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Autore: SusanTheGentle    01/01/2013    13 recensioni
Un amore improvviso, due cuori che si incontrano ma che non riescono mai a toccarsi davvero come vorrebbero...almeno fino all'ultimo giorno. Nessuno sa. Forse nessuno saprà mai. Solo Narnia, unica testimone di quell'unico attimo di felicità.
Caspian e Susan sono i protagonisti di questa nuova versione de "Il Viaggio del Veliero". Avventura, amore e amicizia si fondono nel meraviglioso mondo di Narnia...con un finale a sorpresa.
"Se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo seguire la rotta senza esitazione, o non sapremo mai cos'è successo ai sette Lord e dove sono finite le Sette Spade"
Il compito affidatogli questa volta era diverso da qualsiasi altra avventura intrapresa prima. C'era un oceano davanti a loro, vasto, inesplorato; c'erano terre sconosciute alla Fine del Mondo; una maledizione di cui nessuno sapeva niente. Non era facile ammetterlo, ma era probabile che nessuno di loro sarebbe mai tornato. Stava a lui riportarli indietro.
Caspian si voltò a guardare Susan, la quale gli rimandò uno sguardo dolce e fiero, e all'improvviso capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, finché c'era lei al suo fianco, avrebbe sempre trovato la forza per andare avanti"

STORIA IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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10.Ritrovarsi

 

Guardami negli occhi
E vedrai cosa significhi per me
Cerca nel tuo cuore
Cerca nella tua anima

E quando mi troverai lì, smetterai di cercare.

 
 
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Caspian non sarebbe stato in grado di spiegare a parole l’emozione che scaturì dentro di lui quando sentì quella voce.
Gli sembrò ancora di stare tra il sonno e la veglia, come la notte scorsa quando gli era parso di sentirla chiamare il suo nome attraverso il sogno.
Ma non era un sogno, non adesso. Era ben sveglio e la sentì, la vide, e non seppe come si trattenne dal correre da lei e prenderla tra le braccia, tenerla stretta a lui. Soltanto così avrebbe saputo che quel che stava vedendo era vero.
Tuttavia…
Non poteva essere avventato. Si erano lasciati con dolci parole, ma lui non poteva essere certo che Susan non si fosse rifatta una vita, nel frattempo.
Se così fosse stato, sarebbe stato meglio morire. Sapeva che era passato poco tempo nel mondo terrestre, ma era un’eventualità che non poteva scartare a priori.
Perciò rimase indietro, nelle ombre della prigione, mentre Susan era già volata ad abbracciare Edmund, che era rimasto sbalordito almeno la metà di quanto lo era stato lui nel trovarsela davanti.
Caspian la guardò con il petto che scoppiava di amore e malinconia, dolore e gioia, fusi in un’unica, inspiegabile sensazione.
Susan. La sua Susan. Lì a Narnia. Lì, a pochi metri da lui.
Il Re chiuse gli occhi e inspirò, ringraziando Aslan dal più profondo del cuore.
Aveva seguito il consiglio di Lucy e aveva pregato per rivedere la sua amata.
Non aveva mai chiesto nulla per se stesso, sempre e solo per Narnia, quella era stata la prima volta che formulava un desiderio per una sua ragione personale.
Nonostante le leggi della Grande Magia, nonostante il comando dettato dal Leone durante l’ultimo viaggio dei Pevensie, Aslan lo aveva ascoltato.
Gli sarebbe bastato vederla anche solo per un istante, non gl’importava. Un secondo appena…ebbene, era trascorso più di un secondo.
Susan era tornata. Egoisticamente, Caspian pensò che era lì per lui, solo per lui.
L’averla davanti e non poter allungare una mano per toccarla o sfiorarla appena…
Sapeva di esserne innamorato dal più profondo del cuore, ma d’improvviso capì che c’era di più. Non era solo il cuore che batteva all’impazzata, era lui stesso che rischiava d’impazzire. Era come un enorme calore che partiva dal profondo dell’anima. Una parte del suo essere, incompleta, che tentava disperatamente di riunirsi a ciò che avrebbe colmato il vuoto.
Non riusciva a pensare più a niente, solo a Susan. Sentirne la dolce voce pronunciare il suo nome, guardare di nuovo in quegli occhi color del mare, era stato come svegliarsi da un lungo e triste sogno, e tornare a vivere.
Respirò a fondo, cercando di soffocare tutte le sensazioni quel tanto che gli bastava per tornare a ragionare.
Ci riuscì quando sentì la voce di Edmund spezzare il silenzio creatosi.
“Come sei arrivata qui? E perché ti hanno rinchiusa?”
“E’ una storia un po’ lunga” rispose Susan, cercando con tutte le forze di non rivoltarsi verso Caspian. Non riusciva a guardarlo.
“Ma prima di spiegarvi, dobbiamo occuparci di lui”
“Lui?” fece Edmund perplesso.
“Venite”
Susan li portò in fondo alla cella, dove un uomo con barba e capelli lunghi e ingrigiti, stava sdraiato su una misera panca, coperto da una fodera consunta.
“Quest’uomo è ferito e ha bisogno di aiuto” continuò Susan, inginocchiandosi accanto alla panca. “Quelle orribili guardie non mi ascoltano nemmeno, sono a malapena riuscita a farmi dare un po’ d’acqua da bere e una pezza pulita per lavargli la ferita. Non sembra grave ma ha fatto infezione, credo. Se fosse possibile farlo visitare da un medico…”
 “Sei ammirevole, sorella” le disse Edmund. “Ti preoccupi sempre prima degli altri che di te stessa”
Susan gli sorrise. “Voi avreste fatto lo stesso”.
Il suo sguardo cercò Caspian, ma non appena si vide specchiare nei suoi occhi scuri, lo distolse.
“Chi è?” chiese il Re.
 “Non sono riuscita a farmi dire il suo nome”
Era la prima volta che si parlavano direttamente da quando si erano rivisti.
Caspian imitò il gesto della ragazza, inginocchiandosi a sua volta. Edmund rimase in piedi.
Il cuore di Susan accelerò improvvisamente.
Era accanto a lei. Percepiva il suo calore, sentiva il suo profumo mischiato a quello del mare.
Un mese. Non lo vedeva da un mese.
Non era un tempo relativamente lungo, ma a lei era parso incalcolabile, un’eternità.
Quanto ne era passato a Narnia?
Caspian non sembrava cambiato, era più bello che mai, anche se aveva un’aria molto più forte e virile, più nobile.
Ma lo sguardo caldo, dolce e profondo era sempre il suo, quello che l’aveva osservata di nascosto, intensamente, o triste, timido e un po’ insicuro.
In ogni modo, era sempre Caspian.
Caspian…
Aveva tanto voluto tornare da lui, e ora non sapeva come reagire.
Aveva immaginato il loro incontro in una foresta di Narnia, come la prima volta, o a Cair Paravel.  Corrergli incontro, come succedeva nel suo sogno ricorrente, chiamarlo, essere accolta nelle sue braccia, sentirsi stringere.
Lei si era immaginata una favola, ma sfortunatamente, a volte, nemmeno a Narnia era tutto così semplice.
La mano destra di Caspian era posata sul ginocchio piegato. Oh, se lei avesse avuto il coraggio di prenderla, sentire il contatto con la sua pelle, anche per pochissimo…Erano così vicini. Le sarebbe bastato un breve gesto, eppure…non lo fece.
Perché? Forse perché aveva paura? Sì, era quello, era solo paura. Paura che lui la respingesse, che la rifiutasse, che nei suoi occhi ci fosse rimprovero per averlo lasciato solo.
Per questo non aveva avuto ancora il coraggio di guardarlo in volto.
E la paura, l’ansia, la gioia, erano una pressa soffocante sul petto e nella gola. E il cuore le batteva forte, così forte che Susan dovette tirare un lungo sospiro per riuscire a tornare a respirare.
Caspian…
Sono qui. Guardami. Abbracciami. Baciami.
Caspian…
L’uomo sulla panca fece un movimento e aprì gli occhi.
“Vi siete svegliato” disse Susan balzando in piedi e aiutandolo a mettersi seduto. “Come vi sentite?”
“Meglio. Vi ringrazio, mia signora. Ma chi sono i nostri nuovi, sfortunati compagni?”
“Amici, signore, non temete”
Caspian guardò attentamente quell’uomo, che aveva un’aria alquanto famigliare.
“Lord Bern” disse il ragazzo, con un tono tra un’affermazione e una domanda.
“Lui è uno dei sette?” chiese Edmund, emozionato all’idea.
Susan guardò dall’uno all’altro, senza capire di cosa parlassero.
“Siete uno dei Sette Lord di Telmar?” chiese di nuovo Caspian.
L’uomo abbassò lo sguardo, sospirando.
“Un tempo forse, ma ormai non merito più quel titolo”
L’uomo alzò lo sguardo su di lui, stringendo gli occhi come per mettere a fuoco un’immagine offuscata.
“Il tuo volto…Tu mi ricordi un re che ho amato molto”
“Quell’uomo era mio padre” sorrise Caspian.
L’altro lo fissò più attentamente, e poi i suoi occhi si illuminarono di consapevolezza e commozione.
“Oh, mio signore! Vi prego di perdonarmi!” esclamò inginocchiandosi, gemendo poi per il dolore della ferita al fianco.
“No, vi prego” lo fermò Caspian, afferrandolo per un braccio e aiutandolo a rimettersi seduto accanto a Susan “Vi prego, non sforzatevi. Siete ferito”
Lord Bern sorrise. “Oh, sopravviverò”
I tre ragazzi parlarono con Lord Bern per lungo tempo, quasi fino all’alba.
Egli narrò di come lui e i sei compagni avevano lasciato Narnia su ordine di Miraz, immediatamente dopo la morte di Caspian IX.
Caspian raccontò a lui e Susan di come aveva deciso di lasciare il castello di Narnia per mettersi in viaggio alla ricerca dei sette più fidati amici del padre, e di come aveva raccolto sul suo veliero Edmund, Lucy e Eustace.
Edmund continuò narrando di come si erano imbattuti in un mercante di schiavi di nome Pug, il responsabile del rapimento e della loro situazione, ma assicurò Susan che, di certo, Ripicì e Drinian, il capitano della nave di Caspian, sarebbero venuti in loro soccorso.
Susan rimase stupita nel sapere che anche il cugino era a Narnia. Ne fu felice, ma apprese la terribile notizia che lui e Lucy erano stati portati in un’altra cella, insieme agli schiavi che la mattina dopo sarebbero stati venduti al mercato di Portostretto.
E fu ancora più sbalordita nell’udire il nome di Pug. 
La ragazza informò allora gli amici che anche Peter era con lei e di come erano arrivati lì attraverso il quadro, della nave di Calormen e degli abitanti delle Sette Isole, anche loro rapiti da Pug e i suoi, e destinati a divenire schiavi. Concluse col dire che del fratello maggiore non aveva saputo più nulla da quando li avevano separati.
“Puoi sempre suonare il tuo corno” le disse Edmund alla fine.
“Temo di no. Pug me l’ha sottratto quando ci hanno perquisito. Non so dove sia ora, probabilmente è ancora in mano sua”
I racconti combaciarono quando Susan riferì che Pug lavorava per il principe di Calormen, e Caspian e Edmund riferirono di aver visto ancorata al porto la nave Occhio di Falco.
“Incredibile, ci siamo incrociati allora” disse Edmund. “Se solo avessimo saputo prima che tu e Peter eravate lassù, avremmo potuto aiutavi e liberare tutti quanti da quei tiranni”
Susan gli mise una mano sul braccio e Edmund la strinse.
“Non potevi saperlo Ed, non è colpa di nessuno”
“Bisogna trovare un modo per andarcene” disse Caspian.
Si era alzato in piedi e ora stava sotto la finestrella dalla quale si vedeva il cielo schiarirsi sempre più.
“Non uscirete mai” disse Lord Bern scuotendo il capo sconsolato. “Non c’è nessuna speranza”
“Non potremo esserne certi finché non avremo tentato” sostenne Edmund.
 
 
Peter e gli uomini delle Sette Isole vennero fatti sbarcare che il tramonto era già sceso da un pezzo.
Il giovane si aspettava di vedere la sorella e le altre prigioniere da un momento all’altro. Si guardò indietro più volte per sapere se per caso fossero in fila dietro di loro, ma non c’erano.
I timori degli uomini erano fondati. Evidentemente erano state fatte sbarcare prima, non si sapeva dove e quella sorte incerta cominciò a preoccupare anche Peter.
Forse erano su un’altra isola? Oppure erano già a bordo di un’altra nave che le avrebbe condotte a Calormen?
Il pensiero lo mandò nel panico. Susan a Calormen! Sarebbe stato terribile.
No, un momento, c’era anche la possibilità che lei e le altre si trovassero ancora sull’Occhio di Falco, e che Rabadash avesse scelto di non farle scendere.
Quest’ultimo era decisamente un pensiero incoerente, non che alquanto impossibile, ma Peter sperò con tutto il cuore che fosse così.
La sua mente era un turbine di pensieri confusi. Pensava a come uscire da quella situazione il prima possibile, ma ora come ora non c’era soluzione.
Le guardie li facevano procedere in fila indiana. Né Pug, né tantomeno Rabadash erano presenti. Di certo non assistevano il trasporto dei prigionieri dalla nave alle prigioni perché la consideravano una mansione fastidiosa, ritenendo impossibile che provassero a scappare. Ma non c’era ragione per non tentare, si disse Peter.
Ne aveva parlato anche con gli uomini dell’Isola di Brenn, mentre erano ancora nella stiva.
Combattere era impensabile dato che nessuno di loro aveva un’arma. Un diversivo era quello che ci voleva. Bisognava creare confusione, in modo da prendere alla sprovvista le guardie.
Peter contava più che altro su tre cose: l’improvvisazione, l’effetto sorpresa e una mano da Aslan.
“Non siamo uomini di guerra, maestà” aveva insistito un giovane più o meno dell’età di Peter.
“Non vi chiedo di lottare, ma di essere veloci, di creare il caos. Una specie di rivolta, in scala assai minore, ovvio. Siamo poco più di dieci. Ma sono certo che altri prigionieri, vedendo noi, seguiranno l’esempio e ci daranno un aiuto insperato”
“Quando ci muoveremo?” aveva chiesto un altro.
“Quando saremo dentro la prigione”
“E se poi non riuscissimo a uscire?”
“Dovremo farcela a tutti i costi” aveva dichiarato Peter guardandoli tutti.
“No, io propongo di fuggire quando siamo ancora all’aperto” aveva ribattuto Kal.
“No, lo faremo quando saremo abbastanza lontani dalla nave. Sono sicuro che il mercante e il principe rimarranno a bordo, così, prima che le guardie riescano a tornare indietro e dare l’allarme, avremo tempo di cercare un nascondiglio”
“Io non sono d’accordo, perdonate se ve lo dico” era intervenuto Kal, l’uomo alto e muscoloso che si era mostrato scettico dapprima, ma che ora si rivolgeva a Peter con il rispetto dovuto, anche se  non era il suo re.
“Non possiamo sperare di farla franca, se i soldati di Rabadash ci attaccano, con cosa risponderemo? Non abbiamo spade,  non abbiamo archi”
“Non risponderete” disse l’anziano delle Isole. “Quella parte la lasciate a me. Ho già in mente cosa fare. Voi pensate solo a creare scompiglio”
Peter posò una mano sulla spalla massiccia del brav’uomo.
“Aiutami a uscire di qui, ti prego. Pensa alla tua famiglia. A tua moglie e a tua figlia. Ai tuoi amici. Ridoniamo loro la libertà”
Un lampo di determinazione scaturì negli occhi di Kal.
“Sì, signore. Grazie per avermelo rammentato e perdonate la mia codardia”
“Sei tutt’altro che un codardo, e lo dimostrerai. E ora, amici, ecco che cosa faremo”
Peter aveva spiegato il piano, in molti punti lacunoso, ma pur sempre un piano.
Ora era quasi giunto il momento.
I calormeniani condussero il gruppo attraverso la città di Portostretto, apparentemente deserta. Attraversarono vie secondarie e a un certo punto, Peter alzò lo sguardo in alto e vide le alte torri del Tempio di Tash in costruzione. Erano tre gigantesche cupole, solo una completa.
Era un oltraggio costruire una cosa simile sulle Isole Solitarie, che avevano da sempre servito Aslan e mai si erano fati fuorviare da divinità esterne.
Tash era un demonio, un essere spaventoso. Nelle leggende si narrava di una creatura mostruosa con quattro braccia, ali di pipistrello e un viso semiumano con un becco da uccello rapace. Dove passava, morte e distruzione si abbattevano sulla terra.
Doveva fermare quella pazzia, e si chiese perché non l’avesse già fatto Caspian.
Dove diavolo era? Che stava facendo?
Il comandante calormeniano fece fermare la fila davanti al portone del carcere. Bussò, si aprì una feritoia e apparve un volto.
“Siamo qui per il conto di Rabadash, principe di Calormen” annunciò il comandante, porgendo una pergamena all’altro uomo attraverso la fessura.
Dopo un attimo, il portone si spalancò.
Peter vide con gioia che il comandante e un altro paio di soldati si fermavano nell’ufficio del direttore del carcere. Ora a scortare il gruppo di schiavi erano solo cinque.
Era il momento giusto, non avrebbero avuto un’altra occasione.
Peter guardò Kal, che gli stava già restituendo uno sguardo teso.
Il ragazzo scosse lentamente il capo e Kal capì che voleva dire ‘non ancora’.
Scesero in profondità, e quando fu assolutamente sicuro che al piano di sopra non sentissero, Peter gridò: “Per Narnia!”
Quello era il segnale accordato.
Gli uomini delle Sette Isole gridarono a loro volta, e cominciarono a far volar pugni e gomitate in direzione dei soldati alquanto attoniti. I polsi ammanettati non impedirono loro di avere la meglio.
Peter aveva previsto che sguainassero le scimitarre, e sarebbe stata la fine se non fosse intervenuto l’anziano.
Kal prese un nemico da dietro le spalle e lo scagliò con forza contro il muro. Poi prese un piccolo sacchettino legato alla sua cintura e lo lanciò all’anziano.
“Prendi, Rolf!”
“Copritevi il volto!” esclamò l’uomo con la sua voce un po’ rauca.
Tutti obbedirono. Un secondo dopo, Rolf aveva aperto il sacchetto e l’avevo rovesciato per terra.
Uno sbuffo di polvere bluastra si propagò per il corridoio del carcere.
Ci volle qualche secondo perché si diradasse, ma quando accadde, Peter vide che tutti i soldati erano riversi a terra.
“Cosa avete fatto?”
“Ho usato lo stesso trucco che il comandante ha usato con noi” rispose Rolf con un’espressione soddisfatta sul volto rugoso. “Polvere soporifera. E’ con questa che ci hanno addormentati tutti, stanotte”
“Accidenti, Rolf, l’hai utilizzata tutta!” esclamò Kal.
“Bè, l’intenzione è quella di non farli muovere per un bel po’. Ora sbrighiamoci. Kal, tu porta via Re Peter, noi altri ci nasconderemo”
“Venite con noi” disse Peter.
“No, Maestà. E poi, dove volete che vada con le mie vecchie gambe? Inoltre, due persone sono più difficili da rintracciare che un gruppo intero”
“Ci muoveremo tramite i condotti sotterranei” disse Kal mentre attraversavano il corridoio all’inverso, seguito dagli altri uomini. “Per voi è un problema, Sire?”
“No, certo”
“Di qua, allora”
Kal rimosse una grata dal pavimento, facendo passare prima Peter, poi Rolf e dopo tutti gli altri, lui saltò per ultimo.
Decisero di dividersi, e quando arrivarono a un bivio, Peter si fermò e porse la mano a Rolf.
“Vi ringrazio, signore”
“Non temete per noi” rispose l’uomo stringendogliela.
Peter e Kal camminarono per lungo tempo attraverso le fognature, la loro unica via per riconquistare la libertà, tenendosi vicino ai muri per orientarsi nell’oscurità.
Incontrarono una nuova deviazione e Kal si fermò ad ascoltare il gorgoglio dell’acqua.
Peter sentì l’odore del mare provenire dal canale di sinistra.
“Venite Maestà, è questa la strada giusta. Se esce l’acqua, usciremo anche noi”
Si inoltrarono per nuove gallerie, il fetore pian piano si dissolse facendo posto al profumo di salmastro.
Infine, il labirinto si interruppe. Davanti a loro c’era un vicolo cieco, ma sopra le loro teste, la luna brillava attraverso l’ultima grata.
Kal allungò le possenti braccia e la scostò di lato.
In un attimo furono fuori, all’aria aperta. Dovevano essere finiti dalla parte opposta del porto, questi erano i calcoli di Kal, ma quando Peter vide la sagoma nera di una nave stagliarsi contro il cielo notturno, si sentì venire meno.
Dopo tanta fatica, sarebbe stato davvero assurdo finire di nuovo nelle mani dei nemici.
Fortunatamente, la nuvola che era finita davanti alla luna nel momento in cui si erano issati fuori dalle fognature, scivolò via, mostrando il profilo del veliero.
Erano davvero dall’altra parte del porto e quella nave non era l’Occhio di Falco, era più piccola, con una sola vela e una testa di drago con fauci spalancate fissata a prua.
L’uomo delle Isole fece cenno al giovane di spostarsi in un luogo più riparato.
Se avesse potuto avvicinarsi di più e vedere lo stemma sulla bandiera…
“Maestà, cosa fate? Non di lì!”
“Devo accertarmi di una cosa”
“No!”
Troppo tardi. Peter stava già scivolando lungo le mura di un edificio, poi di un altro, avvicinandosi sempre più all’imbarcazione.
Era certo di non sbagliare, ne avrebbe riconosciuto la fisionomia tra mille. Le navi di Calormen erano per lo più grosse corazzate. Come bastimenti da trasporto e da guerra erano eccezionali, ma non erano veloci come quelle di Narnia. Erano massicci bestioni, poco curati nei dettagli. C’era più quantità che qualità. Quando si trattava di andar per mare, non c’era nulla di meglio che un vascello di Narnia, agili e affusolati, che volavano sulle onde veloci come il vento.
“Ancora un po’ ” mormorò Peter, uscendo improvvisamente dal riparo suo e di Kal. “Sì!” esclamò poi, tornando in fretta tra le ombre.
L’aveva visto: lo stemma di Narnia, il leone rampante rosso scarlatto.
Kal gli rimandò uno sguardo perplesso.
“Aslan è con noi stanotte, amico mio” disse il giovane sorridendogli e posando una mano sulla sua spalla.
“Ragazzo, ho promesso di aiutarti e intendo farlo, ma devi dirmi cos’hai in mente” fece l’uomo, talmente teso che per un momento si dimenticò di usare la giusta forma nel rivolgersi a Peter.
“Quella laggiù è una nave di Narnia" disse il giovane. "Là troveremo l’aiuto che ci serve”
 
 
Eustace e Lucy non erano riusciti a chiudere occhio per tutta la notte.
Quand’erano stati separati dai compagni, avevano creduto di essere rinchiusi in prigione, e già il ragazzo si figurava con una tuta a righe e una palla di ferro legata alla caviglia.
Invece, li avevano portati nel palazzo del governatore, poco distante dalle carceri, e chiusi insieme ad altri sventurati in una specie di magazzino dove c’erano casse e sacchi di farina sui quali i cugini si lasciarono cadere, esausti e sconsolati.
“Eustace, se hai voglia di piangere, fallo e basta”
“N-non sto piangendo”. Il ragazzo tirò su col naso.
Lei sospirò. “Usciremo di qui, vedrai. Andrà bene”
“Lo dici ma non lo pensi affatto”
“Invece sì. Aslan ci aiuterà”
“Chiiii?!?!”
“Aslan” Lucy sorrise. Probabilmente quella era la prima volta che Eustace sentiva pronunciare il nome del Leone.
“Voglio raccontarti una storia”
“Oh no ti prego, risparmiami! Non mi va di ascoltare le tue sciocchezze anche qui” sbuffò Eustace, dandole le spalle e massaggiandosi i polsi ammanettati.
Lucy si incupì, offesa dal comportamento così astioso del cugino.
“Sei cattivo con me, perché?”
“Perché sei una nanerottola rompiscatole!”
“Ehi, abbiamo solo sei mesi di differenza, non ti vantare troppo!”
“Sì, ma sono io il più grande, quindi devi obbedire”
“Obbedire? Ti ricordo che io sono una regina qui!”
“Sì, e io sono il re d’Inghilterra, pensa un po’!” sbuffò il ragazzo.
Lucy gli assestò un bel calcio negli stinchi, stavolta davvero offesa.
“Ahi!”
La ragazza si alzò e si allontanò verso la porta del magazzino.
“Ma sì, lasciami in pace, non ho bisogno di te. Non ho bisogno di nessuno!” esclamò Eustace, ma quando Lucy fu lontana, si accorse di volerla ancora seduta vicino a lui.
Si sentì tremendamente solo. Voleva tornare a casa, voleva dormire nel suo letto, poter mangiare una vera cena inglese e non la sbobba che gli avevano rifilato (anche se doveva ammettere che sul veliero aveva mangiato più che bene).
Si rannicchiò sui sacchi di farina, tirandosi le ginocchia fino al naso e guardandosi intorno.
C’erano facce strane, creature in mezzo agli uomini che non conosceva. Aveva anche freddo e gli stava tornando la voglia di piangere.
Allora si alzò e raggiunse la cugina, appoggiandosi con la schiena al muro.
Per molto tempo non parlarono e non si guardarono. Poi Eustace fece una domanda.
“Chi è Aslan?”
Lucy sentì una fitta al collo tanto fu svelta nel girarsi verso di lui.
“La vuoi sentire la mia storia, o no?”
“Se non è troppo lunga…”
“Lo è abbastanza da passare il tempo qua dentro”
Eustace la osservò incerto, poi annuì. Almeno l’avrebbe aiutato a non pensare.
Ciò che ascoltò fu di quanto più incredibile e straordinario avesse mai udito. Nemmeno nei libri che aveva letto (e ne aveva letti molti) si era imbattuto in un racconto così emozionante, e Lucy fu così brava a narrare che gli sembrò di essere lui stesso a rivivere quelle imprese.
Riconobbe quei discorsi dei cugini che aveva udito a casa, e che aveva sempre creduto fossero fatti di stupide immaginazioni, fantasie, invenzioni. Invece era tutto vero.
La storia dell’armadio, del Fauno amico di Lucy e  della Strega che fece scendere l’inverno su Narnia per cento anni.
La storia di Aslan, soprattutto di Aslan, che aveva incornato i fratelli Pevensie come Re e Regine; seppe dell’Età d’Oro, della caccia al cervo bianco, di come i cugini erano divenuti adulti.
Fu poi la volta di Caspian, di suo zio Miraz, dell’incontro col nano Briscola e Ripicì; della Guerra della Liberazione, della magia del corno d’avorio che infine li aveva riportati tutti, compreso lui, in quella terra magica.
Alla fine del racconto, Eustace si accorse che anche gli altri prigionieri si erano radunati attorno a Lucy ad ascoltarla, e ora la chiamavano Maestà. Lucy sorrideva a tutti, rassicurandoli come aveva fatto con lui.
Sembrava davvero convinta che tutto sarebbe andato per il meglio, e pensando di nuovo ad Aslan, Eustace cominciò a credere la stessa cosa.
In fondo, se era entrato in un dipinto, se i suoi cugini erano passati attraverso un guardaroba, e se esistevano topi guerrieri, era anche possibile che ci fosse, da qualche parte, un leone che esaudiva le preghiere della gente.
Bè, se esisti davvero  pensò il ragazzino, è meglio che ti sbrighi e ci mandi dei soccorsi.
 
 
Caspian, Edmund, Susan e Lord Bern vennero destati dalla confusione proveniente dal di fuori del carcere.
Avevano dormito solo per un paio d’ore e la ragazza aveva assistito il Lord per tutto il tempo.
Edmund fu il primo a balzare in piedi, avvicinandosi alla finestrella della cella. Scorse una parte della piazza del mercato di Portostretto, dove banchetti delle merci più svariate erano già state allestite e i venditori erano già impegnati nelle prime contrattazioni del giorno, invitando gli astanti con grandi annunci di prezzi stracciati e di cibi, accessori, e abiti di alta qualità.
“Vedi qualcosa di particolare?” chiese Caspian.
“Solo bancarelle, non c’è traccia degli schiavi”
“Ascoltate” disse a un tratto Susan.
Si udì una lunga nota cupa di tromba, che risuonò tre volte e poi cessò così com’era iniziata.
Nella piazza, nessuno sembrò darvi molto peso.
“Che cos’era?”
“L’allarme, mia signora” rispose Lord Bern. “L’ho udito anche ieri notte, più di una volta. Devono essere fuggiti dei prigionieri e la città viene avvertita”
Edmund e Susan si scambiarono uno sguardo e in coro, con un tono di speranza, mormorarono: “Peter”
In quel mentre, alle loro spalle giunse il suono di molti passi, e dopo un attimo comparve Pug con tre o quattro guardie al seguito. Non aveva più l’aria tracotante del giorno prima.
Entrarono nella cella e Pug diede subito l’ordine alle guardie di prendere Susan.
“Lei di sopra, immediatamente” ordinò.
La fanciulla indietreggiò automaticamente e Caspian le si parò davanti.
“Non provare a toccarla!”
Pug rise sprezzante “Oh, guarda, guarda. Abbiamo una dolce coppia innamorata. Bè, ragazzo, non mi preoccuperei di questo, non sarò io, purtroppo, a godere delle grazie di questa fanciulla”
“No!” urlò la ragazza, cercando di divincolarsi dalla presa delle guardie.
Caspian sentì come un rogo esplodere in lui.
Si oppose con tutte le sue forze, ma il risultato fu un livido in volto e a nulla valsero i tentativi di Edmund di venire in suo aiuto.
“Susan!”
Susan allungò una mano verso Caspian e le loro dita si sfiorarono solo per pochi secondi.
“Siete un branco di maledetti!” tuonò Lord Bern.
“Dove la portate?!” esclamò Edmund, senza ottenere risposta.
“Susan!” gridò il Re di Narnia, aggrappandosi alle sbarre della cella, facendosi male ai palmi per la forza con cui strinse.
“Peter! Trovate Peter!” riuscì a dire lei, prima di sparire alla loro vista.
Il silenzio pervase la cella come una cupola opprimente.
La rabbia dentro Caspian si era spenta in un istante, lasciando il posto al vuoto più completo.
L’aveva persa. Di nuovo.
Una nuova ondata di collera scaturì dal più profondo del suo petto, risalendo verso la gola ed esplodendo in un grido furente.
“Caspian, calmati” cercò di placarlo Edmund. “Hai sentito cos’ha detto? Dobbiamo trovare Peter!”
“Come?!” esplose Caspian, rivolgendosi all’amico con aggressività, subito pentendosene. “Perdonami”
“E di cosa? E’ anche mia sorella e non voglio nemmeno pensare a cosa potrebbero farle quei…” Edmund si trattenne, perché se avesse continuato, probabilmente sarebbero usciti dalla sua bocca epiteti alquanto inadatti a un Re di Narnia.
“Dobbiamo mantenere il sangue freddo” intervenne Lord Bern. “Rammentate come abbiamo deciso questa notte di tentare la fuga. Aspettiamo che i soldati ci vengano a prelevare e ci conducano verso il mercato”.
Fece un cenno con la testa, al quale i due ragazzi risposero affermativamente.
D’un tratto, dall’esterno provenne il grido di una donna.
Edmund e Caspian corsero immediatamente a vedere che cosa stava succedendo, pensando a Susan.
Notarono subito un cambiamento.
Era stato allestito un piccolo palco nel centro del piazzale, probabilmente la tratta degli schiavi sarebbe iniziata da un momento all’altro.
Ma ciò che veramente era mutata era l’atmosfera. I venditori si erano fermati ad osservare un gruppo di persone che venivano fatte salire su un carro, le mani legate dietro la schiena. Non appena questi ultimi passavano accanto a qualcuno, le persone si scansavano e distoglievano lo sguardo, come se temessero di prendere una qualche brutta malattia.
“Che cosa vedete?” domandò Bern.
“Altri prigionieri” disse Edmund. “Ma non capisco cosa…”
Il ragazzo alzò poi gli occhi in direzione del cielo, che da azzurro e limpido qual’era stato finora, iniziò improvvisamente ad incupirsi.
Nuvoloni neri arrivarono dall’orizzonte. Non piano piano come con un normale temporale, ma tutti in massa, come correndo, ansiosi di abbattere la tempesta su Portostretto.
“Dove li portano?” chiese Caspian.
“Continuate a guardare” disse Bern con aria grave.
I prigionieri furono condotti alla battigia più vicina. Erano lontani dal carcere, ma Edmund e Caspian videro chiaramente quel che accadde dopo, e ciò li lasciò letteralmente a bocca aperta.
I prigionieri vennero fatti scendere dal carro e trasferiti subito su una barca che prese il largo, andando proprio incontro alla tempesta.
Scoppiò il tuono, ma senza lampo. Il cielo già nero divenne ancor più tenebroso, e  la luce sembrò venire assorbita, risucchiata, e Caspian e Edmund ( ma non solo loro) temettero che non potesse mai più tornare a splendere il sole.
Quando le tenebre furono completamente sopra la città, una strana nebbia iniziò a salire dal mare. Sembrava come la spuma bianca delle onde, solo che era verde.
Qualcuno urlò, forse sulla barca, forse giù nella piazza.
La barca venne avvolta dalla nebbia e in pochi istanti scomparve nel nulla, letteralmente.
Tutto si fece silenzioso, poi, quando la nebbia si ritirò da dove era venuta, le nuvole nere tornarono bianche, riapparve il cielo azzurro e tutto tornò come prima.
Durò pochi minuti, ma sembrava essere passato molto di più.
Caspian si allontanò dalla finestra e si rivolse a Lord Bern.
“Che è successo?”
“E’ un sacrificio”
“Ma dove sono andati?”
“Nessuno lo sa. La nube, la prima volta è stata vista a oriente. La gente parlava di pescatori e di marinai che sparivano in mare”
“Da quanto va avanti?” chiese Edmund.
“Da qualche mese. E’ stato il Governatore Gumpas a dare l’ordine che alla fine di ogni ciclo lunare, un gruppo di persone venisse scelto per placare la malattia che si è abbattuta sulle Isole”
“Quale malattia?”
“La chiamano la maledizione del sonno eterno. Io non ne so molto di più, sono stato messo in carcere quasi subito dopo. Io e altri tentammo di fermare quella pazzia, ma non ce lo permisero. Non ho idea di cosa ci sia sotto veramente, ma è pur vero che da quando vengono fatti quei sacrifici, la malattia si è placata”.
“Bisogna trovare gli altri, prima che sia tardi” disse allarmato Edmund, e dopo un attimo, ecco di nuovo un suono di passi fuori nel corridoio.
I soldati venivano a prenderli.
 
 
Lucy e Eustace avevano assistito sgomenti all’apparizione della nebbia verde e alla sparizione di tutte quelle povere persone.
Eustace aveva di nuovo voglia di piangere, e anche Lucy rischiò seriamente di fargli compagnia.
Non vedevano vie d’uscita, nessuno veniva ad aiutarli e ormai era quasi il loro turno di venire presentati al pubblico, che stava tutto intorno al piccolo palco di legno nel mezzo della piazza.
“Mi sembra di essere un deportato. Neanche fossi in un film di guerra!” si lagnò Eustace, strofinandosi gli occhi.
“Sai come andrà a finire, cara cugina? Che io e te, se non veniamo venduti a qualche nobile famiglia, che almeno ci darà da mangiare e un letto dove dormire, finiremo a lavorare in qualche miniera fino alla fine dei nostri giorni! Ecco come andrà a finire e vedrai se non ho ragione, stavolta!”
“Eustace, smettila di essere così pessimista!”
“Io non sono pessimista, sono realista! Non so tu come fai ad essere così calma”
“Non sono affatto calma, è solo che…”
“Basta chiacchierare!” sbottò un uomo gigantesco, venendo nella loro direzione.
Eustace e Lucy tremarono un poco nel trovarselo di fronte. Il viso era coperto da un cappuccio molto largo, indossava il mantello nonostante la giornata calda.
Eustace spinse avanti la cugina. “Lei! Prenda prima lei!”
“Mollami!”
“Volete stare un po’ zitti? Su, ragazzina, non fare troppe storie”
Inaspettatamente, quando l’individuo l’afferrò, la sua presa non fu né troppo brusca né dolorosa.
Lucy salì sul palco e si guardò attorno. Un sacco di uomini e donne ben vestiti stavano lì ad osservarla, mentre i loro servitori cominciavano a gridare e litigare sul prezzo.
“Partiamo da cinquanta denari! Chi offre di più?” esclamò l’uomo dietro il palco, facendo i conti sul suo taccuino. Era uno dei compari di Pug.
“Offro sessanta!”
“Ottanta!”
“Ottantacinque!”
Continuarono a contrattare per un poco, poi una voce disse: “Centocinquanta!”
“Ottimo! Venduta!” esclamò il mercante soddisfatto.
Lucy venne fatta scendere dal palco e portata verso un altro tizio incappucciato, che la prese per un polso costringendolo a seguirla.
“No! Lasciami! Lasciami!”
“Sssshhht! Non gridare, Lu”
La ragazzina trattenne il fiato. Fissò lo sconosciuto, e quando questi si scostò un lembo del cappuccio per mostrare il suo volto, dovette trattenersi dal gridare di nuovo.
“Peter!” esalò con un filo di voce.
Lui le sorrise. “Sì, sono io. Ma cerca di non farmi scoprire, ok?”
L’uomo enorme che aveva condotto Lucy sul palco, si avvicinò loro.
“Tutto pronto, Maestà. Gli altri sono qui”
“Ottimo Kal, dai il segnale a Ripicì”
Lucy non capiva come Peter e il topo avessero potuto incontrarsi, non capì nemmeno come su fratello conoscesse quell’uomo, che evidentemente era un tipo di cui ci si poteva fidare, o Peter non avrebbe mai riposto tutta quella fiducia in lui.
Avrebbe voluto fargli mille domande, ma non ce n’era il tempo.
“Peter, se ci sei tu, significa che c’è anche Susan, vero?”
“Sì, ma è stata venduta da un pezzo”
“Oh, ma è terribile!”
“Non temere, ho visto dove l’hanno portata. Ma dimmi, Edmund dov’è?”
“Con Caspian, giù nelle prigioni. Dobbiamo liberarli”
“Sire” intervenne Kal, “andate pure dalla Regina Susan, penserò io a tutto, qui”
“Ti ringrazio, Kal… Lucy, tu resta con lui, d’accordo?”
Lucy annuì e poi guardò il fratello correre verso il palazzo del governatore.
Intanto, sul palco nel centro della piazza, ora c’era Eustace, ma i compratori non parevano soddisfatti di lui.
“Non fatevi ingannare dal suo aspetto, signori” insisteva il mercante. “Sembra non dar affidamento, ma è forte!”
Il ragazzino era alquanto offeso, nonostante tutto. Come si poteva preferire a lui quella nanetta di sua cugina? Che affronto preferirgli una Pevensie!
“Vi libero io di lui” disse d’un tratto una voce che al ragazzo sembrava di aver già sentito, anzi era sicurissimo di averla già sentita, e di solito non la sopportava.
Proveniva da un uomo incappucciato. Un altro. Ne aveva scorti molti nella piazza. E quando l’uomo si abbassò il cappuccio con un gesto deciso, Eustace vide Drinian, sulla cui spalla stava Ripicì. Ecco di chi era la voce odiosa! Di quel topastro parlante!
“Per Narnia!” gridò Rpicì sfoderando la spada e cominciando a menar fendenti.
“Per Narnia!” gli fecero eco tutti gli altri: Tavros, Rynelf e molti altri appartenenti all’equipaggio del Veliero dell’Alba, poi fu la volta degli uomini delle Sette Isole, capitanati dal vecchio Rolf.
“Ripicì!” esclamò Lucy correndogli incontro. “Ero certa del tuo arrivo”
“Vostra Maestà” si inchinò il topo.
Lucy e Ripicì si voltarono nello stesso istante, e lui con lo spadino, lei con un otre di terra cotta, atterrarono due soldati.
“Ottimo, Maestà”
Eustace venne tratto in salvo da Tavros, che se lo caricò sulle spalle e lo portò al sicuro.
“Resta qui dietro, e non fare storie!”
“E chi si muove” tremò il ragazzo.
La confusione era talmente tanta che nessuno lo avrebbe notato...ma fu lui a notare qualcosa, o meglio, qualcuno: Caspian e Edmund, più un uomo che non conosceva.
I due ragazzi e Lord Bern uscirono in quel momento dal carcere, scortati come sempre da dei soldati. D’un tratto, questi ultimi vennero richiamati dal loro superiore.
“Riportate i prigionieri in cella e soffocate la rivolta, ordini del governatore e di sua altezza il principe!”
Vedendo che i compagni rischiavano di venire riportati in prigione, Eustace balzò fuori dal suo nascondiglio, mettendosi a gridare e alzando le braccia muovendole di qua e di là.
“Ehi! Ehi teste di carciofo! Sono qui!”
“Ma che diavolo sta facendo?!” esclamò Edmund.
“Ci da una mano” aggiunse Caspian, approfittando del momentaneo stupore delle guardie per assestare un bella gomitata nello stomaco del suo carceriere, che si piegò in due lasciando cadere la spada. Il Re gli diede un’altra spinta e quello cadde all’indietro giù per i gradini del palazzo.
Caspian e Edmund, benché con i polsi ancora incatenati, riuscirono ad abbattere anche l’altra guardia. Purtroppo, nuovi nemici arrivarono fino a loro, richiamati dalle grida nella piazza. Ormai, tutte le forze dell’ordine della città erano in subbuglio.
“Prendete le chiavi!” gridò Caspian a Lord Bern, il quale le afferrò dalla cintura di uno dei soldati abbattuti, per poi lanciarle al sovrano.
Finalmente, Caspian fu libero, poi fu il turno di Edmund.
“Fermatevi!” tuonò una voce all’improvviso. “In nome di Narnia! E’ il Re che ve lo ordina!”
Tutta la piazza si fermò un istante e si voltò a guardare un giovane dai capelli dorati, in piedi su un parapetto del palazzo del governatore, in modo che tutti potessero vederlo.
“Peter!” fece Edmund al settimo cielo.
“Tu non sei il Re di Narnia!” esclamò qualcuno.
“Forse no…ma lui sì” disse Peter indicando davanti a sé.
Tutti gli occhi si posarono su Caspian e il popolo si produsse in espressioni d’incredulità, finché qualcuno non lo riconobbe.
“E’ ora di porre fine alla supremazia di Calormen, tornate ad essere un popolo libero!”
“Sì! Ha ragione!” cominciarono a dire i cittadini, che rinforzati dalla presenza del sovrano, iniziarono a battersi al fianco dei narniani.
Peter scese dalla sua postazione e raggiunse gli amici.
I due fratelli si abbracciarono, felici di ritrovarsi, poi il Re Supremo si rivolse a Caspian.
“Susan è nel palazzo del governatore”
Caspian lo guardò un momento stupito, poi gli porse la mano che Peter strinse.
“Grazie”
“Vai, muoviti!”
Caspian non se lo fece ripetere.
 
 
Dopo che Pug l’ebbe trascinata fuori dalla cella, Susan non provò nemmeno ad immaginare quale sarebbe stata la sua sorte. La consapevolezza della reputazione di certi criminali le faceva immaginare chiaramente a cosa poteva essere destinata.
Il terrore l’avvolgeva in potenti ondate che divenivano quasi un dolore fisico, ma si ripromise di non perdere la speranza fino all’ultimo minuto.
Fu salda nella sua fede in Aslan, che già una volta era venuta meno e non doveva accadere più.
Fiduciosa che gli amici sarebbero venuti a cercarla.
Ad ogni modo, non poteva aspettare per sempre, doveva provare a reagire, benché non seppe come avrebbe potuto far qualcosa senza nemmeno un’arma a disposizione.
Fu allora che il suo sguardo cadde sulla cintura di Pug, alla quale era fissato un pugnale di ottima fattura che riconobbe come quello di Caspian…e accanto ad esso, il suo corno d’avorio.
Quel maledetto aveva il suo corno, e ora era il momento di riprenderselo.
Allungando appena una mano, avrebbe potuto sfilargli il pugnale, ma avrebbe dovuto essere molto svelta, e non era sicura di farcela, e di certo non poteva tentare un’azione simile con altre guardie accanto a lei.
Fu paziente, cercando di non pensare a cosa stava andando incontro.
Uscirono dalle prigioni e si infilarono per strette viuzze fino a raggiungere l’entrata secondaria del palazzo del governatore.
Attraversarono un breve cortile, un portico, salirono ai piani superiori, attraversarono un paio di corridoi e finalmente arrivarono a destinazione.
Pug congedò le guardie, e una volta richiusa la porta alle sue spalle, si voltò verso Susan.
“Allora, signorina…abbiamo un problema, noi due”
Pug si sedette su una poltrona di quello che sembrava un ufficio di qualche funzionario.
“Ti sarà giunta voce che alcuni prigionieri sono fuggiti dalle prigioni, stanotte…no?”
“Ho sentito l’allarme questa mattina”
“Esatto! Devi sapere però, che nessuno fugge dalle prigioni di Portostretto, nessuno che non abbia un complice al di fuori. Ora, se davvero tu sei la Regina di Narnia, devo dedurre che il ragazzo che era con te è il Re, e sicuramente un re e una regina avranno un seguito”
“E tu sei convinto che sia stato questo seguito a liberare il Re?”
“Chi altri se no? Quello che voglio sapere, è come avete fatto, qual’era il piano e dove dovevano trovarsi una volta fuori di prigione”
“Sono rammaricata, signore, ma io non so nulla”
Pug scattò in piedi e l’afferrò per un braccio, così forte che Susan sentì le unghie del mercante affondare nella carne.
“Tu devi sapere qualcosa, o il mio signore ne rimarrà alquanto deluso. E se lui è deluso io non vengo pagato”
“Non è un mio problema” ribatté Susan, nascondendo il dolore che sentiva.
“No, il problema è anche tuo. Perché io so che tu sei coinvolta. Te lo ripeto: dimmi come avete fatto e dov’è tuo fratello adesso!”
“Se anche lo sapessi, credi che verrei a dirtelo?”
“Tu me lo dirai, se non vuoi fare una brutta fine” Pug la lasciò andare e le girò attorno.
Susan si massaggiò il braccio, i nervi tesi all’inverosimile.
Doveva prendere il pugnale.
“Per colpa vostra non avrò quello per cui ho duramente lavorato. Per colpa tua e del tuo fratellino, il principe Rabadash è scontento di me. A questo, comunque, si può rimediare. Sono certo che il principe mi perdonerà la mancanza quando gli porterò la bella Regina di Narnia”
Pug le si parò davanti, il viso a pochi centimetri da quello di lei.
Susan poteva percepire l’odore sgradevole di tabacco e sudore.
“Ti credi tanto furbo, ma sei solo un essere spregevole, che guadagna soldi a discapito di povera gente che non ha mai fatto male a qualcuno in vita sua!”
“La Regina Dolce, hanno proprio ragione. Piacerai al mio signore, e piaci anche a me”
Pug allungò una mano afferrando tra le dita una ciocca di capelli della ragazza, annusandone il profumo.
“Sei un po’ sciupata, ma non importa. Sai…ho il vizio di testare per primo la merce che vendo, in modo da sapere se è buona o no”
“Devi solo provarci”
Pug aveva sul viso un ghigno compiaciuto, che un attimo dopo si trasformò in una smorfia di dolore.
Susan era infine riuscita a sfilargli il pugnale dalla cintura, approfittando di quel momento di distrazione da parte del mercante, puntandoglielo nella coscia destra.
“Maledetta strega!” gridò l’uomo allontanandosi, reggendosi la gamba ferita.
“Avvicinati ancora e giurò che ti taglio la gola, brutto schifoso!”
Pug lanciò un urlo e si abbatté su di lei.
Susan tentò di difendersi, ma stavolta non ci riuscì. Pug le prese i polsi tra le mani, e strinse così forte che la presa di lei mancò all’improvviso sull’impugnatura dell’arma, che cadde a terra.
L’uomo la sospinse verso il tavolo. Susan cercò di liberarsi, ma lui la bloccava con il suo peso.
“Stai ferma!”
Pug la schiaffeggiò e Susan sentì un bruciore immenso invaderle la parte destra del viso, che si mischiava alla repulsione e al terrore. Le lacrime- di dolore e di paura- cominciarono a rigarle le guance.
Ciò che accade dopo fu per lei come un incubo rapidissimo.
Sollevò le braccia per respingere il mercante, ma non era forte quanto lui e una seconda volta il suo tentativo fallì.
Quando Pug fece per colpirla di nuovo, qualcuno lo afferrò da dietro.
Istintivamente, Susan si chinò ad afferrare il pugnale, ma prima di poterlo usare venne coinvolta nella lotta dei due uomini.
Indietreggiarono tutti e tre verso il balcone, le cui porte erano aperte. Pug brandì la spada e si lanciò verso il salvatore di Susan, che era disarmato.
“Caspian! NO!” urlò lei, saltando addosso a Pug da dietro le spalle e graffiando ogni punto del viso che poteva raggiungere.
Egli si voltò e calò la lama su di lei, ferendola ad una spalla.
Susan urlò e si sbilanciò all’indietro, picchiando la testa contro la ringhiera.
Luccichini neri cominciarono a baluginare davanti ai suoi occhi e si sentì venire meno.
Anche Pug barcollò verso di essa, a causa della gamba ferita che non reggeva più il peso del suo corpo.
Il mercante tentò di nuovo di respingere l’avversario, assestandogli un calcio nello stomaco che li fece cadere all’indietro entrambi.
Caspian boccheggiò e tossi.
Pug gridò, sotto di lui rocce e mare. In un ultimo disperato tentativo di vittoria, afferrò Susan per trascinarla giù con sé.
Pug cadde di sotto e finì dritto in acqua, mentre la ragazza riuscì ad afferrarsi alla ringhiera con una mano sola.
Stordita e dolorante, a mala pena cosciente, Susan si tenne aggrappata con le ultime forze che le rimanevano. Dalla spalla ferita, rivoletti di sangue le scorrevano lungo tutto il braccio. Le girava la testa.
Gli avvenimenti degli ultimi minuti erano una confusione di emozioni.
Sotto di lei erano gli scogli e l’oceano. Se fosse caduta sarebbe stata davvero la fine.
Cercò di farsi forza, ma il dolore acuto che le annebbiava la mente aveva preso il sopravvento, e se non fosse stato per lui, ancora pochi secondi e sarebbe di sicuro precipitata nel vuoto.
“Ti ho presa! Dammi l’altra mano. Tirati su”
Caspian!
Si accorse di piangere mentre le sue forti braccia la traevano in salvo e la stringevano.
Sentì una fitta terribile alla spalla, ma non se ne curò. Con una certa fatica, alzò le braccia e  gliele passò attorno al collo.
“Oh, Caspian…” sussurrò appena, poggiando la testa sulla sua spalla.
“Va tutto bene. Ci sono io ora. Sono qui. Ti amo”
Per qualche istante rimasero stretti l’uno nelle braccia dell’altro, con il respiro ansante, il battito del cuore accelerato per la paura, per il dolore, per l’emozione e altri mille motivi diversi, assaporando il momento di essersi finalmente riuniti.
Si erano ritrovati e ora nessuno li avrebbe più divisi.
Susan cercò di lottare contro il torpore, ma era davvero stanca. Non ebbe tempo di guardarlo in volto, perché la vista le si offuscò.
Lo sentì chiamare il suo nome con una nota spaventata.
Avrebbe voluto rispondergli, dire che stava bene, che non doveva preoccuparsi, ma le parole non vennero. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi il buio.
Caspian la sollevò tra le braccia quando infine svenne, esausta.

 
 
 
Al limite delle possibilità umane, posto questo capitolo. Non uccidetemi, ok?
Purtroppo sono stata ingabbiata tutto il santo giorno dai parenti, che per tutto l’anno non ti cagano e all’ultimo giorno arrivano in massa come le locuste! Dio ci scampi!
Bè, comunque ce l’ho fatta! Eccolo qua!
Commentate, commentate, commentate!!!
 

Ringraziamenti a:
 
Per le seguite: Babylady, FedeMalik97, FrancyNike93, GossipGirl88, IwillN3v3rbEam3moRy, JLullaby, piumetta, Poska, SerenaVdW, Smurff_LT e SweetSmile
 
 
Per le preferite: Charlotte Atherton, LittleWitch_, Lules, piumetta, e tinny
 
Per le ricordate: Angie_V
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Angie_V, Babylady, Charlotte Atherton, GossipGirl88_,LittleWitch_, Lules, piumetta, SerenaVdW e tinny
 
 
Grazie tantissime a tutte, ragazze, vi voglio bene!!!
E Buon 2013 a tutte! ( e tié a chi aveva detto che veniva la fine del mondo! XD).
Con l’augurio di stare insieme a voi ancora per tutto l’anno,
Un bacio enorme Susan<3
   
 
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