" ... but you're perfect to me..." Ecco ci risiamo, la canzone finisce e incomincio a piangere. Ma non mi interessa, premo il testo rewind e la riascolto. Amo le loro voci, amo il modo in cui si uniscono fino a penetrarti nell'anima. Nelle loro parole mi dicono che sono bellissima e perfetta, mi guardo allo specchio, e tutto quello che vedo non è altro che un'orribile anatroccolo. Ogni pomeriggio mi rifugio qui, sulla casa sull''albero che mi costruì il nonno quando ero piccola, poco prima di morire. E li ascolto, li ascolto fino allo svenimento, ed è questo che mi fa andare avanti. Finito un'album, tocca al secondo e così fino alla sera, persa tra la loro musica e le loro parole, canto a squarciagola, nessuno può sentirmi, nessuno può disturbarmi. Siamo io e loro. Decido che è ora di studiare, ma non ci riesco, un forte bruciore mi impedisce d'alzarmi. Alzo delicatamente la manica e lo vedo, un livido color violastro che si estende su tutto il braccio destro, il dolore è forte, così mi sdraio cercando di non pensarci. Non è la prima volta, ma oggi fà più male del solito, continuo a guardare quel livido,e urlo. Urlo dal dolore, urlo perchè sono stanca di questa situazione. Oggi a scuola mi hanno picchiata. La campana della terza ora suona, è l'intervallo, attesa da migliaia di studenti ogni anno, ma così odiato da me. Le aule si svuotano, voci di ragazzi urlanti rimbombano sui muri, dalla porta entrano le loro risate. Eccomi, da sola al mio banco, quello in fondo. Ho 15 miuti, dallo zaino prendo l'ipod e li ascolto. Canto. La mia voce si mischia a quelle fuori, sorrido al pezzo cantato di Louis, mi emoziono quando tocca ad Harry, mi sorprendo ogni volta quando è il turno di Zayn, ora tocca a Liam e alzo gli occhi al cielo pensando alla sua dolcezza, e per ultimo Niall, canto con lui e me lo immagino a fare merenda. Mancoano cinque minuti, metto via. So cosa stà per accadere, arrivano sempre, arrivano per farmi sentire male e godere mentre soffro. Ma oggi sono di più, sei o sette non ricordo, mi vengono davanti e mi fanno alzare dalla sedia. All'inizio sono solo spintoni, ridono mentre strappano le foto dei miei idoli dal diario, e io penso le ristamperò anche oggi appena arrivata a casa. Li prendono in giro, li chiamano gay li insultano, ridono e continuano a spintonarmi. A volte si ferma tutto lì, con qualche livido, ma no oggi avevo detto basta. Iniziano a spintonarmi più forte fino a farmi cadere, continuano a picchiarmi, mentre intonano un ritornello. La campanella suona. Se ne vanno soddisfatti. Rimango stesa sul pavimento, per alcuni secondi, il braccio mi fa male ma non ci dò peso, raccolgo i pezzi di carta sotto al mio banco. In silenzio chiedo scusa ai miei idoli, guardo quei pezzetti di carta, e li infilo nello zaino. Quando alzo lo sguardo, vedo la professoressa che mi guarda, mi guarda ma non fà niente, la gente non fà niente.
Mia madre sarebbe tornata tra poco, dovevo sbrigarmi in bagno, disinfettare il braccio e andare in camera. Lei non doveva sapere, fino ad ora non se n'era mai accorta, le altre volte erano lividi meno evidenti, e poi non sarebbe servito a niente, nessuno poteva fare niente, quella era gente potente, con contatti da qualsiasi parte, nessuno poteva aiutarmi. Aprì la finestra del bagno per fare uscire quell'odore di disinfettante, corsi in camera, mi buttai sul letto e piansi. Piansi dal dolore, piansi perchè ero sola, le lacrime solcavano il mio viso, il trucco scendeva dagli occhi, avevo gli occhi gonfi, ma non era abbastanza dovevo sfogarmi mi ci sarebbero voluti altri minuti, con ogni lacrima buttavo via tutto questo. Rimasi sul letto, un tempo che mi parve un'eternità, servivano dei cerotti in casa, erano finiti, stasera sarei andata a conprarli, la farmacia era qui vicino. Intanto, per ora, la mia soluzione erano loro. Mentre li ascoltavo sussurai un GRAZIE, e il dolore per un attimo parve scomparire.