- Buonasera a
tutte
voi!!!!!!
Per prima cosa speriamo che tutte
abbiate passato
un Natale meraviglioso, che vi siate ingozzate e abbiate trovato sotto
l'albero
tanti bei regali!!!
Ed eccoci qui con un bel regalo, anche se in ritardo, tutto
per voi: il cap 3 di HNL dove ci sarà un salto temporale e
qualche flashback.
Speriamo vi sia tutto chiaro ;)
Vi ringraziamo per le
recensioni, i seguiti&preferiti
e in generale per tutto l'affetto che continuate a mostrarci!!!!! (a
noi e alla
piccola Hope).
Vi mandiamo un bacio super
mega enorme e.... A
mercoledì ;D
*________*
un bacio,
Cloe&Fio
- Pov Kristen
- Los Angeles,
Ottobre
2019
- “E
quindi pensava di
vestirsi da Biancaneve. Questo però succedeva
venerdì, perché oggi ha deciso di
vestirsi da Cenerentola. Insomma, io avevo già detto alla
sarta tutti i
dettagli per Biancaneve! A volte penso che mi manderà fuori
di testa! Potrei
strozzarla!”
- La donna, di cui
non
ricordavo il nome, continuava a parlare e parlare come se fossimo
amiche di
vecchia data. Ed ero certa che non lo fossimo: primo perché
ci conoscevamo da
sì e no tre settimane e secondo, beh… secondo
perché onestamente davvero
nemmeno riuscivo a ricordare il suo nome.
- Forse iniziava
per… B?
- Bl…
- Blaire?
- Blake?
- No…
mmm, Belinda!
- Ecco come si
chiamava!
Belinda!
- “Tu a
volte non
avresti voglia di strozzarle?” domandò,
lasciandomi di stucco. Chi diavolo
chiedeva una cosa simile a una donna che conosceva da tre settimane?
- “Non
che intenda sul
serio, ovvio” si affrettò a rettificare
“Ma a volte avere un figlio è orribile!
Non pensi anche tu?”
- Avrei voluto
risponderle che no, non lo pensavo affatto. Che se solo avesse saputo
cosa
significasse sentirsi dire di essere sterile e senza alcuna
possibilità di
portare un figlio dentro di sé, allora non avrebbe mai detto
una cosa simile.
Avrei voluto risponderle che dare per scontata la benedizione di avere
un
figlio era una cosa tremendamente sbagliata.
- E non che non
sapessi
quanto stancante essere una madre, fosse. Ora lo sapevo anche io.
Sapevo che i
bimbi erano rumorosi, disordinati e a volte semplicemente,
semplicemente arghhh; eppure ogni
istante, anche i più
stancanti, erano comunque stati i più belli della mia vita.
- Mi sentii
scaldare
dentro quando la ragione della mia esistenza trotterellò
fuori dal cancello.
- “Beh,
Belinda ehm...”
- “Io mi
chiamo Blaire”
- Merda.
- “Beh,
Blaire, ehm… è
stato un piacere parlare con te. Ci vediamo lunedì,
ok?”
- “Va
bene, Kristen.”
Agitò la mano mentre mi allontanavo in fretta
“prendiamoci un caffè un giorno
di questi!”
- Ma ormai non la
sentivo più, non davvero perlomeno. La mia piccolina era tra
le mie braccia e
per la prima volta in tutto il giorno tirai un grosso sospiro di
sollievo.
Forse ero patetica, ma da quando aveva iniziato l’asilo il
mese precedente, mi
ero trasformata in una di quelle mamme iperprotettive e super
preoccupate. La
prima settimana le avevo misurato la febbre ogni giorno al ritorno da
scuola,
con grande divertimento di mio marito. Io, comunque, ancora non ci
trovavo
niente di divertente; era un fatto provato che tanti bambini chiusi in
un unico
ambiente creassero un covo perfetto per i germi.
- Mmmm, ora che ci
pensavo sembrava un po’ calda. Forse una volta tornate a casa
potevo…
- “Mamma,
non ho la
febble.” Hope batté gentilmente la mano sulla mia
“Sto bene!”
- Ok, essere
rassicurate
dalla propria figlia di quattro anni era decisamente patetico,
perciò mi
limitai ad annuire contro la sua esile spalla mentre camminavo verso
l’auto.
- Le domandai come
fosse
andata la sua giornata e lei iniziò a raccontarmi nei
dettagli tutte le
attività che aveva svolto coi suoi compagni; ancora una
volta mi stupii di come
parlasse bene, articolando tutte le vocali. Era sempre stata una bimba
precoce
ma un solo mese di asilo le aveva fatto fare progressi ancora maggiori.
E da
come era entusiasta dei compagni e dei colori e dei giochi e della
maestra si
capiva che adorava andarci.
- Certo, mi
mancavano i
momenti in cui eravamo solo noi due a casa. Le ultime tre settimane, ad
esempio, erano state tremende; Rob stava finendo le riprese di un film
a san
Francisco e io, che mi ero presa una pausa fino a dopo le vacanze
natalizie, mi
ritrovavo a casa a girarmi i pollici. O a tentare di fare la casalinga,
cosa
che onestamente non mi riusciva benissimo eccetto che per la cucina;
ero una
cuoca piuttosto in gamba ma per il resto…
- Ripensai ai
boxer di
Calvin Klein di Rob che quella mattina avevo trasformato in un bel rosa
confetto e scossi il capo tra me e me. Dovevamo cambiare la lavatrice
perché di
certo doveva essere rotta!
- “Mamma
mi stai
ascoltando?!” Hope catturò la mia attenzione
alzando il tono di voce e guardandomi
con disapprovazione per essermi distratta “Ho detto che la
maestla ha detto che
ci sarà una festa di Halloween e allora noi dobbiamo
complale un costume, ok?”
- Ah, allora era
questo
ciò per cui Blair era tanto preoccupata.
- “Ok”
risposi “Che
costume ti piacerebbe?”
- “Mmm,
non lo so. Pelò
folse ho un’idea!”
- Mise su il
sorriso
furbetto che di solito significava guai
ma mai mi sarei aspettata ciò che mi disse quando tornammo a
casa. Tolti i
vestiti per la scuola si era seduta sul divano a giocare con il mio
i-pad e,
mentre ero in cucina a prepararle la merenda, annunciò con
grande enfasi che
voleva essere me per Halloween.
- Oh, cosa?
- Era vero che non
controllavo ossessivamente internet per sapere a che posizione fossi
delle ‘più belle attrici
di Hollywood’ ma non
pensavo di essere diventata così orribile da rappresentare
una maschera di
Halloween.
- O almeno lo
speravo.
- Avevo solo 29
anni,
per la miseria.
- Mi
bastò un’occhiata
alla schermata, però, per capire cosa Hope intendesse.
- “Sei
stata una vampila
mamma! Non lo sapevo! Voglio essele una vampira come te! Voglio essere
te
vampira per Halloween” esclamò, quasi rovesciando
il bicchiere di latte “Posso?
Eh, ti pleeeeeeeeeeeeeeeeeeeego, posso? Eh? Eh?
Peffavooooole?!”
- Automaticamente
mise
su la sua miglior espressione da cucciolotto indifeso e sperduto,
correlata da
occhioni blu mare spalancati e sbattimento di ciglia così
forte da creare un
uragano. Ma questa volta non aveva motivo di pregare, perché
non vedevo alcun
motivo di non farla vestire da vampira. Dopotutto non mi stupiva che
Hope non
avesse voluto vestirsi come una principessa o una fatina.
- Lei
era… era una
bambina speciale. Era la mia bambina speciale; unica, imprevedibile,
fantastica, dolce. E anche testarda e combattiva, cose che a volte
facevano impazzire
me e Rob, ma non l’avremmo cambiata per tutto l’oro
del mondo. Specialmente
dopo ciò che avevamo passato per averla.
- Passammo i
minuti
seguenti a parlare di rossetto rosso sangue, cipria bianca per farla
diventare
super pallida e, perché no, anche un bel vestito bianco e
fluttuane macchiato
di sangue finto. Forse un po’ macabro ma se bisognava
diventare una vampira
meglio farlo con stile, no?
- Mano a mano che
parlavamo, però, il sorriso di mia figlia si fece
più debole, quasi come se non
fosse del tutto felice.
- “Tu
pensi che papà ci
sarà alla festa velo?”
- “Oh
tesoro, sì, sì,
certo che sì” mi affrettai a rassicurarla.
“Papà dovrebbe tornare domani e ad
halloween mancano quasi venti giorni, non preoccuparti.”
- Alzò
i suoi occhietti
su di me e lessi in loro lo stesso sentimento che riempiva anche i
miei.
- “Mi
manca papà…”
- “Lo
so, tesoro, manca
anche a me.”
- Ci mancava, ci
mancava
disperatamente. E non importava che fosse a sole due ore di macchina,
che ci
sentissimo spesso e che il giorno dopo sarebbe stato di nuovo a casa;
Rob era
la nostra roccia, era il collante che teneva tutto insieme. Se non ci
fosse
stato lui sarei impazzita, e non metaforicamente.
Probabilmente avrei rovinato
tutto, avrei fatto qualche follia e ogni possibilità di
essere genitori sarebbe
svanita per sempre per noi.
- Senza di lui,
chissà
dove Hope sarebbe finita.
- Senza di lui,
chissà
dove io sarei finita.
- Chiusi gli occhi
cercando di non pensarci, ma il ricordo di quel natale 2015 si
ripresentò
prepotentemente e, con lui, la follia che mi era uscita dalla
bocca…
- “Ma
stavolta hai scelto male, Rob. Voglio il divorzio.”
- Dopo averlo
detto mi ero alzata, ero tornata indietro, in
casa, e avevo iniziato a fare i bagagli. I pochi vestiti che avevo
portato con
me da Londra, buttati di nuovo dentro la borsa da cui li avevo tolti
solo poche
ore prima.
- Prima di
incontrare Hope, prima che qualcosa dentro di me
cambiasse, prima che Rob lo distruggesse…
- Come aveva
potuto farlo? Come? Aveva promesso che ci saremmo
presi un paio di giorni per pensarci, per valutare le opzioni, e invece
lui
aveva agito alle mie spalle, senza un pensiero, senza…
- Lacrime di
rabbia mi colarono lungo le guance mentre mi
sdraiavo sul letto, in attesa dell’alba. Come aveva potuto
guardare quella
bimba negli occhi e lasciarla alla polizia? Come? Non aveva sentito lo
stesso
legame speciale che avevo provato io quando l’avevo presa in
braccio? Fredda e
bagnata? E adesso chissà con chi era, chissà
dov’era, chissà se per lo meno era
al caldo e se le avevano dato da mangiare?
- Come aveva
potuto farlo? Come?
- Ma
più le ombre della notte si diradavano e più il
mattino si
faceva vicino, più mi rendevo conto che in realtà
avrei dovuto chiedermi il
contrario. Come avevo anche solo potuto pensare per un istante che lui
avrebbe
voluto tenerla? Rob non poteva capire quello che avevo sentito io e mai
avrebbe
potuto farlo. Lui era normale, lui avrebbe potuto avere figli suoi un
giorno,
lui non sapeva cosa significasse essere costantemente consapevole di
essere… sbagliata.
Difettosa.
- Non potevo
fargli una colpa per questo.
- La colpa era
mia, solo mia.
- Non parlammo per
tutto il viaggio di ritorno sul traghetto,
neppure ci guardammo in effetti. Lui rimase dentro mentre io me ne
stavo sul
ponte incurante del freddo e del vento; era così assurdo che
neppure riuscissi
a sentirlo? Ero così gelata dentro che ormai la temperatura
dell’aria e quella
del mio cuore erano uguali?
- Forse, forse
sì.
- Quando il taxi
parcheggiò davanti a casa Pattinson, Rob scese
ma io indugiai.
- “Può
aspettare un paio di minuti per favore?”domandai
all’autista.
- Riconobbi a
stento la mia voce, come se neppure fosse la mia.
In effetti non mi sentivo affatto io; era come se fossi entrata in un
ruolo che
avevo letto in un copione e stessi cercando di recitare la parte alla
perfezione.
- Vederla in quel
modo fu la sola cosa che mi permise di
pronunciare quelle parole.
- “Rob…”
- Si
voltò di scatto, come se fosse stupito che gli avessi
rivolto la parola, gli occhi colmi di speranza.
- “Kris,
ti prometto che i miei non… non diranno niente. Ma
possiamo andare in hotel se preferisci. Possiamo starcene in pace per i
fatti
nostri. Parlare.”
- Il suo sguardo
era così speranzoso, eppure non ebbi la forza
di abbassare gli occhi.
- “Quello
che ho detto prima…”
- “Lo so
che non lo pensavi. Eri arrabbiata, ma so che non lo
pensavi.”
- Fece un passo
avanti ed istintivamente io ne feci uno
indietro.
- Presi un lungo
respiro.
- Sette anni e
tutto finiva così…
- “Io
sì. Io lo pensavo.”
- Si
immobilizzò, pietrificato.
- “Quello
che è successo mi ha fatto capire che lasciarci è
la
cosa migliore. Forse lo sapevo da mesi, ma cercavo di negarlo a me
stessa. Tu
meriti di meglio. Io non ti renderò mai felice e tu non...
non potrai mai
capire.”
- Si
passò le mani fra i capelli prima di tornare a guardarmi.
- “Kristen...”
- “No”
scossi il capo. Che senso aveva dire altro? “È
meglio
così. Quello che hai fatto mi ha aperto gli occhi e ho
capito…”
- “Quello
che ho fatto è stato fare la cosa giusta!”
esclamò,
incredulo “Kristen, tu ora non ragioni perché se
lo facessi capiresti che la
tua idea era folle. Folle!”
- “Non
era folle per me!”
- Una lacrima di
dolore mi scivolò lungo una guancia e la sua
espressione rafforzò ancora di più la mia
decisione.
- “Visto?
Non vogliamo più le stesse cose” gracchiai. Cercai
di
contenere il flusso di lacrime, certa che se le avessi lasciate libere
di
cadere non avrei avuto la forza di andare avanti. “Lo faccio
per entrambi. Lo
faccio…”
- “Non
ti azzardare” la sua voce era così gelida che i
miei
occhi scattarono verso l’alto nonostante non volessi vedere
l’espressione di disprezzo
nei suoi. “Vuoi farmi fare la parte del cattivo
perché io non sono sterile e tu
sì? Ok, va bene, sarò il cattivo della
situazione. Ma non ti azzardare, non
osare dire che lo fai per me. Se te ne vai lo fai per te. Lo fai
perché sei una
codarda e tutto quello che fai quando hai paura è prendere
armi e bagagli e
scappare.”
- Mi voltai per
impedirgli di vedere quanto le sue parole mi
avessero ferito. Feci un passo verso il taxi.
- “Kristen,
se sali su quel taxi, questa volta è davvero
finita.”
- Deglutii il
dolore che mi impediva di respirare e annuii.
- “Addio,
Rob.”
- La porta del
taxi che richiusi dietro di me fu l’ultima cosa
che sentii prima di bisbigliare all’autista il nome del luogo
in cui volevo
andare e, poi, accasciarmi sul sedile.
- Incredibilmente,
meno di un ora dopo mi trovavo nello stesso
aeroporto in cui solo due giorni prima avevo sentito che qualcosa di
importante
nella mia vita sarebbe successo.
- Beh, era
successo, pensai amaramente.
- Due giorni prima
avevo un marito e adesso ero sola al mondo.
- Ma forse era
giusto così, forse tutto era semplicemente
andato come era destino. Trovare quella bambina, sentire ciò
che avevo sentito,
il fatto che Rob l’avesse riportata via senza pensarci due
volte…
- Forse negli
ultimi mesi mi ero solo illusa con me stessa; lui
non vedeva la situazione come la vedevo io, non poteva provare
ciò che provavo.
Non appena aveva visto Hope aveva usato la ragione, non aveva pensato a
come
fare a tenerla con noi.
- Ero certa che
fosse devastato per non potere avere un figlio
con me, ma un giorno avrebbe potuto averlo… con
qualcun’altra.
- La sola idea mi
fece salire la bile alla bocca, ma con quale
diritto?
- Io
l’avevo lasciato, io me n’ero andata il giorno di
Natale,
io stavo per prendere un volo per Los Angeles pronta a svuotare casa
nostra
dalle mie cose.
- E mentre me ne
stavo lì, a cercare segni che mi facessero
capire che avevo davvero fatto la cosa giusta, qualcosa successe.
- Un miracolo? Un
caso?
- Forse. O forse
fu semplicemente un vero segno, mentre quelle
che io avevo cercato così disperatamente erano solo scuse.
- Quello che era
reale era ciò che successe davanti a me, in
quell’aeroporto: una madre che aveva perso il suo bimbo di
cinque anni tra la
folla, salvo poi ritrovarlo pochi minuti dopo, in lacrime in un angolo.
Qualcuno aveva sorriso, qualcuno aveva pianto e qualcuno aveva tirato
un
sospiro di sollievo. Ma io ero rimasta paralizzata. E in un attimo le
parole di
Rob mi avevano inondato la mente.
- “Potrebbe
avere dei genitori là fuori! Dei parenti, un padre!
Una madre!”
- Questo aveva
detto. E aveva ragione.
- Quanto ero
ipocrita a provare sollievo per la donna che aveva
ritrovato il suo bambino e poi desiderare con tutto il mio cuore di
tenere una
neonata che per quanto ne sapevo poteva avere una famiglia che la stava
cercando nel terrore più totale.
- “Miss
Stewart?” una hostess si chinò su di me. Il fatto
che
conoscesse il mio nome e si preoccupasse di avvertirmi di persona, un
chiaro
privilegio riservato ai passeggeri della prima classe.
“Stiamo per imbarcare. I
passeggeri della prima classe per primi e lei è
l’unica.”
- Ebbi solo la
forza di deglutire e guardarla sconsolata. “Cosa
sto facendo?”
- Non sapevo se
parlavo con me stessa, con Dio, col fato o con
chiunque altro potesse darmi una risposta. A quel punto
l’avrei accettata
perfino da quella hostess se l’avesse avuta.
- “Ehm…,
sta per salire su un aereo?”
- Indugiai un paio
di secondi ma sapevo, ormai sapevo, che se
avessi messo piede su quell’aereo non avrei solo rotto per
sempre le cose fra
me e Rob, avrei per sempre rotto il rapporto che avevo con me stessa.
Che tipo
di persona stavo diventando?
- “No,
non credo salirò.”
- “No?”
domandò confusa.
- “No.”
- Rob era seduto
sul pavimento della sua stanza con l’aria
distrutta, sulle gambe il suo pc portatile e in un mano il cellulare,
mentre
con l’altra muoveva freneticamente il dito sul cursore del
mouse. Ma gli bastò
vedermi per far cadere tutto a terra in un secondo. Si alzò
in piedi, mi fissò
per un intero minuto, poi fece un passo, poi un altro e infine... mi
diede uno
schiaffo. Non forte, non tanto forte da farmi male, ma abbastanza forte
da
farmi bruciare la pelle. Abbastanza forte da svegliarmi. Fu come essere
svegliata del tutto da un orribile incubo in cui mi ero rinchiusa io
stessa.
- Lo superai e mi
lasciai cadere sul letto con la testa fra le
mani.
- “Non
volevo farti male.”
- “Non
me ne hai fatto” scossi il capo, guardandolo come se lo
vedessi per la prima volta dopo mesi “Mi serviva, Dio, mi
serviva da un sacco
di tempo.”
- Sentii il peso
del suo corpo al mio fianco. “Sai quanto male
hai fatto tu a me invece? Ogni singola volta in cui dicevi che non ti
capivo,
che non potevo neanche lontanamente immaginare come ti sentissi. Sai
cosa
volevo urlarti? Volevo urlarti che sapevo esattamente come ti sentivi.
Perché
se tu non puoi avere un bambino, allora nemmeno io posso avere un
bambino”
indugiò un attimo “Io non lo voglio un figlio con
qualcun’altra. Né ora né mai.
Te ne rendi conto?”
- Annuii, pronta a
parlare, ma quando i miei occhi si posarono
sullo schermo del pc, aggrottai la fronte, confusa.
- “Che
stavi facendo?”
- Mi
guardò come se fossi pazza. “Prenotando un volo
per LA,
ovvio.”
- “Ma…
quando sono salita sul taxi hai detto…” non
riuscii a
terminare la frase, ripensando a quello che avevo provato quando mi
aveva dato
quell’ultimatum.
- ‘Se
sali su quel taxi è finita.’
- “Lo so
quello che ho detto” sussurrò.
- “E
allora perché? Perché stavi venendo?”
- Mi
carezzò la guancia in modo che lo guardassi fisso negli
occhi.
- “Perché
non posso vivere senza di te.”
- Una lacrima
tiepida mi scivolò lungo la guancia e non tentai
neppure di fermarla.
- “Non
voglio il divorzio, Rob” gracchiai “Non lo voglio
ora,
né mai, né...”
- Non riuscii ad
andare avanti, il respiro troppo corto per
poter parlare.
- “Lo
so” mormorò “E so che mi ami, anche se
sei tornata di
corsa solo per i mille messaggi che ti ho lasciato in segreteria su
Hope...”
- “Cosa?”
La sorpresa per le sue parole mi fece dimenticare per
un attimo il groppo alla gola “Quali messaggi?”
- “Quelli
che ti lascio da più di un’ora sul
cellulare.”
- “Il
mio cellulare è sull’isola di Wight. Non
l’ho nemmeno
preso con me.”
- La sua
espressione si fece confusa, almeno tanto quanto la
mia. “Allora… allora perché sei tornata
indietro?”
- “Perché
non posso vivere senza di te.”
- Vidi i suoi
occhi divenire umidi. Le sue mani strinsero con
più forza il mio volto.
- “Kris,
ti amo alla follia, ma ora metto in chiaro due cose.
La prima è che sì, sei sterile”
rabbrividii alla durezza delle sue parole ma mi
resi conto che non mi fecero tanto male quanto mi sarei spettata.
“E questo non
ti rende sbagliata, diversa, o inutile. Ti rende vulnerabile, umana e
perfetta.
Ti rende la mia Kristen. Un giorno avremo un bambino, o una bambina o
un
mucchio di bambini e non importerà come li avremo. Saranno
nostri comunque.
Intesi?”
- “Intesi”
abbozzai un piccolo sorriso e le mie labbra si
tesero sulle sue, tiepide. “E la seconda cosa qual
è? Hai detto due cose.”
- “La
seconda è che la prossima volta che scappi non mi
limiterò a darti uno schiaffo. Verrò ovunque ti
trovi e ti prenderò a calci nel
sedere così forte che non te lo scorderai mai.
Chiaro?”
- “Chiaro.”
- Lo abbracciai
sorridendo ma, all’improvviso, le sue parole di
poco prima mi tornarono alla mente.
- “Che
c’entra Hope ora?”
- “Ok”
sospirò, afferrandomi per le spalle “Non alzare
troppo
le tue speranze ora, intesi?”
- “Rob...”
- “Quando
ho riportato la bimba indietro ho lasciato il mio
numero. E mi hanno chiamato i servizi sociali dell’isola.
Vogliono che racconti
come l’hai trovata alla polizia e… poi ho
telefonato all’avvocato di famiglia
dei miei. Voglio capire se ci sarebbe la possibilità di
seguire il suo caso,
di…”
- “Rob,
quando l’ho trovata ho davvero sentito una connessione
speciale con lei. Davvero… non so neppure come spiegarlo.
Anche se ho fatto e
detto cose tremendamente stupide, quello… quello era
vero.”
- “Lo
so” annuì “E non so come andranno le
cose con lei. Non so
se ha una famiglia da qualche parte. Non so nulla. Ma so che voglio
scoprirlo.”
- “E io
so che voglio aiutarla” terminai per lui.
- Non so come, ma
qualcosa di speciale era successo quando
l’avevo presa tra le braccia. Mi aveva cambiata dentro, in
più di un modo.
- Se avesse avuto
una madre che la amava lì fuori, allora
l’avrei aiutata a tornare da lei e se non l’avesse
avuta… se non l’avesse avuta
allora mi sarei assicurata che avesse una famiglia disposta ad amarla.
Che
fosse con me e Rob o con qualcun altro, non l’avrei delusa.
- “Insieme?”
- Rob mi prese la mano.
“Insieme.”
- Pov Robert
- Entrai in casa
in
punta di piedi per non svegliare nessuno, ma avrei dovuto immaginare
che
Kristen sarebbe stata ancora sveglia. Di solito le piaceva scherzare di
essere
un animale notturno, ma non avrei mai creduto di trovarla in piedi a
mezzanotte
passata a… cucire?
- Kris seduta al
tavolo
della sala da pranzo, con davanti metri di stoffa nera e una macchina
da
cucire. Una macchina da cucire.
- Soffocai
l’impulso di
ridere, sapendo che se lo avessi fatto, non sarei mai riuscito a farla
spaventare e, invece, rimasi semplicemente appoggiato allo stipite
della porta
a guardarla.
- Era bellissima
anche
col pigiama verde sbiadito, quello leggermente consumato sul ginocchio
sinistro, che si rifiutava di buttare perché, per qualche
strana ragione, le
ricordava qualcosa di importante, con una matita a tenerle fermi i
capelli in
cima al capo e con la lingua stretta fra le labbra, il suo gesto
classico
quando si stava concentrando su qualcosa di importante. Un gesto che
nostra
figlia aveva copiato e che le vedevo ripetere quando si concentrava
mentre
colorava un’immagine particolarmente difficile.
- Il pensiero di
Hope mi
fece subito rettificare ciò che avevo detto tra me e me solo
pochi istanti
prima. Non era così inusuale vedere Kristen seduta su quel
tavolo a cucire;
forse non aveva mai preso ago e filo prima, ma sin dal momento in cui
Hope era
entrata nelle nostre vite, aveva fatto di tutto per essere la madre
migliore
del mondo.
- E
c’era riuscita.
- Questo non
significava
che era perfetta o che non commetteva mai errori, perché
entrambi ne facevamo
molti, ma cos’era essere genitori se non cercare di fare del
proprio meglio? Se
l’amore incondizionato era il metro che misurava la
felicità di una famiglia
allora eravamo tutti e tre estremamente fortunati ad avere
l’un l’altro.
- Solo immaginare
le
nostre vite senza Hope…
- Quello era un
pensiero
che non volevo dovesse mai neppure passarmi per la testa.
- Senza fare
rumore mi
avvicinai a lei e la circondai da dietro con le braccia; la sentii
sussultare
ma quando si accorse che ero io, molto probabilmente dal mio profumo,
si
rilassò e scoppiò in una risata nervosa.
- “Sei
così sexy con
questo pigiama…”
- “Beh
ti consiglio di
approfittarne stasera. Domani torna mio marito ed è un tipo
molto geloso”
scherzò “Potrebbe non
apprezzare…”
- “Vedremo
di utilizzare
al meglio il poco tempo che abbiamo allora.”
- Feci scorrere i
palmi
delle mani sul suo ventre liscio e morbido ma, prima ancora che potessi
andare
avanti, fu lei a prendere in mano la situazione. Si voltò
tra le mie braccia e
la sua bocca fu subito sulla mia.
- “Non
so con quale
miracolo tu sia riuscito a tornare a casa un giorno prima ma non sai
quanto
sono felice” la voce le tremò per un secondo
“Avevo bisogno di te.”
- “Va
tutto bene? Cosa…”
- Non mi fece dire
altro. Le sue dita si intrecciarono alle mie e in silenzio salimmo le
scale che
portavano alla nostra camera da letto. Una parte di me avrebbe voluto
andare da
Hope ed assicurarmi che fosse al sicuro nel suo letto, ma la parte che
aveva
bisogno di mia moglie prevalse. Amavo il mio lavoro ma quando mi
portava
lontano dalle due persone che rendevano la mia vita completa, allora
arrivavo
davvero ad odiarlo. Ci amammo in silenzio, soffocando i nostri gemiti
l’uno
nella bocca dell’altro come avevamo imparato a fare da quando
Hope era venuta a
vivere con noi. Eppure nel dover fare l’amore in silenzio non
c’era imbarazzo o
fastidio, anzi, la nostra intimità sembrava essere solo
aumentata nel
ridacchiare sepolti sotto due piumoni per non fare rumore, nel
soffocarci di
baci, nel prenderci in giro perché comunque non eravamo mai
abbastanza
silenziosi. Quando la sentii rilassarsi sotto di me, le mordicchiai il
collo ma
mi accorsi subito delle sue guance umide. Accesi la luce sul comodino
per
vedere le sue guance rigate da due lunghe lacrime.
- “Kris…”
- “Non
è niente,
davvero” mi interruppe “Io sto bene, Hope sta bene.
È solo che oggi ho iniziato
a pensare al giorno in cui l’abbiamo trovata, a quello che
è successo il giorno
dopo, a quello che ho fatto, quello che ti ho
detto…”
- “Shhh,
sdraiati.” Sapevo
ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Entrambi ci
sdraiammo sotto le
coperte, la presi tra le braccia e allungai la mano spegnendo la luce.
Era
sempre riuscita ad esprimersi meglio al buio, sussurrando
ciò che pensava
nell’oscurità.
- “Cosa
sarebbe successo
se avessi preso quell’aereo, Rob? Avrei potuto rovinare
tutto. Forse le nostre
vite sarebbero così diverse ora.”
- “Sarei
venuto a LA e
ti avrei preso a calci, te l’ho detto” risi
baciandole il capo “Non ti avrei
mai permesso di lasciarmi, figurati. Saremmo tornati a Londra da Hope e
ora
saremmo esattamente qui in questo letto a parlare dopo aver fatto
l’amore, ne
sono sicuro.”
- “Ero
così stupida… Pensavo
cose assurde, volevo rapire una bambina…”
- “Non
farlo, Kris” la
rimproverai “Non avresti rapito nessuno. Alla fine avresti
fatto la cosa
giusta. Alla fine hai fatto la cosa giusta, no?”
- Erano rare, ma
c’erano
ancora delle volte in cui Kristen pensava al passato e si auto
flagellava; solo
che ora non si sentiva più in colpa per il fatto di non
potere avere figli, ma
per avermi ferito per mesi chiudendosi in se stessa, per avere
seriamente
considerato di tenere Hope senza dirlo a nessuno e per i mille
sentimenti che,
a parer mio, non doveva giustificare a nessuno. Neppure a me.
- “È
solo che ora che so
cosa vuol dire essere madre, mi sento tanto stupida. Come potevo
pensare che
partorire un bambino mi rendesse una madre più vera? Avevo questa convinzione che non
poterti dare un figlio
biologico mi rendesse inutile. Ero… beh, a un certo punto
stavo probabilmente
per impazzire.”
- “Non
stavi per
impazzire” esitai “Beh sì, forse un
po’ sì.”
- “Oh
grazie tante!” Mi
colpì scherzosamente alla pancia salvo poi posare il capo
sul mio cuore.
- “Tranquilla!
Posso
mettermi nei tuoi panni. Era qualcosa di importante che ti è
stato strappato.
Era ovvio che tu non stessi bene. Immagino come mi sentirei se un
giorno
diventassi pelato. Insomma, che ne farei di me stesso senza una parte
così
importante di me come la mia chioma?”
- Kris
soffocò le risate
contro la mia pelle e non potei non assaporare il piacere di poter
scherzare
con lei su quell’argomento. C’era stato un tempo in
cui non avremmo neppure
menzionato il fatto che non potesse avere figli. E adesso…
adesso potevamo
addirittura scherzarci su, farci una battuta di tanto in tanto per
esorcizzare
la cosa.
- Hope ci aveva
cambiati
e, forse, nel farlo, ci aveva anche salvati.
- “Mmm,
condivido” giocò
“Che cosa farebbe il genere umano senza i tuoi capelli?
Sarebbe un lutto per
tutto il genere femminile, di certo.”
- La sua risata
scemò e
dalla postura del suo corpo contro il mio capii che stava per dire
qualcosa di
serio.
- “Ricordi
la prima
volta che l’abbiamo portata a casa? Quando ci hanno detto che
poteva stare con
noi in affidamento?”
- “Come
fosse ieri.”
- “È
stato uno dei
momenti più belli della mia vita. E anche i mesi dopo.
Solo… ricordo anche il
terrore costante.”
- Sapevo
esattamente di
cosa parlava. Visto il chiaro legame che si era formato con la bambina
e il
fatto che eravamo candidati perfetti sia finanziariamente sia secondo i
test,
Hope ci era stata data in affidamento. Ma per quanto tempo? Mesi? Anni?
Avevamo
sin da subito avviato la richiesta di adozione vera e propria, visto
che la
polizia aveva chiuso il suo caso decretandola come minore abbandonato
senza
alcun genitore che si fosse mai fatto avanti a reclamarla, ma la
burocrazia era
quella che era e come facevamo ad essere certi che saremmo diventati
noi i suoi
veri genitori un giorno? Alla fine eravamo stati fortunati ma quei mesi
di
incertezza ci avevano logorati dentro. Tanto da farci esitare ad
ampliare la
nostra famiglia.
- “Sai
cosa mi
piacerebbe? Un figlio con i tuoi capelli leggendari”
mormorò.
- “Sì?”
risposi. Avevamo
affrontato qualche volta la possibilità di una madre
surrogato ma visto che gli
ovuli di Kristen erano inutilizzabili, avremmo dovuto usare quelli di
una
donatrice anonima. E l’ultima cosa che volevo era che lei si
sentisse tagliata
fuori e ricadesse nella stessa depressione di quattro anni prima.
“Sicura?”
- Annuì.
“Sarebbe una
parte di te e il regalo di qualcun altro. Certo che sono
sicura.”
- “Magari
nell’anno
nuovo, mm? Niente mi renderebbe più felice che avere un
altro figlio con te.”
- “Sì?”
- “Sì.”
- Baciai le sue
labbra
tiepide, accoccolandomi meglio contro di lei, conformandomi al suo
calore.
- Qualcosa mi
diceva che
per la prima volta da tre settimane a quella parte avrei dormito
perfettamente.
- E, in effetti,
fu
così, per lo meno per qualche ora. Alle sette di mattina
però ero già
perfettamente sveglio, nonostante fosse sabato e nonostante, per una
volta, non
dovessi essere su un set, su un aereo o a qualche show televisivo.
Dicevo
sempre di voler passare la giornata a poltrire a letto e poi, quando ne
avevo
la possibilità, che cosa facevo? Fissavo il soffitto mentre
mia moglie russava
piano al mio fianco. Non resistetti e presi il telefono, registrando il
suono
che usciva dalla sua bocca; era terribilmente cattivo da parte mia ma
ogni
volta che avevo tentato di dirle che russava, lei se ne era uscita
ribattendo
che era una bugia per prenderla in giro. Beh, ora avevo le
prove…
- Non resistetti
un
secondo di più a letto.
- C’era
qualcosa dentro
di me che mi faceva capire che non mi sarei più
riaddormentato, neppure
volendo. E non era per il russare di Kris, a cui tra l’altro
ero abituato da
anni. Era solo la voglia, pura e semplice, di attraversare il
corridoio,
entrare in camera di Hope, svegliarla e stringerla a me fino a
imprimermi di
nuovo in ogni poro della mia pelle il suo profumo di…
- Dio, neppure
sapevo
descriverlo. Un mix di aria e sole e vento e… e vaniglia.
- Non sapevo
perché ma
Hope profumava da sempre vagamente di vaniglia.
- Con un sorriso a
trentadue denti mi sporsi in camera sua, ma contrariamente a quanto
avevo
voluto fare, non la svegliai. Mi sedetti al suo fianco, sul suo lettino
rosa
che lei occupava solo in minima parte, raggomitolata com’era
in un angolo col
suo orsetto.
- I capelli rossi
erano
una matassa aggrovigliata sul capo che scostai con non poca fatica, ma
avrei
fatto qualunque cosa pur di vedere il suo visino. Erano state tre
settimane
terribilmente lunghe! Si stiracchiò un poco quando le mie
dita le sfiorarono la
fronte ma si rilassò subito. Sentii una stretta al cuore
quando mi accorsi che
in meno di un mese era cresciuta. Forse non di molto ma era certamente
più
grande. Ma com’era possibile? Non sarebbe dovuta restare una
bambina ancora per
molti e moltissimi anni? Possibilmente per sempre?
- Di questo passo
presto
sarebbe arrivata a casa con un ragazzo psicopatico, drogato o
alcolizzato che
l’avrebbe messa incinta e sarebbe finita in un orribile
matrimonio riparatore.
- OK, forse avevo
guardato per sbaglio qualche puntata di ’16
anni e incinta’ che mi aveva traumatizzato ma il
fatto era che lei era la
mia Hope, la mia bambina e di certo avrei fatto sì che la
sua vita fosse il più
perfetta possibile. E se questo significava comprare un quintale di
mattoni e costruirle
una torre…
- Ok, stavo
decisamente
impazzendo.
- Ma, forse, tutti
i
padri ad un certo punto avevano gli stessi pensieri assurdi ed
iperprotettivi.
- Un padre.
- Ecco
quello che ero. Solo qualche anno fa non
ci avrei neppure pensato. Poi era arrivata la notizia della
sterilità di Kris
che ci aveva investiti come un tornado e poi… poi era
arrivata Hope; e,
credetemi, anche lei ci aveva investiti. E aveva portato caos e giochi
sparsi
ovunque e pianti e capricci e risate e un numero imprecisato di ore a
guardare ‘Dora
l’esploratrice’, e di tutto questo
non avrei cambiato neppure una virgola. Avevo amato, e amavo, Kristen
alla
follia ma con Hope… con Hope sentivo un sentimento, una
proiettività che non
credevo fosse neppure umanamente possibile.
- Le carezzai le
labbra
col pollice e forse per reazione istintiva spalancò gli
occhioni blu che si
posarono, confusi ed eccitati su di me. Le bastò sbatterli
un paio di volte per
scacciare ogni traccia residua di sonno.
- “Sei
tonnato!”
- Mi
gettò le braccia al
collo e potei finalmente fare ciò che avevo desiderato sin
da quando avevo
aperto gli occhi. La abbracciai e sentii il suo profumo che mi era
mancato come
l’ossigeno.
- “Ma
mamma aveva detto
che tonnavi stasela!”
- “Beh
sì ma mi
mancavate, no? Comunque se preferisci me ne vado e ritorno stasera,
eh.”
- “No,
no, no!
Scherzavo!”
- Si
avvinghiò al mio
collo e la feci piroettare in aria finchè non si
scostò, fissandomi tutta
eccitata.
- “Preparami
le flitelle
per colazione!”
- Risi. Hope
sapeva che
le frittelle erano la sola cosa che non bruciavo in cucina e ogni volta
che
poteva ne approfittava.
- “Ai
suoi ordini,
principessa!”
- A
metà delle scale che
portavano al piano di sotto, Hope mi diede un lungo bacio sulla guancia.
- “Mi
sei mancato tanto
tanto tantissimissimissimo papà!”
- Papà.
- Chiusi gli occhi
e
riassaporai il ricordo della prima volta che quella parola le era
uscita dalla
bocca.
- “Riesci
a crederci?”
- Kris sussurrava
per non ricominciare a piangere. Le
massaggiavo la schiena come a volerla consolare, ma onestamente avevo
pianto
anche io. Avevo pianto quando l’assistente sociale ci aveva
detto che le
procedure per l’adozione definitiva erano andate a buon fine.
- Non era solo
più nostra ‘in affidamento’. Adesso era
davvero
nostra figlia. Agli occhi del mondo, degli altri e della legge lei era
nostra e
nessuno, nessuno, avrebbe più potuto portarcela via.
- “Sembra
un sogno…”
- Scossi il capo.
“Non lo è Kris, è la verità.
Te lo giuro. E’
qui, ed è reale ed è… la giornata
più bella della mia vita”
- Eppure mi
sbagliavo. Mi sbagliavo perché non sarebbe mai
stata assolutamente perfetta se non fosse accaduto ciò che
successe pochi
minuti dopo.
- Hope aveva
iniziato a parlare da un paio di mesi ma non ci eravamo
mai spinti a spronarla a chiamarci ‘mamma’ e
‘papà’; quelle erano parole
tabù,
nel caso non avessimo ottenuto l’adozione.
L’avvocato aveva detto che eravamo
candidati perfetti agli occhi della legge ma la paura… la
paura non se n’era
andata davvero finchè il giudice non aveva approvato in via
definitiva.
- Per questo
motivo quando lei balbettò, esitante ed incerta,
‘papà’ fra le mie braccia, rimasi
scioccato. Forse l’aveva sentito in tv o
forse Kris si era lasciata scappare quella parola qualche volta di
fronte a
lei.
- Non lo sapevo.
- Sapevo solo che
non potei frenare la lacrima che mi scese
lungo la guancia.
- “Adesso”
mormorai a Hope “Adesso è diventato davvero il
giorno più bello della mia vita.”
- “Mmm,
frittelle? E
senza di me?” Una Kris ancora terribilmente assonnata
entrò in cucina,
sfregandosi gli occhi. Mise su un adorabile broncio, mentre ci guardava
ingozzarci seduti al tavolo e Hope, per farla arrabbiare, si
spruzzò in bocca
le ultime gocce di sciroppo d’acero direttamente dal
barattolo.
- “Io e
papino abbiamo
fatto le flittelle e abbiamo finito tutto, tutto, tutto e anche tutto,
tutto,
tutto lo sciroppo!”
- “Ah
sì eh. Siete
veramente cattivi.”
- “Nooo,
scherzo! Papà
te ne ha lasciate due in forno al caldo”aggiunse Hope che non
riusciva a dire
bugie neppure per scherzo.
- “Wow
addirittura due?
Ti sei sprecato, mio caro.”
- Mi fece la
linguaccia
e quando si chinò per prendere il piatto dal forno, tirai
fuori il cellulare e
lo posai sul tavolo, avviando la riproduzione del suono che avevo
registrato
meno di un ora prima. Nostra figlia, che avevo già avvisato,
rise non appena
Kris sentì l’inconfondibile suono di un russare
provenire dall’apparecchio.
- Arrossì
e mi fissò a
occhi stretti come due fessure.
- “E
quello cosa diavolo
è?”
- “Sei
tu mamma!”
esclamò Hope “Russi!”
- Kris
spalancò la bocca
in modo assolutamente comico e puntò lo sguardo da me a
Hope, fintamente
sconvolta.
- “Siete
due persone
cattive. Molto, molto cattive.”
- Sia io che Hope
ridemmo ancora più forte e fummo salvati solo dal suono del
campanello del
cancello esterno a cui Kris andò a rispondere.
- Meno di un
minuto dopo
rientrò in cucina, guardando con orrore la tuta che aveva
indosso.
- “Dio,
proprio ora che
sono vestita così!” borbottò
“Tesoro, vai in camera tua a giocare mentre io e
papà parliamo con una persona?”
- “Ok,
vado a dare da
mangiare un pò di flittelle a Shirley licciolona
allora”
- Quando fu
trotterellata via mi sporsi verso Kris che stava cercando di dare una
forma
presentabile ai suoi capelli.
- “Chi
è?”
- “I
servizi sociali
inglesi.”
- “Davvero?”
domandai
confuso “A quest’ora?”
- Alzò
le spalle, senza
sapere che dire. “Beh avevano detto che anche se
l’abbiamo adottata ormai da
tre anni ci sarebbero state delle visite. Normale routine,
no?”
- In effetti non
era la
prima assistente sociale che veniva a fare un controllo ma questo era
successo
soprattutto il primo anno, poi si erano diradate ed ormai erano molti
mesi che
non ne avveniva una.
- Beh, nulla di
male, pensai.
In genere le donne che venivano erano persone molto gentili e
disponibili e
qualcuna, ok a essere sincero più di qualcuna, era
più eccitata di conoscere me
e Kris che di parlare con Hope.
- Ridacchiai.
“Abbaglierò anche lei col mio fascino,
vedrai.”
- Ma ogni voglia
di
ridere, ogni voglia di essere felice, ogni sensazione positiva che
avevo provato
da quando ero tornato a casa, fu spazzata via dalla donna che ci
trovammo
davanti pochi minuti dopo in salotto.
- Sui
trent’anni,
capelli biondo chiaro, vestita in modo elegante, chiaramente a disagio.
- Disse di
chiamarsi
Donna.
- Ci disse che,
sì, era venuta
per Hope.
- Ci disse che,
sì, era
venuta da Londra.
- Ma ci disse che,
no,
non era un assistente sociale.
- Ma fu quello che
disse
dopo a lasciarci totalmente sconvolti, impreparati.
- “La bambina che
avete
adottato. Io... io sono quasi certa…”
Indugiò, come se avesse appena commesso
un errore nel discorso che si era preparata. “No. Io sono certa che lei sia
mia.”
- _______________________
- Ehm... che dire...?
- Visto che questo è l'ultimo capitolo del 2012, ci sentiamo nell'anno nuovo! ;)
- E' stato un anno pieno di alti e bassi ma, tanto per citare ogni favola che si rispetti, il bene e l'amore alla fine vincono sempre, no? :)
- Beh, forse non sempre, who knows... AHAHA
- Fateci sapere che ne pensate in una recensioncina. Ci fanno sempre tanto piacere ç_ç Vabbè, a chi non fanno piacere? AHAHAHA
- That said...
- Un bacio e buone feste ancora!
- Cloe&Fio xx