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Autore: peaceloveanddream    03/01/2013    2 recensioni
"The Kill è una canzone che riguarda la relazione con te stesso. Riguarda il confrontarti con la tua paura e confrontarti con la verità su chi sei realmente.''
Scrisse quel brano da adolescente ponendosi mille dubbi su chi fosse realmente, ma decise di non scoprire mai la verità costruendo castelli di sabbia che verranno abbattuti dal suo vero essere.
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.
Avevo passato l’intera mattinata nel pensarla.
Ero arrivato alla riunione con due ore di ritardo, e tutti erano già furiosi con me, ma appena mostrai il mio occhio viola il volto di ogni singola persona in quella sala si raddolcì.
Mi domandarono cosa mi era accaduto e con grande teatralità, e nessuna umiltà, risposi loro che mi ero beccato un pugno per difendere una ragazza.
C’era chi voleva chiamare la polizia, c’erano le stagiste che mi idolatravano ancor di più e infine c’erano mio fratello e Tomo che avevano capito subito la mia bugia, ma erano consapevoli che in certe situazioni era meglio non sapere.
Ora che invece mi ritrovo in strada per raggiungerla, mi sento turbato in quanto il suo pensiero è un chiodo fisso: il fatto che non mi abbia riconosciuto mi ha sconcertato e ora non è più questione di portarla a letto, oh no, ora la questione diventa di vitale importanza in quanto io le avrei impresso il mio nome e cognome nella sua mente o con le buone o con le cattive.
 
“Eccomi”
Penso mettendomi in fila all’entrata del locale.
Cerco di mantenere un profilo basso in quanto non voglio essere riconosciuto.
I paparazzi non ci sarebbero stati poiché avevamo chiesto loro di non raggiungerci nelle città per non spaventare le ragazze che si sarebbero presentate alle audizioni.
Sì, noi li avevamo contattati perché loro non si presentano quando gli pare e piace, visto che sarebbe solo una perdita di tempo, ma si presentano quando le persone famose li contattano: è tutta una montatura, come tutto il mondo delle persone note lo è.
Ma le fan, no alle fan non potevi dire di no: se loro mi avessero riconosciuto per me sarebbe stata la fine.. la fine del mio piano.
Riesco ad entrare, fortunatamente ho raggiunto un’età in cui non devo più mostrare un mio documento per entrare in un locale, anche se sento un po’ di nostalgia di quei tempi.
Osservo il locale come feci la sera precedente, stavolta però non devo cercare né Shannon né Tomo poiché li ho dirottati in altre mete della città: l’oscurità fa sempre da padrona, ma ora le luci non danzano con i giovani, ora sono i laser dai mille colori a proiettarsi contro il muro disegnandoli di allegria e leggerezza.
Sposto lo sguardo dalla pista da ballo fino al bar e cerco di scrutarla, ma il buio si intromette nella nostra storia, così mi faccio largo fra la folla danzante e raggiungo il bancone: lei è lì, come previsto, a servire gente che la tratta peggio di un oggetto.
Non si è accorta del mio arrivo, sarebbe quasi impossibile con tutta questa folla, e decido di non mostrarmi fin quando non si avvicinerà.
- Salve, cosa le porto?
Alzo appena il viso per guardarla: ha un’espressione stanca, ma nonostante tutto sorride dolcemente, mentre si asciuga una delle due mani con un panno azzurro.
-Una birra. – Le sorrido gentilmente levandomi gli occhiali. Appena vede il mio occhio viola intuisce immediatamente chi sono e con stupore continua a guardarmi senza trovare le parole adatte per pormi una domanda. –E poi vorrei parlare con te per sapere cosa potrei fare per sdebitarmi.
Accenna una leggera risata, credo perché è lusingata dalla situazione, ma non mi interessa il perché poiché è sempre una gioia sentirla.
-Come hai fatto a sapere dove lavoro?
Inarca un sopracciglio per poi piantarmi quegli occhi nocciola nei miei.
-Ho i miei informatori.
Le sorrido cercando di nascondere la soggezione che mi sta infondendo davanti a quello sguardo così sostenuto, fiero e, oserei dire, nobile dove io mi sento denudato da me stesso.
-Devo dedurre che mi stai seguendo?
Ora sembra preoccupata, quasi agitata e proprio quest’espressione buffa mi fa scoppiare a ridere.
-Assolutamente no, ho amici in città e ho domandato loro se ti conoscevano. – Avrebbe voluto controbattere, ma la batto sul tempo. –Comunque che ne dici se domani ti invito a pranzo così mi sdebito?
Fa un leggero sorriso che le disegna due piccole fossette. Non credo di aver mai conosciuto una persona tanto dolce e tenera, anche solo in apparenza.
-Facciamo che ti sdebiti pagandomi la birra, sono quattro e cinquanta.
Credevo che quel dolce sorriso fosse stato una conferma al mio invito, invece è un rifiuto.
Cerco di replicare, io questa volta, ma lei si è già allontanata per prendermi la birra.
Nel frattempo che l’aspetto tiro fuori i soldi e li appoggio sul bancone, ma cos’ha lei che le altre non hanno?
Proprio in quel momento arriva con la bevanda e, sempre col sorriso stampato sulle labbra, prende i soldi e poggia lo scontrino accanto alla mia mano per poi riallontanarsi verso un nuovo cliente.
Afferro la bottiglia e ne bevo un sorso.
“ Perché lei non cede e le altre sì? Cos’ha lei che le altre non hanno?”
Penso e ripenso, ma nessuna soluzione si presenta davanti ai miei occhi, quando un pensiero si insinua nella mia mente.
“Lei non mi conosce, lei non conosce né me né la mia fama, mentre le altre..
Ho sempre pensato di essere io quello che sfruttava le donne, quello che si accontentava di una notte da sogno e poi tutto tornava come prima, quasi da sentirmi in colpa ogni singolo giorno in cui le abbandonavo ancora calde sotto le lenzuola del mio albergo, invece no: erano loro a sfruttare me, a sfruttare la mia fama e i miei soldi! “
Ricompongo ogni piccolo tassello della mia vita sentimentale ed ogni volta che un pezzo si congiunge con un altro io stringo sempre più forte la bottiglia.
Questo pensiero mi sta uccidendo, non posso credere di essere stato sempre così ingenuo!
-Thomas, Thomas, fermati!
Adele prende la mia mano nella sua e la sua voce mi riporta alla realtà oscura e piena di rumore, non di musica.
La guardo negli occhi spaesato, arrabbiato, umiliato, ma lei non si accorge di come mi sento perché continua a guardarmi la mano.
Non capisco cosa ci trova di così interessante, pertanto decido di guardarla anche io: dei piccoli frammenti in vetro scintillano sotto la luce del laser, mentre un liquido rosso scorre lungo il mio braccio.
Ancora non riesco a mettere a fuoco la situazione, sono troppo fuori di me per comprendere cosa stia accadendo, ma la ragazza mi domanda di seguirla nel retro del locale.
Sembra preoccupata, preoccupata per me, ma perché? Osservo nuovamente la mia mano che pian piano si fa sempre più dolorante, eccomi sto tornando in me stesso ed ora che l’adrenalina è svanita il dolore si fa lancinante, mentre il sangue scorre sempre più abbondante.
Seguo Adele fin dentro uno stanzino: non è molto grande, ci entriamo in due a malapena, ma va bene anche così. Una luce penzolante dal soffitto illumina tutto intorno mostrandomi pile di bottiglie ammassate una sopra l’altra.
-Dammi la mano.
La ragazza  mi porge una mano, mentre nell’altra tiene una piccola pinzetta. Esito un po’ prima di concedergli la mia intera fiducia dandole il palmo ferito.
-Sono in debito con te, nuovamente.
Affermo sbuffando, cercando di nascondere il dolore che mi sta provocando.
Sorride e con un movimento deciso mi toglie quelle due schegge di vetro che si sono impossessate della mia mano.
Vorrei urlare, ma non posso, sono un uomo, non posso.
-Vorrà dire che mi pagherai un’altra bottiglia di birra.
Si volta prendendo un pezzo di cotone imbevuto di disinfettate e una garza per fasciarmi il palmo. Con delicatezza inizia a tamponare la ferita, chiudo gli occhi e stringo forte i denti, ma sento il suo sguardo ogni tanto gravare su di me notando che, ogni volta che si accorge che mi sta facendo male, cerca di essere più delicata.
-Non mi fai male, non preoccuparti, anzi grazie.
Mormoro scocciato dal fatto che la devo anche ringraziare: è colpa sua se mi sono fatto male, è colpa sua che non si concede, è colpa sua punto.
Non mi risponde, quasi come se si fosse accorta della mia rabbia nei suoi confronti.
Non voglio scusarmi, così rimaniamo in silenzio.
Ogni tanto le rivolgo lo sguardo, ma ogni volta che i miei occhi si posano su di lei una rabbia a me sconosciuta mi assale, mentre una voglia di stringerla a me e di sentire il suo calore mi pervade.
Sono combattuto, sono combattuto con me stesso, ma quando termina il suo lavoro e rivolge, anche lei, il suo sguardo verso di me non resisto all’impulso di baciarla.
Faccio un passo in avanti, costringendola ad indietreggiare spingendola, a sua insaputa, contro il muro.
Avvicino il mio volto al suo: adoro quelle espressione sperduta che ha, la rende molto più bella ed è molto più eccitante per me.
-Per favore, fermati.
Mormora cercando di spingermi via da lei, ma le afferro le mani e le blocco contro il muro, udendo quel ‘fermati’ come un ‘sono tua, prendimi.’
Inizio a baciarle il collo con foga facendo aderire il mio corpo contro il suo. Lei cerca di sottrarsi, ma io continuo, con più forza, con più eccitazione, con più divertimento: stavo portando a termine il mio piano, nessuno mi avrebbe fermato.
Salgo con i baci fino al suo orecchio: si è rassegnata.
Sento il suo collo irrigidirsi ad ogni mio bacio, quando mi accorgo che sta singhiozzando.
Mi blocco e osservo il suo petto muoversi sotto ripetuti singhiozzi, stacco il volto da lei e la osservo: copiose lacrime le rigano il viso di nero, nei suoi occhi si è dipinta la paura vera e pura, non ha neanche il coraggio di guardarmi.
“Cosa ho fatto?”
Le lascio libere le mani e continuo a guardarla, non mi capacito di come io sia stato capace di farla piangere, questo non era il mio piano o almeno credo.. allora perché sento una stretta al cuore?
-Mi dispiace, ero fuori di me..
Non so che dire, non so che fare.
-Vattene!
Mi urla contro guardandomi negli occhi che si fanno rossi e copiosi di lacrime amare.
Chiudo gli occhi e faccio un lungo respiro.
-Ti prego Adele, io non..
Cerco di abbracciarla, per farle capire che non sarei mai stato capace di farle del male, ma inizia a darmi ripetuti colpi sul petto urlandomi contro.
-Vattene! Lasciami in pace!
Non la mollo, i suoi pugni non mi fanno male, ma il suo singhiozzare, la sua paura che si nasconde nella fierezza della sua voce sì, questo mi fa male più di ogni altra cosa.
-Ti prego smettila di piangere. Se smetti, giuro che me ne vado.
La guardo negli occhi, ora la paura è diventata rabbia.
Le asciugo l’ennesima lacrima che le riga il volto con il pollice, ma ritrae il capo non appena il mio dito entra in collisione con la sua pelle.
Rimango in silenzio e cerco di stringerla a me per calmarla, ma si allontana.
Il suo respiro si fa sempre più regolare e i singhiozzi diminuiscono, la guardo un’ultima volta scuotendo appena il capo: cosa avevo fatto? In questo modo l’avevo persa per sempre.
-Perdonami se puoi, ma non ho resistito all’impulso di baciarti è stato più forte di me,  è stato come se non fossi più in me. – Le lancio un’occhiata triste, non so come spiegarle perché io mi sia comportato in questo modo, in quanto non lo so neanche io. Non mi guarda, ma intuisco che mi ascolta e anche attentamente.- Non so dirti cosa mi ha preso, perdonami.
La guardo ancora, per poi aprire la porta e lasciarla lì da sola, ancora non mi capacito di ciò che ho fatto, avrei dovuto rimediare in qualsiasi modo perché non era colpa sua se la mia vita è tutta una farsa.
 
***
Sono qui da sola.
La musica è così forte che pervade anche questo stanzino dimenticato da Dio, mentre la mia mente è pervasa da pensieri che fanno quasi male.
Ripenso alle sue parole.
“Perdonami, non ho resistito all’impulso di baciarti.”
Non so se a quella frase mi dovevo sentire lusingata, poiché lui stesso mi aveva spaventata, spaventata a morte.
I suoi baci bruciavano come fuoco e le sue carezze facevano male come pugni, era come se mi odiasse, ma allo stesso mi amasse e questo non riuscivo a capirlo.
E’ un bell’uomo, più grande di me sicuramente, ma ciò che non capisco il suo comportamento: che si sia ferito apposta perché sapeva che lo avrei portato qui? Come faceva a sapere dove lavoravo? Aveva davvero degli amici in questa città? E chi erano per conoscermi?
La testa pulsa dalle mille domande e dal dolore provocato dal pianto, perché si è fermato quando si è accorto che stavo piangendo? Perché non ha continuato come avrebbe fatto ogni altro uomo? E l’abbraccio? Che significava tutto questo?
Mi asciugo il volto con la mano, per poi farla scendere lungo il collo ancora caldo dai suoi baci e un brivido percorre tutto il mio corpo.
Decido di rimandare i mille punti interrogativi a dopo e di ritornare dietro al bancone del bar. 

  
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