propensa ai lavori manuali e agli sforzi non consentiti alla gente minuta ed esile. Eppure non ho scelto io di nascere così! A me sarebbe tanto piaciuto divenire pittore: abbandonare le dita tenendo il pennello in mano, scivolare coi colori lungo tele vergini e in attesa, disegnare sentieri immaginari straripanti di occasioni celate, magari inserire un messaggio nel cielo, fra le nuvole, sotto gli occhi di tutti ma non per questo scorgibile da chiunque. Ma sono goffo e alto, troppo alto; misuro 2,10 m. E dovunque vada, finisco per urtare qualcuno o far cadere qualcosa, anche se cerco di stare il più attento possibile.
Le storie e i racconti mi sono sempre parsi una scappatoia efficace e rapida dai problemi di tutti i giorni. In essi, quelli come me hanno un lieto fine, un evento che, giunto dal nulla, cambia la loro vita in meglio, trasformando in realtà ogni sogno, ogni speranza. Ma le storie sono storie, e vivere significa combattere senza sosta; che si combatta contro i problemi o contro sé stessi, quello poi è individuale.
Solevo radunarmi, da bambino, ai piedi della casa diroccata ove dimorava quest’uomo, questo scrittore misterioso, seguito da molti altri ragazzi della mia età, bisognosi di fantasia e novità in tempi duri e plumbei. Come d’altronde anche gli adulti, sebbene si guardassero bene dal renderlo noto.
L’abitazione dello scrittore, soprannominato Oskar l’Invisibile, per via dei vestiti pesanti e scuri che sempre avevano ricoperto il suo viso, impedendo a tutti di capire di che età fosse, si trovava all’esterno della città, giusto al confine dopo del quale si giungeva a Lago Stantio, che più che a un lago rassomigliava ad uno stagno putrido; dalle sue apparenze, ecco spiegato il motivo del nomignolo.
D’estate la sua dimora era presa letteralmente d’assalto, a causa della sua assenza improvvisa. La maggior parte di coloro che vi si recavano era curiosa di scoprire se vi fosse qualche oggetto dimenticato di cui potevano appropriarsi; ma non c'era mai niente.
Nessuno aveva idea di dove l'uomo si recasse in quell’arco di tempo. Si mormorava che andasse in vacanza, o a farsi sussurrare idee dalla presunta entità che lo comandava e che gli suggeriva tutti quei meravigliosi racconti. Eppure, durante le brevi ed accaldate notti estive, s’udivano voci e si scorgevano luci nella casetta abbandonata; poiché, già, l’Invisibile viveva in un’abitazione costruita agli inizi dell’Ottocento, stranamente non ancora arresasi alle intemperie e al trascorrere del tempo. Egli vi aveva preso posto chissà quando; nessuno pareva ricordarselo, neppure gli anziani che tanto invidiavano la sua posizione.
Si dicevano mille cose sul suo conto: che in realtà fosse uno stregone, un fantasma, un pedofilo, un assassino, un viandante, un pazzo sfuggito alle grinfie dei Giustizieri, il corpo poliziesco di quel periodo. Ripeto ch’erano tempi duri, periodi durante i quali solo gli uomini come Oskar riuscivano ad inventare un’alternativa all’inginocchiarsi al cospetto di coloro che niente mai comprenderanno del piacere nell’asservire, piuttosto che nel comandare.
L’Invisibile non aveva mai scritto un libro, in realtà. Si era attribuito da solo il titolo di “scrittore”, finendo per essere conosciuto come tale dai cittadini, troppo affaccendati nella loro vita monotona per constatare quanto l’uomo possedesse davvero una fervida immaginazione e un sistema complesso di narrazione, pari solo agli antichi scrivani, uomini molto più vicini a Dio di quanto lo fossero mai stati i preti o i papi.
Le sue storie le raccontava a voce, forse inventandole sul momento, forse appuntandole su un foglio invisibile; spesso pareva star leggendo, poiché incespicava fissando il vuoto. Ma forse lo faceva apposta, come mille altre cose apparentemente accidentali.
Nessuno era mai riuscito a guardarlo negli occhi. Dal primo momento che avevo messo piede nel suo territorio a quando, ormai a maggior età superata, avevo continuato imperterrito ad ascoltare le sue narrazioni, sempre diverse e sempre nuove, mai avevo scorto il suo sguardo. Riflettevo su quale mirabolante colore potessero possedere i suoi occhi; i capelli li aveva arancione. Una volta, anche se in tutti i modi tentava di calarli nel pesante giaccone nero, per via d’una folata di vento dei ciuffi erano svolazzati fuori dal nascondiglio. Che gioia, quel giorno! Ero riuscito a scoprire qualcosa di più su Oskar l’Invisibile! Ma, purtroppo, nulla di più. Con sé aveva sempre un cappello scuro, che calava sin oltre la fronte, seguito da una sciarpa del medesimo colore e da guanti grigi, abbinati a stivali e pantaloni pesanti. Seppure paresse non cambiarsi, non avevo mai avvertito nessuna puzza provenire dalla sua figura longilinea. La sua voce era delicata, vellutata, limpida; a volte, durante i racconti più toccanti, addirittura s’incrinava, lasciando intendere la sua sensibilità.



I suoi occhi mi erano rimasti ignoti fino a un pomeriggio di fine maggio, il periodo durante il quale Oskar si preparava a sparire in quel luogo innominato, chissà dove e chissà con chi, se qualcuno mai l’accompagnava. Mi apprestavo a dirigermi a casa sua per udire l’ultima storia, quel racconto che ti lasciava a bocca aperta e incuriosito sino a settembre, quando l’Invisibile ricompariva dal nulla, come se non se ne fosse mai andato, per concludere la narrazione incompleta.
Stranamente, nell’andare fuori città, non avevo udito i gridolini infantili dei bambini del posto, sempre puntuali agli appuntamenti giornalieri con lo scrittore. I genitori li lasciavano liberi di far ciò che volevano, a patto che rientrassero prima che l’oscurità facesse capolino da dietro le montagne, invadendo i confini della campagna accanto alla città. E così era sempre stato.
Giunto dinanzi l’abitazione diroccata, nessuno pareva avermi preceduto. La sedia a dondolo appostata sul ciglio del giardino giaceva immobile, immune alle raffiche di vento caldo e intenso proveniente dal Sud. L’Invisibile sedeva sempre lì per raccontare, e tutti coloro propensi all’ascolto si sistemavano attorno a lui, con le orecchie rizzate dalla curiosità e l’avidità di viaggi altrove; le sue storie sembravano davvero poterti condurre in quei luoghi immaginari, così perfetti nella loro stravagante struttura. Ma, come tutte le narrazioni, essi erano castelli di carta.
Mi sedetti ai piedi della sedia a dondolo, gettandole occhiate furtive, quasi dal nulla potesse materializzarsi l’Invisibile, anche se, per quanto ne sapevo, ancora non n’era in grado. I minuti trascorrevano lenti, interminabili, ed il sole si abbassava fra le fronde degli alberi tutt’intorno, pieni del cinguettio degli uccelli emigrati di recente. L’aria si stava facendo veramente pesante e Oskar non accennava ad arrivare. Stavo giusto per alzarmi, quando udii uno scricchiolio dalla vecchia e decadente porta dell’abitazione, rumore che precedette l’avvicinarsi dello scrittore, con la sua andatura lenta e, tuttavia, aggraziata ed attenta. Si avvicinò alla sua sedia, scrutandomi dall’oscurità del suo sguardo invisibile.
« Buon pomeriggio, Nigel. » Mi salutò con un mormorio basso, sedendosi piano. Gli sorrisi cordiale.
« Salve a lei, Oskar. Sta per partire? » Sebbene non amasse trattare di quell’argomento, a volte si riusciva a tirargli fuori qualche frase enigmatica. Chissà perché, lo immaginai ricambiare il sorriso.
« Sì. Presto partirò. » Rimanere in silenzio in sua compagnia era un’esperienza dalle mille sfaccettature. L’atmosfera sembrava incupirsi attorno alla sua figura. « Dunque, sei qui per l’ultima storia? »
« Come ogni estate finché avrò vita, Oskar! » Ed accentuai il sorriso, sistemandomi meglio sul suolo. « Come mai oggi mancano i bambini? » Domandai incerto, gettando occhiate perplesse attorno; nessuna traccia di quei birbanti. L’uomo tossicchiò, apparentemente a disagio.
« Non hai saputo? »
« Che cosa? »
« L’ultima storia è stata narrata ieri pomeriggio, Nigel, come dettato dall’avviso. » Il giovedì era l’unico giorno in cui Oskar vietava di giungere alla sua dimora per il racconto, che non ci sarebbe stato. Il motivo dell’utilizzare proprio quel giorno come “riposo” era un altro dei suoi misteri. Perciò, il giorno prima, non ero venuto.
« Quale avviso? » Chissà dove diavolo l’aveva piazzato, visto che non si allontanava mai dalla sua casa se non nottetempo, per procurarsi da mangiare nei discount 24 Hours.
« Quest’autunno non farò ritorno. » Sussurrò in tono rammaricato, soffrendo chiaramente nel pronunciare quelle parole. Senza mascherare il mio sgomento, assunsi un’espressione delusa e rattristata.
« Perché mai? Dove deve andare? Cosa la tratterrà? » Sapevo già prima di porgergli quelle domande che non avrei ottenuto risposta alcuna.
« Oggi racconterò per te una storia che nessun altro ha mai udito, Nigel. » Iniziava sempre con quella premessa a narrare, sebbene solitamente parlasse al plurale. Suonava strano sentirlo rivolto solo a me. Inoltre, se a suo detto aveva esposto il racconto ai bambini, non sarei stato io il primo ad udirla. « È la storia di un mondo fantastico, popolato da individui diversi da noi, con usanze diverse e tempi diversi. Non tutto di ciò che udirai sarà piacevole. Né tutto si concluderà bene. Ma, se vorrai ascoltare, io pronunzierò questi termini per te, per renderti nota la storia di epoche remote e uomini coraggiosi, persone grazie alle quali noi ci troviamo qui, oggi. Se ciò che mormorerò, se questi sussurri ti inquieteranno o ti arrecheranno fastidio, allora va’, corri lontano senza badare a me. E dimentica queste parole. » Concluso il breve discorso, Oskar scese dalla sedia e mi si sedette affianco, azione da lui mai compiuta prima. Si avvicinò così tanto che avvertii il suo respiro sulla cartilagine dell’orecchio, un alito freddo e, tuttavia, piacevolmente contrastante la calura.
« Stanno arrivando. » Quelle due semplici parole mi gelarono il sangue. Senza badarvi, Oskar si allontanò nuovamente, iniziando il racconto.


Mi hanno detto di non incrociare mai lo sguardo di un artista mentre è intento a immaginare o inventare. Mi hanno avvertito che potevo perdermici. Sebbene non l’avessero detto sorridendo, ho pensato che stessero scherzando. Se solo avessi ascoltato.



***


Idea sorta ascoltando questa canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=pyJ8IywDvxA. Non che c'entri particolarmente col tema che ho deciso di narrare; eppure attraverso una miriade d'idee sono giunta al titolo, da cui è scaturito il resto.
Opinioni e commenti sono ben accetti, al prossimo capitolo! ~

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Oscar_