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Autore: AlexaHumanoide    02/01/2013    1 recensioni
Quando Bill, dall'altra parte alzò lo sguardo verso di lei, si immobilizzarono tutti e due a guardarsi negli occhi.
Forse saranno stati colpiti dal famoso "colpo di fulmine", pensai, ma cambiai subito idea quando vidi il vestito della mia migliore amica sporco di sangue.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come promesso, continuo a scrivere anche le FF che ho lasciato in sospeso. Spero esista ancora qualche ragazza che la leggeva prima e spero anche ci siano nuove lettrici ;) Lo so, dovrete leggere tutti gli altri capitoli, ma comunque spero vi piaccia!

xoxo, lex.

IX: Al diavolo i paparazzi!

Al diavolo i paparazzi. Al diavolo i flash, i microfoni, le telecamere. Al diavolo tutto!

In quei pochi giorni niente andava per il verso giusto. Finalmente Ashley stava per raccontarmi tutta la sua terribile storia, stava per liberarsi di un grosso fardello dalla coscienza ed io la stavo aiutando.

Ma niente, sono arrivati i paparazzi a rovinare tutto. 
E' nei momenti come questo che non vorrei essere famoso. Vorrei essere un normale ragazzo di 21 anni che aiuta una ragazza che ha bisogno di lui.

Non capivo perché Ashley fosse corsa via e si fosse chiusa in bagno, ma qualche idea ce l'avevo. Se io fossi stato in lei, avrei fatto la stessa cosa. Sicuramente si era presa paura; era in un momento assai delicato.

E poi, chi non ha paura di una mandria inferocita di paparazzi? Alcune volte anch'io l'avevo. Soprattutto quando non ero dell'umore giusto. Come in questo momento.

Toc, toc. Bussai per l'ultima volta su quel pezzo di legno bianco e liscio.

"Ash...", sussurrai, senza nemmeno riuscire a pronunciare il suo nome interamente.

Non avevo più forze e soprattutto non ne potevo più delle voci troppo alte e delle luci troppo accecanti che erano dietro di me. Anzi, appiccicate a me.

Come per tutti gli altri 100 tentativi, non ricevetti nessuna risposta. Appoggiai la fronte su quella superficie fredda e respirai a fondo.

"Ashley, se mi senti, rimani lì dentro finché non te lo dico io.", dissi, sperando con tutto me stesso che mi sentisse.

Se volevo aiutarla, dovevo eliminare il problema. Non avrebbe mai aperto quella porta finché ci fosse stata tutta quella gente. Sarebbe rimasta chiusa lì ed io da fuori non potevo consolarla, non potevo asciugarle le lacrime, non potevo fare niente.

Dovevo affrontare la mandria inferocita.

Mi girai di scatto e mi allontanai dal bagno, andando nella hall dell'ospedale. Come prima cosa mandai un messaggio a David, chiedendo cosa dovessi fare. Non mi era mai capitato di affrontare una cosa del genere da solo. Seconda cosa... bè, iniziai a parlare.
Il problema era: a quale delle tante domande dovevo rispondere per primo? Erano migliaia, quelle che riuscivo a capire erano: cos'è successo alla libreria? Chi è la ragazza con cui era? Dov'è Bill Kaulitz? Sta bene? Cosa vuole dire alle fans? Dove sono Georg e Gustav? Come si sente lei?
E via dicendo.

Ne scelsi una a caso, ma, prima di rispondere, dovevo calmare le acque, farli tacere almeno un po'.

"Risponderò alle vostre domande solo se vi tenete a distanza e ne chiedete una alla volta.", quasi gridai per farmi sentire.

Di colpo tutti tacquero e si allontanarono di alcuni metri da me. Ora andava molto meglio, ma la testa pulsava lo stesso.

"Signor Kaulitz, come sta suo fratello?", mi chiede una giornalista della RTL, avvicinando il microfono. 
Era una donna minuta, sulla quarantina circa, con capelli a caschetto rossi. Sul suo volto c'era un accenno di sorriso.
Chiusi gli occhi per alcuni secondi prima di parlare, faceva ancora male.

"Mio fratello, Bill, è stato colpito da un proiettile quando eravamo alla libreria, a fare una Signing Session."

"Abbiamo saputo che è coinvolta anche una vostra fan, è vero?", mi chiese la stessa donna.

"Si, è vero.", il cellulare che avevo in tasca vibrò e lo tirai fuori per leggere il messaggio.

- Tienili occupati, arrivo subito con alcuni Bodyguard, Georg e Gustav. Non dire molti dettagli dell'accaduto. David. -

Sbuffai e rimisi il cellulare al suo posto. Speravo arrivassero presto, non ne potevo già più. Volevo andare da mio fratello, da Ashley.

"Come si chiama la fan?", chiese un giornalista alto e bruno.

"Come stanno?", chiese un altro più vecchio.

Mi spalmai una mano in faccia.

"Una domanda alla volta ho detto. La fan si chiama Viola, credo. Ed entrambi...", mi fermai qualche secondo a guardare il vuoto. "...sono in coma."

I paparazzi ricominciarono a parlare tutti contemporaneamente e io non capii più niente. Lo scoop era arrivato: Bill Kaulitz in coma. Non se ne potevano andare ora?

"B-basta. Ora vorrei rilassarmi un po'. Sono stanco.", cercai di finire l'intervista, ma ovviamente non ci riuscii.

Tutti continuavano a farmi domande, come se io fossi la bocca della verità. All'improvviso una mano mi afferrò il braccio e mi trascinò via dalla massa di persone.
Per fortuna era arrivato David. Con la punta dell'occhio vidi i bodyguards che impedivano i paparazzi di seguirci. David mi portò in una stanza vuota dell'ospedale. C'erano anche Georg e Gustav. Le loro facce erano letteralmente sconvolte e addolorate. Avranno saputo anche loro del coma.

Finalmente David mi lasciò il braccio e il silenzio regnò nella stanza.

"Grazie David, non ne potevo più. Ho la testa che mi scoppia.", dissi, strofinandomi le tempie con le mani.

"Dovevi dirmi che venivi in ospedale. Ti chiamavo le guardie. Con chi sei venuto?"

"Sono venuto con...", mi immobilizzai. "...Ashley!"

Senza dire niente corsi fuori dalla stanza e ritornai davanti alla porta del bagno delle femmine.
Bussai. "Ashley, sono Tom. Puoi aprire ora... se ne sono andati."

 

***

 

Non potevo aprire quella porta. Non volevo. Tutte quelle luci mi avevano ricordato quel fottuto sogno, quella notte. E io non volevo riviverlo di nuovo.

Mi strinsi le ginocchia al petto e appoggiai la fronte su di esse. Le lacrime non finivano mai di scorrere sulle mie guance.

Toc toc. Tom bussò per la centesima volta. Ma non capiva che non sarei uscita se i paparazzi non fossero andati via?

"Ashley, se mi senti, rimani lì dentro finché non te lo dico io.", sentii a malapena la sua voce, ma obbedii.

Non mi mossi, neanche quando sentii le voci affievolirsi e scomparire del tutto. Mi dondolavo su me stessa per cercare di calmarmi, ma non ci riuscivo.
Non so quanto tempo passò, ma sentii di nuovo bussare alla porta. Alzai di colpo la testa, sperando che fosse Tom.

"Ashley, sono Tom. Puoi aprire ora... se ne sono andati."

Feci due respiri profondi, mi spostai a lato della porta e allungai la mano per aprirla senza alzarmi. Quando lo vidi, con le sue treccine lunghe e i suoi vestiti larghi, ricominciai a piangere. Non so il perché. Forse perché ora mi sentivo nuda davanti a lui, perché sapeva tutto. Oppure perché mi volevo scusare per quello che avevo fatto.

Lui, vedendomi ancora più disperata, velocemente entrò, chiuse la porta a chiave e si sedette vicino a me.

"Ehi, ehi... Non piangere.", sussurrò, prendendomi tra le braccia. "E' finito. Se ne sono andati."

Perché piangevo così? Non l'avevo mai fatto prima d'ora. Non avevo mai avuto così tante crisi di pianto in pochi giorni. Mi strinsi di più a lui, cercando di respirare lentamente e calmarmi.

Lui non disse più niente, mi accarezzava solo i capelli con la mano. Il silenzio era rotto solo dai miei singhiozzi. Chiusi gli occhi, appoggiai la testa nell'incavo del suo collo e mi lasciai andare.

I minuti passarono, e finalmente riuscii a ritornare normale. Ora respiravo regolarmente, il mio cuore pulsava lento e i miei occhi erano ritornati asciutti.
Alzai la testa per guardarlo negli occhi.

"Grazie...", sussurrai.

Un sorriso sincero nacque sulle sue labbra carnose.

E il cellulare si mise a squillare.

Mi alzai di scatto, lo tirai fuori dalla tasca dei jeans e guardai lo schermo: era la mamma di Viola.
Oh, merda.

"E' la mamma di Viola. Che cosa le dico?", la mia voce era malferma.

Anche Tom si alzò e iniziò a camminare nel bagno notevolmente preoccupato.

"Non lo so... la verità?"

Inspirai lentamente, buttai fuori tutta l'aria e premetti il tasto verde.

"Pronto?"

"Ashley, Viola non risponde al telefono, voi non tornate, è successo qualcosa? Perché mi hai chiamato? Viola è con te? Sta bene?", la voce preoccupata della madre di Viola mi invase e io rimasi in silenzio.

Daisy non era affatto come mia madre. Lei era una madre super affettuosa, premurosa e protettiva. Insomma, era una madre come quella dei film, perfetta. La mia invece era l’esatto contrario.

"Daisy, è seduta? Perché le devo dire una cosa..."

"S-si... Ora sono seduta. Cosa vi è successo?", ora sembrava ancora più preoccupata.

"E' successo un'incidente...", non riuscii neanche a finire la frase.

"Un incidente?!? Oddio, Viola sta bene? E' morta? Dove siete che vi raggiungo subito?", ora sì che era il ritratto del terrore.

"Daisy... Bè, si... E' meglio che lei venga qui.", non sapevo cosa dire, come dirlo. "E' meglio se ne parliamo di persona. Siamo all'ospedale Tabea di Amburgo."

Silenzio. Dall'altra parte del telefono non volava nemmeno una mosca. Credevo che la parola 'ospedale' ne fosse la causa.

"Arrivo.", furono le uniche parole che disse prima di riagganciare.

Rimasi immobile per alcuni secondi che sembrarono minuti. Fu Tom a riportarmi alla realtà.

"Allora?", mi chiese, avvicinandosi.
Lo guardai con due palle da bowling al posto degli occhi.

"Sta arrivando."

   
 
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