EPILOGO – SULLA COLLINA
Oleander
si guardò per l'ennesima volta allo specchio, controllando
che il foulard le
coprisse per bene il collo: quella mattina, scoprendoci un succhiotto
scarlatto, a momenti cacciò un urlo. Già era
abbastanza nervosa per il fatto di
dover tornare a Schloss Berth dopo vent'anni, le mancava giusto giusto
di
presentarsi con un morso d'amore in bella vista.
Severus
le aveva chiesto scusa in maniera molto sbrigativa ed indolente, ma si
capiva
che non era affatto dispiaciuto, di fatti si era fatto sfuggire un
sorrisetto
soddisfatto per il segno del lavoro di quella notte che le aveva
lasciato
addosso.
Tirò
un'ultima volta il bordo del foulard, fece un profondo respiro
dicendosi
"Coraggio" e attraversò l'immenso atrio di marmo, muovendo
con un
Mobilicorpus una cassa di legno. Il maniero era esattamente come se lo
ricordava, luccicante d’oro e di stucchi colorati, carico di
orpelli quali
lampadari con gocce di cristallo di Boemia, quadri con cornici enormi
ed
elaborate, tavoli e tavolini, clessidre, statuette e pendole in ogni
nicchia e
rientranza lungo il muro, tappeti persiani, passatoie cinesi e
decorazioni
ridondanti. Ricordava che, da bambina, attraversando quell'atrio, si
sentiva talmente
soffocare che le passava l'appetito.
Una
classe di ragazzi, eleganti nelle loro divise beige, uscì da
un'aula al primo
piano e si riversò sulle scale di marmo con un allegro
chiacchiericcio: un paio
di ragazze le lanciarono un'occhiata curiosa e poi bisbigliarono tra
loro:
"Dì, l'hai vista?"
"Sì,
è uguale alla donna del ritratto che c'è
nell'ufficio del vice-preside."
"Chi
sarà?"
"Silenzio
in corridoio!" esclamò una voce petulante in cima alle
scale. Miss Roth,
che a Schloss Berth aveva le stesse funzioni di Gazza ad Hogwarts ed
era, se
possibile, ancora più antipatica, sbucava fuori con
puntualità a rimproverare
aspramente i ragazzi non appena ne aveva l’occasione. Si
sistemò gli stretti
occhiali a goccia sul naso e, appena la vide, non potè
trattenere
un'esclamazione di sorpresa: "Fräulein Oleander?"
"In
carne, ossa e magia."
Tutta
agitata la donna sollevò la pesante gonna di lana cotta blu
scuro per non
inciampare sui gradini e le andò incontro "Ma... noi
l'aspettavamo per
domani! La cerimonia della riconsegna, il ricevimento…"
"Sa,
è principalmente per questo che sono venuta oggi a fare una
toccata e fuga."
"Oh!"
il tono dell'anziana custode era un perfetto mix tra indignazione e
disapprovazione, lo stesso con cui l'apostrofava sempre quand'era
piccola,
quando, a suo dire, aveva fatto qualcosa di male. D’altronde
una bambina che
non riusciva a superare la prova di ammissione alla scuola non poteva
essere
altro che una combinaguai patentata.
Ma
erano passati tanti anni e ora la sua vita era molto cambiata: il
ricordo non
la feriva più di tanto.
Anzi,
già che c'era, poteva togliersi qualche soddisfazione e
dirle una cosa che
aveva sempre avuto sulla punta della lingua "Miss Roth, lei sarebbe una
perfetta signorina Rottenmeier." e mordendosi le guance per non ridere
di
fronte alla sua espressione totalmente persa
(“Cos’è una signorina
Rottenmeier?” si chiedevano angosciati gli occhi color
castoro della
governante), Oleander raggiunse l'ufficio di suo zio.
"Disturbo?"
si affacciò sulla porta.
Il
Barone non sembrava affatto sorpreso di vederla e sbuffò
divertito "Miss
Roth mi deve 10 galeoni."
"Per
quale motivo?"
"Avevo
scommesso che non saresti venuta il giorno della cerimonia per la
riconsegna
del vaso."
“Ah,
è per questo che ha quell’aria incazzosa.
Più del solito, intendo. – Oleander
appoggiò di botto la cassa sulla scrivania di radica
– Il vaso è di nuovo qui e
per me la faccenda è chiusa; sia ben chiaro che non ho
alcuna intenzione di
partecipare ad una pomposa e noiosissima pagliacciata.”
Lo
zio alzò le spalle come a dire “Certo,
è lampante”, aprì la cassa e
studiò a
lungo il vaso, poi spostò gli occhi sulla nipote, che
sostenne il suo sguardo
con aria di sfida “Deluso? Pensi che sfigurerà
accanto agli altri tesori della
sala? Ti vergognerai a metterlo in mostra?”
“No,
affatto, è stupendo.” L’uomo era sempre
stato certo che la ragazza sarebbe riuscita
a portare a termine l’incarico affidatole. Ad Oleander non lo
disse, ma era
stato proprio lui a proporre e sostenere il suo nome durante
l’ultimo consiglio
di famiglia, nonostante l’incredulità degli altri
membri; questo perché, da
quando era iniziata quella storia, nella sua mente si era riaffacciato
spesso
un episodio risalente a molti anni prima, quando, proprio in
quell’ufficio,
aveva inavvertitamente origliato una conversazione tra suo fratello
Peter e la
moglie Ortensia:
I due
sono affacciati alla finestra,
guardano una bambina che gioca con due gatti nel giardino.
Lui ha
un portamento rigido, quasi
militaresco ed un abbigliamento austero ed elegante che si addice alla
sua
carica di vice-preside, lei indossa da comodi vestiti babbani (una
lunga
t-shirt e dei jeans strappati a zampa d’elefante) e siede
scompostamente sul
bracciolo di una poltrona.
“Non
c’è riuscita nemmeno quest’anno.
Ormai ha dieci anni, Ortensia, dieci anni.”
L’intonazione della voce di Peter
rivela profonda preoccupazione.
Ortensia
solleva un calice di passito,
ammirandone il colore in controluce, poi lo porta al naso, ispirando a
fondo
l’aroma dolce del vino. I capelli di un viola acceso e
brillante, quasi
metallico, tagliati in un caschetto perfetto, spiovono leggermente in
avanti.
Infine ride: non di scherno, né di disprezzo, né
di divertimento. E’ una risata
molto strana e se Raginmund dovesse darle una definizione a tutti i
costi,
direbbe che è rassicurante: in un suono cristallino
rimpicciolisce le
preoccupazioni di suo fratello a cose di poca importanza
“Tesoro, se continui a
preoccuparti di queste inutili sciocchezze, ti verranno i capelli
bianchi prima
del tempo.”
“Sciocchezze?”
Peter non è ancora
convinto del tutto, ma la risata della moglie ha avuto effetto ed il
suo viso
si rilassa.
“Oleander
non è una magonò, le do
lezioni di magia, gli incantesimi li sa fare lo stesso e meglio di
tanti altri
bambini, anche senza quella stupida prova.” Non sono
semplicemente le parole di
una madre che difende la propria bambina a tutti i costi, è
un’osservazione
intelligente e veritiera e detta in quel modo così sincero e
diretto, com’è
tipico di sua cognata, fa davvero sembrare l’antica cerimonia
delle bacchette
una stupida pantomima. Ortensia e la sua solarità hanno
quest’effetto.
Poi la
donna si alza e raggiunge il
marito vicino alla finestra: guarda anche lei la figlia e in quel
momento
Raginmund capisce che Ortensia non ha alcun dubbio sulle
capacità magiche di
Oleander, come se la donna fosse a conoscenza di qualcosa che le
infonde tale
sicurezza: vede il futuro della bambina e i suoi occhi sono privi di
qualsiasi
preoccupazione.
“Sì,
ma se non la supera, non potrà
frequentare questa scuola, è la regola!” suo
fratello insiste, pur sapendo che
la certezza di Ortensia non vacillerà per così
poco.
Un
sorriso malizioso si dipinge sul
volto della donna “Ma lei è mia figlia,
è normale che non segua le regole, è il
suo stesso corpo che si ribella ad esse. Lei troverà da sola
la sua strada,
traccerà da sola il suo futuro, anche se non sarà
qui. Quindi ti impongo di
smetterla di preoccuparti e di farmi compagnia mentre bevo.”
Gli punta
scherzosamente l’indice contro, con gli occhi di chi sa che
sarà l’altro a
cedere. Di fatti Peter le bacia teneramente una mano “Ai tuoi
ordini.”
Ortensia
beve un sorso di vino ed il suo
viso assume un’espressione molto soddisfatta “E
poi, sappi che le uve tardive
danno un vino delizioso.”
Quelle
parole avevano guidato Raginmund nella sua scelta e non aveva dovuto
pentirsene:
Oleander ce l’aveva fatta. Gli sembrò di sentire
la voce di Ortensia che gli
sussurrava scherzosamente all’orecchio: “Perché
tanta sorpresa, cognatino caro? Io non ho mai avuto dubbi su mia
figlia. Se voi
ne avete avuti, tanto peggio per voi, avreste dovuto ascoltare le mie
parole e
basta.”
Si
ritrovò a pensare che, se Ortensia fosse vissuta, i rapporti
tra quei due,
padre e figlia, sarebbero stati diversi, molte cose in famiglia
sarebbero state
diverse, ma il fragile legame che li legava si
spezzò con la sua
morte.
“Grazie
di tutto, Oleander.” L’anziano zio le
regalò un sorriso affettuoso, un
tentativo di chiederle scusa, perché anni prima loro,
adulti, si erano
comportati con lei, bambina, in modo stupido ed arrogante, isolandola
solo perché
non riusciva a passare una prova magica. Già, veniva da
chiedersi chi fossero
veramente i bambini in quella vicenda. “Penso che questo
episodio sarebbe degno
di essere ricordato in ‘Storia della magia Volume VI
– Storia contemporanea’, ti
va di essere citata?”
“Eh?
Sei impazzito? Meglio che me ne vada in fretta, prima che ti vengano
altre idee
malsane.” protestò la donna.
Poi
si appoggiò allo schienale di una sedia, guardandone i
complicati decori, la
fronte era corrugata, le labbra strette, gli occhi esitanti, come se
stesse per
chiedere qualcosa che le veniva molto difficile “Lui
dov’è?”
“Sulla
collina. – mormorò lo zio – Ci va quasi
ogni giorno.”
Oleander
allungò una mano verso un rigonfiamento nella sua tasca e lo
strinse
brevemente.
Dal
lato nord del castello partiva un sentiero di terra battuta che si
snodava
lungo un ruscello dall’acqua limpida e fresca, nel quale
d’estate guizzavano
veloci trote e temoli e che in quella stagione era ricoperto di
ghiaccio
scintillante ed era ridotto a un rivolo. A un certo punto il sentiero
abbandonava il ruscello e piegava verso est, salendo verso una dolce
collina,
dalla cima della quale si poteva godere una bellissima vista sulle alte
e
maestose montagne di granito, una visione che sua mamma amava
più di ogni altra
cosa, di fatti quando la stagione lo permetteva, loro due passavano
molte ore
sdraiate lì sul prato, commentando la forma delle nuvole o
osservando le
farfalle e le api che volavano instancabili. Oleander già
all’epoca aveva
sempre qualche strumento per le mani e si ingegnava in fantasiose
creazioni.
A
differenza di allora, un basso recinto di metallo chiuso da un
cancelletto,
circondava ora la cima della collina e al centro c’era una
statua raffigurante Ortensia,
seduta sulla lapide, le gambe raccolte sotto un’ampia gonna,
col viso alzato a
fissare per sempre le vette. Un uomo dai radi capelli grigi, dal
portamento
fiero, che l’età ancora non riusciva a far curvare
in avanti, fissava il
terreno a mani giunte. Al cigolio del cancello, si voltò e,
riconosciuta la
figlia, un’espressione stupita gli si dipinse sul volto.
Oleander fece un breve
cenno col capo e si fermò a qualche passo da lui.
“E’ bella.” disse dopo un
momento, indicando la statua.
"E'
solo una pallida imitazione di lei."
"Si
arrabbierebbe se ti sentisse parlare così. La mamma, voglio
dire. Ti direbbe
che non hai alcun rispetto per lo scultore che ha realizzato questa
statua."
“Hai
ragione. Non mi parlerebbe per una settimana.”
“Come
minimo. E se avesse bisogno di dirti qualcosa, ti manderebbe un
gufo.”
“Già.
Anche se fossimo nella stessa stanza.”
Una
struggente malinconia si impadronì di entrambi, padre e
figlia da sempre
distanti, allontanatisi l'uno dall'altra da reciproche incomprensioni,
ma più
vicini, ora, nel ricordo di Ortensia. Se in quel momento si fossero
scrutati le
menti reciprocamente, si sarebbero meravigliati di quanto simili
fossero i loro
pensieri: Ortensia non li avrebbe mai voluti vedere così
lontani. Avrebbe
sofferto... e si sarebbe arrabbiata. E poi... dio! Vent'anni! Erano
passati
vent'anni! Forse potevano anche smetterla di tenersi il broncio a
vicenda.
"Oleander,
io..." iniziò Peter Von Athala.
"Papà,
ascolta..." la voce della figlia si sovrappose alla sua.
Si
rivolsero un reciproco sorriso imbarazzato, poi l'uomo le fece cenno di
proseguire. Oleander si mise una mano in tasca, toccò la
carta, esitò, poi
guardò suo padre negli occhi ed estrasse la busta di
cartoncino telato color
crema. L'uomo la prese e sussultò, leggendo il suo nome e
riconoscendo la calligrafia
ampia e rotonda di Ortensia; cercò gli occhi della figlia
per una spiegazione.
"Sì, è una lettera della mamma, ed è
per te. Mi dispiace - disse Oleander
con sincerità, mortificata - mi dispiace tanto,
papà. Avrei voluto... avrei
dovuto dartela prima. No, veramente non avrei mai dovuto nasconderla,
ma io...
è che…" Peter la vide imprecare silenziosamente,
alla ricerca delle parole
e scompigliarsi spasmodicamente i capelli corti, e allora scosse la
testa, come
a dire che non doveva aggiungere altro "Ti ringrazio per avermela
riportata. Significa molto per me. Davvero." Strinse a sè la
lettera, come
una preziosa reliquia sacra.
Oleander
annuì, più calma, e si voltò per
andarsene: tra loro c'era stato tanto
silenzio, tanta distanza e non potevano essere cancellati tutti in una
volta
sola. Però era un inizio. Mentre riapriva il cancelletto,
suo padre la richiamò
"Come si chiama quel tuo negozio? Sai, magari, se un giorno fossi da
quelle parti, potremmo, che so, trovarci e bere qualcosa insieme, se ti
va..."
"Sì,
volentieri. Si chiama '
Peter
avrebbe voluto chiedere alla figlia il perchè di quel
cambiamento repentino e
perché ora vivesse presso una antica Scuola di Magia, ma
anche lui capiva che
il loro era un rapporto che andava ricostruito lentamente,
perciò disse
semplicemente "Sì, mi farebbe piacere."
Per
ora andava bene così: un ultimo cenno di saluto e Peter si
sedette sulla lapide
della moglie, a leggere la sua lettera, mentre Oleander tornava verso
Schloss
Berth: da lì avrebbe utilizzato una passaporta e avrebbe
fatto ritorno ad
Hogwarts, dove lei e Severus avrebbero sicuramente discusso,
perchè lui era
convinto che non andasse bene nè quel negozio sfitto in
Diagon Alley (troppo
vecchio), né quello a Hogsmead (troppo caro), lamentandosi
dell’inettitudine
delle donne a condurre le trattative d’affari e dicendole
che, se proprio ci
teneva a farsi truffare, le avrebbe presentato Mundungus; lei,
risentita, gli avrebbe
chiesto da quando, oltre che un esimio professore di pozioni, era
diventato
anche un consumato agente immobiliare e se c’erano altri
campi nei quali era un
luminare, così se lo sarebbe appuntato. Poi si sarebbero
guardati negli occhi e
avrebbero deciso di utilizzare le loro energie per fare qualcosa di
più
piacevole. Per fare l'amore, ad esempio.
Nemmeno
si rese conto di aver accelerato il passo.
FINE
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Ringraziamenti
e commenti:
Eccoci
arrivati alla parola fine: non volevo lasciare in sospeso le cose tra
Oleander
e la sua famiglia e al tempo stesso non mi andava giù un
happy end stile “baci
ed abbracci”, così ho optato per una soluzione
più sobria ed anche più in
linea, credo, con il personaggio che ho creato.
Come
si può intuire, la storia tra Severus ed Oleander prosegue, i
loro battibecchi
pure.
@MistralRapsody:
grazie davvero di aver seguito tutta la storia e per le tue bellissime
recensioni, che mi hanno fatto un enorme piacere. Un in bocca al lupo
per la tua
carriera accademica!
@Arabesque:
un seguito, dici? Ti rivelo un segreto: sto scribacchiando un paio di
cose. La
prima è una raccolta di one-shot su Severus ed Oleander, la
seconda una
versione alternativa del settimo libro, che ho giù iniziato
da un po’, ma che
non sono sicura di pubblicare, perché ha ancora diversi
punti oscuri che non
riesco a sviluppare bene ed io, per una mia politica, non pubblico mai
una
storia, se prima non ho finito di scriverla, almeno a grandi linee.
Molto
dipenderà dalla trama di DH e da come mamma Rowling
tratterà il personaggio di
Severus. Sarà, in ogni caso, una storia diversa da questa,
più corale,
incentrata sulla ricerca degli Horcrux, in cui Oleander avrà
un ruolo più
marginale, però c’è.
@Tweety
chan: esatto! Stessa cosa che ho pensato io.
@
@Leonella:
figurati, le critiche, se motivate, le accetto volentieri ed il tuo
dubbio è
più che legittimo: quando Severus arriva nella Foresta
Proibita la barriera non
c’è più, perché il liquido
è giù stato rimesso nel vaso, quindi il suo
effetto
è finito.
Infine
ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, spero che vi sia
piaciuta
e che vi abbia strappato almeno un sorriso!
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Come promesso, ecco le risposte ai commenti all'ultimo capitolo: come sempre siete gentilissime, grazie!
@ MistralRapsody: sei bloccata? E' capitato anche a me per una ff; posso dirti che l'ispirazione ritorna quando meno te lo aspetti, non gettare mai la spugna, anche perchè stai scrivendo una storia bellissima.
@ Arabesque: Io mi son spoilerata un po' il settimo libro e... sì, penso proprio che scriverò ancora di Severus -_^
@ Tweety chan: grazie per le tue analisi molto lucide, mi sono state utilissime.
@ Jessica P: mmh, vedremo! Anche perchè, a mio giudizio, sono una autentica frana nel descrivere le scene NC-17 *blush*!