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Autore: didi93    28/12/2012    2 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAP 8
Ero incapace di dare un senso preciso ai pensieri che mi attraversavano la mente, non riuscivo a capire perché mi sentissi così. Nel profondo di me stessa, probabilmente, lo sapevo già, ma quella verità stentava a prendere corpo nella mia mente, né tantomeno avrebbe potuto tradursi in parole. D’altra parte, cos’era l’amore? Per me il nulla…forse, in un tempo lontanissimo, quando ancora credevo alle favole, avevo anche pensato che fosse reale,  ma ormai rifiutavo di sognare, rifiutavo di illudermi, di prestare fede a qualcosa che poteva esistere soltanto nella mia mente, avevo paura di scontrarmi con l’insormontabile ostacolo della realtà. Sicuramente non si poteva considerare benefico quello che sentivo, se davvero di amore si poteva parlare. Eppure, dovevo ammetterlo, era già troppo tardi per tornare indietro…quel terribile senso di vuoto ora che mi aveva chiaramente detto che non l’avrei più rivisto, il desiderio che tornasse, e, soprattutto, il pensiero illogico che, con lui, sarei tornata a sorridere, che senso potevano avere? Testimoniavano la mia follia. Nel marasma assurdo dei miei pensieri illogici arrivai a convincermi che lui fosse il solo in grado di comprendere il mio dolore, tuttavia non sembrava gli importasse, l’unica persona che poteva aiutarmi si rifiutava di farlo. Magari si trattava di una sorta di punizione per la mia eccessiva disillusione…era assurdo, del tutto privo di razionalità, quello che era accaduto il giorno prima ed era ridicolo l’effetto che aveva avuto su di me. D’altra parte, anche una terribile curiosità mi attanagliava, volevo sapere quello che lui non voleva dirmi e provavo una sorta di spietato nervosismo destinato a non trovare mai sfogo. La stanza nella quale mi trovavo cominciava a divenire progressivamente buia, mentre la sera si avvicinava. Quel giorno avevo abbandonato la mia camera solo per lavarmi e per mangiare sprecando il resto del tempo a dividermi tra vecchio dolore e nuova frustrazione. Mi misi a sedere sul letto, mi strofinai il viso con le maniche del maglione, come per riacquistare coscienza, tesi la mano per accendere la lampada e la luce mi ferì gli occhi. Mi alzai e esaminai la mia immagine proiettata nello specchio accanto all’armadio, avevo gli occhi lucidi e un brutto aspetto, nel mio maglione bianco slabbrato. Aprii la porta della stanza e guardai fuori, sperando che non ci fosse nessuno. Entrai piano in bagno, mi rinfrescai il viso con l’acqua fredda e osservai con più attenzione il mio riflesso. La situazione sembrava migliorata. Cominciavo a sentirmi incredibilmente stupida per la mia reazione, era esagerata, cosa mi aspettavo? 
Mi diressi verso le scale e il rumore della televisione accesa, insieme alla luce intermittente che giungevano dalla porta semiaperta, mi guidarono verso la cucina. Jasper era seduto sul divano, con in mano un pacco di patatine gusto pizza, e faceva zapping frenetico con il telecomando. Si accorse di me solo quando fui abbastanza vicina da rendergli impossibile non vedermi. Sussultò e si voltò a guardarmi. Si era spaventato. Non potei fare a meno di sorridere.
-Non si arriva così alle spalle e al buio!- disse con un finto tono di lamentela.
Il sorriso durò poco, con la presa di coscienza di quanto fosse insensato sorridere nella mia situazione e subito anche il viso di Jasper si fece più serio. –Allora si può sapere che ti è preso ieri? E anche oggi a dire la verità…-
-Ecco! Lo sapevo che avresti aggravato la situazione! Sono uscita a fare una passeggiata e il freddo mi ha dato alla testa, non riuscivo più a trovare le chiavi e mi sono innervosita…ovviamente la vicina di casa ha interpretato male la cosa…-
Si voltò per scrutare il mio viso, come in cerca della verità  e forse vi  avrebbe trovato ciò che cercava, così mi voltai dell’altra parte e mi diressi verso il frigo.
-Va bene.-
-Cosa?-
-Se vuoi che ci creda…ci crederò.-
-È la verità! Anzi forse sarebbe meglio non allarmare inutilmente Rose…da un po’ di tempo è così preoccupata per me...-
-Non le dirò niente.-
Tirai involontariamente un sospiro di sollievo -Grazie.-
-Comunque se mai avessi voglia di parlare con qualcuno…io sono qui.-
-Lo so.-
Per la prima volta fui certa che fosse la verità, non una di quelle frasi fatte, tipiche di queste occasioni, utilizzate esclusivamente per colmare momenti di silenzio imbarazzante. Pensai che questa fosse autentica e, per un attimo, mi sentii fortunata, nonostante tutto. Ad un tratto l’occhio mi cadde sull’orologio appeso alla parete, di fianco alla porta. Rose sarebbe tornata a breve. Aprii il frigo e presi una bottiglina di succo di frutta alla pesca, la stappai e ne versai il contenuto in un bicchiere. –Torno di sopra.-
-Non vuoi cenare?-
-Non ho molta fame. Comunque porto questo con me, dovrebbe bastarmi.- dissi, sollevando il bicchiere per mostrarglielo.
Alzò un sopracciglio, con fare sarcastico, poi rinunciò a rispondere.
Mi voltai verso la porta e uscii nell’ingresso. Arrivata in camera, posai il bicchiere sul comodino e accesi la lampada. Mi misi a sedere sul letto, con in mano il mio libro. Sembrava un ottimo sistema per evitare di sprofondare nei miei pensieri.
 
La mattina dopo mi svegliai presto, ma rimasi sotto le coperte fino a tardi, attendendo che tutti fossero usciti di casa. Quando sentii la porta chiudersi per la seconda volta e la casa divenire silenziosa mi alzai. Mi resi conto di essermi addormentata con i vestiti del giorno prima e vidi che il libro era rovinosamente precipitato ai piedi del letto. Nel freddo della notte, in uno stato di dormiveglia, ero solo riuscita a spegnere la lampada e infilarmi sotto le coperte. La cosa positiva era che non ricordavo d’aver sognato, o meglio non ricordavo d’aver avuto incubi. Presi il bicchiere vuoto dal comodino e mi diressi al piano di sotto. Finito di fare colazione, mi lavai, indossai distrattamente un jeans e una felpa blu e tornai in cucina. Accesi la TV, mentre la tristezza già cominciava a sommergermi. Questa volta non lo avrei permesso, avevo bisogno di distrarmi. Senza pensare molto a quello che stavo facendo, uscii di casa. Respirare l’aria fredda mi giovava, la mia mente cominciava a schiarirsi. Non feci caso alla strada che stavo percorrendo finché mi ritrovai di fronte alla cioccolateria. Rimasi impietrita a guardare attraverso il vetro della porta. Nel profondo di me stessa, in maniera del tutto irrazionale, immaginai di tornare indietro, a quel giorno così vicino e così irrimediabilmente lontano. Sarebbe cambiato qualcosa? Ad un tratto, un nuovo pensiero mi sfiorò la mente: avevo diritto ad una spiegazione, avevo tutto il diritto di chiedergli il perché del suo comportamento. Dovevo rivederlo. Ma come? Non sapevo nulla se non il suo nome. “Edward” pensai e quel nome risuonò nella mia mente in modo oltraggiosamente dolce. Avrei dovuto rassegnarmi, capire che la felicità non esiste, è solo quell’illusione che inseguiamo tutta la vita, pur essendo consapevoli, nel profondo del nostro cuore, che non riusciremo mai a raggiungerla. La felicità è l’utopia propria dei sognatori, niente di più. E io da tempo ormai non ero più una sognatrice, la vita mi aveva impedito di esserlo, mi aveva messa dinanzi alla realtà, mi aveva chiesto di svegliarmi, di uscire dal mio mondo dorato e affrontare la verità. Non esisteva la felicità, non esisteva l’amore, esistevano le illusioni, quelle si…eppure…non riuscivo più ad essere certa di questo. Ogni tanto mi riscoprivo ad esaminare la persona che ero diventata e il cambiamento mi spaventava, solo un anno prima non avrei mai fatto pensieri del genere. Un nodo mi si formò in gola. Alzai lo sguardo. Due signore sedute attorno ad un tavolo all’interno avevano preso a fissarmi. Mi allontanai e presi a camminare verso casa. Arrivai in poco tempo e aprii la porta.
-Ciao Isabella…come va?-
Mi voltai. Charlotte, proprio dietro di me, con in mano due buste di carta strabordanti mi guardava con preoccupazione mista a curiosità. Mi sforzai sorridere-Buongiorno.-
-Va meglio?-
-Si la ringrazio. Lei sta bene?-
-Se non sono indiscreta…posso chiederti cosa ti era successo?-  Era quasi divertente come, pur ammettendo che ciò che chiedeva fosse indiscreto, pretendesse comunque una risposta.
-In realtà niente.-
La delusione si dipinse sul volto spavaldo della mia interlocutrice –Non importa! - aggiunse, non riuscendo a mascherare l’irritazione, e, superandomi, si affrettò in direzione dell’ascensore.
-Mi scusi…sono un po’ nervosa…non mi sentivo bene e non sarei dovuta uscire ieri…ecco tutto.-
Non sembrava convinta ma, con aria nuovamente bonaria, continuò –Prendi anche tu l’ascensore?-
-Ehm…no garzie, preferisco fare le scale…-
-Beh allora arrivederci.-concluse scomparendo dietro le porte metalliche.
Quando arrivai sul pianerottolo Charlotte era già sparita, entrai in casa e chiusi la porta. Passai il pomeriggio in cucina di fronte al televisore, senza neppure guardare un vero e proprio programma, più che altro, si potrebbe dire che stessi guardando una decina di programmi insieme.
Intorno alle venti la porta si aprì. Spensi la TV,  per concentrarmi sul vociare proveniente dal pianerottolo.
-Certo non si preoccupi Charlotte e arrivederci.-
-Arrivederci Rose e buona serata.-
-La ringrazio e buona serata anche a lei.- A quanto pareva , quel giorno, anche mia zia aveva incontrato la simpatica e discreta vicina di casa.
Rose sistemò le chiavi nella ciotola accanto alla porta ed entrò in cucina.
-Ciao.- dissi dal divano.
-Ciao Isabella.- rispose, guardandomi con aria di disapprovazione – Hai passato la giornata così? Almeno hai mangiato qualcosa oggi?-
-Si certo.-
-Ah e cosa avresti mangiato?-                           
-Il pollo che era in forno.-
-Tutto qui?-
-Si, ma era più che sufficiente.-
Non fece caso alla mia risposta. –Cucino qualcosa.-
-Non dovremmo aspettare Jasper?-
-No, mi ha detto che stasera mangiava fuori con degli amici.-
-D’accordo.-
Presi bicchieri, piatti e posate e li sistemai sul tavolo, mentre mia zia armeggiava ai fornelli.
Per un po’ , mangiammo in silenzio.
-Ho parlato con Charlotte, la nostra vicina, poco fa…- disse Rose, ad un tratto, posando il bicchiere vuoto.
-Ah…-
-Vorresti parlarmi di qualcosa?-
-No…-
Sospirò rassegnata, poi aggiunse- A dire il vero Charlotte mi ha raccontato che un paio di giorni fa ti ha incontrata davanti casa ed eri completamente sconvolta…mi piacerebbe tanto che mi spiegassi cosa ti è successo, sono preoccupata…stai facendo qualcosa di sbagliato? Non lo so…non so a cosa pensare…mi rendo conto che in questo periodo stai male, però magari se tu me ne parlassi…insieme potremmo trovare la soluzione giusta, altrimenti rischi solo di peggiorare le cose.-
Non risposi subito e questo, probabilmente, sembrò confermarle la peggiore delle ipotesi, qualunque fosse.
-E poi non capisco…Jasper non me ne ha parlato…- aggiunse.
-No non è come pensi…so che sei preoccupata per me e volevo evitarti altre ansie inutili…non è successo praticamente niente…è assurdo, è come se gli occhi di tutti fossero puntati su di me, non sono del tutto pazza, so ancora quello che faccio, non è necessario allarmarsi per ogni minima cosa.- dissi tutto d’un fiato e a voce alta.
Rose sembrò stupita, poi abbassò un attimo lo sguardo-Hai ragione, scusami, ormai non so più che mi prende, questa storia sta distruggendo anche me.- la sua voce era sommessa e riflessiva e mi fece pentire della mia rabbia di poco prima, non dissi più nulla e, poco dopo,  avevamo finito di mangiare. Presi il piatto vuoto e  mi alzai. Rose mi seguì con in mano il proprio piatto e il bicchiere.
–Faccio io.- disse, mi allontanò dolcemente e aprì la fontana.
-Non vuoi aiuto?-
-No non preoccuparti, non ci vorrà molto.-
Mi versai un bicchiere d’acqua e mi diressi al piano superiore.
Fu una notte estremamente agitata. Mi svegliai tre volte in preda ad un insopportabile calore, eppure faceva freddo, era impossibile dormire senza le coperte, per di più, ogni volta che mi svegliavo mi era più difficile riaddormentarmi. Ormai non ricordavo neppure l’ultima volta che mi ero risvegliata del tutto riposata al mattino, andare a dormire stava diventando una specie di incubo. Da troppo tempo cercavo una via d’uscita inesistente dal tunnel buio nel quale mi trovavo, era questa la cosa che più mi avviliva, che mi faceva impazzire, non vedere possibilità.
 
  
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