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Autore: Ireth_Mezzelfa    28/12/2012    5 recensioni
La tranquilla vita universitaria di Lucy Callaway entra letteralmente in collisione con quella del fastidioso ed insistente Daniel Baker, ragazzo bello, popolare e, a parere della nostra povera studentessa di arte, insopportabile quanto un parassita. Tra occhi neri, feste di Halloween e cotte per i professori, riusciranno Lucy e i suoi amici di sempre, Noa e Andrew, a vivere in santa pace?
Inoltre chi è che infila nel sacchetto del pranzo della nostra Lucy strani messaggi commestibili?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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The Bakery


 

        


Capitolo VII

Eccomi!
Sono viva! Sono viva e sto per pubblicare! Cioè ho pubblicato, se state leggendo queste parole! Bèh, dato che sono in ritardo e ci ho messo tanto, mi faccio perdonare con un capitolo lunghissimo. Sì, lo è davvero, e spero che arriviate in fondo senza crepare di noia.
Ne approfitto per ringraziare tutte coloro che hanno letto e recensito :) Ci vediamo in fondo.
Buona lettura, forza e coraggio!




“Finito!” esclamo esausta chiudendo con forza il libro su cui ho appena passato mezza giornata e rivolgendomi al mio fido compare Andrew, seduto comodamente sulla sedia di fronte a me e intento a sorseggiare la sua cioccolata calda.
Siamo nel suo appartamento per studiare un po’e aiutarci a vicenda, ma come al solito l’unica che sgobba sono io, perché il mio amicone ha passato tutto il tempo guardando la partita di football in tv –tenuta a volume bassissimo su mia richiesta-.
“E tu quando studierai tutto quanto?” domando inarcando le sopracciglia e mettendo in borsa le mie cose.
“Hum? Beh darò una letta a tutto quanto più avanti, non so…Ouh!” risponde lui distratto,con una smorfia sofferente dovuta allo sbaglio di un qualche giocatore della sua squadra del cuore.
Sbuffo scuotendo la testa e chiedendomi per l’ennesima volta come diamine fa quest’uomo a passare tutti gli esami brillantemente senza il minimo sforzo. Dev’essere tutto quel cibo che ingurgita.
“E poi” continua poi approfittando dello spot pubblicitario per degnarmi finalmente della sua attenzione “abbiamo tutto il tempo di ripassare durante il ponte di Halloween!”
Lo guardo mentre si stiracchia tutto contento pregustandosi i futuri cinque giorni di vacanza nei quali -ci posso scommettere- ci saranno molti pochi libri e moltissime colazioni a mezzogiorno per il mio amico.
“Ma tu non dovresti andare a prepararti, piccola debuttante nel mondo aristocratico?”
Gli lancio uno sguardo fulminante mentre lui sta ridacchiando tra sé e sé rischiando di rovesciare la tazza che tiene in mano e di macchiarsi il ridicolo maglione natalizio che usa per stare in casa, regalo di un coinquilino: è verde fosforescente con degli adorabili pupazzi di neve rossi ricamati qua e là.
“E tu non dovresti , non so, cambiarti e lavarti per lo meno? Puzzi. E sei inguardabile.”
“Mi travesto da cadavere fosforescente, vado benissimo così.”
Mentre Andrew torna al match in tv, io non riesco a non riportare il pensiero alla mia festa imminente.
In realtà è tutto il giorno che sono un tantino in ansia: insomma, presa da un raptus di follia mista a furia omicida ho accettato l’invito del mio stalker senza nemmeno pensarci un attimo, ma sto poco a poco iniziando a pentirmi del mio magico momento (di gloria) istintivo.
Insomma sarò in un posto dove non conosco nessuno! Certo, a parte il mio persecutore insopportabilmente contento di avermi strappato un sì, la robot dai boccoli rossi mono-espressiva e, per finire, il padrone di casa, Zachary Van Cortland III, principe di tutti i mondi riuniti nei secoli dei secoli amen e la sua corte di nobili con cui non ho niente in comune.
Si prospetta una serata grandiosa.
Sospiro sconsolata accasciandomi sul tavolo: spero vivamente che il mio piano ‘mimetizzati nella folla senza farti notare e senza fare danni’ funzioni, che Baker non faccia l’idiota -cosa alquanto improbabile- e non faccia fare a me la figura dell’idiota –cosa sempre meno probabile-.
Fortunatamente vengo distolta dai miei pensieri all’arrivo di uno dei due coinquilini di Andrew: Steve.
“Buonasera bellezze!” cinguetta il ragazzo mingherlino che entra come un turbine in casa lanciando sorrisi e trapelando da ogni poro la sua gaiezza. E quando dico gaiezza intendo proprio dire gaiezza gay.
Io ho sempre odiato gli stereotipi sugli omosessuali effemminati e un pochetto isterici, ma Steve è decisamente un gay da caricatura, più o meno:  è uno scriccioletto alto un metro e settanta, capelli a spazzola scuri e occhi nocciola sempre vivaci e scattanti, segue la moda, ma non si veste in modo appariscente o trasgressivo, anzi è piuttosto anonimo a vedersi, ma la sua vocetta acuta ed esuberante, il suo atteggiamento spumeggiante e sempre su di giri, lo fanno spiccare subito tra un gruppo di persone.
Io lo adoro, nonostante non lo conosca troppo bene, ma talvolta riesce a dare un po’ sui nervi con tutta quell’energia frenetica ventiquattr’ore su ventiquattro.
Oh, naturalmente il maglione fosforescente è opera sua, non dell’altro tranquillo inquilino, Jeoffrey, serioso ragazzo all’ultimo anno di informatica, che non è quasi mai in appartamento dato che praticamente vive dalla sua ragazza.
“Ciao Steve!” lo saluto io mentre Andrew agita la mano in sua direzione, di nuovo tutto preso dalle azioni in tv.
Andrew si trova bene con lui, si rispettano e si sopportano a vicenda e, strano ma vero, Steve non ha mai provato a sedurre quel gran fustacchione del suo coinquilino. “Tranquillo! Non mi piacciono i palestrati etero!” aveva spiegato tranquillamente a Andrew, il primo giorno di convivenza, rassicurando il mio amico rimasto un po’ sconcertato dopo l’incontro con lo stravagante compagno di stanza.
“Ma tu cosa ci fai qui?! Santo cielo, non devi prepararti?” grida il ragazzo notando la mia presenza e bloccandosi con il berretto che si stava togliendo a mezz’aria.
“Mancano ancora più di tre ore, Steve, non c’è fretta!”
“Mah, se lo dici tu! Che peccato che non vieni più con noi però!” si lamenta poi prendendo posto a fianco a me e mettendo su un broncetto dispiaciuto. “Andrew mi ha detto che hai litigato con la tua amica, mi dispiace!”
“Già…” sospiro io pensando che quando tornerò a casa non ci sarà Noa a consigliarmi cosa mettere per la festa, essendo andata a prepararsi a casa delle due organizzatrici, Cassie e July.
“Bèh, per lo meno vai a una festa di classe, piena di fauna maschile interessante!” prosegue Steve con aria sognante, la testa inclinata da un lato. “Io per avere una fauna maschile interessante dovrò aspettare il quarto drink, ma pazienza!”
Scoppio a ridere per la smorfia buffa del ragazzo, poi decido che forse è meglio se torno a casa: dovrei farmi una doccia, ora che ci penso, e rendermi presentabile, ma soprattutto per prepararmi psicologicamente alla lunga tortura di stanotte.
“Ragazzi, io vado, vi lascio ai vostri preparativi!”
“Ciao bellezza, se per caso quel Baker ha qualche bell’amico, tienimelo da parte!” cinguetta Steve mentre io saluto Andrew con un abbraccio.
“Se la situazione precipita puoi sempre raggiungerci, ok? A Noa ci penso io.” mi dice lui stringendomi il braccio rassicurante.
“D’accordo, grazie. ” sorrido io grata di avere una possibilità di rifugio in caso gli snob avessero il sopravvento sul mio autocontrollo.
Esco dall’appartamento lasciando quella strana coppia -Andrew mi ucciderebbe se sapesse che li ho appena definiti ‘coppia’- e mi incammino verso il mio appartamento, che trovo vuoto proprio come mi aspettavo.
Mi tolgo i miei numerosi strati di vestiti rabbrividendo, per poi buttarmi in doccia cercando di rilassarmi: sono solo le sei e mezza, Daniel mi passerà a prendere alle nove e mezza quindi ho tutto il tempo di vestirmi e…oddio, se fosse una festa in maschera? Daniel non ha accennato a nulla di tutto ciò e io non ho un travestimento! Cioè, l’unico costume che ho a disposizione è quello a forma di hot dog gigante, usato da Andrew per guadagnare qualche soldo facendo pubblicità a un fast food, ma non credo sia il caso.
Sto per saltare fuori dalla doccia in preda al panico con i capelli schiumanti di shampoo, ma un pensiero improvviso mi rassicura: stiamo parlando di quei damerini tutti eleganti con la puzza sotto il naso, è irreale che possano aver progettato una festa in maschera. Decisamente.
Torno a respirare normalmente pensando che il vestitino blu scuro che avevo già scelto per l’altra festa è abbastanza elegante anche per questa e sarà certamente meno appariscente di un hot dog gigante.
Bene Lucy, ora puoi tranquillizzarti, andrà tutto bene. Tutto benone.

“Sarà uno schifo, dannazione!”
Sono le nove e un quarto, i miei capelli devono ancora asciugarsi-maledizione, perché li ho lasciati crescere così tanto? Un bel taglio corto no?- e sto cominciando seriamente a pensare di fuggire a Caracas pur di evitare questa maledettissima festa.
Controllo l’orologio per l’ennesima volta mentre finalmente anche le punte della mia chioma infinita si asciugano definitivamente: ci siamo quasi, tra pochi minuti sentirò il campanello suonare e via, verso l’infinito e oltre!
Finita l’operazione capelli, infilo le chiavi nella borsetta e mi siedo sul divano, sistemandomi nervosamente le pieghe del vestito: odio quest’attesa.
Dlin dlon!
Odio questo campanello.
Prendo un bel sospiro e mi affaccio alla finestra, sperando che qualcuno abbia prenotato a mia insaputa un taxi per Caracas, ma ovviamente, in piedi a fianco all’auto sportiva nera parcheggiata sotto casa mia, c’è Daniel Baker con un sorrisone che riesco a vedere persino da quassù.
Oh Gesù, dammi la forza!
Indosso il cappotto e spengo la luce, sperando di tornare sana e salva alla mia casetta molto presto, e scendo all’ingresso trovandomi davanti al mio accompagnatore che mi saluta sorridente porgendomi una mano in modo galante.
Indossa un elegante completo grigio scuro che risalta la sua figura slanciata e le spalle larghe, camicia chiara e cravatta di seta: devo ammettere che il tutto non è male. Ok, d’accordo, sta davvero bene così. Per lo meno non è vestito da panino gigante.
 “Buonasera, signorina Callaway! Dove La porto?” esclama allegro prendendomi la mano e portandola alle labbra, senza staccare i suoi occhi verdi dai miei, con un’espressione maliziosa.
“Per favore, non farmene pentire prima ancora prima che inizi la festa, Baker.” Borbotto io alzando gli occhi al cielo e ritraendo la mano, cercando di non badare al piacevole calore che le sue labbra hanno lasciato sulla mia pelle.
“D’accordo, d’accordo! Dai, sali.” ridacchia lui accompagnandomi dall’altro lato dell’auto per aprirmi la portiera.
“E ora si parte!” esclama dopo qualche secondo, prendendo posto al volante e mettendo in moto.
“E’ molto lontano?” chiedo dopo qualche secondo, pensando che un lungo viaggio con Daniel Baker è l’ultima delle cose che desidero in questa magica notte.
“Tranquilla, solo un quarto d’ora e poi potrai ballare con me tutta la notte.”
Lo incenerisco con lo sguardo mentre lui stacca per un momento gli occhi dalla strada per ammiccare nella mia direzione, impassibile ai miei occhi incendiari.
“Non vedo l’ora.” Borbotto io osservando la strada fuori dal finestrino e decidendo di ignorare il mio impertinente autista.
Per la città si vedono zucche sghignazzanti alle finestre e bambini travestiti da fantasmi, streghe e mostriciattoli che gironzolano alla ricerca di dolcetti come facevo io non troppi anni fa: un po’ mi manca l’emozione di quando suonavo il campanello di una casa insieme ai miei amichetti, attendendo le caramelle di qualche buon vicino di casa, magari travestito anche lui in modo bizzarro.
Poco a poco ci allontaniamo dal centro per imboccare una strada secondaria, immersa tra campi e vigneti, che non ho mai percorso.
Mi volto a guardare Daniel che guida tranquillo con l’ombra di quel solito sorrisetto soddisfatto sul viso illuminato dai fanali dell’automobile: ha un bel profilo con quel naso dritto e regolare, e poi si è fatto la barba e sembra più riposato del solito, nonostante le ombre scure sotto gli occhi non siano sparite.
“Hem, Daniel, è la strada giusta?” chiedo dopo qualche minuto, non avendo visto altro che alberi per un bel po’. Non mi starà portando in qualche posto losco e sperduto, spero!
“Sicurissimo, Lucy. Appena dopo questa curva…”
Torno a guardare la strada e, svoltata la curva in questione, mi si profila davanti un’imponente cancello di ferro battuto illuminato interamente da piccole lucine aranciate che lo avvolgono; oltre le porte scorgo una strada sterrata bianca delimitata da quelle che sembrano candele, che porta fino ad un enorme costruzione che si staglia illuminata in lontananza.
“Benvenuta a casa Van Cortlandt!”esclama allegro Daniel sporgendosi dal finestrino per suonare il campanello e farci aprire le porte, mentre io me ne resto imbambolata a fissare la grande villa man mano che ci avviciniamo, senza parole.
Mi aspettavo qualcosa di enorme e lussuoso, ma non così enorme e lussuoso: sembra un castello, tanto è maestosa, con tutte quelle finestre e terrazze, torrette e colonne dall’aspetto antico, ma allo stesso tempo è elegante e moderna, con i muri chiari e le inferiate di ferro battuto che decorano le finestre.
 Percorriamo la stradina sollevando una nube di polvere bianca dietro di noi, finché non arriviamo a un parcheggio già affollato da una ventina di splendide auto.
“Cos’è questa puzza?” domando arricciando il naso mentre Daniel mi apre la portiera per farmi scendere.
“Dannazione! Ecco cos’ho dimenticato!La doccia!” esclama lui battendosi la mano sulla fronte e ridendo della sua stessa battuta un secondo dopo.
“Ma come siamo simpatici stasera, Baker!” commento io sarcastica.
 “Lo sono sempre, Callaway. E sono anche profumato, se vuoi saperlo, se c’è puzza è perché siamo vicini alla zona delle stalle.”
Oh, ma certo, le stalle, dovevo aspettarmelo! Come si può vivere senza qualche bel cavallo da milioni di dollari?
Vengo distratta dalle mie riflessioni sull’equitazione e i castelli dai fari di altre due macchine in lontananza, ferme al cancello e pronte ad essere accolte dalla stradina sterrata illuminata.
“Allora, entriamo o no, madame?”
Mi volto verso Daniel che mi sta porgendo il braccio guardandomi con la sua solita faccia indecifrabile: convivono sul suo viso l’ombra perenne di un sorriso sornione e lo sguardo penetrante che mi confonde sempre le idee e mi irrita perché non lascia mai scoprire ciò che gli passa in testa.
All’improvviso realizzo di essere davvero qui con lui, di aver ceduto a questo benedetto ragazzo-stalker responsabile del mi ex occhio nero, ma sorprendentemente, non ho ancora voglia di suicidarmi, non ancora.
Sostengo quello sguardo ambiguo e luccicante per qualche secondo, infine sospiro rassegnata appoggiandomi al suo braccio con la mano e lasciandomi accompagnare dal mio assillante cavaliere.
“Che la festa abbia inizio!”canticchia lui tutto contento, accompagnandomi lungo lo stesso sentiero da dove eravamo entrati per raggiungere la facciata principale della casa.
“Daniel” dico fermandomi a pochi passi dal primo gradino che porta all’enorme portone di legno dell’ingresso. “Ti prego, fai il bravo.”
Non so precisamente cosa intenda con ‘bravo’, e non so nemmeno perché lo stia dicendo adesso-forse perché l’ansia sta cominciando a ricomparire-, ma voglio che faccia il bravo, qualunque cosa voglia dire!
Daniel si ferma a guardarmi con espressione rassicurante, poi mi tira un po’ più vicino a sé sorridendo.
“Io sono sempre bravo. Vedrai che dopo stasera sarai tu a volermi inseguire!”
Oh sì, ora sì che mi sento tranquilla e rassicurata, Baker!
“Ommioddio…” sospiro sconsolata salendo gli scalini, mentre il mio accompagnatore suona il campanello.

Non passa nemmeno un secondo che il portone viene spalancato da….un pinguino! Ma allora è una festa in maschera? No, Lucy, quello è un maggiordomo.
Effettivamente il  cosiddetto pinguino è in realtà un uomo sulla settantina, dai capelli bianchi e l’aria distinta che indossa un magnifico frac con tanto di papillon coordinato.
“Buonasera signor Daniel, Zackary La sta aspettando nella Sala delle Veneri. Lasciate che prenda in custodia i vostri soprabiti.”
“Grazie, Xavier!” lo saluta Daniel trascinandomi dentro, mentre io non riesco a staccare gli occhi di dosso da quel tizio impettito che mi sta gentilmente sfilando il cappotto.
“Credevo che i maggiordomi esistessero solo negli alberghi di lusso e nei film di Batman!” bisbiglio piano al mio cavaliere mentre attraversiamo l’atrio sfarzoso della casa per salire un’imponente scalinata a chiocciola.
Il pavimento è coperto da tappeti che sembrano parecchio costosi e le pareti chiare sono adorne di quadri e tappezzerie dall’aspetto raffinato, il tutto illuminato dalla luce soffusa di lampadari di cristallo.
Le note di un pianoforte aleggiano per il corridoio mentre saliamo ed io comincio a sentirmi un po’ a disagio: non doveva esserci una festa? Qui l’atmosfera è tutt’altro che festosa, mi aspetto che da un momento all’altro spunti da una stanza qualche dama imparruccata con l’evve moscia e un drink tra le mani.
“Zack è stato proprio incastrato!” esclama Daniel ridacchiando mentre arriviamo in un lungo corridoio e cominciamo a percepire un chiacchiericcio accompagnarsi alle note del piano.
Non faccio in tempo a chiedergli che diamine stia dicendo che ci si presenta davanti una porta -più che una porta è una specie di enorme arco di marmo bianco - dalla quale scorgiamo un enorme salone pieno di gente, che però non riesco a osservare attentamente a causa di Zackary Van Cortlandt che ci si para davanti sorridendo compiaciuto.
Sembra proprio un piccolo lord moderno: ha un completo nero elegantissimo, con una classica camicia bianca e una cravatta rosso fuoco, ha tirato indietro i capelli biondo platino rendendo i suoi lineamenti ancora più spigolosi e intriganti, e i suoi occhi freddi ancora più penetranti.
“Daniel, finalmente! Lucy Callaway, incantato.” Ci accoglie ammiccando in mia direzione con quegli occhi color ghiaccio che mi fanno davvero rabbrividire, per poi esibirsi in un baciamano delicato che mi lascia ancora più raggelata. Ha le mani freddissime.
“Zack! Alla fine il vecchio ti ha fregato!” esclama Daniel tirando un pugno amichevole al padrone di casa che alza gli occhi al cielo allargando le braccia.
“Già, ho dovuto accontentarlo con musica di classe e Xavier alla porta, almeno finché non se ne va.”
Notando la mia espressione incuriosita Zackary mi concede finalmente una spiegazione: “Mio nonno è in casa e ha deciso che gli invitati debbano venire accolti con una certa classe. Ma non temere, quando uscirà verrà allestito il DJ set.”
Io rispondo con un insulso “Oh!” immaginando come anche un miliardario ruspante come Zackary debba sottostare alle regole del nonno, anche se, dopotutto, suo nonno è una specie di Dio degli imprenditori a cui probabilmente non è facile dire di no.
“Ma entrate, prego!”
Obbediamo al nostro anfitrione ed entriamo finalmente nella sala, che è più vasta e grandiosa di quanto mi aspettassi , con un soffitto altissimo e le pareti decorate con affreschi che sembrano parecchio antichi, tra i quali se ne nota in particolare uno raffigurante due donne sdraiate sinuosamente su una lettiga-immagino siano loro il motivo del nome della Sala-, il pavimento è di un parquet scuro e lucidissimo su cui si riflettono le luci soffici dei lampadari che ci accolgono in un atmosfera calda che sembra al lume di candela.
In fondo al salone c’è un piano bar molto ben fornito, pare, dietro il quale stanno cinque camerieri vestiti in modo impeccabile che servono gli ospiti al bancone o porgendo vassoi argentati carichi di drink alle persone sedute sulle poltroncine sparse qua e là.
“Ciao Dan!” esclama una voce familiare alle nostre spalle che scopro appartenere alla rossissima Alice, la robot, stretta nel suo lungo vestito dorato che si è lanciata su Daniel baciandolo sulla guancia. “Oh, ciao cara!” aggiunge poi risvegliando i miei istinti omicidi: odio essere chiamata ‘cara’.
“Ciao Allie, stai benissimo!” la saluta Baker allontanandola per ammirarla volteggiare su sé stessa. Ed è proprio vero, dannazione, sembra una diva di Holliwood!
“Grazie, anche tu.” Dice lei con quel suo tono languido e inespressivo da automa terminando la piroetta e portandosi di fianco a Zack che con un sorriso soddisfatto le posa una mano sulla spalla.
“Alice, che ne dici di presentare un po’ di persone a Lucy mentre noi andiamo a prendere da bere?”
“Ma certo, Zack. Vieni con me, cara!”
Guardo Alice che mi si avvicina lentamente senza accennare un minimo di entusiasmo sul viso pallido e imperscrutabile, poi lancio un’occhiata confusa a Daniel che con un alzata di spalle accenna a seguire Zackary.
“Trattami bene la piccola artista, mi raccomando! Torno subito, non temete!”esclama rivolgendosi a Alice prima di incamminarsi verso la zona bar insieme all’amico.
Sbuffo guardandoli mentre un gruppetto di persone li ferma pochi passi dopo dando grandi pacche sulle spalle a Daniel e salutandolo.
Bene, sono contenta che ti diverta, Baker, mentre io sono qui abbandonata a questa…creatura senza sentimenti che mi inquieta un tantino. Sono proprio contenta, maledizione!
Vengo distratta da questi amorevoli pensieri dalla mia nuova amicona, che mi appoggia delicatamente una mano sulla spalla per invitarmi a seguirla.
“Vieni con me, cara.” Dice con un sorriso meccanico che dovrebbe essere incoraggiante, credo.
Ci inoltriamo tra i vari invitati, che stanno diventando minuto dopo minuto sempre più numerosi, allontanandoci sempre di più da dove ci avevano lasciate Zackary e Daniel; io continuo a seguire il vestito scintillante di Alice, che sembra fluttuare tra la folla diretta verso delle poltroncine libere vicine a un’enorme finestra alta fino al soffitto, tuttavia non riusciamo a raggiungerle perché ci si parano davanti due ragazzi sorridenti che bloccano la nostra strada.
“Alice, che bello vederti, sei radiosa!” esordisce il più alto, che ha un viso da fotomodello incredibilmente bello, nonostante sembri un po’ il solito bamboccio biondo dagli occhi azzurri, in realtà.
“Oh, buonasera ragazzi! Vi state divertendo? Lasciate che vi presenti la mia amica, Lucy Callaway. Lucy, loro sono Oliver Hamilton e Bruce Spencer.”
“Piacere!” esclamo io accennando una specie di inchino involontario, imbarazzata da tutta quest’attenzione.
“Piacere mio, Lucy! Lascia che ti offra un drink…”comincia il viso d’angelo, chiamato Oliver, ammiccando in mia direzione maliziosamente.
Ommioddio, sono tutti tanti piccoli Baker? Sono spacciata, morta, finita!
“Stai attento, Ollie, l’ho vista arrivare con Baker!” lo ammonisce Bruce, moro e dai lineamenti meno eterei.
“Ah, Daniel ha sempre tutte le fortune!”
Sorrido imbarazzata e ne approfitto per lanciare un’occhiata nei dintorni: riesco a intercettare Daniel e Zackary che, a parecchi metri di distanza da noi, stanno ridendo spensieratamente con qualcuno che non riesco a vedere.
Ma non faccio in tempo a vedere altro che la mano di Alice mi guida lontana dai due bell’imbusti, veleggiando verso le poltroncine, ma una ragazza con un caschetto biondo cenere ci placca nuovamente e la tiritera ricomincia:
“Ciao Allie! Come stai?”
“Ciao Amanda, lei è Lucy Callaway! Lucy, Amanda Douglas.”
“Ah, sei l’amica di Daniel, piacere!”
“Piacere mio! Che bella serata, eh?”
“Splendida, ci vediamo più tardi!”
Ecco, questo è il dialogo che si ripresenta milioni di volte, con variazioni sul tema, per l’ora successiva e io continuo a vorticare tra Olivia Carter, Cedric O’ Connor, Bentley Foster e nomi del genere che dimentico un istante dopo che la presa di Alice mi conduce da qualche altro rampollo in abito da sera.
Comincio a essere un tantino frastornata e molto stufa, sembra di essere a un maledetto ricevimento pieno di gente sconosciuta troppo gentile per essere sincera, i piedi cominciano a farmi male e la testa a girarmi per quei tre drink che mi sono stati offerti da dei tizi e a cui non ho saputo dire di no.
E Daniel Baker dove diamine è?
Si è fatto in quattro per invitarmi qui per poi abbandonarmi appena arrivati? Non desideravo di certo la sua appiccicosa presenza per tutta la sera, ma comincio a sentirmi un po’ ignorata e poi sono sempre più convinta che Alice non si siederà mai nonostante i trampoli su cui volteggia: questa tizia è disumana.

Mentre stiamo parlando con l’ennesimo ospite – Michael o Mark, non ricordo- mi accorgo di essere vicina al bancone e di avere un’improvvisa sete: voglio acqua.
“Arrivo subito.” Liquido Alice prima che possa fermarmi e mi allontano rapida per arrivare davanti a un cameriere e ordinare un bicchiere d’acqua.
Mentre bevo, cercando di non farlo troppo velocemente per non sembrare una specie di beduina del deserto, avverto una presenza appena dietro di me e per poco non sobbalzo quando una voce bisbiglia sul mio collo facendomi quasi soffocare.
“Sei molto bella stasera, Lucy Callaway.”
Mi giro di scatto per trovarmi davanti proprio il mio accompagnatore disperso con un sorriso più smagliante che mai e i capelli castani un po’ scompigliati.
Oddio, già rimpiango la compagni di Alice, la donna di mondo.
“Quasi quanto me, direi. Ma si sa, è difficile eguagliarmi!” continua poi in una risata, mentre io mi allontano bruscamente incrociando le braccia sul petto, scocciata.
“Si può sapere dove ti eri cacciato?” sbotto io con il tono più acido che riesco a trovare.
Non so perché mi irriti così tanto il fatto che mi abbia scaricata, so solo che voglio farlo sentire in colpa e dimostrare che razza di idiota sia.
“Bè, io ero solo…”
“Daniel, hai visto Zackary?”
Entrambi ci voltiamo contemporaneamente verso il proprietario della voce che ci aveva appena interrotti e per poco non mi viene un colpo: davanti a me c’è niente popò di meno che Rufus Maximillian Van Cortlandt in persona.
Il nonno di Zackary, che ho visto parecchie volte sui giornali, dal vivo incute ancora più rispetto e intimidazione: è un uomo sui settantacinque anni, alto e longilineo, il viso dai lineamenti nobili è segnato da numerose rughe portate con onore, e i due folti baffi biondi nascondono la bocca sottile, ora incurvata in un sorriso cortese.
“Oh, buonasera signor Van Cortlandt! Zack è qui da qualche parte, ma perché non si unisce a noi? Ci scateniamo un po’!” esclama Daniel stringendo entusiasta la mano del milionario, mentre io osservavo sconvolta la spigliatezza e la familiarità che ha con lui.
“Oh no, Daniel, ho del lavoro da sbrigare e un aereo da prendere, ma soprattutto voglio evitare lo spettacolo della lenta distruzione della mia sala preferita.” Scherza lui e io non posso fare a meno di notare che la sua voce profonda è solenne anche quando non parla sul serio.
“Ah, lei è Lucy Callaway, una mia amica artista!” butta lì all’improvviso Daniel cogliendomi alla sprovvista.
“Un’artista? Interessante! Piacere di conoscerla, signorina Callaway. Di che genere di arte si occupa? Avrò mai l’onore di visitare una Sua qualche galleria?”
“Oh, hem no, io ecco…”
Daniel Baker, morirai dolorosamente.
Fortunatamente la mia brillante presentazione viene interrotta dall’arrivo di Zackary con due drink in mano e un aria sorpresa.
“Nonno, che ci fai qui?”
“Ti volevo salutare, Zackary.” Risponde semplicemente senza battere ciglio e senza curarsi che quasi tutti gli sguardi della sala sono calamitati su di lui.
“Potevi chiamarmi senza venire fino qui in mezzo alla confusione.”
“Bah, io amo la confusione di voi giovani. E poi dovevo avvisarti che ho dato i soliti ordini a Xavier, quindi non devi preoccuparti di nulla fino al mio ritorno.”
“Grazie nonno, fa buon viaggio.”
“Grazie Zackary, in effetti devo proprio scappare, Berlino mi aspetta. Daniel, signorina Callaway, è stato un piacere. Buona serata!”
E con una specie di inchino con la testa il signor Van Cortlandt ci lascia incamminandosi tutto impettito in mezzo alla folla di ragazzi intimoriti e ammirati che si apre per farlo passare.
Non faccio in tempo a riprendermi dalla sorpresa di aver parlato-sì, bèh, parlato è una parola grossa, diciamo boccheggiato come un pesce rosso stupido- con una specie di guru dei dollari, che una figura aggraziata ci raggiunge volteggiando sui suoi tacchi.
“Oh, eccovi qui.”
Ciao Alice, piccola macchina da guerra dell’alta società.
“Ho visto tuo nonno che se ne andava, non ho fatto in tempo a salutarlo!” dice quasi sovrappensiero rivolta verso Zackary, che però è già impegnato a digitare velocemente chissà cosa sui tasti del suo cellulare.
“Sì, lo so, ora possiamo andare nell’altra sala e partire con la musica. Il DJ è pronto, andiamo.”
Lancio uno sguardo incuriosito a Daniel che sorride semplicemente e mi fa cenno di seguire gli altri due, che ci portano dalla parte opposta della sala, dove un enorme arco, che non avevo proprio notato, si apre su un altro spazio che sembra essere molto più buio rispetto alla sala.
Mentre passiamo oltre l’arco, una voce amplificata di un qualche DJ rimbomba contro le pareti annunciando che la sala da ballo è pronta, e io non posso che confermare: questa sala da ballo è più che pronta, è perfetta: l’illuminazione è simile a quella di una vera e propria discoteca, con luci lampeggianti e psichedeliche, per non parlare del fatto che è grande probabilmente quanto la stanza che abbiamo appena lasciato, forse è addirittura speculare ad essa, ma libera da tavolini o qualsiasi cosa possa ingombrare il ballo.
La gente comincia ad affluire dalla porta proprio mentre il DJ alla console fa partire la musica e tutto intorno a me rimbomba e vibra.
Tump tump tump!
“Non è grandioso?” mi strilla Daniel dritto in un orecchio, ottenendo come risposta una mia alzatina di spalle: sono ancora arrabbiata con lui e non ho intenzione di dargli soddisfazione.
Senza preavviso Alice afferra per un polso sia me che Daniel e con un“Dai, venite!” ci trascina vicino alla postazione del DJ e comincia a esibirsi in una danza sfrenata al ritmo incalzante che proviene dalle casse.
Ommioddio, non ho nessuna voglia di ballare in questo momento. Tantomeno in mezzo a tutta questa gente che ci si sta appiccicando addosso sempre di più. Che sta succedendo? I damerini snob si sono improvvisamente trasformati in festaioli impazziti?!
Tump tump tump!
Guardo terrorizzata Daniel che però sembra divertirsi un mondo e scuote la testa avanti e indietro guardandosi intorno tutto contento.
Dannazione, c’è troppa gente! E c’è un tizio che mi è davvero troppo vicino e…ommioddio, che sta facendo con quella mano appoggiata alla mia spalla?
“Hey, ma tu sei Lucy! ”
Mi volto spaventata per scoprire che è il biondino dal viso da bambolotto che mi è stato presentato poco fa che mi sta tirando verso di lui.
“Sì, sono io!” gli grido in faccia guardandomi indietro per non essere trascinata troppo lontano dagli altri, ma ormai il danno è fatto: ci sono già tre persone tra me e la testa dondolante di Daniel.
“Ti posso rubare per un minuto a Baker?”
Guardo Oliver esibirsi in un sorriso speranzoso alla luce intermittente e bianca che mi sta causando un gran mal di testa.
Accenno a un sorriso gentile e imbarazzato senza sapere come fare per scollarmelo di dosso…dov’è Daniel quando serve?
Mi guardo alle spalle e lo vedo chinato ad ascoltare una ragazza dai capelli corti e scuri che gli sta appiccicata all’orecchio tenendo una mano sul suo collo. Lui si rialza, ride e dice qualcosa, mentre lei con aria soddisfatta sorride e comincia a ballargli vicino, praticamente addosso e ciò non sembra infastidirlo molto, anzi.
Mi sento contorcere le budella. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Che si faccia pure usare come palo da lap dance, lasciandomi di nuovo da sola, io ne ho abbastanza!
Perché diamine sono qui? Dovrei essere alla festa con Andrew e Noa. Sarebbe meglio essere presa a pugni dalla mia migliore amica che essere palesemente ignorata dal mio stesso stalker che mi lascia in balia di questi Barbie e Ken dell’alta società.
“Scusa, devo prendere un po’ d’aria! Torno subito.”
Pianto lì Oliver e me ne fuggo via senza lasciargli il tempo di riacchiapparmi: devo raggiungere il grande finestrone in fondo alla sala e dare una rinfrescata al mio cervello fumante di rabbia. E magari trovare una via di fuga corrompendo Xavier, il maggiordomo demodè.
Finalmente raggiungo la maniglia e, senza che nessuno badi molto a me, riesco ad uscire su una delle grandi terrazze di casa Van Cortlandt riappoggiando subito le ante della porta-finestra alle mie spalle per non essere disturbata.
Ah, finalmente un po’ di pace!

Fuori fa davvero freddo senza cappotto, ma non importa, meglio congelarsi che stare in mezzo a quel delirio e poi devo calmarmi un po’, anche perché la testa un po’ mi gira a causa dell’alcool: non lo reggo molto bene.
La terrazza è piuttosto grande, di una forma strana, tondeggiante, ma non proprio regolare, muovo qualche passo per appoggiarmi al parapetto in pietra e osservare il paesaggio illuminato dalla luce delle stelle e della luna: una distesa di campi e piccoli boschetti bui mi ricordano ancora una volta la fortuna della famiglia Van Cortlandt, più lontano invece intravedo una grande strada trafficata piena di piccole scie luminose di auto sparate a grande velocità.
Respiro un paio di volte a occhi chiusi, rabbrividendo per il contatto delle mie mani sulla superficie fredda e per il venticello gelido che mi accarezza le spalle nude e mi riporta un po’ di quella calma che ho disperso in quella sala maledetta.
Un rumore alle mie spalle interrompe la mia tranquilla rinfrescata di idee: la porta a vetri si apre lasciando irrompere nel mio posticino felice il ritmo prepotente delle casse, per poi richiudersi dopo pochi secondi.
Chi osa turbare la mia quiete?
Non mi volto nemmeno per guardare  perché so già di chi si tratta-sarebbe troppo sperare che sia una coppietta in cerca di un anfratto in cui darci dentro alla faccia del bon-ton- e me ne rimango ferma a fissare il cielo, sentendomi ribollire nuovamente di rabbia.
“Oh, finalmente ti ho scovata!” Bisbiglia Daniel Baker, che scopro pericolosamente vicino alla mia schiena dato che riesco a percepire lievemente il suo respiro sulle mie spalle.
Ok, Lucy, stai ferma, zitta e conta fino a dieci, non tirargli uno schiaffone senza prima esserti calmata un po’. Potresti rimpiangerlo un giorno, forse.
“Che ci fai qui al freddo?”
Sento la sua mano che mi scivola delicatamente sul braccio per accarezzare la pelle d’oca che il freddo –no, non Baker! Non lui, ok?- mi ha provocato, e la tentazione di lasciargli un bel tatuaggio delle mie dita sulla guancia è sempre più forte.
Respira e conta, Lucy: uno, due, tre,…
Ma Daniel Baker probabilmente interpreta il mio silenzio indispettito per tutt’altro visto che decide di cingermi i fianchi in modo piuttosto provocante, avvicinandosi ulteriormente.
Quattro, cinque…DIECI!
“Che diavolo stai cercando di fare?!” ringhio voltandomi di scatto e spingendolo via da me facendolo rimanere di stucco.
Lo guardo in cagnesco notando che ha i capelli parecchio in disordine, il viso lucido di sudore e un’aria un po’ stanca: avere una ragazza koala che ti balla addosso ha i suoi lati negativi, eh?
“Niente! Scusa, è che ti ho vista uscire e così ti sono venuto a fare compagnia.” Si schermisce lui alzando le mani per cercare di calmarmi, ma senza abbandonare un sorrisetto appena accennato.
“Ah, ma certo! Farmi compagnia! Dopo che mi hai ignorata per tutta la sera, vuole farmi compagnia, il signore!” strillo io senza rendermi conto di aver usato un tono da pazza isterica.
Lui non fa altro che guardarmi con la sua solita espressione che sembra sempre deridere chiunque, per poi esclamare con un sorrisone: “Non pensavo ci tenessi così tanto. Ti sono mancato quindi!”
Dannazione, vorrei strangolarlo! Non posso credere che possa essere così maledettamente sfacciato in un momento come questo!
“No, non è così!” grido improvvisamente sulla difensiva “E’ che…”
Che cosa? Non starò per ammettere che mi sono mancate le sue attenzioni? Eppure sembra proprio che io lo stia facendo. Dev’essere colpa dei drink.
Stringo la mascella e deglutisco osservando gli occhi verdi di Daniel scintillare beffardi al buio.
“E’ che è una questione di principio, Daniel. Io ti ho accontentato come una stupida, mentre potrei essere da qualsiasi altra parte! E tu mi abbandoni in mezzo a tutti questi figli di papà sparendo a divertirti!”
All’improvviso noto che Daniel si è come irrigidito alle mie parole e che il sorriso gli è scomparso dal volto: ottimo, finalmente non ride più.
“Ma che dici? Non è affatto vero, dai!”
Sbuffo e mi volto dandogli di nuovo le spalle: mi sento ancora furiosa con lui e anche con me, che non riesco a capire perché mi importi tanto avere ragione, perché mi senta tanto umiliata e infastidita.
“Senti, non mi importa. Ho sbagliato a venire qui, lo sapevo.” Dico rivolta al cielo “Dopotutto non potevo aspettarmi altro da uno come te. Probabilmente sei solo un figlio di papà come tutti loro, uno abituato ad avere tutto e che quando ottiene il suo giochino, si stufa. Ma tanto, che importa? Papi te ne ricomprerà un altro, vero?” 
Sputo fuori ogni parola senza pensare a come suoni davvero crudele quello che sto dicendo, l’unica cosa a cui riesco a pensare è la tizia di poco da abbarbicata a Daniel.
Per un po’ cade il silenzio e io penso di essere finalmente riuscita a zittire Daniel Baker, ma passa appena qualche secondo, quando comincio a sentire uno strano suono, come uno strano sibilo soffocato e tremolante che per un attimo scambio per un principio di risata soffocata.
“Ti sembra div…“
Le parole mi muoiono in bocca mentre, voltandomi, vedo Daniel accasciarsi lentamente addosso al muro vicino alla finestra fino a trovarsi seduto scompostamente sul pavimento di pietra. Anche al buio riesco a intuire che c’è qualcosa che non va: è improvvisamente pallidissimo, e sembra incapace di stare in piedi, ma la cosa peggiore è il suo respiro: un rantolio soffocato e boccheggiante che gli spalanca gli occhi in un’espressione di puro terrore.
“Ommioddio, Daniel, stai scherzando?”
La voce mi esce strozzata mentre corro a inginocchiarmi di fronte a lui incapace di fare qualsiasi cosa, ho il cuore a mille e i suoi occhi disperati puntati su di me mi spaventano da morire.
“Che ti succede? Cosa…Aiuto!” strillo rivolta verso la porta, ma la musica che rimbomba nella sala come il battito di un cuore impaziente e scatenato, copre ogni mio sforzo.
Devo chiamare qualcuno!
Faccio per alzarmi, ma la mano di Daniel mi artiglia il braccio facendomi scendere di nuovo al suo livello, lui emette uno strano suono strozzato mentre il torace si alza e si abbassa a velocità impressionante.
“Che cosa? Cosa devo fare?” chiedo io in preda al panico avvicinandomi al suo viso e cercando di capire cosa stia cercando di dire.
“Tas…tasca…”
“Ok, tasca. Tasca, tasca, tasca. Cosa c’è in tasca? Cosa devo fare? Stai tranquillo…ommioddio.”
Mi rendo conto di boccheggiare anch’io mentre frugo con mani tremanti nelle tasche della sua giacca senza trovare nient’altro che le chiavi dell’auto e quello che sembra un foglietto di carta marrone ripiegato più volte su sé stesso.
Un gemito di Daniel mi indica che è proprio quello che cerca, così lo srotolo il più velocemente possibile rendendomi conto di avere in mano un piccolo sacchettino, di quelli usati nei negozi di alimentari per metterci la frutta o il pane, e all’improvviso mi lampeggia nel cervello il ricordo di un corso di pronto soccorso fatto anni fa, in cui ci spiegavano come affrontare un attacco di panico.
In fretta e furia appoggio il sacchetto sulla bocca di Daniel, che con il suo respiro lo fa gonfiare e sgonfiare rapidamente.
Io aspetto tremante guardandolo dritto in quegli occhi che ora mi sembrano enormi , come due lune piene verdi, e lui continua a stringere il mio braccio così forte che quasi non me lo sento più.
Non so per quanto tempo me ne sono stata ferma e tremante, ma piano piano il suo respiro si è fatto più tranquillo, meno affannoso e veloce, fino a diventare regolare e tranquillo, forse anche troppo.
Lascio andare cautamente il sacchetto e Daniel non fa nulla per fermarmi, ora tiene gli occhi chiusi e mi verrebbe da pensare che stia dormendo se non continuasse a stringermi l’avambraccio.
Non riesco a fare a meno di staccargli gli occhi di dosso, paralizzata, sono terrorizzata dal suo colorito spento, dalle occhiaie ancora più evidenti e dalla linea morbida delle sue labbra che stanno riprendendo solo adesso il loro colore rosato.
Sono stata io a ridurlo così? Sono stata così cattiva da farlo entrare in un attacco di panico? Mio Dio, sono un mostro.
D’istinto gli porto una mano alla fronte, che è fredda e imperlata di sudore, e quasi mi spavento nel sentire un suo sospiro e la testa risollevarsi per guardarmi con occhi stanchi e lucidi.
“Non dirlo a nessuno.” Sussurra e io non posso fare a meno di annuire, sconvolta dall’assenza di ogni barlume di baldanza e sfrontatezza in quello sguardo.
“Ok.” rispondo sottovoce, per poi aiutarlo ad alzarsi a un suo cenno.
Lo vedo barcollare un po’ e portarsi le mani alle tempie: non sta bene, non sta bene affatto.
“Daniel dai, andiamo via da qui.”


“Ma…Lucy! Che ci fate qui?”
“C’è posto per noi?” chiedo un Andrew abbastanza sbronzo e parecchio stupito che ci apre la porta addobbata con due ridicoli scheletri e una zucca di carta.
“Sì sì, ma certo, entrate!”
La festa delle compagne di Noa si tiene in una sala affittata per l’occasione in un caseggiato in periferia, dentro la musica di sottofondo non è assordante, la gente vaga qua e là a gruppetti ridendo chiassosamente e bevendo ciò che offre un barman improvvisato a un lungo tavolone pieno di bottigli e bicchieri; le pareti sono addobbate con mostriciattoli, streghe e festoni in tema Halloween, che mi danno l’idea di una vera festa di universitari.
Non so perché ho deciso di venire qui, ma è quello che ho fatto d’istinto pensando che il campus era troppo lontano per rischiare di farmi beccare alla guida con un tasso alcolico sicuramente troppo alto e il posto più vicino che mi è venuto in mente è questo. Daniel non ha avuto nulla da ridire: siamo sgattaiolati via da casa Van Cortlandt senza dire niente a nessuno e ho semplicemente guidato io fino qui. Nessuno dei due ha detto una parola durante il viaggio.
“C’è un posto dove possiamo stare tranquilli un secondo?” chiedo guardandomi intorno e individuando subito Noa che mi sta fissando con lo sguardo di un cobra che punta la sua prossima vittima.
Magnifico.
“Hem, sì certo, potete stare qui, venite!”
Andrew ci porta in un angolo piuttosto buio e desolato della stanza dove ci sono quattro poltroncine sgualcite su cui ci sediamo senza fiatare.
“Hem, volete qualcosa da bere?” domanda il mio amico continuando a fissarci con aria piuttosto curiosa.
“No, grazie, ti dispiace se stiamo un po’ qui? ”
“No no, state qui quanto volete! Ma…hem Lucy, puoi venire un secondo?”
Sospiro e, dopo aver lanciato un’ occhiata di sbieco a Daniel per assicurarmi che stia lì seduto tranquillo, seguo Andrew a qualche passo di distanza.
“Cos’è successo? Sembrate usciti da un film di zombies!Non è una festa in maschera, lo sapevate?”  mi chiede subito a bassa voce guardandomi sospettoso.
“Ascolta, è una storia lunga, te lo spiegherò domani, d’accordo?”
Andrew mi guarda ancora un po’ preoccupato, ma poi si arrende.
“D’accordo, l’importante è che tu stia bene.”
“Non preoccuparti. Dov’è Kite?”
Non l’ho ancora notato tra la folla di volti piuttosto conosciuti che mi circondano.
“E’ tornato a casa ubriaco marcio mezz’ora fa.” Sghignazza il mio gigante buono battendosi una mano sulla fronte ricordando una qualche scena esilarante.
“Perfetto.”
Sono sollevata: altri momenti imbarazzanti con Kite non mi servono proprio adesso, anche se so che dovrò scusarmi con lui prima o poi.
“E…Noa?” domando poi esitante e sentendo un nodo nello stomaco ristringersi.
“Non credo verrà a darti fastidio…forse è ancora presto per…lo sai.”
Lo guardo sollevare le spalle e osservarmi con dolcezza, io gli sorrido di rimando appoggiandogli una mano sulla spalla, il che è piuttosto complicato per la mia misera altezza da gnomo, nonostante i tacchi alti.
“Lo so. Grazie Andrew.”
“Figurati! Bè vi lascio qui e se vi serve qualcosa chiama!”
Il mio amico se ne va e io me ne torno alle poltrone e mi siedo accanto a Daniel, che se ne sta lì fermo e zitto con un aria che sembrerebbe tranquilla, se non fosse per il colorito ancora troppo pallido per essere normale.
Me ne sto ancora zitta per un po’ lasciando dondolare il mio piede a tempo di musica e osservando Steve che si da alla pazza gioia ballando con un boa rosa intorno al collo e due tizi altrettanto scatenati accanto a lui.
Non so proprio che dire, mi sento così in colpa per quello che ho causato con le mie parole, che mi sento ripugnante e crudele. Perché non ho pensato prima di uscirmene con quel discorso cattivo?
“Daniel, mi dispiace, non dovevo.” Mormoro senza guardarlo e fissando un punto indefinito sul pavimento.
Lo sento muoversi sulla poltroncina affianco alla mia e sporgersi in avanti per posarmi una mano sul ginocchio.
“Hey, non è stata colpa tua, ok?”
Lo guardo incerta e sento un magone salirmi nel petto, ma lui mi sorride gentile, senza sguardi maliziosi o espressioni strafottenti.
“Mi capita spesso, davvero, ci sono abituato. Probabilmente è stato l’ambiente soffocante della sala, o…qualcos’altro a causarmi l’attacco. Insomma, non certo colpa tua, d’accordo?”
Annuisco poco sicura e ricaccio indietro quella strana voglia di piangere, poi torniamo di nuovo zitti, a fissare gli altri ragazzi divertirsi, senza che nessuno venga a disturbarci-a parte qualche ragazza invaghita di Daniel, placcata prontamente da Andrew- per parecchio tempo, finché non mi sento abbastanza sicura di poter guidare senza pericolo di essere arrestata per guida in stato d’ebbrezza.
Salutiamo Andrew e ci dirigiamo verso la macchina e Daniel insiste per poter guidare e io lo accontento dopo essermi fatta assicurare almeno tre volte che sia davvero in grado di non schiantarci contro qualche albero.
Non appena salgo in auto e mi appoggio allo schienale non posso fare a meno di accorgermi di quanto stanca sia, potrei addormentarmi da un momento all’altro e quasi mi appisolo mentre Daniel guida piano fino a casa mia.
“Eccoci qui, signorina Callaway.” Annuncia a voce bassa spegnendo il motore della macchina e facendomi uscire dal mio stato di dormiveglia.
Mi stiracchio un po’, mi slaccio la cintura e infine mi volto a guardarlo: tiene una mano ancora sul volante e mi sta guardando con la testa inclinata e il viso raddolcito da uno sguardo che non gli avevo mai visto, limpido, senza ambiguità.
“Grazie.” Dico senza sapere bene per cosa lo stia ringraziando. Per avermi portata a casa? Per aver accettato le mie scuse? Per avermi fatto passare una notte di Halloween sicuramente indimenticabile?
Daniel alza le spalle come a dire ‘Di niente!’, poi resta in silenzio ancora un po’ e io sto quasi per scendere dalla macchina quando ricomincia a parlare.
“Mi spiace di averti trascurata, Zackary mi ha portato a prendere i drink e tutta la gente ci ha fermati. Ti cercavo, ma non ti trovavo più. Mi dispiace di averti lasciata da sola.”
Dice proprio così, cavoli, e io mi sento quasi arrossire per la sincerità delle sue scuse. Mi sporgo verso il suo sedile con un sorriso per sfiorargli la guancia con una specie di carezza. Finalmente la sua pelle è tornata tiepida.
“Sei stato bravo, Daniel.”
“Lo sono sempre.”
Esibisce il suo sorriso più tipico e io, una volta tanto, non posso che ricambiarlo.
Per un assurdo e folle secondo mi balena nella testa il pensiero che si stia ricreando l’atmosfera della sera al planetarium e non riesco a fermare l’accellerazione improvvisa del mio battito cardiaco, ma poi Daniel si avvicina e mi bacia sulla guancia.
“Buonanotte, Lucy.” Bisbiglia allontanandosi.
“Buonanotte.”
Scivolo fuori dall’abitacolo e spingo la portiera lentamente, facendola chiudere, poi rimango lì a guardare l’auto filare via, non so nemmeno dove.




Eccoci alla fine :)
Ci ho messo talmente tanto a scrivere questo capitolo che non capisco più se mi piaccia o no...ormai lo odio :) Ma spero che a voi sia piaciuto e che abbiate ancora voglia di seguire Lucy nei prossimi capitoli.
Ah, non sono molto sicura del metodo del sacchetto per placare gli attacchi di panico, ma so che è usato e dovrebbe funzionare.

Bè, sto zitta e lascio a voi la parola!
Alla prossima,



Ireth

  
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