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Autore: Sakura Sakurazukamori    29/12/2012    3 recensioni
Ambientato dopo CoHF (in qualsiasi modo finirà e sperando che non muoia nessuno!), Alec torna a New York dopo 15 anni di permanenza a Idris. Cosa sarà cambiato? E perché ha deciso di tornare di punto in bianco? SPOILER per chi non avesse letto CoLS.
Pairing: Male, Clace, Sizzy
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Shadowhunters

Pairing: MALEC (ma anche Clace e Sizzy)

Avvertimenti: slash, introspettiva

Note: ambientato dopo CoHF (in qualsiasi modo finirà), Alec torna a New York dopo 15 anni di permanenza a Idris. Cosa sarà cambiato? E perché ha deciso di tornare di punto in bianco? SPOILER per chi non avesse letto CoLS.

 

SHADOWHUNTERS: 15 YEARS AFTER  

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto quel panorama, dall’ultima volta in cui aveva camminato per quelle strade affollate e ammirato quel cielo così terso.

New York lo circondava di nuovo con i suoi alti grattacieli, i taxi che coloravano di giallo il traffico dell’ora di punta, i venditori di hot-dog sui larghi marciapiedi pieni di gente che si affrettava in qualsiasi direzione e i suoi piccoli angoli tranquilli.

Erano passati quasi quindici anni dall’ultima volta in cui Alec aveva percorso quella strada, eppure la ricordava ancora perfettamente. Probabilmente perché aveva attraversato quel quartiere per ben vent’anni della sua vita. Non aveva più pensato a quella città per parecchio tempo, ma in tutti quegli anni non l’aveva dimenticata e la Grande Mela non era affatto cambiata.  La strada che stava percorrendo diventava tranquilla mano a mano che il ragazzo procedeva; svoltò in una via quasi deserta e lì, davanti a lui apparve la sua meta.

L’istituto si ergeva maestosamente dietro la cancellata, in tutto il suo splendore immutato. L’unico segno che il passare del tempo, implacabile, aveva lasciato erano delle macchie rosse, dove la ruggine stava mangiando il ferro ormai vecchio. Tutto il resto era rimasto uguale a quindici anni fa.

Alec aprì il cancello che cigolò, come a dargli il ben tornato. Proseguì fino all’ingresso ed entrò.

Nella penombra del piano terra, il cacciatore ispirò profondamente. L’odore era sempre lo stesso: cera, fumo e polvere. Era finalmente tornato a casa.

Tutti gli Shadowhunters sparsi per il mondo consideravano Idris la loro casa, anche se ci avevano vissuto per pochi anni, e sognavano sempre di ritornarci. Alec amava Idris, certo, ma l’Istituto l’aveva accolto e visto crescere insieme ai suoi fratelli, ed era il posto in cui era maturato. A quell’edificio erano legati così tanti ricordi, felici e tristi, che il ragazzo non poteva fare a meno di considerarla casa sua.

Prese il vecchio ascensore che sembrava più cigolante che mai, e salì al primo piano. Di lì percorse il lungo corridoio guardandosi intorno e ammirando l’edificio, come fosse la prima volta. Automaticamente i suoi piedi se fermarono davanti ad una porta. Camera sua. Entrò nella stanza: tutto era esattamente come l’aveva lasciato. La scrivania in ordine con lì impilati vicino dei libri, più che altro di demonologia e tecniche di combattimento; la sedia ben posizionata sotto al tavolo; il letto in ordine, con un lenzuolo bianco e coprire il materasso perché non prendesse troppa polvere, e l’armadio. La sua stanza era sempre stata spartana, ma in quel momento gli sembrò quasi misera.

Appoggiò il borsone sul letto, sollevando un leggero strato di polvere, e spalancò la finestra. Uscì dalla stanza ed aprì i vetri di alcune finestre in corridoio. Quel luogo sapeva un po’ troppo di chiuso!

Passò per la cucina. Anche lì era tutto come lo ricordava, tutto in ordine. Solo, notò, il frigorifero era desolatamente vuoto! Ma anche quello era normale, visto che da almeno sette anni l’Istituto era disabitato! Per cena avrebbe dovuto andare a mangiare fuori, pensò sospirando.

Continuò il giro dell’edificio, adesso toccava alla biblioteca. Con quell’atmosfera tranquilla, tutti quei libri e l’odore inconfondibile, era stato per anni il luogo preferito di Alec. Ci si rintanava per pensare, per studiare o semplicemente per leggere un buon libro in tranquillità.

Percorrendo il corridoio, l’unico rumore udibile era il rimbombo dei suoi passi, tranquilli ma decisi. L’Istituto non gli era mai parso così grande. Ricordava un luogo vivace, sempre pieno di voci tra Isabelle e Jace che discutevano a Max che rideva leggendo un manga facendo le coccole a Church. Adesso invece era solamente grande. Grande e silenzioso.

L’armeria era l’ultima tappa del tour. Appena entrato nella grande sala Alec sorrise. Sorrise al ricordo di quanto tempo aveva passato immerso tra quelle mura, ad impugnare le spade angeliche o l’arco, ad allenarsi, da solo o con Jace. Ne era passato di tempo…

Ripensando ai vecchi tempi, si avvicinò ad un tavolo e prese uno dei pugnali lì appoggiati. In uno scatto si girò e lanciò l’arma che andò a conficcarsi precisamente al centro di un cerchio rosso. Beh, almeno era ancora in perfetta forma! Una risatina gli scappò dalle labbra, quando si accostò al muro per riprendere il coltello, al pensiero di quando Jace aveva “rovinato” l’antico muro dell’Istituto, dove “migliaia di Shadowhunters si erano allenati con costanza ed impegno”, come aveva detto sua madre mentre con sguardo scioccato guardava prima il bambino biondo, il muro e poi una piccola versione di Alec.

Il sole era già tramontato da un pezzo, segno che per Alec era giunto il momento di andare a procacciare del cibo. Ripassò in camera a prendere la giacca e poi si inoltrò nelle strade fredde e trafficate della città.

Dopo aver girovagato per qualche tempo, decise di sedersi ad una tavola calda. Non era certo uno dei posti che frequentava da ragazzo! Avrebbe potuto tranquillamente andare da Taki’s, sapeva per certo che era ancora in attività, ma per una volta voleva sedersi in un angolo di un locale in cui non era mai stato, mischiarsi in mezzo ai Mondani e pensare. O stare solamente tranquillo ad assaporare la sua cena.

Ordinò quando la gentile cameriera si accostò al suo tavolo nell’angolo e poi riprese il corso dei suoi pensieri. Era tempo di riaccendere il telefono, pensò estraendo dalla tasca dei jeans scuri il piccolo aggeggio mondano che gli era stato sempre accanto durante un particolare periodo della sua adolescenza.

Come aveva pensato, lo schermo gli mostrò tre chiamate perse. Due di Isabelle e una di Jace. Appoggiò il cellulare sul tavolo e attese la cena. Sapeva bene che sua sorella l’avrebbe richiamato, quindi aspettò con tranquillità che il cellulare squillasse. Rimase nella tavola calda per quasi due ore. Ogni mezzora o più la gentile cameriera che gli aveva portato la cena, passava dal suo tavolo e gli riempiva la tazza di caffè. Come piaceva a lui: nero con zucchero. Sembrava perso nei suoi pensieri, un giovane uomo tormentato, magari alle prese con una gran grattacapo al lavoro. Invece, stava semplicemente osservando i passanti e gli avventori del locale, riprendendosi quei quindici anni di New York che si era perso. Quando si accorse che nella tavola calda erano rimasti solo tre tavoli occupati, decise che era tempo di rincasare.

A metà strada il cellulare iniziò a squillare. Alec controllò lo schermo: era Isabelle. Lo lasciò squillare ancora un po’, forse per dare l’impressione che fosse impegnato o forse semplicemente perché non moriva dalla voglia di rispondere, ma se non avesse accettato la chiamata, sarebbe stata Isabelle ad accettarlo…e con qualcosa di molto affilato!

-Alec!- esplose la voce della ragazza  –Ti ho chiamato un sacco di volte! Non hai mai risposto!-

-Hai chiamato solo due volte. E anch’io sono contento di sentirti, Izzy.- rispose il ragazzo, sorridendo tra sé e sé.

-Da quanto sei in città?- chiese la sorella.

-Qualche ora…il tempo di sistemarmi e mangiare…-

-Cavolo, potevi dirmelo! Avresti potuto venire a cena da me!-

-Non volevo disturbarti.- sorrise lui.

-Beh, domani dobbiamo assolutamente vederci! Facciamo colazione di Taki’s ti va? Alle dieci?- esclamò e senza aspettare risposta –Scusa adesso devo andare, Church ha deciso di mangiarsi il cuscino del divano! Dormi bene fratellino, a domani!-  e riappese.

Chiamata veloce, pensò il cacciatore. Intrattenuto dall’esuberanza della sorella, che non sembrava cambiata per niente, Alec era ritornato all’Istituto. Abbandonò la giacca sulla sedia e si diresse in cucina. Frugò in ogni scafale e in ogni cassetto e finalmente lo trovò: la scorta segreta di caffè! L’aveva sempre nascosta lì per i momenti di vera necessità, solo non pensava che se ne sarebbe servito dopo così tanto tempo! Pregando l’Angelo che la magica miscela non fosse scaduta, si preparò una bella tazza di caffè caldo e raggiunse la biblioteca. Lì vagò per gli scaffali in cerca di qualcosa da leggere. Decisamente non un manuale di demonologia! Serviva qualcosa di tranquillo, che non avesse nozioni da imparare… perso in queste considerazioni, capitò di fronte ad una piccola libreria con vari volumi protetti da uno spesso vetro un po’ impolverato. Lesse i titoli: “La Bête Humaine”, “Il Paradiso Perduto”, “La Divina Commedia”, “I Fiori del Male”… quella doveva essere la raccolta di libri di Hodge. Quelli che erano stati passati da cacciatore a cacciatore anche se appartenevano alla cultura dei Mondani. Oh, eccolo lì! Proprio la lettura esatta per quel momento. Aprì la teca e ne estrasse il libro. Andò a sedersi sulla poltrona vicino alla finestra e rimirò il vecchio tomo. Soffiò via la polvere e con le dita bianche e affusolate accarezzò le lettere del titolo. “Racconto di Due Città” di Dickens. Il libro perfetto per l’occasione, pensò aprendo la prima pagina e cominciando a leggere.

***

-Alec!-

Il cacciatore era seduto ad uno dei tavoli da Taki’s da meno di cinque minuti, quando una giovane donna si precipitò vicino a lui con un immenso sorriso.

Isabelle era semplicemente radiosa. I lunghi capelli neri e fluenti, gli occhi azzurri e la pelle chiara. Non sembrava più la perfetta ragazza da copertina, ma una giovane donna nel fiore dell’età.

Appena raggiunto il tavolo, abbracciò il fratello così velocemente che non fece nemmeno in tempo ad alzarsi in piedi. Lo strapazzò un po’ e poi si sedette di fronte a lui, ordinando la colazione. Aveva un viso così sereno…le cose dovevano andarle molto bene, pensò Alec.

La donna si informò sulla salute del fratello maggiore, su cosa avesse fatto in tutti questi anni ad Idris, che novità portava dalla patria degli Shadowhunters e così via. Non gli lasciava il tempo di riprendere fiato dopo una risposta che già aveva sfornato un altro quesito! Quando finalmente la sua curiosità fu soddisfatta, arrivò il turno di Alec di informarsi sulla vita della sorella. Ora aveva un appartamento tutto suo a Brooklyn. Dopo che Jace era andato a vivere con Clary e i loro genitori erano tornati ad Idris, non se l’era sentita di vivere da sola in un posto così grande, così aveva preso in affitto un appartamento grazie a dei lavoretti part-time che svolgeva e si era portata dietro Church. La storia con Simon procedeva a gonfie vele, anche se lo vedeva un po’ più raramente visto che tutti e due lavoravano.

Il mondo era proprio cambiato! Non si era mai sentito di uno Shadowhunters che lavorasse nel mondo dei Mondani, anche se a stretto contatto con i Nascosti. Ma dopo la guerra di quindici anni fa, l’avvistamento di demoni tra i Mondani era sensibilmente diminuito, quindi Isabelle poteva permettersi di impiegare il suo tempo lavorando.

Prima di salutarsi, lo invitò a cena per quella sera stessa. Lei e Simon si sarebbero trovati con Jace e Clary, e il fratello sarebbe stato felicissimo di rivedere il suo parabatai dopo tanto tempo! Quindi, non accettando un no come risposta, ad Alec non rimase altra scelta che concordare l’ora e il luogo del ritrovo.

Erano pure passati parecchi anni, ma Alec si era sentito come quando erano ragazzi e Isabelle decideva cosa fare la sera, e a lui non rimaneva altro che seguire la sua intrepida sorella minore e il suo sconsiderato parabatai nel mondo Mondano, a caccia di demoni o di qualche festa!

Le sera arrivò fin troppo in fretta! Alec non aveva portato con sé molto vestiti, non programmava di rimanere molto a New York, e non essendo mai stato molto attento alla moda, indossò dei semplici jeans scuri, un maglione nero e la giacca un po’ sbiadita. Ma dopotutto Alec era così, vestiti scuri e sbiaditi. Non era cambiato affatto dal ragazzo di diciotto anni che aveva creduto di poter vivere felice per tutta la vita. Un’illusione che non era durata altro che pochi mesi. Ripensandoci si sembrava sempre più miserabile. Non aveva un’alta considerazione di se stesso. Non era il miglior Shadowhunter del mondo come Jace, non era esuberante e perfetto come Isabelle, era persino riuscito a perdere la cosa più importante della sua vita e a deludere suo padre. Non era certo così che si vedeva le rare volte che a diciott’anni pensava al futuro. Beh, almeno aveva raggiunto i trent’anni d’età sano e salvo! Un bel traguardo per un cacciatore di demoni!

Mentre era immerso in questi pensieri, venne raggiunto dalla sorella e da Simon che, dopo averlo salutato calorosamente e scambiato i doverosi convenevoli, fermarono un taxi e si diressero a casa di Clary.

In quegli anni nei quali Alec era stato lontano da New York, era sempre rimasto in contatto con Jace, quindi sapeva che dopo alcuni anni lui e Clary si erano trasferiti in una casa nei dintorni di Brooklyn, sapeva che se la stavano passando bene. E tanto gli bastava. Se poi fosse successo qualcosa al suo parabatai, Alec l’avrebbe capito subito e si sarebbe precipitato ad aiutarlo. Era questa l’ultima promessa che si erano scambiati.

Quando il taxi accostò, di fronte ad una villetta ad un piano, i tre scesero e si avvicinarono alla soglia di casa. Venne ad accoglierli Clary, con i soliti capelli lunghi e rossi e un sorriso radioso. Salutò Simon e Isabelle e abbracciò velocemente Alec, facendoli poi entrare. Dopo i primi tempi in cui i loro rapporto non era stato dei migliori, Alec aveva capito che Jace e Clary erano fatti per stare insieme e col tempo aveva dimenticato la gelosia che gli aveva tenuto compagnia nei primi mesi. Questo cambiamento era dovuto sicuramente anche ad un'altra persona che era apparsa nella sua vita così, tra capo e collo, senza che Alec potesse opporvisi. Ma non era quello il momento per ragionare di quelle cose, pensò il ragazzo guardandosi intorno.

La casa era molto carina, c’era un ampio open space che terminava con la cucina e poi un corridoio che portava probabilmente alle camere da letto e al bagno. Proprio da questo corridoio spuntò Jace, con i capelli biondi le cui ciocche più lunghe andavano a coprire gli occhi d’oro puro, l’espressione sorridente e le piccole cicatrici bianche a dimostrazione della sua natura di Shadowhunter. Appena posò gli occhi su Alec, il suo sguardo si illuminò dalla gioia di rivedere dopo tanto tempo suo fratello. Gli andò in contro e lo strinse in un abbraccio fraterno che parlava di felicità, famiglia e quella fiducia assoluta che solo due parabatai erano in grado di provare l’uno per l’altro. Parlarono per qualche minuto, poi però dovettero sedersi al tavolo perché la cena era pronta.

Dopo il dolce, una deliziosa cheesecake portata da Isabelle (probabilmente comprata al minimarket o fatta da Simon) la tavola si riempì di chiacchiere. Simon e Clary parlavano e istruivano Isabelle sulle ultime novità in fatto di fumetti e film (sì, gli anni erano passati ma nessuno era veramente cambiato) mentre Jace fece un cenno ad Alec di seguirlo. I due uscirono sul porticato davanti alla casa e si sedettero su due poltrone.

-Ti trovo bene.- iniziò Alec.

-Fratello, non sai quanto!- Esclamò il biondo di rimando.

-Sono felice che tu sia riuscito a togliere i freni e lasciarti andare e conoscere da Clary. State bene insieme.- sorrise.

-Non parliamo di me! Tu piuttosto? Come sono stati questi anni a Idris?-

-Beh sai- iniziò Alec –a Idris non c’è mai molto da fare. Lavoravo per il Conclave, mi intrattenevo coi libri..il solito.-

-Ti hanno accettato finalmente!-

A questo Alec rise amaro:

-Diciamo piuttosto che hanno preferito dimenticare. Non trovandomi in situazioni strane con altri uomini hanno preferito relegare in un luogo buio il mio essere gay. Anche papà. Da quella volta nella Sala degli Accordi, non mi ha più trattato come prima. Il più delle volte mi evita. Mamma si comporta come se nulla fosse, ma non ne parliamo mai.-

-Non ti ha mai chiesto di…- iniziò Jace ma lasciò cadere la frase, non sapendo se il fratello era guarito abbastanza da parlarne.

-Oh, no! Come se non fosse mai esistito.- sorrise Alec mentre il suo viso si rabbuiava –Piuttosto, sei sicuro che vada tutto bene?-

-Si, perché?- indagò Jace guardingo.

-Non so…cioè, è la ragione per la quale sono tornato. Dal nulla ho sentito che avevo bisogno di tornare a New York. Ho avuto una sensazione strana, ma non sinistra, provenire da qui- e con la mano indicò la runa che li legava come parabatai –quindi ho pensato che ti fosse successo qualcosa, non di male ma di importante, per cui avevo bisogno di essere qui.-

Le labbra di Jace si aprirono in un sorriso, uno di quelli che solo Alec gli suscitava:

-Si, qualcosa è succeso. Io e Clary abbiamo deciso di sposarci.-

Quelle ultime parole rimasero sospese nell’aria attorno a loro per qualche secondo prima che Alec riuscisse davvero a comprenderne il senso. Quando anche l’ultimo significato più recondito di quella frase si fece assorbire dal ragazzo, una gioia che aveva provato gran poche volte lo avvolse e probabilmente traboccò dai suoi occhi perché Jace, che aveva trattenuto il fiato senza accorgersene per quei secondi, rilassò le spalle e sorrise a sua volta.

-Jace…non so cosa dire!- esclamò Alec, davvero felice per la prima volta dopo tanti anni.

Scambiarono altre poche parole prima di rincasare e dare la notizia a Isabelle e Simon. Clary aveva deciso che nessuno avrebbe dovuto saperlo prima di Alec. Era lui la persona che meritava di conoscere la notizia in anteprima. Così festeggiarono con champagne e si persero in chiacchiere per qualche altra ora, immersi in un’atmosfera di gioia.

***

La mezzanotte era passata da un bel pezzo quando Alec si ritrovò dalle parti di Central Park. Aveva lasciato casa Lightwood-Fray (o Herondale-Fray…) insieme a Isabelle e Simon, ma aveva preferito fare due passi da solo. Aveva molto a cui pensare.

Addentrandosi nel parco si mise a riflettere su quanto appena successo. Alla notizia del matrimonio, la gioia che lo aveva preso era stata genuina, persino lui lo capiva. Questo evidentemente dimostrava che quello che sentiva per Jace era semplice affetto fraterno. Sapeva che il loro legame era molto più forte di un semplice legame tra famigliari o migliori amici, il solo fatto che fossero parabatai lo dimostrava. Tempo addietro aveva pensato di amare davvero Jace. Ancora adesso non riusciva a capire se era stata una semplice infatuazione o se era stato vero amore. Sapeva solo che tutto quello era sparito quando aveva incontrato quegli occhi verdi da gatto. Non era svanito subito, col tempo aveva rimpiazzato Jace…no, non era esatto. Quello che provava per Jace non era mai stato così intenso come quello che aveva provato con lo stregone. Lo sapeva molto bene. Ancora ricordava la prima volta che l’aveva intravisto, al di là della porta del suo appartamento, tutto tirato a lucido e glitterato per il party. E il primo appuntamento. E la sensazione così travolgente che l’aveva investito e attraversato nella Sala degli Accordi, la runa dell’Alleanza e poi il bacio. Non era stato il primo bacio, ma sicuramente quello più importante, quello con il quale aveva fatto outing, svelando il suo più oscuro segreto non solo ai suoi genitori, ma anche all’intera comunità di Shadowhunters e Nascosti, durante una guerra! Aveva messo in gioco tutto se stesso. E l’ultimo ricordo che aveva era la sua schiena. Lui che gli dava le spalle e si allontanava per sempre. Le sue spalle larghe, la spina dorsale dritta che aveva preso l’abitudine di accarezzare durante le loro notti insieme, i suoi capelli neri ma sempre luccicanti di glitter, che quella volta invece erano quasi afflosciati. Come a dimostrare che qualcosa era cambiato. Qualcosa si era rotto. E non si sarebbe più potuto aggiustare, nonostante tutti gli sforzi del giovane cacciatore. Quella schiena…la ricordava come fosse successo ieri. Davanti a lui…no. Davanti a lui c’era quella schiena. Quelle precise spalle. Quella precisa andatura e quei capelli.

Si fermò di colpo. Possibile che fosse davanti a lui? Apparso dal niente in mezzo a Central Park, miracolosamente davanti a lui?

-Magnus- sussurò.

La figura si girò lentamente fissandolo coi lucenti occhi verdi da gatto. Un lampo gli attraversò le pupille. L’aveva riconosciuto.

-Alec- sussurrò di rimando, con tono sorpreso –Io…pensavo fossi a Idris…-

-No…cioè, c’ero, ma sono tornato ieri.- rispose.

Tra i due cadde il silenzio che fu rotto solo dalla voce di Alec:

-Jace e Clary si sposeranno!- esclamò. Che poi, cosa gliene poteva fregare a Magnus di quei due??

-Ah! Bene!-

Altro silenzio.

Non doveva essere così. Non doveva andare così il loro primo incontro dopo tanti anni. Non dovevano stare l’uno davanti all’altro, fissando qualsiasi punto che non fossero gli occhi dell’altro, a parlare di cose inutili. Alec lo sapeva, doveva fare qualcosa, doveva essere onesto, almeno questa volta!

-Senti...io vorrei parlarti. Quando hai tempo…- disse fissando l’erba tra i suoi piedi.

Lo stregone per qualche tempo rimase in silenzio. Poi acconsentì.

-Se vuoi, sono libero adesso.-

Alec alzò la testa sorpreso. Questa non se l’aspettava. Dopo l’ultima volta che gli aveva parlato credeva che Magnus non avrebbe più voluto vederlo…cavolo, l’aveva detto lui stesso in quella dannata notte nel tunnel della metro! Aveva osato sperare che dopo anni gli avrebbe concesso un colloquio, ma non lì, così, seduta stante! Senza nemmeno il tempo di formulare un discorso concreto!

-Va bene- riuscì a dire, senza quasi ossigeno nei polmoni.

-Facciamo due passi.- lo invitò lo stregone. Sul suo volto passò un’espressione che Alec non riuscì completamente a cogliere, ma gli sembrò che stesse sorridendo. No, era escluso. Chi avrebbe mai sorriso dopo quindici anni, vedendo l’ex che aveva tradito la sua fiducia e preso in considerazione l’idea di accorciargli la vita?

Si incamminò insieme a lui, a qualche passo di distanza e si prese il tempo per vederlo bene.

Sembrava non fosse passato neanche un giorno dall’ultima volta che l’aveva visto. I suoi capelli neri erano sempre acconciati in tante punte sparate ovunque, e i suoi accostamenti erano sempre particolari. Quella sera indossava un paio di jeans verde evidenziatore zebrati e un lungo cappotto blu. Ai piedi portava degli anfibi con delle borchie. Il volto, per quel che poteva vedere nella penombra, non era invecchiato di un giorno. Aveva solo un po’ di borse sotto gli occhi, ma era normale visto che probabilmente il suo lavoro non gli lasciava tregua. Si chiese cos’avesse fatto in tutti quegli anni, se l’aveva dimenticato e se condivideva la sua vita con qualcun altro…ma doveva concentrarsi. Doveva essere onesto.

Si sedettero su una panchina. E il primo a parlare fu Magnus.

-Ti trovo bene. In forma.-

Alec lo guardò. Un sorriso dolce gli stava increspando le labbra. Sì. Era proprio un sorriso…poteva stare tranquillo allora? Se sorrideva, non lo odiava…giusto?

-Diciamo che me la cavo. Non ho avuto certo una vita molto interessante a Idris. Lavoro, lavoro e lavoro. Niente svaghi. Così almeno era più semplice per loro dimenticare la grande onta che il mio coming out aveva gettato sulla comunità.-

-Mi dispiace.- sospirò Magnus –È stata colpa mia, non avrei dovuto insistere, non eri pronto…-

-Non dire scemenze, Magnus!- esclamò il ragazzo –Quella volta sono stato io a baciarti, l’ho fatto perché ne avevo bisogno, volevo dimostrare agli altri che potevamo essere in buone relazioni coi Nascosti, volevo dar loro una prova del mio amore…insomma, dimostrare affetto non dovrebbe essere un peccato o qualcosa di cui vergognarsi, no?-

-Ma io non avrei dovuto insistere! Avevo così bisogno di una relazione che fosse significativa e temevo che se non l’avessi reso pubblico, nemmeno con Jace o Isabelle, tutto quello che avevamo avrebbe potuto svanire in un batter d’occhio. Pensiero stupido, eh?- sorrise amaramente –Dopo ottocento anni di vita e delle relazioni più disparante, uno dovrebbe saperne di più, no? Non dovrebbe fare questi errori stupidi…-

-Vogliamo davvero parlare di errori, Magnus? Penso che come il mio non ce ne saranno mai.- disse scuotendo la testa e appoggiando i gomiti sulle ginocchia –La verità è che avevo paura. Ero un cacciatore da ancora prima di imparare a camminare, non avevo idea di come ci si comporta in una relazione. Cioè, le relazioni più strette le avevo con Jace e Izzy! Quando sei apparso tu…sono stato sommerso da dei sentimenti così intensi che in vita mia non avevo mai provato. Avevo paura che potesse finire perché era troppo bello per essere vero. Cosa avevo fatto per meritarmi, nella stessa vita, la comprensione del mio parabatai e il tuo affetto? Avevo paura di mandare tutto a quel paese proprio perché non sapevo come comportarmi…ed è stato infatti quello il risultato. Volevo solo poter parlare con qualcuno che ti conosceva come ti conoscevo io. Che conosceva non il Sommo Stregone di Brooklyn, ma un uomo che sapeva amare e aveva amato, con un sacco di segreti del suo passato che non voleva condividere. E poi, ero ossessionato dalla storia di Will! Ero proprio uno stupido…-

Non credeva di aver mai parlato così tanto in vita sua! Probabilmente avrebbe dovuto ringraziare i quattro bicchieri di champagne che Clary gli aveva versato qualche ora prima.

-Siamo stati stupidi entrambi.- sorrise Magnus.

-Sai- riprese Alec dopo qualche minuto di silenzio –non osavo quasi sperare che mi avresti concesso un colloquio. Non dopo l’ultima volta…-

-Quello che ti ho detto era vero. Lo è sempre stato e lo è ancora.-

Aku cinta kamu”.

Quella frase gli rimbombò nelle orecchie. Non l’aveva mai dimenticata.

-Come sta il Presidente?- gli uscì dalle labbra. L’atmosfera si stava facendo pesante…

-Un po’ acciaccato dalla vecchiaia ma comunque arzillo.- sorrise lo stregone –Gli sono sicuramente mancate le tue coccole e sarebbe molto felice di rivederti.-

Il cervello di Alec analizzò le parole. Era per caso un invito? Lo champagne residuo nel suo organismo gli diede l’audacia di chiedere quello che anni addietro non avrebbe mai chiesto:

-È forse un invito?- gli scoccò un’occhiata un po’ incredula.

-Solo se ti va una bella tazza di caffè.- sorrise l’altro.

***

Quanto gli era mancata la morbidezza di quel letto, il profumo di sandalo che aleggiava nell’aria misto al profumo di zucchero bruciato. Gli era anche mancato il lieve e caldo peso del Presidente Miao sullo stomaco, e grattargli dietro le orecchie sentendo poi le sue fusa come ringraziamento.

Gli era mancato tutto di quell’appartamento, soprattutto il suo inquilino che adesso stava sdraiato di fianco, vicino a lui. Avevano passato la notte a parlare. Parlare come non avevano mai fatto mentre stavano insieme. Magnus si era aperto e gli aveva raccontato molte cose del suo passato, non tutto perché ottocento e passa anni erano parecchio lunghi da raccontare! Aveva saputo così di Camille e del famoso Will, gli aveva raccontato dei suo antenati che aveva conosciuto, i fratelli Gabriel e Gydeon, cantandogli le lodi di quest’ultimo che era riuscito a vedere oltre la forte classificazione sociale del tempo e si era innamorato di una cameriera, mondana per giunta! Gli aveva raccontato del rapporto speciale con Woolsey Scott e di come passava il tempo a Londra. Era anche tornato più indietro coi ricordi, raccontandogli avventure e fatti inimmaginabili. Era stata la notte più bella che Alec avesse mai vissuto. Non aveva fatto altro che parlare, ma non aveva mai visto Magnus mettersi così a nudo. Anche lui, dal canto suo,  aveva raccontato cose che ammetteva a stento persino con se stesso. Aveva raccontato di quello che aveva provato tempo addietro per Jace, di come si fosse innamorato completamente e senza speranza dello stregone, di tutte le paure che aveva avuto a quel tempo e di tutte le cose che rimpiangeva adesso.

Il sole stava finalmente sorgendo dopo una notte che, per come l’aveva vissuta Alec, sembrava essere durata molto più di dodici ore e che non sembrava volesse mai finire. Al riparo dal freddo, con il dolce peso famigliare del Presidente, i due avevano aperto i loro cuori, l’uno all’altro, come mai avevano fatto prima.

Che la distanza e il tempo li avessero finalmente fatti guarire? Non avevano certo dimenticato tutto quello in cui erano passati, le gioie, le paure e gli errori, ma erano cresciuti e forse cambiati. Che fossero pronti a ricominciare da capo?

Né Magnus né Alec lo sapevano. Volevano solo vivere quel momento di pace.

Il cellulare di Alec squillò. Era un messaggio Jace che gli chiedeva se potevano incontrarsi all’Istituto. Segno che era tempo per il cacciatore dai capelli neri di lasciare i lidi sicuri dell’appartamento di Greenpoint e tornare alla vita reale. Perché quella notte sembrava ancora un sogno.

-Devi andare?- chiese Magnus.

-Già. Pare che Jace debba chiedermi qualcosa.-

-Mattiniero il biondino. Ha sempre la lingua biforcuta come ai vecchi tempi?- Alec rise e annuì –Beh, fai ai due novelli sposini le mie congratulazioni.-

-Lo farò.- sorrise Alec alzandosi dal letto. Lo stregone lo accompagnò fino alla porta.

-Resterai molto a New York?-

-Avevo pianificato di fare solo una toccata e fuga, ma Jace mi vuole qui fino al matrimonio, quindi per sei o sette mesi sarò all’Istituto.-

-Bene.- fu il commento di Magnus. E Alec osò:

-Potremo rivederci se vuoi. Cioè…mi pare che il nostro rapporto sia migliorato dall’ultima volta.-

Magnus sorrise:

-Ne sarei felice. Mi ha fatto molto piacere rivederti. E parlarti. E anche al Presidente!-

Alec rise aprendo la porta. Si girò per salutarlo. Non si era accorto di come fosse successo ma erano vicini. Fisicamente vicini.

Che potesse farlo? L’istinto c’era, ma avevano appena sanato il loro rapporto, non voleva mandarlo nuovamente in crisi. Ma avrebbe poi passato la giornata a chiedersi “e se…?”. Quindi decise che l’istinto, per una volta, aveva ragione.

Si avvicinò di più, quanto bastava. E posò un leggero bacio sulle labbra di Magnus. Un lieve tocco, niente di più. Poi si girò e si affrettò giù per le scale.

I Lightwood, devono sempre avere l’ultima parola” risuonò nei ricordi dello stregone.

Era come un dolce deja-vu.

 

  
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