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Autore: givemetherapy    30/12/2012    0 recensioni
«Aspetta, non andare.» dice con voce lieve.
«Cosa vuoi? Non pensi di avermi già ferito abbastanza? Vattene Omar, non voglio parlarti un solo secondo di più.» La mia voce suona molto dura. Espressione di rabbia, delusione, indignazione, sdegno. Dopo quello che mi ha fatto lui viene qui e pretende che io lo ascolti. Non esiste.
«Ti prego Abigail! Ascoltami.» La voce gli si incrina, supplicante. Gli occhi. Occhi imploranti perdono.
«Va bene, ma non qui in mezzo alla strada. Non sono un fenomeno da baraccone.» rispondo in tono secco, apatico. Eppure cedo. Cedo ai suoi occhi. Per l’ennesima volta cedo ai suoi occhi. «Ora, se non ti dispiace, puoi mollare il polso, grazie.»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il teatro è avvolto nel buio. Le luci sul palcoscenico seguono come ombre gli attori che a turno si avvicendano sul palcoscenico. I due si baciano. Si promettono che si ameranno per sempre. Anche qui. Anche in questo spettacolo l’amore mi perseguita. Distolgo lo sguardo dalla scena e inizio a guardarmi intorno. Dal palchetto al secondo ordine nel quale sono posso vedere molto bene che succede intorno a me. Tutti guardano nella stessa direzione. Guardano verso il palco sul quale il gioco della vita prende forma, prende significato. Amo vedere con quanta determinazione, quanto amore e attenzione gli attori dedicano per far si che un’opera teatrale possa riuscire al meglio. Espressione della quotidianità della vita. Il teatro non è un modo distaccato, un mondo a parte, no. E’ un qualcosa che è più vicino di quanto noi possiamo pensare alla vita reale. E’ la vita reale trasportata su un palcoscenico. Alzo lo sguardo sull’orologio che segna le X e 40. Lo spettacolo sta per finire. Mi concentro di nuovo sugli attori. Il tempo passa velocemente, non me ne accorgo nemmeno e il sipario si chiude. Tutto il pubblico scema in un applauso. Un lungo applauso. Le luci si accendono e si vedono i primi spettatori abbandonare il teatro. Mi alzo dalla poltrona e rimango ad applaudire gli attori che uno ad uno escono dalle quinte e ringraziano il pubblico. Con molta calma indosso il cappotto e scendo le scale che conducono all’atrio del teatro. Respiro un’aria calda, piena di bei sentimenti, di contentezza, di gioia. Attraverso l’atrio sistemandomi il vestito, comprato apposta per la serata. Esco dal teatro e una folata di vento freddo mi investe in pieno. Mi allaccio con cura il cappotto. Con le braccia conserte mi incammino verso la macchina.
«Abigail! Aspetta, Abigail!» sento la sua voce chiamarmi. Accellero il passo. Il che diventa difficoltoso con indosso dei tacchi e quando si cammina su una strada ciottolata. Mi tocca la spalla con una mano. Mi costringe a fermarmi. Omar ha il fiatone. Cerca di riprendersi il più alla svelta possibile. Non mi volto verso di lui. Sono ancora ferita da quello che mi ha detto. Le parole sono peggio delle azioni. Le parole feriscono ancora più nel profondo. Omar stacca la mano dalla mia spalla. Faccio un passo in avanti per andarmene.
Il moro mi prende con decisione il braccio e mi trattiene.
«Aspetta, non andare.» dice con voce lieve.
«Cosa vuoi? Non pensi di avermi già ferito abbastanza? Vattene Omar, non voglio parlarti un solo secondo di più.» La mia voce suona molto dura. Espressione di rabbia, delusione, indignazione, sdegno. Dopo quello che mi ha fatto lui viene qui e pretende che io lo ascolti. Non esiste.
«Ti prego Abigail! Ascoltami.» La voce gli si incrina, supplicante. Gli occhi. Occhi imploranti perdono.
«Va bene, ma non qui in mezzo alla strada. Non sono un fenomeno da baraccone.» rispondo in tono secco, apatico. Eppure cedo. Cedo ai suoi occhi. Per l’ennesima volta cedo ai suoi occhi. «Ora, se non ti dispiace, puoi mollare il polso, grazie.»
Omar molla al volo il polso e accenna delle scuse.
«Bè, visto che un bar non è il luogo adatto per parlare di questa questione… Vieni a casa mia?» Casa mia. Come suona strano dirlo. Fino a poco tempo prima era casa nostra. La stessa casa in cui io e lui abbiamo condiviso momenti speciali, condiviso lacrime, sorrisi, momenti speciali, nel quale condividiamo tutto. La stessa casa nel quale l’ho trovato in dolce compagnia della mia migliore amica. La stessa casa che sto pensando di mettere in vendita. Si, voglio partire. Partire e fuggire via, andare lontano e dimenticare.
«Casa tua…» afferma sottovoce.
«Sei in macchina o a piedi?» domando deviando l’argomento casa mia/nostra.
«A piedi.»
Saliamo in macchina. Metto in moto e allaccio la cintura. Il vestito corto lascia scoperte più del dovuto le gambe. In altre occasioni mi sarei sentita in difetto. Mi capita spesso infatti che dopo una litigata io mi senta in difetto verso le persone e quindi mi sminuisca e non faccia più vedere il meglio di me, ma mi nasconda dietro dei grandi e larghi vestiti.
Saliamo in casa con attenzione, non vorrei svegliare mio fratello. Chiudo la porta della camera da letto di Alex e torno in salotto dove mi attende un Omar agitatissimo.
«Bene, siediti pure, ora dimmi. Sentiamo, cosa devi dire ancora? Oltre al fatto che è palese l’errore che hai fatto, che hai da dire ancora?» mi abbandono sul divano. Mi tolgo i tacchi. Non si sa mai che in un attacco di rabbia possano diventare armi.
«Volevo chiederti scusa» il moro fa per prendermi le mani ma non glielo permetto perché mi alzo di scatto dal divano furiosa.
«Cosa? Scusa? Ma ti rendi conto di quello che mi hai fatto? Ti rendi conto di quello che tu e la mia amica mi avete fatto? Vi ho visto che vi baciavate, proprio qui, su questo divano! E tu mi chiedi scusa? Non esiste!» sono più che furiosa. Omar mi fa segno di abbassare la voce. «E poi chissà quante altre volte sarà successo ancora…»
«No, nient’altro. Solo quella sera. Fammi spiegare Abigail…»
Non ci vedo più dalla rabbia che dal nervoso inizio a piangere.
«Cosa vuoi spiegare ancora Omar? Cosa?!I fatti parlano chiaro!»
«Si ma…» i suoi occhi mi implorano di starlo a sentire, di guardare fino in fondo alla questione.
«Si ma cosa?»
«Io non volevo baciarla! E’ stata lei che ha cercato di sedurmi, con i suoi modi di fare, le parole, lo sguardo… E capivo che dovevo andarmene via da quella situazione e quando stavo per farlo lei mi ha preso per la mano e di scatto mi ha baciato. E… da cosa nasce cosa… io non sono riucito a fermarla. Ti prego perdonami.» il suo modo di fare, le parole, il suo sguardo. Dapprima il suo tono di voce è più squillante e poi abbassa la voce quasi ad annullarla.
«Ok, mi devo calmare» cammino avanti e indietro per il salone per calmarmi poi mi siedo di fronte al mio ex. «Ok, sono calma. Lo spero almeno. Parliamo come persone civili. Perché mi hai fatto questo, Omar? Perché?»
«Sono stato un vigliacco lo so, non le ho impedito di baciarmi. Io non volevo che succedesse. Io ti amo, e sono stato un coglionea permettere che questo accadesse. Io… ti prego perdonami Abigail, ti prego.» Dai suoi occhi iniziarono a scendere lacrime. Lui è sincero. E le lacrime ne sono una prova. Lo conosco bene questo ragazzo. Lui non è uno che mente e quando piange men che meno.
«Non puoi pretendere di venire qui, dopo giorni che non ci sentiamo e chiedermi scusa. Omar… io non so che fare.»
Lui mi prende le mani. Stavolta glielo permetto. Non ce la faccio più, devo restare da sola. Devo piangere. Da sola.
«Ora vattene. Devo stare da sola.» tengo lo sguardo basso mentre lui si trascina verso la porta. Appoggia la mano sul pomolo della porta e pronuncia un ‘ti amo ancora e sempre di più’ prima di andarsene.
Clack. La porta si chiude. Scoppio in lacrime. Con le mani appoggiate al volto inizio a singhiozzare e piangere. Alex, svegliato dai rumori, si siede accanto a me e senza dirmi nulla mi abbraccia.
«Ho sentito tutto Gizzy, tutto. Ed è sincero. Perdonalo se puoi. Perché, anche se ha sbagliato è pentito. E ti ama, si vede lontano un miglio che ti ama. Ti ama più di qualsiasi altra persona al mondo. Perdonalo.»
Alzo il viso rigato dalle lacrime. «Quindi…che devo fare?»
«Corri da lui. Adesso. Non lasciartelo scappare.» Mi asciugo in fretta le lacrime, indosso il cappotto e senza pensarci due secondi in più mi precipito giù in strada. Esco dal portone e mi guardo intorno e lo vedo. E’ rimasto li, appoggiato con la schiena al muro a fumare una sigaretta. Lo raggiungo e mi metto davanti a lui. Succede tutto così velocemente. Gli tiro via la sigaretta dalle mani e lo bacio. Lo perdono. Le labbra che sanno di fumo, mi mancavano. Lo abbraccio per un po’ e poi torno in casa. Perdonato. Salgo le scale lentamente, più leggera. Ora non ho più pensieri negativi. Prima di entrare in casa esclamo «So che sei ancora li Omar. Vieni, casa nostra ci aspetta.»
   
 
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