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Autore: Bellaurora    16/07/2007    3 recensioni
Una madre e una figlia, una realtà che tocca la nostra generazione: madri spaventate dai piccoli pericoli in cui una ragazza può incappare. Descritta dal punto di vista di una madre apprensiva, presento una fanfic senza pretese, uscita di getto per un compito di scuola.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti, prima o poi, devono volare

Tutti, prima o poi, devono volare

Note dell'autrice: Sono sempre stata un attiva lettrice e, benchè mi diletti a scrivere qualche racconto per conto mio, questa è solo la seconda fanfic che pubblico, la prima in assoluto nelle originali. E' uscita così, un giorno di parecchi mesi fa, mentre ero ferma a fissare il monitor, in cerca di una storia da presentare per un compito scolastico. La tv era accesa e l'annunciatrice parlo di fumo, giovani e madri preoccupate... e così nasce una piccola cosa, di getto. Spero che, anche se non vi piace, la giudichiate. E ora vi lascio alla lettura.

 

Era un tranquillo pomeriggio di fine Maggio. O meglio, doveva essere un tranquillo pomeriggio di fine Maggio. Io, come al solito, stavo pulendo la casa, come è sempre rientrato nei miei compiti di madre premurosa e attenta. E come al solito iniziai a pulire la stanza di mia figlia. Era tutto in disordine. Mia figlia non era mai stata brava a tenere in ordine la propria stanza e così ci dovevo pensare sempre io. Comunque sia, ad un certo punto, notai qualcosa di strano: un rettangolino blu si intravedeva dietro i libri scolastici di Aurora. Io, da brava casalinga, pensai che fosse una macchia e mi avvicinai per vedere se si potesse rimuovere. Ma la mia vista, che non era più quella di una volta, mi aveva ingannata. Il rettangolino blu era soltanto un accendino, uno di quelli che si possono comprare per 50 centesimi. Sorrisi tra me e me, pensando alla mia svista ma poi, spontanea, mi sorse una domanda: che ci faceva un accendino in camera di mia figlia? I peggiori sospetti iniziarono ad affollarmi la mente. Sia chiaro io mi fidavo di mia figlia ma sfiderei chiunque a trovare un accendino nella camera dei figli e non porsi la domanda "Non sarà che forse mio figlio fuma?". Ricordo perfettamente che non volevo crederci. Mia figlia è sempre stata una brava ragazza: ben educata, solare, con ottimi voti. Perché mai fare cose stupide? Non era ce n’era motivo. Mi sedetti in cucina e attesi il ritorno di Aurora. E pensavo a dove avessi sbagliato. Avevo sempre detto ad Aurora di non fumare. Perché disobbedirmi? Fu così che la delusione che avevo dentro si tramutò in rabbia. Questo non me lo doveva fare, pensavo. Non appena sentii la porta che si apriva e Aurora che salutava, mi piombai nell’ingresso. Lei era lì, in piedi, ancora con lo zaino in spalla , che mi guardava come se fossi improvvisamente impazzita. Ed effettivamente lo ero. Il mio amore materno non mi permise di essere razionale.

«Rimarrai in punizione per tutta l’estate!» esclamai con veemenza.

Aurora spalancò gli occhi, come se volessero schizzare fuori dalle orbite.

«Che cosa? Che diamine avrei fatto ora, sentiamo?» iniziò a strepitare mia figlia

«Innanzitutto modera il linguaggio, signorina! E seconda cosa ecco il perché della tua punizione» e le mostrai l’accendino.

Lei lo guardò qualche istante, come cercando di capire cosa fosse. Poi spalancò la bocca.

«Non penserai che sia mio?» disse, scandalizzata.

«Era in camera tua. Dietro i tuoi i libri di scuola! Ora spiegami cosa ci trovi nel fumare!»

Aurora mi guardò incredula

«Ti ha appena detto che quel coso non è mio. È per tua informazione il solo odore del fumo mi disgusta. Perché dovrei fumare?» mi disse indispettita

«Non lo so perché dovresti fumare! So solo che stavo pulendo camera tua quando ho trovato questo. Se non è tuo lì come ci è arrivato?» domandai velocemente

Aurora aggrottò la fronte e poi la distese, come se avesse intuito qualcosa. Mi tese la mano, mostrandomi il palmo aperto, in attesa. Al mio sguardo interrogativo sbuffo.

«Fammi controllare una cosa» disse semplicemente, la voce vibrante.

Riluttante le poggiai l’accendino in mano e la osservai mentre lo esaminava. Lo capovolse e lo girò finché non trovo ciò che stava cercando. Mi ridiede l’accendino, con un ironia seccata.

«Prima di farti una prova controlla bene gli indizi» disse con fastidio.

E senza un’altra parola si voltò e si chiuse in camera, come se niente fosse successo. Ero già pronta a richiamarla quando ebbi la decenza di controllare anche io cosa non andasse nell’accendino. E così vidi una piccola incisione che era sfuggita al mio sguardo: N.N.

Fissai l’accendino per svariati secondi. E finalmente tutto nella mia mente si collegò. Mio marito aveva sempre fumato, anche se io ero sempre stata contraria. Così, per amor della pace domestica, aveva preso a nascondersi in stanze dove io mettevo piede poco spesso. Una di queste era la stanza di Aurora che, tra l’altro, lo aveva lei stessa sgridato, dicendo che il fumo faceva male e che lei non sopportava l’odore che rimaneva nella sua stanza. Comunque un giorno scoppiò una questione tra me e lui in cui dissi che per me sarebbe stato impossibile capire di chi fosse l’accendino, se suo o dei ragazzi. E da lì nacque la storia dell’incidere le proprie iniziali sull’accendino, all’insaputa dei nostri figli. Era un gesto scorretto ma che all’epoca mi sembrava la miglior soluzione per proteggere i miei "pargoli". Una cosa che però non mi spiegavo era come facesse Aurora a sapere delle iniziali. Ero ancora sulla soglia quando si affacciò Aurora dalla propria camera.

«Mamma, dimenticavo di dirti: grazie per la fiducia» disse acida, per poi richiudere la porta.

Ed io rimasi lì a pensare. Ero stata una sciocca a non fidarmi. Avrei potuto discutere con calma della faccenda con mia figlia. Ma il mio istinto materno mi aveva rovinato la giornata. Pensai che dovevo scusarmi con Aurora. Mi avvicinai alla porta e bussai piano, piano. Non ricevetti risposta e aprii lentamente. Mia figlia era sdraiata sul suo letto e fissava il soffitto con aria truce. Non appena misi piede nella stanza mi fulminò con lo sguardo. In altre circostanze l’avrei sgridata ma quella volta me l’ero proprio cercata. Posai l’accendino sulla scrivania e mi sedetti cautamente sul letto. Mi muovevo molto lentamente, come se avessi paura di infrangere il silenzio. Il silenzio arrabbiato di mia figlia. Il silenzio vergognoso del mio cuore. Fu proprio Aurora a fare il primo passo.

«Perché?» mi chiese, con una semplicità disarmante.

Io la fissai, gli occhi spalancati, le labbra pronte a muoversi. Ma non lo facevano perché non avevano parole da pronunciare. Non sapevo rispondere e distolsi lo sguardo.

«Perché non mi credi mai? Perché pensi sempre che io abbia un doppio fine? Perché non puoi semplicemente fidarti di me? Non ti chiedo molto. Solo un po’ di fiducia»

Aurora parlava con calma, ma sembrava aver paura delle risposte che avrei dato. Io sospirai e finalmente riuscii a sostenere il suo sguardo. I suoi occhi erano colmi di lacrime non versate.

«Non ho scusanti, lo ammetto. Sono saltata a conclusioni affrettate e non avrei dovuto. Avrei dovuto darti più fiducia, lo so. Lo so tutte le volte che me lo dici. So che meriti la mia fiducia perché non hai mai tradito le tue promesse. Ma ogni volta che penso a quello che il mondo può fare a un ragazza, quello che il mondo sta facendo a tutti voi ragazzi…» mi bloccai, incapace di continuare. Avevo sempre avuto paura del mondo anche se me ne rendevo conto solo allora. Fu proprio Aurora a farmelo notare.

«Mamma, lo so che il mondo non è perfetto e che è pieno di pericoli ma non puoi tenermi sotto una campana di vetro. E non puoi pensare che proibendomi una cosa io non la farò. Sono una ragazza. Voglio poter fare tutto quello che la vita mi offre. Forse un giorno sbaglierò ma tutti sbagliano. Tutti devono sbagliare. Se tu mi inculchi che il mondo è brutto, io la penserò così per sempre ed avrò paura di tutto. Ma non posso permettermi di aver paura. Quando sarò lì, pronta per saltare ed alzarmi in volo… non lo farò. Perché avrò paura. E magari vivrò sempre con il rimorso di non aver tentato. Non tarparmi le ali, mamma. Ti prego. Ho bisogno che tu capisca.»

Aurora si era accovacciata di fronte a me e mi guardava, speranzosa. E io pensai a quanto fosse cresciuta. Mi sembrava che gli anni fossero passati troppo in fretta, che la mia bambina fosse diventata già grande, a soli 15 anni. Non avrei mai immaginato tutta quella naturalezza in Aurora. Sapevo che fosse intelligente ma forse non me ne ero mai pienamente resa conto, troppo occupata a imporle doveri e divieti. Fu proprio in quel momento che capii che Aurora aveva già iniziato ad aprire le ali. E sarebbe volata via, con o senza il mio consenso. E in cuor mio decisi che sarei stata al suo fianco, silenziosa come un ombra ma forte come il vento, quando avrebbe deciso di volare. La conversazione finì lì. Io non parlavo e Aurora mi sorrideva, come se avesse già capito tutto dal mio silenzio. Fu lei ad alzarsi per prima.

«Che c’è per pranzo? Sto morendo di fame!» mi chiese allegra.

Ed io le sorrisi grata. La giornata proseguì senza intoppi ma io ancora rimuginavo sulle parole di mia figlia, che si era dimostrata più saggia di me. E così arrivò la sera ed io decisi che dovevo parlare ad Aurora. Non più da madre apprensiva a figlia comprensiva ma da donna a donna. La chiamai in camera mia e presi una vecchia spilla. Era una bella spilla, un fiore nero, ancora brillante nonostante ne avesse visti di anni. La porsi a mia figlia e lei mi guardò, interrogativa.

«Questa spilla me la diede mia madre quando mi ritenne matura abbastanza per le mie responsabilità. Era la mia diciassettesima festa di compleanno. Ma io voglio dartela prima perché ho capito che hai già iniziato a maturare senza che io me ne accorgessi. Questa spilla non ha un grande valore economico ma è tramandata da madre in figlia da molto tempo. È una delle poche tradizioni a cui tengo veramente» conclusi il discorso dando un’ultima carezza al prezioso cimelio.

Aurora prese la spilla titubante, quasi come se fosse di fragilissimo cristallo. La osservò attentamente e sorrise.

«Posso prenderlo come un segno della tua fiducia?» chiese ironica.

Arrossii ma sostenni lo sguardo, sorridente.

«Si, puoi prenderlo come un segno della mia fiducia. Ma vorrei ancora una cosa da te»

La testa di Aurora scattò sull’attenti. Io cercai di rassicurarla con un sorriso.

«Vorrei che qualunque cosa accada tu non mi emargini dalla tua vita. E vorrei che quando spiccherai il volo mi permetterai di starti affianco, non come madre ma come amica»

Aurora annuì semplicemente e si alzò, leggermente imbarazzata, con la spilla stretta nelle mani.

«Mamma…»

«Si, tesoro?»

«Potrò sempre contare su di te, vero?»

«Si, tesoro. Sempre»

Ma mentre Aurora stava per lasciare la stanza mi sorse un dubbio.

«Aurora, non voglio ricreare una polemica, ma tu come facevi a sapere della iniziali sull’accendino di papà?»

Lei sorrise, nella maniera di una che la sa lunga.

«Avanti mamma! Davvero credevi che non me ne sarei accorta! Un trucchetto astuto, non c’è che dire, ma fin troppo facilmente risolvibile. Bastava toccare l’accendino e si sentivano le incisioni»

E con un ultimo sorriso astuto Aurora lasciò la stanza

Ricordo quel giorno come se fosse ieri. E invece sono passati tanti anni. Aurora ha spiccato il volo da parecchio ormai. Ha un’ottima carriera, un marito meraviglioso e due pestiferi bambini, che però riescono sempre a raggirarmi con i loro sorrisetti tutto zucchero. E quando può sfoggia ancora la spilla che le diedi. La guardo e mi sembra impossibile che sia già una donna. Ma lo è. Un bel giorno ha spiegato le ali ed ha volato come aveva sempre sognato di fare. Ed io ero là, finalmente ad incoraggiarla anziché spaventarla. Aurora aveva solo 15 anni ma con tutta la saggezza che l’età le permetteva, mi aveva insegnato una cosa importante che porto dentro ancora oggi: tutti, prima o poi, devono volare.

FINE

 

  
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