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Autore: Fiorels    23/12/2012    19 recensioni
Si dice che in ogni vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e definito da farti sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi più respirare e il tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola ombra di dubbio, che la tua vita non sarà mai più la stessa.
Per me, Kristen Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su di lei.
Nulla fu più come prima.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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HNL - cap 1
Hola girlssss! 
Scusate, avevamo detto cinque giorni e ne sono passati sei, mea culpa (di Fio xD); ho avuto un casino di cose da fare... 
Anyway ora siamo qui (fanculo Maya!!! u___u) a postare il secondo capitolo e a ringraziarvi per aver letto/recensito il primo e a aver aggiunto la storia tra le preferite e blabla... 
Come sempre, siamo felicissime di condividere qualche piccola storia con voi, quindi speriamo che vi piaccia ancora di più :) 
Vi lasciamo subito alla lettura! 
C'è un suggerimento musicale dal secondo pov ;) 


 
Pov Kristen
Non riuscivo a staccare gli occhi dalla piccola figura che aveva attirato la mia attenzione, forse convinta di stare sognando, incredula davanti ai miei sogni e alle mie speranze che prendevano finalmente vita, proprio sotto i miei occhi.
Possibile che, per una volta, il cielo avesse davvero ascoltato le mie preghiere, possibile che qualcuno lassù avesse davvero avvertito le mie grida silenziose e disperate, possibile che stesse davvero succedendo?
Mi guardai intorno velocemente, per assicurarmi che non ci fosse nessuno, ma la spiaggia era già quasi totalmente buia e non si vedeva ombra di anima viva, eccetto quella che si muoveva con tranquillità e dolcezza dentro la malandata barchetta di legno, intrappolata tra le rocce in riva al mare.
Per un secondo solo fui indecisa sul da farsi, ma mi bastò chinare nuovamente gli occhi su quel fagotto per realizzare che quello era il mio destino, che la svolta che stavo aspettando era arrivata e, prima ancora di prenderla tra le braccia, sapevo che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
Mi chinai e l’osservai ancora per qualche istante, ascoltando bene i rumori provenienti dalla sua bocca; non era un pianto, quanto più un lamento, una tacita e inconscia richiesta di aiuto. Il genere di lamento di chi è perso e non sa trovare la via di casa e cerca qualcuno che lo guidi.
Io sarei stato quel qualcuno per quella piccola, decisi senza pensarci mentre allungavo le braccia e, con estrema delicatezza, la tiravo su.
Era così piccola, − non doveva avere più di un mese − soprattutto avvolta in quell’ammasso di coperte che sembrava inghiottirla, ma si riconoscevano facilmente i lineamenti di una bambina.
“Da dove vieni fuori tu…?” sussurrai più a me stessa che a lei e, senza nemmeno accorgermene, presi a cullarla.
Non so se il movimento la spaventò o se, chissà, le ricordasse il dondolio del mare e delle acque che l’avevano trasportata fin lì, ma iniziò a piangere e mi sentii tremendamente in colpa e spaventata.
Che le avessi fatto qualcosa? E se aveva qualcosa di rotto o stesse male per altro?
Cercai di fare mente locale velocemente e di pensare quanto più razionalmente possibile, ma la ragione aveva abbandonato la mia mente nel momento in cui i miei occhi si erano posati su di lei e sapevo che non l’avrei recuperata presto.
Mi lasciai guidare dall’istinto e presi a dondolarmi di nuovo, canticchiando parole dolci.
Si calmò un po’, con enorme piacere e sorpresa, ma mi resi presto conto che non potevo restare lì.
Non potevo rischiare che qualcuno mi vedesse, inoltre il freddo della sera iniziava a farsi sentire decisamente troppo e non potevo tenere la bambina fuori più di quanto, probabilmente, non fosse già stata.
“Sssh” continuai a cullarla. “Ora andiamo a casa. Tranquilla, piccolina.”
La strinsi a me, diedi un’ultima occhiata alle prime stelle nel cielo e poi voltai le spalle per dirigermi verso le strade in cemento.
Mi affacciai dietro una delle case che davano sulla spiaggia per assicurarmi che non ci fosse nessuno per strada e, in effetti, erano totalmente vuote. Le poche persone che vi giravano prima dovevano essere rientrate in casa per prepararsi al cenone della Vigilia e per un attimo il mio pensiero andò a Rob, a quello che stava facendo, al fatto che sicuramente mi stava cercando e morendo non avendo mie notizie.
Lasciai il pensiero andare via in fretta, troppo in fretta, e tornai a concentrarmi sulla piccola, infreddolita, tra le mie braccia.
Camminai a passo svelto, continuando a dare un’occhiata in giro, sentendomi quasi una ladra, finché non fui finalmente al sicuro nel piccolo giardino di casa, poi sulla veranda e infine dentro.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi sentii finalmente al sicuro. La bambina stretta al mio petto e i ricordi di un’intera vita sotto i miei occhi.
Mi sentii per un secondo persa, senza Rob. Era la prima volta in cui vivevo qualcosa del genere senza di lui, senza la necessità di accendere il telefono e parlargli, senza la voglia di averlo accanto a me; non sapevo davvero il perché, forse avevo semplicemente paura che lui mi avrebbe portata alla realtà che odiavo mentre io ne stavo già costruendo un’altra.
Ancora una volta, spensi tutto ciò che del mio corpo era collegato a lui e pensai a una sola cosa unicamente: la bambina e il fatto che in quella casa non avessimo niente per prendersi cura di un bambino.
Non latte, pannolini, tutine calde, calzini, biberon… niente. Niente di niente.
Ma non mi diedi per vinta, intenzionata a non essere per nulla una pessima madre ancora prima di cominciare. Quella era la mia chance, la mia svolta, la candela di speranza che si era finalmente accesa e aveva trovato la luce, e io non avrei permesso a niente e nessuno di farla spegnere. Non a Rob o chiunque altro né, tanto meno, alle mie insicurezze.
Potevo farlo, sapevo che potevo.
Andai in salone e, continuando a tenere la bambina in braccio, aggiustai tutti i grandi cuscini in modo da formare una piccola fortezza in cui posi la piccola.
Si era calmata, e con la luce potei notare i suoi occhi, blu come il mare, lucidi e le guance arrossate. Chinai la fronte sulla sua e la sentii immediatamente calda. Non mi ci volle molto a capire che sicuramente doveva avere la febbre e non potei fare a meno di chiedermi cosa dovesse aver passato e quanto tempo fosse stata effettivamente fuori al freddo.
Come ci era arrivata una bambina di un mese su una barca? Cosa ci faceva?
O forse qualcuno l’aveva semplicemente abbandonata lì…?
Non seppi darmi risposta a quelle domande, ovviamente, e decisi di non pormele più. Non avevo bisogno di avere una risposta al passato, ma solo di guardare al presente e al futuro.
“Andrà tutto bene, piccola. Te lo prometto.”
E, prima che potessi pensarci troppo sopra, uscii chiudendo la porta a chiave.
Di certo non avrei trovato un supermercato aperto la vigilia di Natale ma anche su un’isola doveva esserci una farmacia di turno. Non avevo torto e, grazie a Dio, non mi ci volle nemmeno molto a trovarla. Misi su il cappuccio e la sciarpa fin sopra la bocca così che fosse impossibile riconoscermi, ed entrai.
Il reparto neonati era più grande di quanto mi aspettassi da una farmacia e, sebbene ce ne fosse motivo, decisi di non soffermarmi troppo. Avrei avuto tempo per vedere quali pannolini erano più adatti o quali biscotti erano più ricchi di vitamine.
Al momento tutto ciò di cui avevo bisogno era di tornare a casa, da lei, col minimo indispensabile. Presi un pacco di pannolini, latte liofilizzato, un biberon, un ciuccio dei più piccoli, salviettine, un termometro auricolare e qualche paio di calzini di lana e di tutine invernali che non mi aspettavo di trovare lì.
Andai alla cassa e mi informai con la dottoressa di turno sul da fare con un neonato in caso di febbre.
“I neonati hanno di norma una temperatura più elevata della nostra quindi se sono decimi non c’è da preoccuparsi. Se aumenta fino a 38 circa, gli dia una di queste. Vedrà che scenderà subito.”
Sperai vivamente che avesse ragione mentre univa le supposte al conto e, uscita dalla farmacia, corsi letteralmente a casa.
Entrai in un piacevole tepore e mi compiacqui di aver acceso i riscaldamenti appena arrivata quel pomeriggio. La piccola era, ovviamente, dove l’avevo lasciata e sembrava stare già molto meglio.
Gli occhi blu erano più vispi e svegli e, non so se fu un caso, ma appena mi vide affacciarmi su di lei, prese a muoversi con più foga tra le sue copertine.
Le tolsi quell’ammasso di pezze umide da dosso e rivelai la tutina che aveva. Era… strana e particolare, quasi antica. Certamente molto vecchio stile, viola e con una specie di salopette nera che rafforzava il tutto. Riscaldai i vestiti nuovi vicino a un termosifone per un paio di minuti prima di spogliarla totalmente. Anche i calzini erano particolari, di lana ma fatti a maglia. Si vedeva bene senza prestarvi nemmeno molta attenzione e il pannolino era un semplice panno con due spille attaccate alla vita, come quelli di anni ed anni prima.
Quando fu pronta, sembrava un’altra bambina, la mia bambina.
Non mi vergognai di quel pensiero ma, anzi, mi riscaldò il cuore. La presi finalmente di nuovo in braccio e sentii il calore della sua guancia a contatto con la mia. Mi ricordai della febbre e gliela misurai subito ma non toccava i 38 quindi mi rilassai e potei finalmente prepararle il latte e darle da mangiare.
Inizialmente rifiutò il biberon, ma quando pressai la tettarella per fare uscire un po’ di latte, sembrò intuire subito, spalancò gli occhi e vi si avvinghiò come se non vedesse cibo da giorni, e chissà se era effettivamente così.
Le diedi il tempo di respirare tra una poppata e l’altra per non farla strozzare, calcolai le giuste dosi e fui capace di farla digerire qualche minuto dopo.
Incredibile come tutto mi venisse così spontaneo, nonostante non avessi mai davvero avuto a che fare con neonati prima, non in senso così stretto almeno, non come dovrebbe una madre.
Chissà che la mia conoscenza non fosse dettata da tutto il tempo passato a leggere libri ogni volta che speravo di essere incinta, ogni volta che speravo di non sentirmi dire che, anche stavolta, l’embrione non si era creato.
Ma quella bambina, quello scricciolo che si era addormentato tra le mie braccia, era la speranza. Era la prova che non è vana, che vale la pena esprimere un desiderio a una stella cadente ogni tanto.
“Sei con la mamma adesso. Dormi tranquilla, amore mio…”
È possibile amare qualcuno così tanto e così in fretta? La mia storia con Rob non mi aveva mai fatto mettere in dubbio l’amore a prima vista, ma questo era qualcosa di diverso.
Qualcosa di sublime e imprescindibile. Qualcosa di mio, come niente lo era mai stato prima.
Ero totalmente e incondizionatamente innamorata di lei, e mentre le posavo un leggero bacio sulla fronte liscia, sapevo già che lei avrebbe riempito tutti gli ovuli vuoti che il mio corpo aveva ospitato negli anni.
Non so quanto tempo restai ferma, immobile, davanti al camino, incantata dalla delicatezza del suo viso; sicuramente quanto bastasse per farmi abbassare ogni barriera, perdere il contatto con il mondo esterno e sussultare impaurita quando sentii il campanello.
Il terrore si impossessò di me davanti all’eventuale possibilità che potesse essere la polizia.
Non può essere. Nessuno ti ha vista. Stai tranquilla, non hai fatto nulla di male.
Eppure il campanello suonò di nuovo e io sobbalzai proprio come prima, svegliando la bambina. Accarezzai l’idea di lasciarlo lì a suonare da solo, con chiunque fosse dietro quella porta, ma sapevo che non era saggio. Chiunque fosse, sapevo, sarebbe tornato a cercarmi.
Io e Rob non avevamo amicizie sull’isola e lui aveva le chiavi e poteva benissimo aprire da solo se avesse intuito dove fossi.
Adagiai la piccola nella fortezza costruita prima sul divano e chiusi le vetrate scorrevoli e colorate del salone alle mie spalle mentre andavo verso la porta d’ingresso.
Qualunque cosa sia, nega. Nega tutto. Nessuno lo verrà mai a sapere.
Promisi a me stessa mentre, tremante, camminavo lenta.
Nega, nega tutto. Non hai notato né sentito niente di strano. Non hai visto né preso nessuna bambina. Non ne sai nulla.
Il campanello suonò ancora una volta proprio mentre la mia mano girava le chiavi nella serratura.
“Kristen!”
La voce di Rob, come una doccia d’acqua calda dopo ore di pioggia, attraversò la porta ed ebbe il potere di calmarmi e rilassarmi istantaneamente.
Non sapevo ancora bene come affrontarlo ma certo era un sollievo in confronto al pensiero di dover parlare con la polizia.
Aprii la porta e me lo trovai davanti, con le mani rosse dal freddo, il viso esausto e terrorizzato e i capelli umidi. Entrò in casa in un passo solo e mi abbracciò come se non ci fosse un domani, salvo poi lasciarmi andare un secondo dopo e assumere uno degli sguardi più duri che gli avessi mai visto in tanti anni.
Prese l’iPhone dalla tasca e scrisse qualcosa velocemente – immaginai fosse un messaggio per avvisare gli altri che mi aveva trovata e che stavo bene – per poi tornare a fissarmi, più scosso e duro di prima.
“Che cazzo ti passa per la testa!? Me lo spieghi!?” prese ad urlare, costringendomi a stringere gli occhi per un paio di secondi. “Sai cosa vuol dire lasciarti casa libera per farti respirare e non trovarti dentro quando torno?! Lo sai che vuol dire?! Non trovare i tuoi vestiti, non riuscire a raggiungere il tuo cellulare, non avere la minima idea di cosa possa esserti passato per la testa?”
“Mi dispiace…” sussurrai, sentendo improvvisamente addosso tutta la colpa che avevo cercato di scaricare altrove.
“Non me ne fotte che ti dispiace! Non bastano le scuse, Kristen, cazzo! Lo sai dove sono andato prima di venire qui? Lo sai il primo posto che mi è venuto in mente? Il Tamigi. Sono andato al Tamigi e ho pregato di non vedere polizia e gente affollata attorno al punto da cui una donna si era appena buttata nel fiume. Sai che cazzo vuol dire temere che la persona che ami di più al mondo si sia uccisa?”
Un brivido mi percosse la spina dorsale al pensiero. “Rob… non lo farei mai. Lo sai.”
Si portò le mani in viso e asciugò il sottile strato di lacrime che gli inumidiva gli occhi.
Le presi tra le mie e sentii il gelo percorrere i nostri corpi.
“Ho temuto il peggio”, disse con voce rotta dalla paura.
“Non sono a quel punto, Rob. Davvero. Sto bene. E poi sai che non amo nuotare, se proprio volessi, farei un salto da qualche altra parte…”
“Kristen…” ringhiò, e capii che non era il momento di sdrammatizzare con scherzi. Non era il momento di sdrammatizzare affatto. Era morto di paura per me e non potevo dargli torto. Mi ero comportata da egoista ma, in fondo, ne era valsa la pena e l’avrei rifatto altre mille volte sapendo l’esito.
“Rob, guardami.” Ubbidì. “Non voglio lasciarti, in nessun modo, e ora più che mai voglio sentirti vicino.”
“Sono qui, amore. Sono qui, lo sai…” chinò la sua fronte contro la mia e restammo immobili per un paio di minuti prima che io sentissi un flebile vagito provenire dall’altra camera. Alzai gli occhi per notare una qualche reazione di Rob ma li teneva ancora chiusi. Era evidente che non doveva averci fatto caso, soprattutto perché non poteva certo immaginare che nella camera appena adiacente ci fosse un neonato; ma io che lo sapevo, lo avevo sentito eccome.
“Tu lo vuoi un bambino, Rob?”
Alzò il viso e prese il mio tra le sue mani ancora infreddolite. “Io voglio te.”
“Non è la riposta alla domanda.”
“Kristen…”
“Rispondi e basta, sì o no. In tutta onestà.”
Sospirò. “lo avremo, Kristen. Te lo prometto. In un modo o nell’altro.”
“La domanda, Rob. Sì o no?” incalzai.
“Sì, lo voglio. Sai che è così.”
“E… cosa faresti per averne uno?”
Sembrò indugiare un po’ prima di rispondere. “Qualunque cosa…”
“Me lo prometti?”
“Sì, certo. Te lo prometto.”
E sorrisi, sperando che non si pentisse presto di quella risposta.
“Okay. Devo presentarti qualcuno.”
E non potei descrivere le espressioni che dovette assumere il suo viso perché non permisi nemmeno a me stessa di vederle, o non sarei stata capace di spiegargli tutto.
Lui doveva vedere prima di sapere; doveva innamorarsi proprio come era capitato a me e doveva sentire di non aver bisogno di risposte. Era l’unico modo.
Presi la bambina, ormai completamente sveglia, e tornai da lui.
Vidi il suo sguardo passare dall’incerto al pensieroso, all’incredulo, ad altre tremila emozioni a cui non avrei saputo nemmeno dare un nome.
“Kristen…”
“Non è bellissima?”
Mi avvicinai e gli permisi di guardarla meglio. Lui chinò il viso e un sorriso perfetto fece da arco agli angoli della sua bocca, mentre con un dito sfiorava le guance calde della bambina. “Lo è…” sussurrò, specchiandosi in quegli occhioni blu, così simili ai suoi.
“Ma cosa…? Chi è?”
“È un miracolo, Rob. È un segno… lo capisci?”
“Veramente no. Di chi è?”
“Dovevo farlo. Lei era lì, e sarebbe morta se non l’avessi presa… Non potevo lasciarla lì, dovevo farlo. Era la cosa giusta da fare. E ha un po’ di febbre ma starà bene. Andrà tutto bene.”
“Kristen” la voce di Rob divenne sempre più seria e incerta, incapace di capire una sola parola di quello che stavo dicendo. “Mi spieghi, per favore? Di chi è questa bambina?”
“Non lo so” dissi con un filo di voce, esasperata. “Era in una barca abbandonata, sulla spiaggia. Freddissima, sola. Piangeva ed io ero lì. Dovevo farlo, capisci?”
Continuavo a ripetere le stesse parole sperando che, col tempo, avrebbero assunto un senso per Rob ma era evidente dal suo viso che stavo fallendo miseramente.
Dovetti spiegargli per filo e per segno come si era svolta la mia giornata fino al momento del suo arrivo.
“D’accordo. Hai fatto la cosa giusta. Ora dovremmo portarla alla polizia dell’isola.”
“NO!” non controllai i decibel della mia voce né il movimento protettivo che automaticamente mi fece indietreggiare da Rob.
“Kristen…?”
“No!” ripetei.
“D’accordo, magari stasera no. Andremo domani.”
“No, Rob. Non la porteremo a nessuna polizia. Né stasera, né domani, né mai.”
E forse quello fu il momento in cui lui capì quali fossero davvero le mie intenzioni; quello che ancora non sapeva era la mia determinazione a fare in modo che nessuno le attaccasse.
“Che intenzioni hai?” chiese in ogni caso.
“La terremo noi. Starà con noi e crescerà con due genitori che la amano.”
Vidi il suo viso aprirsi in un moto di compassione che, con me, non aveva mai avuto. “Kristen… sai che non possiamo…”
“Sì che possiamo. Lo desideriamo e abbiamo la possibilità di mantenere un bambino. Possiamo.”
“Non si tratta di possibilità! Ti rendi conto di quello che dici?”
Avanzò verso di me ma io indietreggiai ancora.
“Si tratta proprio di possibilità. Questa è la mia e non la lascerò andare.”
“E come pretendi di fare? Dire che hai partorito una bambina in una notte?”
“Diremo che l’abbiamo adottata, e da quando ti importa di quello che pensano gli altri?”
“Kristen, ma che cazzo dici? Ti rendi conto di quello che esce dalla tua bocca?”
“Rob, hai promesso che avresti fatto di tutto!”
“Era prima che mi proponessi di rubare un neonato!”
“Ma non si tratta di rubare! L’abbiamo trovata, è diverso!”
“Trovata in una barca, su una spiaggia. Potrebbe avere dei genitori là fuori! Dei parenti, un padre! Una madre!”
“Sì, una madre tanto brava che l’ha lasciata in mezzo all’oceano!”
“Non sappiamo quello che è successo e non sta a noi saperlo! Dobbiamo denunciare la cosa e lasciare che si occupino della bambina!”
“Per farla passare da un istituto all’altro in attesa che qualcuno venga a reclamare la sua scomparsa? O magari in affidamento, in qualche casa in cui rappresenti solo un buono pasto? Come puoi essere così meschino, Rob?”
“Dio santo, non sono meschino! Sono solo realista, a differenza tua. Stai perdendo il contatto con la realtà. Ti prego, ascoltami! Non possiamo tenerla senza dire niente, te ne rendi conto? Chiederanno, faranno mille domande. Come si fa a tenere segreta una bambina? Senza contare che se un giorno dovesse presentarsi qualcuno e si scoprisse tutto rischieremmo di finire in carcere, non so se ti è chiara la situazione.”
“È un rischio che sono pronta a correre.”
“Non con il mio appoggio!”
“Non ti sto chiedendo il permesso, Rob. Lei è mia.”
“Cristo Santo, Kristen! Ora smettila! Lei non è tua!” urlò così forte da far pianger persino la bambina.
Ormai eravamo distanti anni luce e io non ascoltavo nemmeno più quello che diceva, tanto ero presa dal desiderio di proteggere la piccola.
“Non voglio più parlare. Sono stanca.”
“Ah, sei stanca? Ti ho cercata per un intero pomeriggio, sono quasi morto dalla paura di quello che poteva esserti successo, vengo qui e mi trovo a dover combattere con te e tu sei stanca?”
“Ho detto che non mi va di parlare!”
“E quando vorresti parlare? Sentiamo!”
“Ah, non lo so! Magari tra una ventina d’anni, quando Hope sarà cresciuta e non sarà più messo in dubbio che è mia.”
“Hope? Kristen, non puoi averle dato un nome!”
“Invece l’ho fatto, e l’ho fatto da sola come, a quanto pare, dovrò fare molte altre cose, ma non importa. Ce la farò anche da sola, Robert. Non credere certo che le mie decisioni dipendano da te!”
“Devono farlo, invece! Tu devi rendermi conto se decidi di rovinare la tua vita! Siamo sposati, cazzo!”
“Allora, forse, dovremmo lasciarci, perché io non cambio idea!”
Iniziai a salire la scale che davano al piano di sopra, cercando disperatamente di calmare la piccola.
“Sì, brava! Lasciamoci pure! Che importanza ha! In fondo è quello che fai ogni volta che abbiamo dei problemi. Tu scappi e mi escludi dalla tua vita pensando che non possa capire come ti senti o cosa provi. Ti chiudi in te stessa pensando di avere ogni ragione del mondo e mi sbatti in faccia ogni porta che cerco di aprire per venire da te, proprio come quando-”
“Eravamo d’accordo di non parlarne più.”
Mi ero fermata di scatto ma non avevo girato il viso. Fissavo le scale di legno sentendo quel tasto tornare a schiacciare forte contro ogni parte di me e dolere come un cuore stretto in un pugno.
“Il 13 Settembre 2012, tu mi hai guardata negli occhi e mi hai detto: non parliamone mai più.”
“Mi dispiace, non volevo dirlo…”
Un sorriso amaro mi dipinse il viso mentre cercavo di trovare la forza per sputargli in faccia qualcosa di molto cattivo.
Mi voltai e affrontai il suo viso. “Sai una cosa? Invece penso proprio che volessi dirlo.”
“No, Kristen. Non avrei aspettato tre anni per parlarne se avessi ancora avuto problemi con quella storia. Era un modo stupido per farti capire che-”
“Cosa, Rob? Per farmi capire cosa? Che qualunque cosa faccia, io sbaglio sempre? Io sono quella che ci mette due anni per prendere una decisione, io sono quella che si lascia incastrare, io sono quella che bacia un quarantenne in una stupida macchina in mezzo alla strada, io sono quella che tradisce il ragazzo migliore del mondo, io sono quella che non può avere bambini, io sono quella sbagliata!”
Rob mi fissò truce e ferito per qualche secondo.
“Mi stai mettendo in bocca parole non mie.”
“Ti sto mettendo in bocca quello che leggo tra le righe.”
I nostri occhi si sfidarono, i miei seri e carichi di rabbia; i suoi esausti e… dispiaciuti.
Sembravano chiedere solo riposo ma non avrei mai potuto concederglielo, non se significava rinunciare a Hope. Avevo preso la mia decisione e non l’avrei abbandonata.
“Kristen…”
“Chissà, magari è meglio così. Forse, dopotutto, sono davvero sbagliata. Forse non vado più bene per te, non funzioniamo più…” una lacrima mi scese sul viso al solo pensiero delle parole che stavano per uscire, incontrollate, dalla mia bocca.
Rob la notò. “Amore…”
“Io… io mi sono rotta, Robert. Mi sono rotta e noi non ci incastriamo più…”
“Io mi incastrerò sempre a te, mi adatterò sempre, lo sai.”
“Ed è questo che non va bene. Tu… sei come succube. L’amore per me ti rende cieco.”
“Se mi rendesse cieco, ti appoggerei senza combattere questa guerra.”
“Io ti ho tradito, Robert. Dovresti… odiarmi. Avresti dovuto sputarmi in faccia, lasciarmi e non tornare mai più.”
“Non era così semplice. Lo sappiamo entrambi.”
“Perché tu non hai voluto che fosse semplice!”
“Certo! Perché farei di tutto per te, ma non perché sono tuo succube o incapace di ragionare con la testa piuttosto che col cuore. Non lo faccio perché non ho scelta, lo faccio proprio perché ne ho una e scelgo te. Sceglierò sempre te.”
“Non stavolta, a quanto pare.”
“Ti sbagli. Sto scegliendo te anche questa volta. Sei tu che stai mettendo altro prima di noi.”
“Sto mettendo un figlio prima di noi.”
“Pensi che non lo voglia anche io? Pensi che non desideri crescere un figlio con te? Ma voglio farlo alla luce del sole e senza il timore che qualcuno possa portarmelo via nel cuore della notte. Potrei essere egoista ed appoggiarti in questa pazzia ma non lo faccio perché so che ci rovinerà. Se non ti fermi, ti rovinerà.”
Mi fermai a riflette per la prima volta da quando avevamo iniziato quella estenuante conversazione; ma le sue parole volavano via come foglie al vento e la loro consistenza semplicemente non reggeva il confronto col peso che avevo tra le braccia. E forse aveva ragione lui, forse sarebbe stata una rovina, ma quale rovina maggiore poteva esserci per una donna del vedere il desiderio di diventare madre svanire ogni giorno di più?
Rob non lo capiva perché non poteva provare quello che provavo io, ma ero già rovinata. Non avevo nulla da perdere.
“Io terrò questa bambina, Robert. Con o senza di te.”
E salii le scale senza aspettare la sua reazione.
Istintivamente andai nella nostra camera e, stringendo Hope, lasciai che qualche lacrima copiosa scendesse lungo le guance mentre vedevo, dalla finestra, le stelle in cielo, proprio sopra il nostro posto speciale.
Non potei fare a meno di pensare a come sembrasse triste il cielo quella sera, nuvoloso, come se le stelle stesse fossero spente: nessuna bruciava, nessuna cadeva. Non c’erano più desideri da esaudire lassù e mi convinsi di stare facendo la cosa giusta.
“Tranquilla, piccolina. Starai con me…” sussurrai a Hope per farla calmare, mentre guardavo i suoi occhietti colmi di lacrime chiudersi pian piano.
Non contai i minuti, ma non passò molto prima di sentire i passi di Rob nella stanza. Non mi voltai, non fiatai, non feci nulla se non continuare a guardare il cielo scuro e quel posto sotto di esso.
Dove eravamo finiti?
Avvertii le mani di Rob sui miei fianchi e mi sentii subito meglio. La sua voce calda iniziò a sussurrare al mio orecchio: “Scusami, scusami, scusami…”
Appoggiai la schiena al suo petto e lasciai che mi stringesse tra le sue braccia. Non ci fu bisogno di dire altro, sapevo per cosa erano quelle scuse così come sapevo che non significavano un suo cambiamento di idea, ma decisi di approfittare della momentanea conciliazione per prendere un po’ di tempo.
“Rob…”
“Mmh…?”
“Lo so che è una pazzia ma, ti prego, non portarmela via ora che l’ho trovata. Non… non farlo…”
Sentii il suo respiro caldo schiudersi in un sospiro sul mio collo. “Kristen…”
“Un paio di giorni. Solo un paio di giorni! TI prego… Due giorni per valutare le opzioni…”
Sembrò molto incerto ma, quando perse i suoi occhi nei miei, cedette.
“D’accordo, un paio di giorni…” acconsentì, e io mi lasciai cullare dalla speranza che passando anche una sola ora con quella bambina se ne sarebbe innamorato come era successo a me, ma avrei pagato oro per sapere quello che davvero gli passava per la testa.
“Vuoi tenerla un po’?”
“N… non importa. Non voglio…”
“Dai, Rob. Non morde mica! Sta dormendo, fai attenzione a non svegliarla” lo interruppi prima che potesse spezzare i miei intenti e con un movimento fluido e calcolato, gli misi la piccola tra le braccia.
Le sue mani corsero subito al posto giusto, proprio come avevano fatto le mie, e lo vidi, nei suoi occhi, quel luccichio che gli avevo visto solo quando gli avevo detto che aspettavo un bambino.
“Stai benissimo con un bimbo in braccio…”
“Sì, eh?” si aprì in un sorriso che mi scaldò il cuore. Annuii, emozionata, e non potei fare a meno di sporgermi e baciarlo. Un tacito grazie, una preghiera che tutto andasse per il verso giusto.
Ci stendemmo sul letto; lui continuava a tenere Hope tra le braccia, io mi stesi accanto a lui e mi lasciai cullare dalla sua ninna nanna.
“Mi dispiace, piccola…” furono le ultime parole che sentii, ma ero già troppo catturata dal mondo dei sogni per capire che non erano rivolte a me.
 
Pov Robert  (suggerimento musicale)
 
Cosa ne sarà di lei?”  
“Beh, per il momento se ne prenderanno cura gli assistenti sociali, mentre noi cerchiamo di rintracciare i genitori o i parenti più prossimi.”
Annuii. “E se… se non si trovasse nessuno?”
“In quel caso andrebbe in affidamento.”
Sentii un brivido percorrermi la schiena e provai un senso di colpa improvviso e inaspettato. “Capisco… Senta, io le lascio il mio numero di telefono. La prego di chiamarmi se ci sono problemi o qualsiasi novità. Se c’è bisogno di soldi… qualsiasi cosa…”
Scrissi velocemente il numero su un pezzo di carta trovato sulla scrivania e lo lasciai al poliziotto al quale avevo spiegato la faccenda fino ad ora.
“Certamente. Non esiterò.”
Sospirai pesantemente e guardai dentro la cesta che avevo utilizzato per trasportare la piccola fino alla centrale di polizia.
Aveva gli occhi completamente aperti e mi guardava come a chiedermi cosa ci facessimo lì. Mi chinai quel poco che bastava per baciarle la piccola fronte e lei afferrò il mio dito fermo sulle sue coperte.
“Buona fortuna, piccolina…”
Salutai il poliziotto velocemente e uscii prima di commettere un crimine e rapire davvero quella bambina. Passeggiai a lungo sulla spiaggia e mi fermai ad osservare le prime luci dell’alba prima di tornare a casa.
Non ero pronto ad affrontare Kristen. Non ero pronto a difendermi dai suoi attacchi sulle mie bugie; le avevo promesso un paio di giorni e invece avevo approfittato del suo sonno per fare proprio ciò che mi aveva pregato di non fare, ma non avevo avuto scelta.
Era così accecata dal desiderio di diventare madre, dalla rabbia contro se stessa e dal dolore che la notizia di non poterlo mai essere le aveva creato, da perdere totalmente il contatto con la realtà. E se lei volava troppo in alto, toccava a me restare con i piedi per terra e tirarla giù, prima che si avvicinasse al sole e si scottasse troppo.
Hai fatto la cosa giusta, mi convinsi mentre entravo in casa e prima o poi Kristen lo avrebbe capito, pensai.
Ma dovetti ricredermi quando la vidi di fronte a me, sulla porta di ingresso, pronta ad accogliermi.
“Dov’è?”
Non risposi.
“Robert, dov’è la bambina? Dove sei stato?”
La voce le tremava dalla rabbia e  sapevo che non sarei durato ancora a lungo.
“Robert, dove sei stato!?” urlò, stringendo i pugni.
“Mi dispiace, amore.”
Spalancò gli occhi pian piano e strinse la mascella. Ogni parte del suo corpo fremeva e si avvertiva anche a distanza.
“Che cosa hai fatto…? Che cosa…”
“Era la cosa giusta da fare…”
“CHE COSA HAI FATTO!?”
“Kristen!”
“Ridammela! Ridammi la mia bambina! Riportala qui!”
“Non posso, Kristen! Non posso io e non puoi tu! Quella bambina non appartiene a te!”
“E a chi allora? Allo Stato? Al mare? A due genitori che si sono messi in mare con una bambina di un mese?”
“Non è una cosa che ti riguarda.”
“Lo è eccome, invece!” mi aggredì, ringhiando mentre si avvicinava sempre più minacciosa. “L’ho trovata io, Robert! Io! Non tu né nessun altro. Sarebbe morta senza di me, la sua vita dipende dalla mia e la mia dalla sua. Ma tu non lo capisci questo, vero? Tu non puoi capire cosa si prova perché il problema non sei tu, sono io. Sono io che sono vuota, senza senso, sterile” calcò l’ultima parola con così tanto schifo e ribrezzo da farmi accapponare la pelle per la rabbia che provava nei confronti della sua condizione.
“Lo capisco, invece. Lo capisco perché io sono l’altra metà di te. La tua gioia è la mia e il tuo dolore è il mio! Lo capisco meglio di quanto credi, Kristen. Ed è proprio il dolore che provi che dovrebbe aprirti gli occhi. Pensa se avessi perso tua figlia e qualcuno se la prendesse senza nemmeno assicurarsi della tua esistenza. Come ti sentiresti? Non c’era pace in quella bambina, non ci sarebbe stata pace d’animo con lei, non in questo modo e so che fa male ma è stato giusto così.”
“Smettila di dire che è giusto così, smettila! Cosa c’è di giusto in tutto questo? Spiegamelo, Rob, perché io non lo so.”
“È giusto dare a quella bambina la possibilità di trovare i suoi genitori.”
“E i nostri bambini mai nati? Anche quello è giusto? I miei ovuli vuoti, sono giusti? I nostri sogni, la cameretta arancione, il mio ventre piatto… è tutto giusto?” scosse il capo con un’espressione di rammarico. “Niente di tutto questo è giusto Robert, niente.”
Mi passò davanti ed aprì la porta.
“Dove vai?”
“A riprendermi mia figlia.”
“Kristen, non dire cazzate! Vieni qui! Non puoi!” l’afferrai per un braccio e la strinsi a me, ma fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi allontanò di scatto e prese a prendermi a pugni sul petto.
“LASCIAMI STARE! LASCIAMI STARE, HO DETTO!”
Ma io non esitai a stringerla ancora di più a me, facendo forza contro i suoi schiaffi.
“Lasciami andare! Devo andare da lei! Tu me l’hai portata via! Ridammi la mia bambina! Avevi promesso, Roberto! Io ti odio! Ti odio! Lasciami stare! Ti odio… ti odio… Io ti odio…” scoppiò in lacrime e, sfinita, si accasciò per terra.
 
 
Di tutte le possibilità che avevo vagliato su come avremmo passato questo Natale, quella di stare seduto sul divano a fissare il fuoco mentre mia moglie passava la giornata a piangere nel letto, senza rivolgermi la parola, senza dubbio era la più remota.
Continuavo ad osservare le fiamme, ipnotizzato dal rumore scoppiettante della legna secca che continuavo ad aggiungere imperterrito, sperando che quel calore placasse almeno minimamente il gelo che era calato in casa.
Era quasi sera e Kristen non si era alzata dal letto, nemmeno per mangiare.
Mi ero affacciato alla camera diverse volte per trovarla sempre nella stessa posizione; decisi di provare ancora ma non ebbi maggiore fortuna.
Tuttavia stavolta ero determinato a non limitarmi a guardarla solo dalla porta. Entrai e mi sedetti sul bordo del letto, dal lato in cui era girata, solo per vedere il suo sguardo spento e vuoto.
“Amore, vieni a mangiare qualcosa, ti prego…”
“Non ho fame…”
Le carezzai una guancia col dito e bastò a farle cambiare posizione per farmi le spalle.
“Kristen, ti prego, non fare così…”
“Non voglio parlare, Rob. Vattene via.”
“Kris…”
“VIA!”
Il suo tono non poté non scuotermi e fui costretto ad ubbidire. L’ultima immagine che conservai prima di addormentarmi sul divano, fu il suo viso distrutto dal dolore mentre affondava in lacrime nel cuscino.
Quando mi svegliai, fuori era ormai totalmente buio.
Preparai a Kristen qualcosa di caldo ma le mie buone intenzioni divennero vane quando entrai in camera e tutto ciò che restava di lei era un cuscino ancora umido.
La chiamai e la cercai per casa prima di uscire e cercarla nell’unico posto in cui, sapevo, doveva essere andata.
Uscii dal retro e percorsi il vialetto che portava alla spiaggia e poi quello più disconnesso che saliva fino a una piccolissima altura che avevamo scoperto la prima volta che eravamo arrivati sull’isola.
Non era niente di particolare, semplicemente una roccia piatta, e lontana dalle luci misere della città, che permetteva di guardare ogni stella cadente nel cielo mentre il mare si infrangeva sugli scogli proprio sotto.
La trovai lì, in quel posto in cui avevamo riposto ogni nostra speranza, in cui avevamo espresso ogni desiderio fino ad allora taciuto.
Ed era lì che, l’8 Dicembre 2012, il mio più grande desiderio si era avverato.
 
“Un’altra! Non parlare, non pensare! L’ho vista prima io!”
“Io lo esprimo lo stesso! Mi serve!”
“Rob, no! Sei un bastardo se lo fai!”
“Ti giuro che è per una buona causa…questo è un gran bel desiderio!”
“Non me ne importa. Non funziona così! Chi la chiama, esprime il desiderio. Io l’ho chiamata quindi tu ti freghi.”
“Però, bello spirito di condivisione.”
“Con le stelle cadenti non si scherza. Aspetta la prossima.”
“Sì sì, okay. Ti muovi con questo desiderio?”
“Hey, devo pensarci bene. Chiudi il becco.”
E lo chiusi il becco, ma non potei fare a meno di baciarla mentre la vedevo, tenerissima, con gli occhi chiusi e lo sguardo verso il cielo.
“Rob!”
“Cosa? Pensavo stessi desiderando le mie labbra.”
“Pensavi male, caro.”
“Quindi non desideri le mie labbra?”
“Sì, ma non ho bisogno di una stella cadente per averle.”
E si sporse per baciarmi, lentamente e con molta dolcezza.
“Cosa hai espresso?”
“Non si dice, lo sai, se no non si avvera.”
“Ma io posso avverare tutti i tuoi desideri, lo sai.”
“Lo spero…” sorrise quasi timida e insicura.
 
E quello fu il momento in cui capii che Kristen aveva desiderato di essere incinta, per la prima volta. Forse non subito, forse non in un futuro prossimo, ma prima o poi… E il suo desiderio alla fine si era avverato, salvo poi essere distrutto due mesi dopo da un’ecografia e da un ventre vuoto.
 
“Okay, ma ora tu chiudi gli occhi così non mi freghi la prossima!”
“Cosa? No!”
Ma prima che potesse ribellarsi la intrappolai con le braccia in modo che tenesse il viso totalmente chino sul mio petto.
“Fai la brava o ti butto a mare.”
“Pfft, non camperesti un giorno senza di me!” disse con voce soffocata contro la mia giacca, ed aveva ragione; ecco perché avevo bisogno di una stella proprio in quel momento.
E come se il cielo mi stesse ascoltando, la stella più luminosa di quella notte squarciò il cielo lasciando una via luminosa ed io espressi il mio desiderio.
“Okay, puoi aprirli.”
“Espresso il gran bel desiderio?”
Annuii, sorridendo. “Sposami, Kristen.”
“C… cosa?” sbarrò gli occhi, presa totalmente alla sprovvista.
“Sposami.”
“Sì, okay, in futuro.”
“No, presto. Il venti di questo mese.”
“Rob…”
“Siamo a Dicembre del 2012. Voglio sposarti prima che finisca il mondo.”
Rise. “Rob, non dire sciocchezze, dai. Il mondo non finirà.”
“E se finisse?”
“E se finisse, vorresti sposarmi solo per quello?”
“E perché ti amo e voglio passare il resto della mia vita con te…”
Capì, finalmente, che ero serio e non scherzò più. “Dici davvero?”
“Dico davvero…”
Il 2012 era stato un anno un po’ particolare per noi, pieno di alti e bassi, ma se ne avevo tratto qualcosa era la sicurezza. Ero sicuro di voler passare la mia vita con quella donna e avevo desiderato che per lei fosse lo stesso.
Sorrise. “Sei un grande idiota.”
“Perché?”
“Perché non avevi bisogno di una stella cadente perché ti dicessi di sì…”
 
Non avevamo mai conosciuto i desideri dell’altro ma da due anni, seppure non l’avessimo detto, entrambi sapevamo che stavamo desiderando la stessa cosa, l’unica cosa di cui sentivamo la mancanza, l’unica cosa che, quel giorno, le avevo portato via.
Di certo non avevo bisogno di chiedere cosa stesse desiderando in quel momento ma sembrava che le stelle fossero troppo poche per cadere per lei.
Mi avvicinai e le misi una coperta sulle spalle. Lei non mosse un muscolo mentre mi sedevo accanto a lei.
“Buon Natale, amore…”
“Mi hai mentito, Rob” rispose, prendendomi totalmente alla sprovvista. “Mi fidavo di te… E tu mi hai guardato negli occhi e mi hai mentito. Mi hai preso in giro.”
“L’ho fatto per te. Non ho avuto scelta.”
“L’hai avuta, invece. L’hai detto tu stesso. Stai con me perché lo scegli e sceglierai sempre me.”
“Ed è così.”
Lei chinò il viso e per secondi interminabili guardò la roccia scura su cui eravamo seduti.
“Ma stavolta hai scelto male, Rob. Voglio il divorzio.”
Le sue parole arrivarono come una doccia gelata in pieno inverno: inaspettate, pungenti, dolorose e insopportabili.
Si alzò senza aggiungere altro, lasciandomi solo a metabolizzare il significato di quelle parole dettate, senza dubbio, dalla rabbia ma comunque pesanti.
Alzai gli occhi al cielo lentamente, in tempo per vedere una delle poche stelle in cielo cadere davanti ai miei occhi, e desiderai che fosse tutto un brutto incubo.
Ma cosa poteva sperare di ottenere da delle stelle che non esaudivano più nulla da tempo?
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Ebbene sì, Kristen è leggermente impazzita, lo sappiamo anche noi... Ma abbiate pietà, povera cucciola :( 
Oddio, dovevo scrivere un casino di cose ma ora ho la mente vuota .___. E' Cloe quella brava a fare le note introduttive e finali ç___ç 
Vabbè, intanto... chi indovina come ci è finita Hope in mezzo al mare e qual è la storia dietro? 
Un capitolo intero come premio a chi ci arriva *-* (tanto nessuno ci arriverà mai muhahuahua siamo state le ore a elaborare qualcosa di sensato huahua). 
Aw, ma immaginate se Rob avesse davvero chiesto a Kristen di sposarlo prima della fine del mondo? ç_ç A quest'ora lei sarebbe Mrs. Pattinson... asdkhaks *-*
 Okay, basta con gli scleri... E approposito di fine del mondo (AHAHAHA facciamoci na grossa risata a riguardo AHAHA), ho scritto una piccola shot a tema, passate se vi va :) 
Okay, dovrebbe essere tutto. 
Vi salutiamo e vi "diamo appuntamento" tra cinque giorni. 
Buon Natale a tutti e buone feste *-* 
Cloe & Fio xoxo (è finito Gossip Girl ç___ç <--- il pianto è un pò finto perchè a me non piace poi chissà quanto ma vi sono vicina u.u ahahaha)


   
 
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