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Autore: Castiel    03/01/2013    1 recensioni
Una versione dei 100 themes RoyAi dedicata a tutte le RoyAiers del mondo ed in particolare al RoyAi Forum.
Dal cap.9: «All'età di cinque anni, la mia matrigna mi comprò un orsacchiotto di stoffa.
Ad otto una macchina rossa, che presto misi da parte per il regalo dei miei dieci anni: una scatola di soldatini di plastica, con la divisa scura ed i gradi splendenti. [...] Per questo motivo, un giorno, decisi di trovare qualcuno che avrebbe potuto proteggerci tutti, qualcuno che avrebbe potuto sconfiggere le armi.
Inventai, in un soldatino rovinato, un nuovo potere: dalle mani, le stesse mani nude dei civili che voleva salvare, egli poteva emanare scintille di fuoco.
Perché il fuoco? Non saprei dirlo con esattezza. Forse perché in inverno amavo stare davanti al camino, oppure perché credevo che battere le armi da fuoco con il fuoco stesso sarebbe stato il modo migliore per distruggere quegli infernali strumenti di morte.»
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20. ‘Murderer’

“Oh, no. It costs a lot more than your life. To murder innocent people?" says Peeta. "It costs everything you are.”
Mockingjay - Suzanne Collins




Il Colonnello Blanchard sbatté violentemente il pugno sul tavolo. Poi, riacquistando un atteggiamento composto, disse: «Ti conviene parlare».

L’uomo davanti a lui piantò per la prima volta gli occhi in quelli del militare e chiese, con rabbia: «Altrimenti?».
«Lo scoprirai presto».

Roy Mustang fissava la scena davanti ai suoi occhi col fiato sospeso. Se gli avessero chiesto di scommettere sul vincitore di quella sfida decisamente impari, avrebbe puntato tutto sul suo compagno.
C’era però qualcosa, in quegli occhi rossi dall’altro lato del tavolo: sembravano celare una forza che attendeva solo il momento giusto per scatenarsi.

Quello non era un semplice interrogatorio di routine, era diverso: quella mattina avevano finalmente catturato il capo dei ribelli del villaggio di Mihakar, alla periferia occidentale della regione ishvaliana.
Era un pesce piccolo, certo, ma era sicuramente a conoscenza d’informazioni utili per far cadere la resistenza del popolo dagli occhi rossi, e Blanchard era deciso a spremerlo fino all’ultimo per ottenere il suo scopo.

Mustang assisteva al dialogo tra i due uomini in disparte, in silenzio. Avrebbe dovuto sentirsi lusingato delle attenzioni che il Colonnello Blanchard gli aveva riservato: sin dall’inizio l’aveva preso sotto la sua ala e gli aveva affidato incarichi a cui un qualsiasi altro Maggiore non avrebbe potuto nemmeno assistere. Questo gli aveva assicurato una rapida scalata della piramide gerarchica militare, ma al tempo stesso lo obbligava a eseguire fedelmente qualsiasi ordine dell’uomo.
Più volte Blanchard lo aveva costretto ad azioni riprovevoli, non ultime le torture durante gli interrogatori.
Il suo superiore era rimasto affascinato dalla sua potente alchimia e godeva di un piacere perverso nel vederla utilizzare. Mustang, al contrario, cercava in ogni modo di sollevarsi da quell’incarico così spiacevole, purtroppo senza mai riuscirci.

L’uomo in divisa compì il giro del tavolo e si fermò alle spalle del prigioniero.

«Non mi lasci altra scelta, ishvaliano».

L’uomo in tutta risposta ruotò la testa alla sua sinistra e sputò per terra, poco distante dai piedi del militare.
«Non ho paura di quello che puoi farmi tu o quel cane assassino che ti porti dietro».

Assassino.

Roy pensò che non esistesse espressione che meglio potesse definire quello che era, e quella costatazione gli fece venire voglia di vomitare.
«Non sei tu quello che deve avere paura adesso» disse il militare, facendo un cenno a Mustang. Il giovane avanzò di un passo e portò la mano destra al capo: «Comandi, Signore».

«Credo sia arrivato il momento di portare qui una vecchia conoscenza del nostro ospite».

Roy non poté ignorare il lampo di paura che attraverso gli occhi del ribelle, che tuttavia continuava a tenere la mascella contratta in una smorfia di rabbia e i denti digrignati. Si congedò dal militare e uscì nel corridoio, facendo attenzione a chiudere bene la porta dietro di sé. Poi, con passi lenti, si avvicinò al soldato a guardia dell’uscita.

«Soldato Hawkeye».

«Maggiore Mustang».

I loro occhi s’incrociarono per un breve istante.

«Il Colonnello Blanchard vuole che il prigioniero incontri la vittima. Prelevala e portala nella sala interrogatori».

«Sì, Signore».

Del piano di Blanchard, Mustang sapeva poco. L’unica cosa di cui era stato messo al corrente è che aveva un asso nella manica nelle prigioni del villaggio, e che sarebbe entrato in gioco a tempo debito.
Ora il momento era arrivato ed il giovane alchimista non sapeva cosa aspettarsi. Aveva ripreso la sua posizione nell’angolo della stanza e attendeva il ritorno di Hawkeye, inquieto.
Il soldato Hawkeye – o forse avrebbe dovuto dire
la soldatessa – era la figlia del suo Maestro, colui al quale egli doveva le sue conoscenze. Aveva vissuto insieme a lei e a suo padre per tre anni ed ora rivederla al fronte con la divisa blu scuro ed il fucile in mano gli faceva ripensare con malinconia al passato, quando il Maestro era ancora in vita e Riza – quello era il suo nome, lo stesso della madre – non aveva preso la decisione di arruolarsi.
Molte cose erano cambiate da allora, e il più grande rimpianto di Roy era di non aver potuto mantenere la promessa fatta al suo mentore moribondo di tenere la figlia lontana dal mondo corrotto in cui egli aveva deciso di entrare.

«Sei la sola persona di cui si fida, Roy».

«Non sono sicuro di capire cosa mi sta chiedendo di fare, Signore».

«Dalle qualcosa in cui credere».

Nella sala interrogatori, l’atmosfera era come congelata.
Blanchard rimaneva in silenzio alle spalle dell’ishvaliano, il quale sembrava fissare la porta trattenendo il respiro in attesa.
Anche Mustang restava irrigidito con gli occhi rivolti all’entrata, nella speranza silenziosa che nei piani di Blanchard per costringere il ribelle a parlare lui non fosse coinvolto. Che non dovesse interpretare ancora una volta la parte del cane assassino.

I colpi alla porta rimbombarono all’interno della stanza in una debole eco.

«Avanti», disse Blanchard.

Hawkeye e un soldato mingherlino con dei grossi occhiali entrarono nella stanza tenendo per un braccio una giovane donna priva di sensi.
Mustang non poteva vederla in viso perché i capelli le coprivano il volto, ma bastava guardare il resto del corpo per vedere in che condizioni fosse: sporca, deperita, con dei grossi tagli sulle gambe e sulle braccia. Indossava un vestito di cotone leggero, grigio, strappato in più punti; alla caviglia sinistra una benda, macchiata di sangue, e una catenella color bronzo con un ciondolo. Singhiozzava in tono sommesso, tenendo lo sguardo fisso al pavimento, ma quando sentì la voce dell’uomo di fronte a sé, alzò la testa di scatto.

«Vilhea!»

La donna si dimenò dalle braccia dei due soldati.

«Aktar!»

«Bene, bene, bene» disse Blanchard, frapponendosi tra i due ishvaliani. «E’ il caso di dire che chi non muore si rivede».

«Bastardo!» urlò il ribelle, contorcendosi e finendo a terra trascinando con sé la sedia. «Lasciatela andare! Lasciatela andare!».

Blanchard si diresse verso l’uomo e lo afferrò, riportandolo dietro il tavolo di legno.

«Non avere fretta, ishvaliano. Abbiamo appena cominciato».

Invitò Mustang ad avvicinarsi con un gesto della mano.
L’alchimista raggiunse svelto il fianco del militare.
«Comandi, Signore».

«La signorina qui di fronte mi sembra infreddolita; forse è il caso di riscaldarla, Maggiore Mustang».

Roy deglutì piano, poi disse: «Signore, temo non sia indicato accendere fuoco all’interno di questa stanza, potrebbero esserci conseguenze negat-».

«Ti stai forse rifiutando di eseguire l’ordine, Maggiore Mustang?» lo interruppe Blanchard, portando la mano al fodero della spada. Il gesto non sfuggì al ragazzo, che infatti replicò: «No, Signore».

«Come immaginavo. Forza, ora».

«No!» cominciò a gridare Aktar, intuendo le intenzioni del militare. «No! No!»

«Non preoccuparti, ce ne sarà presto anche per te» urlò Blanchard, sovrastando i lamenti disperati del ribelle.

Assassino. Questa parola gli rimbombava nelle orecchie.

Mustang guardò la giovane donna al suolo di fronte a sé; i soldati l’avevano legata nell’angolo e si erano ritirati ai propri posti pochi minuti prima, per cui il loro era uno scontro privato.
Alle sue spalle, l’assoluta impassibilità di Blanchard si contrapponeva alla disperazione di Aktar che, piangendo, lo implorava di prenderlo al posto della donna.

Vilhea, nonostante la paura, fissava negli occhi Mustang che, al contrario tentava di fuggire al suo sguardo. La fierezza con cui quella ragazza andava incontro alla tortura era per Roy fonte di vero stupore.
Chiuse gli occhi, scappando codardamente dalla crudeltà del gesto che stava per compiere, e schioccò le dita.
Un attimo dopo, il mondo pareva capovolgersi davanti a lui.

Aktar si era liberato dalla sedia e si era scagliato contro Blanchard a mani nude, il quale, estratta la spada, tentava di colpirlo senza ferirlo letalmente. Le loro urla intanto avevano attirato l’attenzione di Hawkeye e dell’altro soldato, che entrati erano subito corsi in soccorso del Colonnello, liberandolo dal prigioniero.
La divisa macchiata del sangue del nemico, l’uomo attraversò la stanza e raggiunse Mustang, che continuava a fissare la scena immobile.

«Che diavolo ti salta in mente?!» urlò Blanchard, inferocito, sbattendo Roy contro il muro. «Potrei accusarti d’insubordinazione seduta stante e farti fucilare!».

Quella sarebbe la giusta pena per un assassino.

Riza subito s’intromise, dicendo: «Il Maggiore Mustang non voleva colpirla; se fosse intervenuto, avrebbe rischiato di ferirla».
Il Colonnello lasciò la presa e si allontanò, massaggiandosi il polso.
«Ti conviene non fare altri scherzi, Mustang. E ora, ishvaliano» riprese, tornando a rivolgersi al prigioniero «Se vuoi salvare la tua dolce amica, dovrai parlare».


L’aria all’interno della stanza era diventata irrespirabile.
Il sole batteva attraverso la finestra sulla macchia di sangue ormai secco al centro del tavolo, e un odore di pelle bruciata ristagnava nella sala interrogatori ormai vuota. Mustang se ne stava sulla soglia, immobile, guardando con occhi spenti l’angolo di pavimento dove fino a poco prima giacevano i corpi ormai irriconoscibili di Aktar e Vilhea.

Sentì dei passi leggeri alle proprie spalle; non gli serviva voltarsi per capire che si trattava di Riza.

«Maggiore Mustang» lo chiamò, con voce ferma.

Roy chiuse la porta e si rivolse alla soldatessa, con tono freddo: «Stiamo ripartendo?»

«Sì, Signore».

Roy annuì, incamminandosi verso l’uscita dell’edificio.

«Maggiore Mustang».

L’alchimista si fermò al centro del corridoio.

«Non aveva alternative».

Una risata amara uscì dalle labbra dell’uomo.

«Immagino che sia la frase che si dice in questi casi».

Riza si avvicinò fino a restare a un solo passo di distanza dal suo superiore.

«Non è stato lei ad ordinare la morte di quei due ishvaliani»

«Ma ho contribuito ad essa!» urlò, guardando per la prima volta la donna negli occhi.
«Io ho obbedito a quegli ordini crudeli! Io ho bruciato vivi quei giovani che fino all’ultimo hanno tentato di salvare il proprio paese!» Si appoggiò al muro dietro di sé, proseguendo: «Cosa mi aspettavo prima di partire per la guerra? Di salire in cima al potere in pochi mesi? Di non sporcarmi le mani?» Fece una breve pausa, abbassando gli occhi. «Di poter davvero cambiare il mondo?».
«Il Roy Mustang che conoscevo non si sarebbe arreso così in fretta».

«Il Roy Mustang che conoscevi non esiste più».

«Se è così, non ha più senso per me restare a combattere. Se ciò è vero, non ho più nulla in cui credere».

Roy alzò il viso, stupito.

«Dalle qualcosa in cui credere».

«Sei entrata nell’esercito per seguire i miei folli ideali, ma tutto ciò che ho rivelato di essere è solo uno sporco assassino».
«E chi in guerra non lo è diventato? Siamo tutti colpevoli della morte di qualcuno».

«Perciò è tutto qui? Siamo solo dei soldati senza onore che combattono per il capriccio di qualcuno assetato di potere?»

«Lei può cambiare le cose»

Roy mise le mani sulle spalle della donna, scuotendola.

«Io non so come fare! Non sono l’uomo coraggioso che tu credi».

Riza indietreggiò, lasciando che le mani dell’uomo scorressero sulle sue braccia.

«Se lei è il primo a non crederlo, non possiamo sperare in un futuro migliore. Mio padre l’ha scelta tra decine di candidati che si sono presentati alla sua porta implorandolo di dedicargli anche solo un minuto del suo tempo. A lei sono stati concessi tre anni. Il Maestro Hawkeye aveva molti difetti, ma sapeva giudicare bene le persone. Si fidava di lei, così come mi fido io»

«Sei disposta ad affiancarmi in questo cammino? Potremmo fallire l’impresa»

«Ma non potremo dire di non averci tentato».

Roy non poté fare a meno di sorridere, guardando la determinazione sul volto della donna. E dire che aveva sempre pensato di sapere chi fosse il più caparbio degli Hawkeye.

Entrambi i soldati uscirono dall’edificio e si diressero alle tende, poco distante. Blanchard e gli altri soldati erano ripartiti alla volta dell’accampamento madre, e loro li avrebbero raggiunti l’indomani.

«Buonanotte, Maggiore Mustang».
Roy guardò la schiena della donna sparire dietro il velo della tenda.
Guardò le sue mani e strinse i pugni, come se una nuova forza lo attraversasse.
Era davvero un assassino, ma ora sapeva cosa doveva fare.
Combattere per i propri ideali sembrava più semplice, con lei accanto, e quel fardello un po’ meno pesante.

Sarebbero stati l’una la forza dell’altro.

«Buonanotte, Riza».




Note dell’autrice
: Innanzitutto buon anno a tutti i lettori! “Livello 6: a volte ritornano”, giusto per citare il buon Max Pezzali.

Bene, ecco un capitoletto pesante (d’altronde con “Murderer” c’era ben poco altro da fare), ma che spero abbiate apprezzato.
La citazione è tratta dall'ultimo libro del ciclo Hunger Games, che adoro *_*
L’ambientazione è ovviamente la guerra di Ishval, agli esordi se così vogliamo dire, dove troviamo ancora un inesperto Roy e una Riza invece molto determinata e saggia – lei sì che è una donna!

Di Ishval sappiamo poco, ed io ho voluto immaginare una scena in cui Roy si rende conto della realtà che lo circonda e si trova spaesato, deluso, amareggiato; ma per fortuna Riza è pronta a dargli la forza di andare avanti.

Ringrazio come sempre chi segue la storia e i suoi difficili aggiornamenti ed anche i lettori silenziosi.
Vi auguro un 2013 spettacolare!

Castiel

  
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