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Autore: breakdown    02/01/2013    0 recensioni
Lacrime silenziose cominciarono a sgorgargli dagli angoli delle palpebre mentre la disperazione lo invadeva. Gli occhi morti del fratello furono l'ultima cosa che vide prima di sprofondare nell'oscuro abisso.
Occhi spenti.
Spalancati.
Occhi che l'accusavano.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TERZO




 
Il giorno dopo andò meglio.. e peggio.
«Liam!» una voce femminile gridò il suo nome.
Impossibile non riconoscerla. Accidenti. Come si chiamava la ragazza? Non riusciva proprio a ricordarselo, era come se gli avessero fatto un lavaggio del cervello o qualcosa del genere. 
«Hey..» fu il suo unico saluto. 
L'entusiasmo della ragazza svanì all'istante. 
«Non ti piaccio?» domandò senza troppi problemi, rischiando di far affogare Liam, che ora tossiva ripetutamente, con la sua stessa saliva. 
Il ragazzo si diede un leggero pugno sul torace, poi guardò la ragazza con uno sguardo pieno di stupore. Che fine aveva fatto la ragazza impacciata del giorno prima? Non sarebbe mai riuscito a capire le ragazze, ne era sicuro. E ora ne aveva la conferma. 
«Che intendi con "Ti piaccio"?» chiese, sospettoso. 
«Ecco..» La ragazza si stava tormentando le dita. Sembrava essere tornata quella di sempre. «Credevo ti stessi simpatica.» Sollevò lo sguardo verso quello del ragazzo, rivelando due occhioni carichi di lacrime. 
Liam non sapeva cosa dire, o cosa fare, e non capiva dove volesse andare a parare quella ragazza. Sollevò il braccio e si grattò nervosamente la testa, imbarazzato. Era indeciso se dirle la verità e così sbarazzarsi di lei per sempre o mentirle e permetterle di tormentarlo per tutto l'anno durante le ore scolastiche. Trasalì a quel pensiero. La scelta da fare era ovvia. 
«Senti», cominciò serio, ma la ragazza non gli diede nemmeno tempo di proseguire che iniziò a farfugliare qualcosa piagnucolando.
«Ti prego», lo implorò, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. 
In quel momento il suono della campanella si diffuse nell'aria e il ragazzo si sentì sollevato, anche perché non riusciva a fare a meno di provare un certo senso di colpa. 
«Devo andare in classe», disse freddamente, per poi dirigersi verso la rampa di scale che portava al piano inferiore lasciando la ragazza sola nel corridoio. 


 
Si lasciò cadere di peso sulla sedia tirando un sospiro di sollievo. Non si era mai sentito così sottopressione e ora sentiva di odiare quella ragazza di cui non ricordava il nome. Trovava il suo comportamento strano e irritante, ma ancor di più non riusciva a capire perché non fosse riuscito a piantarla al momento. Da quando era diventato sentimentale e si dispiaceva per qualcuno che non fosse suo fratello? Al ricordo di quest'ultimo il cuore gli si strinse in una morsa e strane sensazioni di dolore e rimpianto cominciarono a pervaderlo con violenza. 

 
 
Le ore passarono in fretta e anche quel giorno era andato. Afferrò lo zaino e s'incamminò verso il corridoio semivuoto senz'alcuna fretta. Mentre camminava ripensò a quella strana giornata e al fatto che, fortunatamente, non era più al centro dell'attenzione come il giorno prima: il gruppetto di ragazzi che lo pedinava al suo arrivo aveva perso interesse verso di lui e ora si sentiva più tranquillo. Sorrise compiaciuto. 
Prima di tornare a casa voleva fermarsi a fumare per far scorrere più tempo, così decise di cercare un posto tranquillo. Si sedette sulla prima panchina che trovò, la meno distante dalla scuola, e si sedette. Frugò nello zaino e nelle tasche dei jeans più volte prima di rassegnarsi all'idea di aver dimenticato l'accendino da qualche parte. Abbandonò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dai ricordi.


 
Si rannicchiarono nell'oscurità facendo attenzione a non fare il minimo rumore.
Lo stomaco di Gabriel borbottò e lui contrasse gli addominali con la speranza di attutirne il rumore. «Scusa», borbottò imbarazzato. 
Liam lo fulminò con lo sguardo. «Potevi portarti qualcosa da mangiare. Non voglio che ci scoprano per colpa del tuo stomaco.»
«Ma ti ho chiesto scusa!» sbottò l'altro.
Una porta si aprì.
«Shh.»
Un rumore di passi che si avvicinavano.
«Qui non c'è nessuno», si lamentò una signora. 
«I miei occhi non mentono», ribatté un uomo. «Li ho visti entrare.»
«Oh, andiamo, Signor Tunner», implorò la voce femminile. «E' solo una ragazzata.»
«Hanno rubato nel mio negozio!» esclamò l'uomo. «E' un reato!»
Ci fu un silenzio piuttosto lungo e si sentiva una leggera tensione. Forse i due erano in grado di comunicare con lo sguardo. Poi si sentirono solo i passi che si allontavano e la porta che si chiudeva. Tirarono entrambi un sospiro di sollievo. 
«C'è mancato poco», disse Liam. 
Il fratello annuì, poi tirò dalla tasca un cofanetto e lo aprì, rivelando una collana di perle false ma bellissima. Entrambi la guardarono meravigliati. 
«Ne è valsa la pena. Dici che piacerà alla mamma?» domandò Gabriel.
«Ti riferisci alla collana o al fatto che l'abbiamo rubata?»
Si guardarono per un istante e scoppiarono a ridere. 
«Sei il miglior fratello del mondo», disse Liam, guardandolo con sincerità negli occhi. «Non ti scambierei con niente al mondo.»
«Ti voglio bene», disse l'altro, il sorriso ancor più luminoso di prima.
«Anch'io, Gab. Anch'io.»

 
 
«Gabriel», disse con un lamento, mentre gli occhi cominciarono a diventargli umidi. «Mi perdonerai mai per quel che ho fatto?»
Si portò le mani sul viso mentre un altro ricordo lo inghiottiva, ancora più violento del primo.


 
Dietro l'angolo della bocca di Gabriel spuntò un sorriro sincero. «Liam?»
«Sì?» chiese l'altro, sollevando lo sguardo.
«Mi prometti una cosa?»
Il fratello sentì la fronte corrugarsi. «Cosa?»
«Di non abbandonarmi mai», rispose Gabriel, serio.
«Sembri appena uscito da un film gay», osservò l'altro, sarcastico.
«Sono serio.»
«Anche io.» 
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Si scambiarono uno sguardo colmo di sentimento. Un sentimento che solo due fratelli potevano comprendere.
«Lo prometto, Gab. Ma anche tu devi farmi una promessa: di esserci sempre.»
«Ci sarò, Liam. Sempre. Lo prometto.»

 
 
Il dolore era ovunque. Il dolore era tutto.
«Non hai mantenuto la tua promessa», bisbigliò a sé stesso, nel dolore. 
Quando cesserà il dolore? Quando..?
«Tutto bene?» sentì poi, accanto a lui. Sollevò lo sguardo e si ritrovò accanto a suo fratello che lo guardava con aria sospettosa. 
«Gabriel..» sussurrò, sconvolto, allungando la mano verso di lui. 
Il ragazzo dai capelli rossi si guardò intorno, credendo che si stesse riferendo a qualcun altro, ma non c'era nessuno. «Tutto bene?» ripeté. 
«Gabriel, mi hai trovato», disse lentamente, mentre perdeva coscenza e sprofondava lentamente nell'abisso. 

 
 
Si accorse di avere gli occhi chiusi e li aprì lentamente. Il buio prese a dissolversi gradualmente, lasciando posto a un odore che gli faceva formicolare il naso. Inspirò a fondo. Un odore forte di disinfettante miso all'odore di pulito. Quel momento gli sembrava una specie di "pace dopo la tempesta". Strano. Si sentiva tranquillo, troppo tranquillo. Ma qualcosa gli diceva che prima o poi quella pace sarebbe stata distrutta. Ecco, non finì di pensarlo che qualcuno parlò.
«Ti senti meglio?» Era una voce femminile, una voce che non conosceva.
«Ah.. Ehm, sì.» Si accorse di trovarsi in un letto troppo grande per lui. «Dove mi trovo?»
«In un ospedale», rispose l'infermiera, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. 
«In un ospedale.. bene» si disse il ragazzo.
«Come? Hai detto qualcosa?»
«Che ci faccio qui?»
«Non ti ricordi proprio niente, eh?» disse l'infermiera, scuotendo la testa. «Ebbene, ti ci ha portato il tuo amico. E' arrivato qui non molto tempo fa dicendo che eri svenuto. Sembrava molto preoccupato.»
Il ragazzo misterioso dai capelli rossi entrò nella stanza. «Con permesso», disse. 
L'infermiera sollevò lo sguardo. «Bene.. meglio che vi lasci soli.» Poi si diresse verso la porta. 
Seguì un lungo e imbarazzante silenzio; fu il biondo a romperlo per primo: «Chi sei?» chiese con diffidenza.
«Volevo solo scusarmi per averti, ehm, spaventato nel bosco. Quando ti ho visto solo sulla panchina ho pensato che avessi bisogno di parlare con qualcuno.. magari me.»
Silenzio.
«Okay, se non vuoi parlarmi sarebbe il caso che vada», comunicò l'altro, leggermente offeso.
«Non serve che tu vada», confessò Liam. «Non sei tu il problema. Sono io.»
Il rosso si sedette sul bordo del letto e lo guardò con attenzione. «Quindi non mi odi?»
Liam scoppiò a ridere. «Odiarti? Perché mai dovrei odiarti?»
L'altro sollevò le spalle. «Vorrei tanto saperlo anche io», ammise.
«Io non ti odio. E' solo che.. mi ricordi qualcuno.. che ora non c'è più.»
C'era tristezza nei suoi occhi e l'altro se ne accorse. 
«Comunque mi chiamo Nathan. Nath per gli amici», disse, porgendogli la mano.
Liam afferrò la mano del rosso e la strinse alla sua. «Liam, piacere.»
 
 
 
 
~ ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti, belli e brutti! Dopo settimanemesi mi è ritornata l'ispirazione e.. sbam! Eccomi con un nuovo capitolo °w° Non vi ho abbandonati, tranquilli. Dopotutto come potrei mai farlo? Ce l'ho un cuore io, non sono un vampiro. Non ancora. 
Comunqueeee, ringrazio di cuore tutti quelli che seguono la storia e che hanno recensito >w< siete adorabili e date una bella botta alla mia auostima. Spero che il capitolo non vi abbia annoiato. Ci si rivede al prossimo, bai baaii! :3
  
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