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Autore: Fiorels    28/12/2012    17 recensioni
Si dice che in ogni vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e definito da farti sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi più respirare e il tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola ombra di dubbio, che la tua vita non sarà mai più la stessa.
Per me, Kristen Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su di lei.
Nulla fu più come prima.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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HNL - cap 1
Buonasera a tutte voi!!!!!!

Per prima cosa speriamo che tutte abbiate passato un Natale meraviglioso, che vi siate ingozzate e abbiate trovato sotto l'albero tanti bei regali!!!
Ed eccoci qui con un bel regalo, anche se in ritardo, tutto per voi: il cap 3 di HNL dove ci sarà un salto temporale e qualche flashback.
Speriamo vi sia tutto chiaro ;)

Vi ringraziamo per le recensioni, i seguiti&preferiti e in generale per tutto l'affetto che continuate a mostrarci!!!!! (a noi e alla piccola Hope).
Vi mandiamo un bacio super mega enorme e.... A mercoledì ;D
*________*
un bacio,
Cloe&Fio



 
Pov Kristen
Los Angeles, Ottobre 2019
 
“E quindi pensava di vestirsi da Biancaneve. Questo però succedeva venerdì, perché oggi ha deciso di vestirsi da Cenerentola. Insomma, io avevo già detto alla sarta tutti i dettagli per Biancaneve! A volte penso che mi manderà fuori di testa! Potrei strozzarla!”
La donna, di cui non ricordavo il nome, continuava a parlare e parlare come se fossimo amiche di vecchia data. Ed ero certa che non lo fossimo: primo perché ci conoscevamo da sì e no tre settimane e secondo, beh… secondo perché onestamente davvero nemmeno riuscivo a ricordare il suo nome.
Forse iniziava per… B?
Bl…
Blaire?
Blake?
No… mmm, Belinda!
Ecco come si chiamava! Belinda!
“Tu a volte non avresti voglia di strozzarle?” domandò, lasciandomi di stucco. Chi diavolo chiedeva una cosa simile a una donna che conosceva da tre settimane?
“Non che intenda sul serio, ovvio” si affrettò a rettificare “Ma a volte avere un figlio è orribile! Non pensi anche tu?”
Avrei voluto risponderle che no, non lo pensavo affatto. Che se solo avesse saputo cosa significasse sentirsi dire di essere sterile e senza alcuna possibilità di portare un figlio dentro di sé, allora non avrebbe mai detto una cosa simile. Avrei voluto risponderle che dare per scontata la benedizione di avere un figlio era una cosa tremendamente sbagliata.
E non che non sapessi quanto stancante essere una madre, fosse. Ora lo sapevo anche io. Sapevo che i bimbi erano rumorosi, disordinati e a volte semplicemente, semplicemente arghhh; eppure ogni istante, anche i più stancanti, erano comunque stati i più belli della mia vita.
Mi sentii scaldare dentro quando la ragione della mia esistenza trotterellò fuori dal cancello.
“Beh, Belinda ehm...”
“Io mi chiamo Blaire”
Merda.
“Beh, Blaire, ehm… è stato un piacere parlare con te. Ci vediamo lunedì, ok?”
“Va bene, Kristen.” Agitò la mano mentre mi allontanavo in fretta “prendiamoci un caffè un giorno di questi!”
Ma ormai non la sentivo più, non davvero perlomeno. La mia piccolina era tra le mie braccia e per la prima volta in tutto il giorno tirai un grosso sospiro di sollievo. Forse ero patetica, ma da quando aveva iniziato l’asilo il mese precedente, mi ero trasformata in una di quelle mamme iperprotettive e super preoccupate. La prima settimana le avevo misurato la febbre ogni giorno al ritorno da scuola, con grande divertimento di mio marito. Io, comunque, ancora non ci trovavo niente di divertente; era un fatto provato che tanti bambini chiusi in un unico ambiente creassero un covo perfetto per i germi.
Mmmm, ora che ci pensavo sembrava un po’ calda. Forse una volta tornate a casa potevo…
“Mamma, non ho la febble.” Hope batté gentilmente la mano sulla mia “Sto bene!”
Ok, essere rassicurate dalla propria figlia di quattro anni era decisamente patetico, perciò mi limitai ad annuire contro la sua esile spalla mentre camminavo verso l’auto.
Le domandai come fosse andata la sua giornata e lei iniziò a raccontarmi nei dettagli tutte le attività che aveva svolto coi suoi compagni; ancora una volta mi stupii di come parlasse bene, articolando tutte le vocali. Era sempre stata una bimba precoce ma un solo mese di asilo le aveva fatto fare progressi ancora maggiori. E da come era entusiasta dei compagni e dei colori e dei giochi e della maestra si capiva che adorava andarci.
Certo, mi mancavano i momenti in cui eravamo solo noi due a casa. Le ultime tre settimane, ad esempio, erano state tremende; Rob stava finendo le riprese di un film a san Francisco e io, che mi ero presa una pausa fino a dopo le vacanze natalizie, mi ritrovavo a casa a girarmi i pollici. O a tentare di fare la casalinga, cosa che onestamente non mi riusciva benissimo eccetto che per la cucina; ero una cuoca piuttosto in gamba ma per il resto…
Ripensai ai boxer di Calvin Klein di Rob che quella mattina avevo trasformato in un bel rosa confetto e scossi il capo tra me e me. Dovevamo cambiare la lavatrice perché di certo doveva essere rotta!
“Mamma mi stai ascoltando?!” Hope catturò la mia attenzione alzando il tono di voce e guardandomi con disapprovazione per essermi distratta “Ho detto che la maestla ha detto che ci sarà una festa di Halloween e allora noi dobbiamo complale un costume, ok?”
Ah, allora era questo ciò per cui Blair era tanto preoccupata.
“Ok” risposi “Che costume ti piacerebbe?”
“Mmm, non lo so. Pelò folse ho un’idea!”
Mise su il sorriso furbetto che di solito significava guai ma mai mi sarei aspettata ciò che mi disse quando tornammo a casa. Tolti i vestiti per la scuola si era seduta sul divano a giocare con il mio i-pad e, mentre ero in cucina a prepararle la merenda, annunciò con grande enfasi che voleva essere me per Halloween.
Oh, cosa?
Era vero che non controllavo ossessivamente internet per sapere a che posizione fossi delle ‘più belle attrici di Hollywood’ ma non pensavo di essere diventata così orribile da rappresentare una maschera di Halloween.
O almeno lo speravo.
Avevo solo 29 anni, per la miseria.
Mi bastò un’occhiata alla schermata, però, per capire cosa Hope intendesse.
“Sei stata una vampila mamma! Non lo sapevo! Voglio essele una vampira come te! Voglio essere te vampira per Halloween” esclamò, quasi rovesciando il bicchiere di latte “Posso? Eh, ti pleeeeeeeeeeeeeeeeeeeego, posso? Eh? Eh? Peffavooooole?!”
Automaticamente mise su la sua miglior espressione da cucciolotto indifeso e sperduto, correlata da occhioni blu mare spalancati e sbattimento di ciglia così forte da creare un uragano. Ma questa volta non aveva motivo di pregare, perché non vedevo alcun motivo di non farla vestire da vampira. Dopotutto non mi stupiva che Hope non avesse voluto vestirsi come una principessa o una fatina.
Lei era… era una bambina speciale. Era la mia bambina speciale; unica, imprevedibile, fantastica, dolce. E anche testarda e combattiva, cose che a volte facevano impazzire me e Rob, ma non l’avremmo cambiata per tutto l’oro del mondo. Specialmente dopo ciò che avevamo passato per averla.
Passammo i minuti seguenti a parlare di rossetto rosso sangue, cipria bianca per farla diventare super pallida e, perché no, anche un bel vestito bianco e fluttuane macchiato di sangue finto. Forse un po’ macabro ma se bisognava diventare una vampira meglio farlo con stile, no?
Mano a mano che parlavamo, però, il sorriso di mia figlia si fece più debole, quasi come se non fosse del tutto felice.
“Tu pensi che papà ci sarà alla festa velo?”
“Oh tesoro, sì, sì, certo che sì” mi affrettai a rassicurarla. “Papà dovrebbe tornare domani e ad halloween mancano quasi venti giorni, non preoccuparti.”
Alzò i suoi occhietti su di me e lessi in loro lo stesso sentimento che riempiva anche i miei.
“Mi manca papà…”
“Lo so, tesoro, manca anche a me.”
Ci mancava, ci mancava disperatamente. E non importava che fosse a sole due ore di macchina, che ci sentissimo spesso e che il giorno dopo sarebbe stato di nuovo a casa; Rob era la nostra roccia, era il collante che teneva tutto insieme. Se non ci fosse stato lui sarei impazzita, e non  metaforicamente. Probabilmente avrei rovinato tutto, avrei fatto qualche follia e ogni possibilità di essere genitori sarebbe svanita per sempre per noi.
Senza di lui, chissà dove Hope sarebbe finita.
Senza di lui, chissà dove io sarei finita.
Chiusi gli occhi cercando di non pensarci, ma il ricordo di quel natale 2015 si ripresentò prepotentemente e, con lui, la follia che mi era uscita dalla bocca…
 
 
“Ma stavolta hai scelto male, Rob. Voglio il divorzio.”
Dopo averlo detto mi ero alzata, ero tornata indietro, in casa, e avevo iniziato a fare i bagagli. I pochi vestiti che avevo portato con me da Londra, buttati di nuovo dentro la borsa da cui li avevo tolti solo poche ore prima.
Prima di incontrare Hope, prima che qualcosa dentro di me cambiasse, prima che Rob lo distruggesse…
Come aveva potuto farlo? Come? Aveva promesso che ci saremmo presi un paio di giorni per pensarci, per valutare le opzioni, e invece lui aveva agito alle mie spalle, senza un pensiero, senza…
Lacrime di rabbia mi colarono lungo le guance mentre mi sdraiavo sul letto, in attesa dell’alba. Come aveva potuto guardare quella bimba negli occhi e lasciarla alla polizia? Come? Non aveva sentito lo stesso legame speciale che avevo provato io quando l’avevo presa in braccio? Fredda e bagnata? E adesso chissà con chi era, chissà dov’era, chissà se per lo meno era al caldo e se le avevano dato da mangiare?
Come aveva potuto farlo? Come?
Ma più le ombre della notte si diradavano e più il mattino si faceva vicino, più mi rendevo conto che in realtà avrei dovuto chiedermi il contrario. Come avevo anche solo potuto pensare per un istante che lui avrebbe voluto tenerla? Rob non poteva capire quello che avevo sentito io e mai avrebbe potuto farlo. Lui era normale, lui avrebbe potuto avere figli suoi un giorno, lui non sapeva cosa significasse essere costantemente consapevole di essere… sbagliata. Difettosa.
Non potevo fargli una colpa per questo.
La colpa era mia, solo mia.
Non parlammo per tutto il viaggio di ritorno sul traghetto, neppure ci guardammo in effetti. Lui rimase dentro mentre io me ne stavo sul ponte incurante del freddo e del vento; era così assurdo che neppure riuscissi a sentirlo? Ero così gelata dentro che ormai la temperatura dell’aria e quella del mio cuore erano uguali?
Forse, forse sì.
Quando il taxi parcheggiò davanti a casa Pattinson, Rob scese ma io indugiai.
“Può aspettare un paio di minuti per favore?”domandai all’autista.
Riconobbi a stento la mia voce, come se neppure fosse la mia. In effetti non mi sentivo affatto io; era come se fossi entrata in un ruolo che avevo letto in un copione e stessi cercando di recitare la parte alla perfezione.
Vederla in quel modo fu la sola cosa che mi permise di pronunciare quelle parole.
“Rob…”
Si voltò di scatto, come se fosse stupito che gli avessi rivolto la parola, gli occhi colmi di speranza.
“Kris, ti prometto che i miei non… non diranno niente. Ma possiamo andare in hotel se preferisci. Possiamo starcene in pace per i fatti nostri. Parlare.”
Il suo sguardo era così speranzoso, eppure non ebbi la forza di abbassare gli occhi.
“Quello che ho detto prima…”
“Lo so che non lo pensavi. Eri arrabbiata, ma so che non lo pensavi.”
Fece un passo avanti ed istintivamente io ne feci uno indietro.
Presi un lungo respiro.
Sette anni e tutto finiva così…
“Io sì. Io lo pensavo.”
Si immobilizzò, pietrificato.
“Quello che è successo mi ha fatto capire che lasciarci è la cosa migliore. Forse lo sapevo da mesi, ma cercavo di negarlo a me stessa. Tu meriti di meglio. Io non ti renderò mai felice e tu non... non potrai mai capire.”
Si passò le mani fra i capelli prima di tornare a guardarmi.
“Kristen...”
“No” scossi il capo. Che senso aveva dire altro? “È meglio così. Quello che hai fatto mi ha aperto gli occhi e ho capito…”
“Quello che ho fatto è stato fare la cosa giusta!” esclamò, incredulo “Kristen, tu ora non ragioni perché se lo facessi capiresti che la tua idea era folle. Folle!”
“Non era folle per me!”
Una lacrima di dolore mi scivolò lungo una guancia e la sua espressione rafforzò ancora di più la mia decisione.
“Visto? Non vogliamo più le stesse cose” gracchiai. Cercai di contenere il flusso di lacrime, certa che se le avessi lasciate libere di cadere non avrei avuto la forza di andare avanti. “Lo faccio per entrambi. Lo faccio…”
“Non ti azzardare” la sua voce era così gelida che i miei occhi scattarono verso l’alto nonostante non volessi vedere l’espressione di disprezzo nei suoi. “Vuoi farmi fare la parte del cattivo perché io non sono sterile e tu sì? Ok, va bene, sarò il cattivo della situazione. Ma non ti azzardare, non osare dire che lo fai per me. Se te ne vai lo fai per te. Lo fai perché sei una codarda e tutto quello che fai quando hai paura è prendere armi e bagagli e scappare.”
Mi voltai per impedirgli di vedere quanto le sue parole mi avessero ferito. Feci un passo verso il taxi.
“Kristen, se sali su quel taxi, questa volta è davvero finita.”
Deglutii il dolore che mi impediva di respirare e annuii.
“Addio, Rob.”
La porta del taxi che richiusi dietro di me fu l’ultima cosa che sentii prima di bisbigliare all’autista il nome del luogo in cui volevo andare e, poi, accasciarmi sul sedile.
Incredibilmente, meno di un ora dopo mi trovavo nello stesso aeroporto in cui solo due giorni prima avevo sentito che qualcosa di importante nella mia vita sarebbe successo.
Beh, era successo, pensai amaramente.
Due giorni prima avevo un marito e adesso ero sola al mondo.
Ma forse era giusto così, forse tutto era semplicemente andato come era destino. Trovare quella bambina, sentire ciò che avevo sentito, il fatto che Rob l’avesse riportata via senza pensarci due volte…
Forse negli ultimi mesi mi ero solo illusa con me stessa; lui non vedeva la situazione come la vedevo io, non poteva provare ciò che provavo. Non appena aveva visto Hope aveva usato la ragione, non aveva pensato a come fare a tenerla con noi.
Ero certa che fosse devastato per non potere avere un figlio con me, ma un giorno avrebbe potuto averlo… con qualcun’altra.
La sola idea mi fece salire la bile alla bocca, ma con quale diritto?
Io l’avevo lasciato, io me n’ero andata il giorno di Natale, io stavo per prendere un volo per Los Angeles pronta a svuotare casa nostra dalle mie cose.
E mentre me ne stavo lì, a cercare segni che mi facessero capire che avevo davvero fatto la cosa giusta, qualcosa successe.
Un miracolo? Un caso?
Forse. O forse fu semplicemente un vero segno, mentre quelle che io avevo cercato così disperatamente erano solo scuse.
Quello che era reale era ciò che successe davanti a me, in quell’aeroporto: una madre che aveva perso il suo bimbo di cinque anni tra la folla, salvo poi ritrovarlo pochi minuti dopo, in lacrime in un angolo. Qualcuno aveva sorriso, qualcuno aveva pianto e qualcuno aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma io ero rimasta paralizzata. E in un attimo le parole di Rob mi avevano inondato la mente.
“Potrebbe avere dei genitori là fuori! Dei parenti, un padre! Una madre!”
Questo aveva detto. E aveva ragione.
Quanto ero ipocrita a provare sollievo per la donna che aveva ritrovato il suo bambino e poi desiderare con tutto il mio cuore di tenere una neonata che per quanto ne sapevo poteva avere una famiglia che la stava cercando nel terrore più totale.
“Miss Stewart?” una hostess si chinò su di me. Il fatto che conoscesse il mio nome e si preoccupasse di avvertirmi di persona, un chiaro privilegio riservato ai passeggeri della prima classe. “Stiamo per imbarcare. I passeggeri della prima classe per primi e lei è l’unica.”
Ebbi solo la forza di deglutire e guardarla sconsolata. “Cosa sto facendo?”
Non sapevo se parlavo con me stessa, con Dio, col fato o con chiunque altro potesse darmi una risposta. A quel punto l’avrei accettata perfino da quella hostess se l’avesse avuta.
“Ehm…, sta per salire su un aereo?”
Indugiai un paio di secondi ma sapevo, ormai sapevo, che se avessi messo piede su quell’aereo non avrei solo rotto per sempre le cose fra me e Rob, avrei per sempre rotto il rapporto che avevo con me stessa. Che tipo di persona stavo diventando?
“No, non credo salirò.”
“No?” domandò confusa.
“No.”
 
Rob era seduto sul pavimento della sua stanza con l’aria distrutta, sulle gambe il suo pc portatile e in un mano il cellulare, mentre con l’altra muoveva freneticamente il dito sul cursore del mouse. Ma gli bastò vedermi per far cadere tutto a terra in un secondo. Si alzò in piedi, mi fissò per un intero minuto, poi fece un passo, poi un altro e infine... mi diede uno schiaffo. Non forte, non tanto forte da farmi male, ma abbastanza forte da farmi bruciare la pelle. Abbastanza forte da svegliarmi. Fu come essere svegliata del tutto da un orribile incubo in cui mi ero rinchiusa io stessa.
Lo superai e mi lasciai cadere sul letto con la testa fra le mani.
“Non volevo farti male.”
“Non me ne hai fatto” scossi il capo, guardandolo come se lo vedessi per la prima volta dopo mesi “Mi serviva, Dio, mi serviva da un sacco di tempo.”
Sentii il peso del suo corpo al mio fianco. “Sai quanto male hai fatto tu a me invece? Ogni singola volta in cui dicevi che non ti capivo, che non potevo neanche lontanamente immaginare come ti sentissi. Sai cosa volevo urlarti? Volevo urlarti che sapevo esattamente come ti sentivi. Perché se tu non puoi avere un bambino, allora nemmeno io posso avere un bambino” indugiò un attimo “Io non lo voglio un figlio con qualcun’altra. Né ora né mai. Te ne rendi conto?”
Annuii, pronta a parlare, ma quando i miei occhi si posarono sullo schermo del pc, aggrottai la fronte, confusa.
“Che stavi facendo?”
Mi guardò come se fossi pazza. “Prenotando un volo per LA, ovvio.”
“Ma… quando sono salita sul taxi hai detto…” non riuscii a terminare la frase, ripensando a quello che avevo provato quando mi aveva dato quell’ultimatum.
‘Se sali su quel taxi è finita.’
“Lo so quello che ho detto” sussurrò.
“E allora perché? Perché stavi venendo?”
Mi carezzò la guancia in modo che lo guardassi fisso negli occhi.
“Perché non posso vivere senza di te.”
Una lacrima tiepida mi scivolò lungo la guancia e non tentai neppure di fermarla.
“Non voglio il divorzio, Rob” gracchiai “Non lo voglio ora, né mai, né...”
Non riuscii ad andare avanti, il respiro troppo corto per poter parlare.
“Lo so” mormorò “E so che mi ami, anche se sei tornata di corsa solo per i mille messaggi che ti ho lasciato in segreteria su Hope...”
“Cosa?” La sorpresa per le sue parole mi fece dimenticare per un attimo il groppo alla gola “Quali messaggi?”
“Quelli che ti lascio da più di un’ora sul cellulare.”
“Il mio cellulare è sull’isola di Wight. Non l’ho nemmeno preso con me.”
La sua espressione si fece confusa, almeno tanto quanto la mia. “Allora… allora perché sei tornata indietro?”
“Perché non posso vivere senza di te.”
Vidi i suoi occhi divenire umidi. Le sue mani strinsero con più forza il mio volto.
“Kris, ti amo alla follia, ma ora metto in chiaro due cose. La prima è che sì, sei sterile” rabbrividii alla durezza delle sue parole ma mi resi conto che non mi fecero tanto male quanto mi sarei spettata. “E questo non ti rende sbagliata, diversa, o inutile. Ti rende vulnerabile, umana e perfetta. Ti rende la mia Kristen. Un giorno avremo un bambino, o una bambina o un mucchio di bambini e non importerà come li avremo. Saranno nostri comunque. Intesi?”
“Intesi” abbozzai un piccolo sorriso e le mie labbra si tesero sulle sue, tiepide. “E la seconda cosa qual è? Hai detto due cose.”
“La seconda è che la prossima volta che scappi non mi limiterò a darti uno schiaffo. Verrò ovunque ti trovi e ti prenderò a calci nel sedere così forte che non te lo scorderai mai. Chiaro?”
“Chiaro.”
Lo abbracciai sorridendo ma, all’improvviso, le sue parole di poco prima mi tornarono alla mente.
“Che c’entra Hope ora?”
“Ok” sospirò, afferrandomi per le spalle “Non alzare troppo le tue speranze ora, intesi?”
“Rob...”
“Quando ho riportato la bimba indietro ho lasciato il mio numero. E mi hanno chiamato i servizi sociali dell’isola. Vogliono che racconti come l’hai trovata alla polizia e… poi ho telefonato all’avvocato di famiglia dei miei. Voglio capire se ci sarebbe la possibilità di seguire il suo caso, di…”
“Rob, quando l’ho trovata ho davvero sentito una connessione speciale con lei. Davvero… non so neppure come spiegarlo. Anche se ho fatto e detto cose tremendamente stupide, quello… quello era vero.”
“Lo so” annuì “E non so come andranno le cose con lei. Non so se ha una famiglia da qualche parte. Non so nulla. Ma so che voglio scoprirlo.”
“E io so che voglio aiutarla” terminai per lui.
Non so come, ma qualcosa di speciale era successo quando l’avevo presa tra le braccia. Mi aveva cambiata dentro, in più di un modo.
Se avesse avuto una madre che la amava lì fuori, allora l’avrei aiutata a tornare da lei e se non l’avesse avuta… se non l’avesse avuta allora mi sarei assicurata che avesse una famiglia disposta ad amarla. Che fosse con me e Rob o con qualcun altro, non l’avrei delusa.
“Insieme?”
Rob mi prese la mano. “Insieme.”
 
Pov Robert  
 
Entrai in casa in punta di piedi per non svegliare nessuno, ma avrei dovuto immaginare che Kristen sarebbe stata ancora sveglia. Di solito le piaceva scherzare di essere un animale notturno, ma non avrei mai creduto di trovarla in piedi a mezzanotte passata a… cucire?
Kris seduta al tavolo della sala da pranzo, con davanti metri di stoffa nera e una macchina da cucire. Una macchina da cucire.
Soffocai l’impulso di ridere, sapendo che se lo avessi fatto, non sarei mai riuscito a farla spaventare e, invece, rimasi semplicemente appoggiato allo stipite della porta a guardarla.
Era bellissima anche col pigiama verde sbiadito, quello leggermente consumato sul ginocchio sinistro, che si rifiutava di buttare perché, per qualche strana ragione, le ricordava qualcosa di importante, con una matita a tenerle fermi i capelli in cima al capo e con la lingua stretta fra le labbra, il suo gesto classico quando si stava concentrando su qualcosa di importante. Un gesto che nostra figlia aveva copiato e che le vedevo ripetere quando si concentrava mentre colorava un’immagine particolarmente difficile.
Il pensiero di Hope mi fece subito rettificare ciò che avevo detto tra me e me solo pochi istanti prima. Non era così inusuale vedere Kristen seduta su quel tavolo a cucire; forse non aveva mai preso ago e filo prima, ma sin dal momento in cui Hope era entrata nelle nostre vite, aveva fatto di tutto per essere la madre migliore del mondo.
E c’era riuscita.
Questo non significava che era perfetta o che non commetteva mai errori, perché entrambi ne facevamo molti, ma cos’era essere genitori se non cercare di fare del proprio meglio? Se l’amore incondizionato era il metro che misurava la felicità di una famiglia allora eravamo tutti e tre estremamente fortunati ad avere l’un l’altro.
Solo immaginare le nostre vite senza Hope…
Quello era un pensiero che non volevo dovesse mai neppure passarmi per la testa.
Senza fare rumore mi avvicinai a lei e la circondai da dietro con le braccia; la sentii sussultare ma quando si accorse che ero io, molto probabilmente dal mio profumo, si rilassò e scoppiò in una risata nervosa.
“Sei così sexy con questo pigiama…”
“Beh ti consiglio di approfittarne stasera. Domani torna mio marito ed è un tipo molto geloso” scherzò “Potrebbe non apprezzare…”
“Vedremo di utilizzare al meglio il poco tempo che abbiamo allora.”
Feci scorrere i palmi delle mani sul suo ventre liscio e morbido ma, prima ancora che potessi andare avanti, fu lei a prendere in mano la situazione. Si voltò tra le mie braccia e la sua bocca fu subito sulla mia.
“Non so con quale miracolo tu sia riuscito a tornare a casa un giorno prima ma non sai quanto sono felice” la voce le tremò per un secondo “Avevo bisogno di te.”
“Va tutto bene? Cosa…”
Non mi fece dire altro. Le sue dita si intrecciarono alle mie e in silenzio salimmo le scale che portavano alla nostra camera da letto. Una parte di me avrebbe voluto andare da Hope ed assicurarmi che fosse al sicuro nel suo letto, ma la parte che aveva bisogno di mia moglie prevalse. Amavo il mio lavoro ma quando mi portava lontano dalle due persone che rendevano la mia vita completa, allora arrivavo davvero ad odiarlo. Ci amammo in silenzio, soffocando i nostri gemiti l’uno nella bocca dell’altro come avevamo imparato a fare da quando Hope era venuta a vivere con noi. Eppure nel dover fare l’amore in silenzio non c’era imbarazzo o fastidio, anzi, la nostra intimità sembrava essere solo aumentata nel ridacchiare sepolti sotto due piumoni per non fare rumore, nel soffocarci di baci, nel prenderci in giro perché comunque non eravamo mai abbastanza silenziosi. Quando la sentii rilassarsi sotto di me, le mordicchiai il collo ma mi accorsi subito delle sue guance umide. Accesi la luce sul comodino per vedere le sue guance rigate da due lunghe lacrime.
“Kris…”
“Non è niente, davvero” mi interruppe “Io sto bene, Hope sta bene. È solo che oggi ho iniziato a pensare al giorno in cui l’abbiamo trovata, a quello che è successo il giorno dopo, a quello che ho fatto, quello che ti ho detto…”
“Shhh, sdraiati.” Sapevo ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Entrambi ci sdraiammo sotto le coperte, la presi tra le braccia e allungai la mano spegnendo la luce. Era sempre riuscita ad esprimersi meglio al buio, sussurrando ciò che pensava nell’oscurità.
“Cosa sarebbe successo se avessi preso quell’aereo, Rob? Avrei potuto rovinare tutto. Forse le nostre vite sarebbero così diverse ora.”
“Sarei venuto a LA e ti avrei preso a calci, te l’ho detto” risi baciandole il capo “Non ti avrei mai permesso di lasciarmi, figurati. Saremmo tornati a Londra da Hope e ora saremmo esattamente qui in questo letto a parlare dopo aver fatto l’amore, ne sono sicuro.”
“Ero così stupida… Pensavo cose assurde, volevo rapire una bambina…”
“Non farlo, Kris” la rimproverai “Non avresti rapito nessuno. Alla fine avresti fatto la cosa giusta. Alla fine hai fatto la cosa giusta, no?”
Erano rare, ma c’erano ancora delle volte in cui Kristen pensava al passato e si auto flagellava; solo che ora non si sentiva più in colpa per il fatto di non potere avere figli, ma per avermi ferito per mesi chiudendosi in se stessa, per avere seriamente considerato di tenere Hope senza dirlo a nessuno e per i mille sentimenti che, a parer mio, non doveva giustificare a nessuno. Neppure a me.
“È solo che ora che so cosa vuol dire essere madre, mi sento tanto stupida. Come potevo pensare che partorire un bambino mi rendesse una madre più vera? Avevo questa convinzione che non poterti dare un figlio biologico mi rendesse inutile. Ero… beh, a un certo punto stavo probabilmente per impazzire.”
“Non stavi per impazzire” esitai “Beh sì, forse un po’ sì.”
“Oh grazie tante!” Mi colpì scherzosamente alla pancia salvo poi posare il capo sul mio cuore.
“Tranquilla! Posso mettermi nei tuoi panni. Era qualcosa di importante che ti è stato strappato. Era ovvio che tu non stessi bene. Immagino come mi sentirei se un giorno diventassi pelato. Insomma, che ne farei di me stesso senza una parte così importante di me come la mia chioma?”
Kris soffocò le risate contro la mia pelle e non potei non assaporare il piacere di poter scherzare con lei su quell’argomento. C’era stato un tempo in cui non avremmo neppure menzionato il fatto che non potesse avere figli. E adesso… adesso potevamo addirittura scherzarci su, farci una battuta di tanto in tanto per esorcizzare la cosa.
Hope ci aveva cambiati e, forse, nel farlo, ci aveva anche salvati.
“Mmm, condivido” giocò “Che cosa farebbe il genere umano senza i tuoi capelli? Sarebbe un lutto per tutto il genere femminile, di certo.”
La sua risata scemò e dalla postura del suo corpo contro il mio capii che stava per dire qualcosa di serio.
“Ricordi la prima volta che l’abbiamo portata a casa? Quando ci hanno detto che poteva stare con noi in affidamento?”
“Come fosse ieri.”
“È stato uno dei momenti più belli della mia vita. E anche i mesi dopo. Solo… ricordo anche il terrore costante.”
Sapevo esattamente di cosa parlava. Visto il chiaro legame che si era formato con la bambina e il fatto che eravamo candidati perfetti sia finanziariamente sia secondo i test, Hope ci era stata data in affidamento. Ma per quanto tempo? Mesi? Anni? Avevamo sin da subito avviato la richiesta di adozione vera e propria, visto che la polizia aveva chiuso il suo caso decretandola come minore abbandonato senza alcun genitore che si fosse mai fatto avanti a reclamarla, ma la burocrazia era quella che era e come facevamo ad essere certi che saremmo diventati noi i suoi veri genitori un giorno? Alla fine eravamo stati fortunati ma quei mesi di incertezza ci avevano logorati dentro. Tanto da farci esitare ad ampliare la nostra famiglia.
“Sai cosa mi piacerebbe? Un figlio con i tuoi capelli leggendari” mormorò.
“Sì?” risposi. Avevamo affrontato qualche volta la possibilità di una madre surrogato ma visto che gli ovuli di Kristen erano inutilizzabili, avremmo dovuto usare quelli di una donatrice anonima. E l’ultima cosa che volevo era che lei si sentisse tagliata fuori e ricadesse nella stessa depressione di quattro anni prima. “Sicura?”
Annuì. “Sarebbe una parte di te e il regalo di qualcun altro. Certo che sono sicura.”
“Magari nell’anno nuovo, mm? Niente mi renderebbe più felice che avere un altro figlio con te.”
“Sì?”
“Sì.”
Baciai le sue labbra tiepide, accoccolandomi meglio contro di lei, conformandomi al suo calore.
Qualcosa mi diceva che per la prima volta da tre settimane a quella parte avrei dormito perfettamente.
E, in effetti, fu così, per lo meno per qualche ora. Alle sette di mattina però ero già perfettamente sveglio, nonostante fosse sabato e nonostante, per una volta, non dovessi essere su un set, su un aereo o a qualche show televisivo. Dicevo sempre di voler passare la giornata a poltrire a letto e poi, quando ne avevo la possibilità, che cosa facevo? Fissavo il soffitto mentre mia moglie russava piano al mio fianco. Non resistetti e presi il telefono, registrando il suono che usciva dalla sua bocca; era terribilmente cattivo da parte mia ma ogni volta che avevo tentato di dirle che russava, lei se ne era uscita ribattendo che era una bugia per prenderla in giro. Beh, ora avevo le prove…
Non resistetti un secondo di più a letto.
C’era qualcosa dentro di me che mi faceva capire che non mi sarei più riaddormentato, neppure volendo. E non era per il russare di Kris, a cui tra l’altro ero abituato da anni. Era solo la voglia, pura e semplice, di attraversare il corridoio, entrare in camera di Hope, svegliarla e stringerla a me fino a imprimermi di nuovo in ogni poro della mia pelle il suo profumo di…
Dio, neppure sapevo descriverlo. Un mix di aria e sole e vento e… e vaniglia.
Non sapevo perché ma Hope profumava da sempre vagamente di vaniglia.
Con un sorriso a trentadue denti mi sporsi in camera sua, ma contrariamente a quanto avevo voluto fare, non la svegliai. Mi sedetti al suo fianco, sul suo lettino rosa che lei occupava solo in minima parte, raggomitolata com’era in un angolo col suo orsetto.
I capelli rossi erano una matassa aggrovigliata sul capo che scostai con non poca fatica, ma avrei fatto qualunque cosa pur di vedere il suo visino. Erano state tre settimane terribilmente lunghe! Si stiracchiò un poco quando le mie dita le sfiorarono la fronte ma si rilassò subito. Sentii una stretta al cuore quando mi accorsi che in meno di un mese era cresciuta. Forse non di molto ma era certamente più grande. Ma com’era possibile? Non sarebbe dovuta restare una bambina ancora per molti e moltissimi anni? Possibilmente per sempre?
Di questo passo presto sarebbe arrivata a casa con un ragazzo psicopatico, drogato o alcolizzato che l’avrebbe messa incinta e sarebbe finita in un orribile matrimonio riparatore.
OK, forse avevo guardato per sbaglio qualche puntata di ’16 anni e incinta’ che mi aveva traumatizzato ma il fatto era che lei era la mia Hope, la mia bambina e di certo avrei fatto sì che la sua vita fosse il più perfetta possibile. E se questo significava comprare un quintale di mattoni e costruirle una torre…
Ok, stavo decisamente impazzendo.
Ma, forse, tutti i padri ad un certo punto avevano gli stessi pensieri assurdi ed iperprotettivi.
Un padre.
 Ecco quello che ero. Solo qualche anno fa non ci avrei neppure pensato. Poi era arrivata la notizia della sterilità di Kris che ci aveva investiti come un tornado e poi… poi era arrivata Hope; e, credetemi, anche lei ci aveva investiti. E aveva portato caos e giochi sparsi ovunque e pianti e capricci e risate e un numero imprecisato di ore a guardare ‘Dora l’esploratrice’, e di tutto questo non avrei cambiato neppure una virgola. Avevo amato, e amavo, Kristen alla follia ma con Hope… con Hope sentivo un sentimento, una proiettività che non credevo fosse neppure umanamente possibile.
Le carezzai le labbra col pollice e forse per reazione istintiva spalancò gli occhioni blu che si posarono, confusi ed eccitati su di me. Le bastò sbatterli un paio di volte per scacciare ogni traccia residua di sonno.
“Sei tonnato!”
Mi gettò le braccia al collo e potei finalmente fare ciò che avevo desiderato sin da quando avevo aperto gli occhi. La abbracciai e sentii il suo profumo che mi era mancato come l’ossigeno.
“Ma mamma aveva detto che tonnavi stasela!”
“Beh sì ma mi mancavate, no? Comunque se preferisci me ne vado e ritorno stasera, eh.”
“No, no, no! Scherzavo!”
Si avvinghiò al mio collo e la feci piroettare in aria finchè non si scostò, fissandomi tutta eccitata.
“Preparami le flitelle per colazione!”
Risi. Hope sapeva che le frittelle erano la sola cosa che non bruciavo in cucina e ogni volta che poteva ne approfittava.
“Ai suoi ordini, principessa!”
A metà delle scale che portavano al piano di sotto, Hope mi diede un lungo bacio sulla guancia.
“Mi sei mancato tanto tanto tantissimissimissimo papà!”
Papà.
Chiusi gli occhi e riassaporai il ricordo della prima volta che quella parola le era uscita dalla bocca.
 
 
“Riesci a crederci?”
Kris sussurrava per non ricominciare a piangere. Le massaggiavo la schiena come a volerla consolare, ma onestamente avevo pianto anche io. Avevo pianto quando l’assistente sociale ci aveva detto che le procedure per l’adozione definitiva erano andate a buon fine.
Non era solo più nostra ‘in affidamento’. Adesso era davvero nostra figlia. Agli occhi del mondo, degli altri e della legge lei era nostra e nessuno, nessuno, avrebbe più potuto portarcela via.
“Sembra un sogno…”
Scossi il capo. “Non lo è Kris, è la verità. Te lo giuro. E’ qui, ed è reale ed è… la giornata più bella della mia vita”
Eppure mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché non sarebbe mai stata assolutamente perfetta se non fosse accaduto ciò che successe pochi minuti dopo.
Hope aveva iniziato a parlare da un paio di mesi ma non ci eravamo mai spinti a spronarla a chiamarci ‘mamma’ e ‘papà’; quelle erano parole tabù, nel caso non avessimo ottenuto l’adozione. L’avvocato aveva detto che eravamo candidati perfetti agli occhi della legge ma la paura… la paura non se n’era andata davvero finchè il giudice non aveva approvato in via definitiva.
Per questo motivo quando lei balbettò, esitante ed incerta, ‘papà’ fra le mie braccia, rimasi scioccato. Forse l’aveva sentito in tv o forse Kris si era lasciata scappare quella parola qualche volta di fronte a lei.
Non lo sapevo.
Sapevo solo che non potei frenare la lacrima che mi scese lungo la guancia.
“Adesso” mormorai a Hope “Adesso è diventato davvero il giorno più bello della mia vita.”
 
 
“Mmm, frittelle? E senza di me?” Una Kris ancora terribilmente assonnata entrò in cucina, sfregandosi gli occhi. Mise su un adorabile broncio, mentre ci guardava ingozzarci seduti al tavolo e Hope, per farla arrabbiare, si spruzzò in bocca le ultime gocce di sciroppo d’acero direttamente dal barattolo.
“Io e papino abbiamo fatto le flittelle e abbiamo finito tutto, tutto, tutto e anche tutto, tutto, tutto lo sciroppo!”
“Ah sì eh. Siete veramente cattivi.”
“Nooo, scherzo! Papà te ne ha lasciate due in forno al caldo”aggiunse Hope che non riusciva a dire bugie neppure per scherzo.
“Wow addirittura due? Ti sei sprecato, mio caro.”
Mi fece la linguaccia e quando si chinò per prendere il piatto dal forno, tirai fuori il cellulare e lo posai sul tavolo, avviando la riproduzione del suono che avevo registrato meno di un ora prima. Nostra figlia, che avevo già avvisato, rise non appena Kris sentì l’inconfondibile suono di un russare provenire dall’apparecchio.
Arrossì e mi fissò a occhi stretti come due fessure.
“E quello cosa diavolo è?”
“Sei tu mamma!” esclamò Hope “Russi!”
Kris spalancò la bocca in modo assolutamente comico e puntò lo sguardo da me a Hope, fintamente sconvolta.
“Siete due persone cattive. Molto, molto cattive.”
Sia io che Hope ridemmo ancora più forte e fummo salvati solo dal suono del campanello del cancello esterno a cui Kris andò a rispondere.
Meno di un minuto dopo rientrò in cucina, guardando con orrore la tuta che aveva indosso.
“Dio, proprio ora che sono vestita così!” borbottò “Tesoro, vai in camera tua a giocare mentre io e papà parliamo con una persona?”
“Ok, vado a dare da mangiare un pò di flittelle a Shirley licciolona allora”
Quando fu trotterellata via mi sporsi verso Kris che stava cercando di dare una forma presentabile ai suoi capelli.
“Chi è?”
“I servizi sociali inglesi.”
“Davvero?” domandai confuso “A quest’ora?”
Alzò le spalle, senza sapere che dire. “Beh avevano detto che anche se l’abbiamo adottata ormai da tre anni ci sarebbero state delle visite. Normale routine, no?”
In effetti non era la prima assistente sociale che veniva a fare un controllo ma questo era successo soprattutto il primo anno, poi si erano diradate ed ormai erano molti mesi che non ne avveniva una.
Beh, nulla di male, pensai. In genere le donne che venivano erano persone molto gentili e disponibili e qualcuna, ok a essere sincero più di qualcuna, era più eccitata di conoscere me e Kris che di parlare con Hope.
Ridacchiai. “Abbaglierò anche lei col mio fascino, vedrai.”
Ma ogni voglia di ridere, ogni voglia di essere felice, ogni sensazione positiva che avevo provato da quando ero tornato a casa, fu spazzata via dalla donna che ci trovammo davanti pochi minuti dopo in salotto.
Sui trent’anni, capelli biondo chiaro, vestita in modo elegante, chiaramente a disagio.
Disse di chiamarsi Donna.
Ci disse che, sì, era venuta per Hope.
Ci disse che, sì, era venuta da Londra.
Ma ci disse che, no, non era un assistente sociale.
Ma fu quello che disse dopo a lasciarci totalmente sconvolti, impreparati.
“La bambina che avete adottato. Io... io sono quasi certa…” Indugiò, come se avesse appena commesso un errore nel discorso che si era preparata. “No. Io sono certa che lei sia mia.”
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Ehm... che dire...? 
Visto che questo è l'ultimo capitolo del 2012, ci sentiamo nell'anno nuovo! ;) 
E' stato un anno pieno di alti e bassi ma, tanto per citare ogni favola che si rispetti, il bene e l'amore alla fine vincono sempre, no? :) 
Beh, forse non sempre, who knows... AHAHA 
Fateci sapere che ne pensate in una recensioncina. Ci fanno sempre tanto piacere ç_ç Vabbè, a chi non fanno piacere? AHAHAHA 
That said...
Un bacio e buone feste ancora! 
Cloe&Fio xx


   
 
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