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Autore: ChandersonLover    03/01/2013    2 recensioni
Ship: Grant Gustin - Nuovo Personaggio
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
"Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.
Lui.
La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.
Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici. Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…
E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.
Lui sta piangendo per me.
Grant Gustin.
Grant sta piangendo per me. "
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Grant Gustin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                        Capitolo 3
 
 
“Non se ne parla.” Fu l’unica cosa che dissi, prima di tornare a studiare.
 
Restai per qualche minuto, in silenzio, fingendo di concentrarmi sull’Amleto, sentendo gli occhi di Ludovica fissi su di me.
Sapevo perfettamente come sarebbe andata a finire: non avrebbe smesso di fissarmi, finché non avrei ceduto.
Tamburellai con le dita sulla scrivania, innervosendomi.
Non potevo cedere.
 Non adesso che la mia vita stava prendendo la giusta piega. Andare a Milano per… cosa? Inseguire uno stupido sogno? Inoltre, se nel caso fossi riuscita ad incontrare quel sogno, cosa avrei potuto dirgli?
Ciao sono io la tua stalker, grazie per aver reso la mia vita un’enorme sfera di follia?”
 
Certo, per lui di stalker, impazzite ai suoi piedi, ce ne saranno tante, io non sono stata né la prima, né l’ultima, ma di certo non ero  più una ragazzina. Non potevo correre a Milano per scodinzolare al suo cospetto. Ne valeva la mia salute mentale e un pizzico di quell’autostima che mi sono creata, provando a dare un senso alla mia vita.
Io non sono una delle sue tante ragazzine, pronte ad uccidere per un suo sorriso.
L’ho supportato. Ho urlato contro il mondo, quando qualcuno offendeva la sua musica. Ho passato notti insonni, sperando di riuscire a parlarci su quel dannato computer. Ho lasciato che la mia fantasia volasse per anni, ma ne avevo abbastanza.
Non mi serviva un altro idiota pronto a deridermi.
Non volevo andare a Milano e fare un buco nell’acqua, per avere un ridicolo saluto dal suo piedistallo. Avrebbe soltanto rovinato ciò che ho provato a creare di me e sapevo di avere troppa poca stima di me stessa, per non caderci.  Sapevo già che andando a Milano e ricevendo, come giusto che sia, una porta in faccia, sarebbe stato soltanto deleterio per la poca considerazione che ho di me stessa.
 
Sentii Ludovica sbuffare e sapevo che non mi avrebbe lasciato in pace, facilmente.
Mi voltai alzando le braccia, interrogativa.
 Mi guardava a braccia conserte, come se volesse uccidermi. E l’avrebbe fatto.
Anche io, se avessi sopportato i miei anni di sproloqui, su  Grant, dall’esterno, ora vorrei uccidermi. Non esiste che passi la vita a parlare costantemente  di qualcuno che sembra riempirti le giornate e quando ti si presenta, su di un piatto d’argento, tu fingi di non averne più interesse. E’ da stupidi e da lunatici. Ma in fondo, è parte di me:
Un giorno ti amo, l’altro decido di cancellarti.
Ed è quello che ho deciso di fare due mesi fa, al mio compleanno. Ed ora… Ora che ci ero riuscita, ora che la mia vita stava prendendo una piega normale, questo dannato ragazzo mi stava mandando al manicomio, di nuovo. 
 
“Ludo ti prego, non guardarmi così. Ti ringrazio. Grazie per essere corsa in mio aiuto. Grazie per aver preso questi biglietti. Davvero. Grazie.
Ma… credimi. Io non posso venirci. Non posso! Non ho idea di cosa potrei fare, arrivata a Milano… Lo guardo dimenarsi su una passerella? Mi faccio firmare un autografo e… poi?”
 
“E poi accompagni la tua migliore amica alla settimana della moda. Sai che voglio specializzarmi in “lingue per moda e marketing”, questa settimana potrebbe soltanto giovare alla mia, nostra, carriera. Anche tu hai detto che avresti voluto intraprendere la specializzazione in “moda giornalistica estera”… Quindi, se si tratta di studio, stai soltanto prendendo due piccioni con una fava. Per la prima volta, ci buttiamo a capofitto nel nostro futuro e se questo porterà ad una parola con la tua ossessione adolescenziale, ben venga!”
 
Respirai a fondo sapendo che avrebbe avuto sempre la risposta pronta. Non avevo scampo. Effettivamente la moda giornalistica estera è il mio sogno.
Sogno me, redattrice di un “Cosmopolitan” magari a Londra o Vienna, ma… ovviamente è soltanto un sogno. Sono ancora al secondo anno, non so nemmeno se prenderò la prima laurea, figuriamoci se inizio col sognare nella mia specialistica. Però, in ogni caso, se davvero avessi voluto crederci, almeno un istante, la settimana della moda, sarebbe stato un ottimo esempio di vita futura.
Se avessi voluto davvero intraprendere questa carriera, a Milano ci avrei dovuto passare ogni settimana della moda, nei prossimi quarant’ anni … quindi, perché non provare?
Dopo aver riflettuto a lungo, guardai Ludovica, che scrutava la mia espressione accigliata e dissi: “Non abbiamo dove dormire…” sottovoce.
“E’ un si?” urlò, iniziando a saltellare verso di me.
“E’ un –non abbiamo dove dormire-“
“E se ti dicessi che mia cugina abita in un appartamento in comune con due ragazze, e ha una stanza completamente libera?
 Ok dovremmo stringerci, c’è solo un letto singolo, compriamo un sacco a pelo, ovviamente tu dormirai a terra, ma è gratis e …”
Non finì la frase, perché vide la mia testa annuire e le mie labbra accennare un sorriso.
Senza parlare ci capimmo al volo e mi saltò al collo.
Iniziammo a saltare per la mia stanza, pensando a quanto questa settimana sarebbe stata un sogno.
 
Milano.
La settimana della moda.
Grant Gustin.
Cosa avrei potuto desiderare di più?
 
Ed eccomi lì, guardando chissà cosa, fuori dal finestrino del mio Intercity, affrontando un viaggio di oltre sei ore, pensando all’enorme cazzata che stavo facendo, ma a quanto io fossi eccitata nel farlo.
Ludovica, nella settimana seguente, quella precedente alla partenza, non fece altro che fare shopping per entrambe, per prepararci ad essere al meglio. Effettivamente se non mi avesse comprato qualcosa di decente, nemmeno mi ci avrebbero fatto entrare in fiera. Erano anni che, pur di risparmiare, non compravo nulla di nuovo, uscendo trasandata e con vecchi vestiti, ma lei, la mia migliore amica… sapeva sempre cosa fare. La sua famiglia è benestante e comunque il suo lavoro di Hostess, nei centri commerciali, è ben pagato, quindi rispetto a me, può concedersi qualche piccolo lusso ogni tanto.
 
Di tanto, in tanto,  mi voltavo e la guardavo ridendo. Era eccitatissima. Ci conosciamo da quasi 15 anni e mai ho acconsentito ad una follia del genere. Ma in fondo… ne valeva anche la mia carriera, no?
Oltre che, finalmente, dopo quattro anni, anche solo per un attimo, avrei potuto specchiarmi in quei dannati occhi verdi, che avrei riconosciuto tra mille, seppur io non li avessi mai visti davvero.
Quegli occhi verdi che, per me, non hanno rivali.
Quegli occhi verdi che sanno di verità.
Sanno di lui.
Sanno di me.
Sanno di quella pazzia che… col senno di poi, rifarei all’infinito.
 
Arrivate a Milano, l’11 giugno, ci recammo a casa di sua cugina, non avendo idea di come, quelle due settimane, avrebbero potuto essere.
Sapevo soltanto che il giorno dopo, sarei andata in fiera e un certo sogno avrebbe finalmente potuto realizzarsi. Anche un solo sorriso… mi sarebbe bastato quello e poi, finalmente, avrei potuto dedicare il mio tempo al mio sogno: La moda.
Avrei preso appunti per la mia tesi di laurea.
Avevo già tutto impresso nella mente, seppur mancasse un anno: Sarebbe stato un vero magazine, con foto di modelle, articoli su spettacoli teatrali e rigorosamente scritto in inglese. Avrei riportato la mia esperienza Milanese nell’introduzione, come una vera redattrice e … Avrei stupito l’intera commissione.
 
O almeno…. Era quello il piano.
 
 
 
                                                          ***
 
 
12 giugno
 
 
Dopo aver fatto una fila chilometrica ed essere riuscite ad avere i Pass per entrambe le settimane, essendo studenti di Lingue e Comunicazioni, ci sedemmo nelle prime file, essendo arrivate in largo anticipo.
Ludovica era splendida, sembrava dovesse partecipare ad un galà, nel suo vestitino blu notte e nei suoi capelli raccolti.
Io, dal canto mio… avevo optato per la semplicità:  tailleur nero (giacca e gonna) e camicia bianca. Almeno, sembrava fossi lì davvero per  una futura professione.
Questo volevo che credessero.
Di certo non mi sarei abbassata a fare la fan impazzita, lì per un cenno di mano, dalla star.
Si perché della star c’era già lo zampino ed era fin troppo evidente.
Cartelloni di Dolce e Gabbana, con lui in biancheria intima erano ovunque, sia nella fiera, sia nelle strade milanesi ed io, non facevo che sussultare ogni volta che vedevo quello sguardo serio, guardarmi da quei dannati cartelloni.
Ovviamente, non mi ero presa la briga di dirgli che sarei andata anch’io a Milano.
Se dovevo giocare, lo avrei fatto a modo mio. Avrei visto la sua reazione. Se mi avesse trattato come una ragazzina urlante, come le centinaia che si erano presentate, avrei decisamente cambiato strada e sarei tornata nel mio appartamento, scrivendo la mia tesi.
Senza rancori.
 
“Hai visto quante ragazze sono venute? Le hai chiamate tutte tu?” mi chiese Ludo, guardandosi intorno stupita.
“Io? Sinceramente non avevo voglia di fare la capo fan impazzita. L’ho detto a qualche amica, ma non so come la voce si sia sparsa così velocemente.” Le risposi, sussurrando.
E’ vero mi aveva chiesto quel favore e glielo avevo fatto, ma di certo dirlo ad una decina di persone, non pensavo portasse quest’affluenza.
“L’avrà chiesto a qualcun altro” supposi ad alta voce, sospirando.
Ludo si voltò di scatto, notando il mio disappunto. E, da vera amica, mi prese la mano.
“Peggio per lui.” Disse, applaudendo all’inizio della sfilata.
 
La giornata passò in fretta e quasi non pensai a lui. Presi appunti, feci foto e ci divertimmo tanto a giudicare ogni vestito come se fossimo una giuria. Stavo vivendo davvero un’esperienza indimenticabile e tutto questo era grazie alla mia migliore amica e alla sua intraprendenza.
Ogni tanto mi voltavo e guardavo gli occhi sognatori del gruppetto di ragazzine impazzite, pensando che forse… un annetto fa, sarei potuta essere anche io tra loro. In prima fila, con quella stupida maglietta, col suo volto stampato sopra.
 
Stavo prendendo appunti sulla presentazione del nuovo profumo Hugo Boss e le sue fragranze quando una voce dal palco mi fece sobbalzare.
 
“Sono le 17.00, questo vuol dire che la nostra prima giornata sta volgendo al termine e, come da tradizione… A chiudere la sfilata sarà il nostro ospite speciale, che ci farà compagnia per tutti i giorni di questa fantastica avventura!” annunciò Cristina Chiabotto, presentatrice ufficiale della fiera.
 
Mi misi a sedere dritta, consapevole che la giornata era arrivata al termine con troppa fretta. Ero talmente impegnata a fingere di non essere nervosa, che non avevo visto l’ora.
Ludo, capendo la mia ansia, mi prese, di nuovo, la mano sorridendo felice.
 
“Signori e signori… Presentiamo con piacere, la nuova collezione intimo, uomo e donna, D&G e il nostro fantastico ospite… Grant Gustin”
 
Attimi.
Quegli attimi talmente lunghi che sembra che tu non stia più respirando.
Urla, da stordirsi. Testa nel pallone e voglia di scappare.
Ecco cosa pensai in quel momento:
Volevo scappare.
Avevo aspettato quell’istante tutta la vita e alle 17 di quel maledetto 12 giugno io pensai soltanto che volevo scappare.
Paura. Ansia. Stupidità. Non so cosa mi prese, ma non ero pronta.
Non avevo idea di cosa mi avrebbe portato guardarlo da così vicino.
Forse avevo soltanto paura che, dopo 4 anni, mi ero talmente illusa che fosse l’uomo perfetto e invece, a pochi passi da me, sarebbe potuto cadere quel mito.
Forse pensai che era tutta mia fantasia e lui non era altro che un ragazzo normale, con una bellezza leggermente superiore e una voce da fare invidia. Nulla più.
E fu così, che la musica partì, decine di bellezze superiori, sfilarono in biancheria intima. Ragazze perfette. Ragazzi perfetti. Ma io non stavo guardando.
Ero nel buio più totale. Non mi ero nemmeno accorta che la mano di Ludo che stringeva la mia, mi stava strattonando, capendo il mio momentaneo stato di trance, dovuto all’ansia.
Forse mi strattonò troppo forte. Mi cadde il taccuino e io tornai alla realtà.
Mi abbassai in fretta, imprecando. Avevo preso appunti tutto il giorno, non volevo che si rovinasse. Doveva arrivare intatto a casa, dove avrei ripreso il mio studio.
 
Lo presi, da terra e lo ripulii, ancora abbassata. E, come in un film, urla impazzite ritornarono a rimbombarmi nella mente, in un semplice attimo.
Mi alzai di scatto, quasi cascando dalla sedia e sentii solo la mano di Ludo, stringere il mio braccio.
 
Fu l’ultima cosa che sentii.
 
Non c’erano più urla.
Non c’era più la musica.
Non c’erano più decine di modelle super sexy su quel palco.
C’era soltanto lui.
 Una canotta nera che traspariva ogni muscolo dei suoi bicipiti e uno stretto slip in tinta, con una piccola scritta “Dolce e Gabbana” sull’elastico.
Espressione seria, professionale… da vero attore.
Ed io ero in prima fila, guardando quello spettacolo che, ai miei occhi, risultò pura… perfezione.
Me ne stavo lì a bocca aperta con Ludovica che mi sussurrava parole per me incomprensibili.
Forse mi stava dicendo soltanto di fingere che non fossi una statua e muovermi perché proprio in quell’istante, un quasi impercettibile movimento del suo viso, sembrò fosse rivolto a me.
 
Abbassò lo sguardo per guardare la sua folla ed io ero lì, stringendo un piccolo quaderno, incapace di respirare. E… per un attimo, forse folle, forse immaginario, sembrò davvero che avesse accennato un sorriso a me.
 
E fu lì che persi il senno.
 
Mi alzai di scatto, prendendo velocemente la mia borsa e senza guardare ancora verso quella passerella, me ne andai.
L’unica cosa che riuscii a sentire furono i passi veloci, sui tacchi di Ludo, ancora urla impazzite e quella voce che in un’orribile italiano diceva:
“Grazie a tutti. Ci vediamo domani!”
 
 
Corsi fuori col cuore a mille. Mi era bastato guardarlo negli occhi per capire che avevo fatto un’enorme cavolata ad andare a Milano.
Non ero pronta. Non sapevo come comportarmi. Non sapevo cosa dire e, a quel punto, ero certa che mai e poi mai avrei avuto la forza di avvicinarmi a lui.
A quegli occhi. A quel sorriso. A quella perfezione.
Di una cosa ero certa… In tutti questi anni non mi ero sbagliata: Lui era perfetto, troppo perfetto ed io ero soltanto fuori luogo.
Non ero più dietro uno schermo e una stupida foto, venuta bene, grazie alla fortuna del momento. Adesso c’ero io, in tutta la mia semplicità, in tutta la mia sbadataggine, in ogni mia piccola follia. E nessun computer avrebbe potuto nascondermi o proteggermi da tutto questo.
 
“Betta, fermati!! Dove scappi?” mi urlò Ludo, correndomi dietro.
Mi fermai, respirando l’aria fresca del pomeriggio milanese, riprendendo padronanza del mio corpo.
Scrollai le spalle e mi voltai verso di lei, fingendo di sorridere.
“Andiamo a casa” dissi semplicemente, avviandomi alla metro.
“Ma…?”
“Ma nulla Ludo. La giornata era finita, non c’era più nulla da vedere” tagliai corto.
Come sempre, da grande amica, non disse nulla. Incassò e mi seguì in silenzio, aspettando che prima o poi, sarei stata io a parlarle.
 
Seduta in metro, mi calmai ma… quegl’occhi, quel sorriso accennato, non avevano intenzione di lasciarmi. Era come se fosse ancora lì, davanti a me, mezzo nudo e non ci fosse nessun altro.
 
Ludo, che stava aspettando una mia spiegazione, giocherellava col cellulare, fingendo di non darmi corda. Sorrisi, pensando che la sua mente stesse scoppiando di domande.
Io avevo Grant Gustin davanti ed ero scappata e lei, evidentemente, non ne capiva il perché.
“Non ho retto.” Buttai lì, sapendo che avrebbe capito.
Sobbalzò dalle mie improvvise parole e si voltò verso di me, interrogativa.
“Ti ha notata…” disse, facendomi tremare.
Scossi la testa.
“Eravamo in prima fila, avrebbe guardato chiunque”
“No Betta. Anche io ero in prima fila… non ha guardato chiunque.”
“Ma come? Non sa nemmeno chi sono. Quasi non somiglio a quella foto…” dissi, provando a convincermi che io e Ludo ci fossimo inventate tutto.
“Ma dai!! Sa che sei tu. L’ha sempre saputo. Ti avrà studiata bene, prima di contattarmi. Quelli come lui non si fanno sfuggire nulla!” disse facendomi tremare, ancora.
E se fosse stato vero? Se, quando mi ha scritto era andato a studiare il mio profilo?
No. Grant Gustin non ne avrebbe avuto il tempo. Avrebbe avuto di meglio da fare, che guardare mie stupide foto.
Ah dannato twitter, dannato Grant, dannata vita! Maledico il giorno che mi sono iscritta a questi stupidi social network, soltanto per seguire ogni sua mossa.
 
Tornammo a casa e, stanche morte, mangiammo un panino in fretta e ci chiudemmo in camera.
Aveva mantenuto la promessa: lei sul letto ed io a terra sopra un sacco a pelo.
Non avevo nemmeno provato a ribellarmi, in fondo… eravamo lì grazie a lei ed io dovevo accontentarmi del pavimento.
Mi fece la linguaccia, chiedendo “La moquette è comoda?”
“Comodissima…” risposi, facendole il verso.
 
Erano l’1 di notte e da poco ero riuscita a trovare una posizione che non mi facesse impazzire, quando il cellulare vibrò ed io sussultai, prendendolo, imprecando dalla scrivania.
Chi diavolo era a quell’ora della notte?
 
 
“Ok forse a volte metto in soggezione le persone. Ma nessuno prima d’ora era scappato.
Dove sei finita? :( “
 

 
Ed eccomi qui, col 3 capitolo per te. Ovviamente è d'istallo. Dal prossimo inzia la vera avventura.
Spero davvero ti piaccia.
Ti voglio bene
Vale ♥
   
 
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