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Autore: MightyZuzAnna    03/01/2013    1 recensioni
Una figura misteriosa correva nel cuore della notte lungo le antiche mura della città rincorsa da un paio di guardie. La figura era avvolta in un lungo mantello nero, il cappuccio gli copriva gran parte del volto. Lo sconosciuto si fermò davanti al muro, si girò e si vide circondato da altre guardie, gli puntarono una forte luce ed egli abituato al buio della notte, si coprì per metà il volto col braccio, qualcosa da sotto l’arto e il cappuccio sbrilluccicò. Involontariamente scostò un po’ il tessuto rivelando in parte una maschera nera e bianca a forma di farfalla. Le decorazioni nere e argentee brillavano come piccoli diamanti. Lo sconosciuto ghignò nonostante non avesse vie di fuga, eppure la notte del 14 luglio 1766, la figura conosciuta come il ladro più ricercato del secolo detto anche ‘Butterfly’ scomparve lasciando al suo posto, come ricordo della sua esistenza, la maschera a farfalla. A più di tre secoli di distanza, la leggenda del ladro ‘Butterfly’ ritornò più viva che mai.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elisewin si era fatta donna: lunghi capelli castano dorato, che scendevano in boccoli lungo la schiena, corpo longilineo e sinuoso, grazie anche agli allenamenti intensivi della Sorella. Profondi occhi blu mare, labbra sottili e perennemente increspate da un sorriso beffardo, e uno spruzzo di efelidi sul naso leggermente a patata.
Ella aveva un compagno d’allenamenti: Axel.
Axel dall’essere un bambino mingherlino con il volto spigoloso, divenne un uomo vero e proprio. I capelli ebano erano perennemente spettinati, gli occhi neri come il carbone sembravano rilucere di vita propria quando parlava con qualcuno con cui aveva un rapporto sincero e onesto, soprattutto con mia sorella.
Si era alzato di molti centimetri, raggiungendo quasi il Padre; aveva una corporatura media, né troppo magro, né troppo muscoloso.
I due si stavano allenando all’arena in cortile, osservati dagli altri dell’organizzazione che scommettevano sulla vittoria di uno e dell’altro, quando, come una furia, la Sorella scese in cortile, dirigendosi a passo di marcia verso di loro. Il pubblico ammutolì, aspettandosi di tutto da quella donna. Tutto tranne che interrompesse l’allenamento per prelevare personalmente Elisewin e portarla nelle sue stanze. Axel guardava la scena attonito, con ancora il fiatone e qualche gocciolina di sudore che scivolava lungo la linea del collo. Egli scavalcò la staccionata e mosse qualche passo incredulo: non era mai successo che la Sorella interrompesse un allenamento, specialmente se appena iniziato.


Ciò che si dissero Elisewin e la Sorella, lo seppi solo in seguito. Ella l’aveva convocata per annunciarle che entro qualche giorno ci sarebbe stata la sua nomina come ladra. Come si vuol usare nella nostra organizzazione, le daranno un nome in codice e avrà il preciso compito di rubare rari artefatti.
Qualche sera dopo ci fu finalmente la cerimonia. Non potei partecipare: solamente gli altri ladri potevano entrare in Quella sala.
Elisewin mi confidò che fosse una sala non molto grande, spoglia se non per alcuni busti raffiguranti la Famiglia e gli arazzi con disegni astratti, raffiguranti a volte figure mitologiche come i draghi. Mi narrò di un arazzo in particolare, che ricopriva tutta la parete ovest, color dell’ocra, raffigurante un altare posto in una grotta, in mezzo a due grandi cascate, e al centro di esso vi era qualcosa dalla forma ovale che sprigionava una luce potentissima, illuminando interamente il luogo. Un mito, le dissi in risposta al suo sguardo luminoso, pieno di meraviglia e di un sentimento che non riuscì a definire. Lei non disse più una parola, offesa, e se ne andò senza rivelarmi il suo nuovo nome. Da quel momento in poi Elisewin mi evitò, a stento mi salutava in mensa e stava costantemente con la Sorella o gli altri ladri, trascurando gli allenamenti con Axel e quei pochi amici che si era fatta. Sunset l’aveva trasformata.


Andando in giro per la città scoprì circolare una voce su una donna mascherata che si aggirava di notte a rubare denaro e gioielli ai ricchi, per poi venderli in cambio di qualcosa. Capì subito che il gruppetto di donne ferme dal fruttivendolo stessero parlando di Elisewin, così una sera aspettai che uscisse dai suoi nuovi alloggi, riservati ovviamente ai ladri e nessuno, a parte le domestiche, poteva entrare, per pedinarla, ma lei era furba: attesi invano dietro una colonna di vederla emergere dall’oscurità del corridoio, ma Elisewin era uscita da un’altra via, una porta che usavano esclusivamente i ladri e di cui nessuno sapeva l’ubicazione esatta. Tutta la faccenda iniziava a stizzirmi. Chiesi aiuto ad Axel, che risentito mi scacciò in malo modo dicendo che non voleva saperne nulla e di lasciarlo in pace. Ero sola nella ricerca della verità.

Qualche mese dopo trovai una lettera anonima abbandonata davanti alla mia camera. Non riuscivo a riconoscere la scrittura svolazzante e disordinata, ma la persona che me l’aveva mandata mi prometteva di farmi sapere tutta la verità e di incontrarci a mezzanotte nel retro del cortile a est.
Così, la sera dopo, mi appostai in giardino ad attendere. Passarono le ore e quando ormai pensavo di andarmene, sentì una voce chiamarmi e ordinarmi di mettermi dietro a un albero e di non muovermi. Io obbedì, desiderosa di sapere cosa stavano facendo a mia sorella. Quello che mi disse mi rimase impresso nella mente.

«Elisewin è in pericolo» disse da dietro l’albero, parlando così a bassa voce che non riuscì a distinguere se fosse maschio o femmina.
«Cosa?» dissi entrando nel panico. Perché ero ancora lì? Dovevo correre a chiedere aiuto.
«Fermatevi» sussurrò l’ombra con voce ferma, intuendo le mie intenzioni.
«Ma Elisewin è in pericolo!»
«Sunset l’ha messa in pericolo.»
«Spiegatevi!»
«Entrare nell’organizzazione, entrare a far parte di quei ladri, l’ha messa in pericolo. Il Padre e la Sorella hanno in mente di darle una missione pericolosa. Deve fare la guardia a qualcosa di prezioso, ma…» fece una pausa che a me sembrò durare ore; sentivo il cuore battere nel pezzo, terrorizzata dalla possibile conclusione della frase, «ma potrebbe non uscirne viva»
«No» gemetti.
«Dobbiamo aiutarla»
«Come?»
«Questo ancora non lo so. Ma Vi terrò informata»
Annuì e con le gambe tremanti mi avviai verso gli edifici, ma ancora una volta fui fermata dalla voce. «Immagino che Voi non sappiate ancora come si chiami»
Scossi la testa, dimentica che al buio della notte non potesse vedermi. «No»
«Butterfly»

 


Sora sussultò quando la finestra si aprì sbattendo: fuori infuriava una violenta tempesta. Si alzò dal letto e andò a chiudere le imposte, tremando per il freddo e le rivelazioni scritte in quel diario. Forse era meglio se per quella sera smettesse di leggere, si disse buttando un occhio alle pagine aperte.
Il telefono squillò, e con un tuffo al cuore si catapultò in corridoio per prendere la chiamata, sperando si trattasse di Felix. Kristen però infranse la sua illusione, chiamando per nome una sua amica.
Sora imprecò mentalmente contro il moro: perché non si decideva a chiamarla? L’aveva detto, no? E allora perché nonostante fossero passati due giorni ancora non l’aveva fatto?
«Maledizione!» imprecò, tirando un pugno, furiosa con se stessa. Perché diavolo ci rimaneva così male? Si sarebbero rivisti dopo una settimana!
Rientrò in camera sua, sbattendo la porta; sul volto un’espressione lugubre. Stette ferma in mezzo alla stanza, sentendosi per un istante sperduta. Persino la sua stanza le sembrava sconosciuta all’improvviso; quelle pareti spogli, il letto disfatto, i libri e i cd sparsi per tutto il pavimento le dicevano che ci viveva una persona disordinata, ma non riusciva a capire chi, sebbene sapesse che appartenesse a lei.
Chi era veramente lei? Una normale ragazza di diciassette anni o la pallida imitazione di essa? Sora o Butterfly?
«Maledizione» sussurrò, con un groppo alla gola e l’improvvisa voglia di buttarsi a terra e iniziare a piangere come una bambina.
Perché sulle sue spalle doveva pesare un peso così grande? Perché a lei?
Perché non poteva semplicemente tornare indietro nel tempo, quando ancora aveva a fianco i genitori e non era chiusa in quelle quattro sporche mura grigie, che tutti definivano “orfanotrofio” solo perché Emy era ancora minorenne?

Come poteva dimenticare il giorno in cui andò tutto a rotoli?

Era una domenica pomeriggio, i suoi genitori l’avevano portata al parco giochi approfittando della giornata di sole spuntata dopo un lungo periodo di freddo e piogge. Il terreno era ancora bagnato e di tanto in tanto scivolava, sporcandosi il vestitino che la mamma le aveva messo.
Il papà la stava dondolando dolcemente sull’altalena spingendola da dietro, mentre ella chiedeva di essere portata su, “fino a toccare i batuffoli bianchi”.
A un certo punto l’uomo si era fermato e aveva afferrato, con un’improvvisa forza, la figlia, stringendosela al petto; Sora provò paura: il papà non l’aveva mai stretta così tanto da farle male.
Non capì cosa successe in seguito. In turbinio di immagini sfocate e dai variopinti colori si ritrovò a terra, mentre vide i suoi genitori venire trasportati di peso e lei essere presa con forza il braccino esile, facendola urlare di dolore, e provando a dimenarsi, ma l’uomo cattivo le diede un pugno in faccia e la fece svenire con una pezza impregnata di uno strano odore dolciastro.
Si risvegliò dopo un tempo non precisato. Sentiva male alla guancia sinistra e al braccio, e non riusciva ad aprire bene l’occhio. Una donna sulla trentina, con uno sguardo estremamente dolce, stava bagnando una pezzuola per pulirle bene il volto sporco di terra e poterglielo, così, medicare.
«Dove sono?» chiese con voce fievole, assaporando, con una certa ripugnanza, il retrogusto metallico del sangue e di qualcosa di dolciastro. «Dove sono mamma e papà?»
«Io sono Madelaine. Tu come ti chiami?» si presentò ella, evitando accuratamente la domanda.
«Dove sono la mia mamma e il mio papà?» chiese Sora, sull’orlo delle lacrime. Si portò una manina chiusa a pugno sull’occhio sano, strofinandolo per togliere le piccole stille d’acqua salata. «Rivoglio la mia mamma!» esclamò, poi, in un pianto liberatorio.
«Ssssh, tesoro, va tutto bene. La tua mamma sta bene, fidati di me. Ti fidi di Madelaine?»
La piccina scosse la testa, ma non rifiutò una spalla su cui piangere, continuando per molte ore, finché, stremata, non si addormentò.
Nei giorni a seguire si dovette abituare alla vita lì dentro, soprattutto agli scherzi di pessimo gusti dei maschietti, i quali la facevano sempre piangere, per un motivo o per un altro.
Un bambino, di qualche anno più grande di lei, se ne stava sempre in disparte, con espressione indifferente scrutava tutto e tutti con occhi glaciali. In molte occasioni, Sora si ritrovò sotto il suo sguardo, e ogni volta un’angosciosa paura le attanagliava il cuore, facendola scoppiare a piangere e correre da Madelaine, una delle educatrici.
I bambini, un giorno, si riunirono in cortile in cerchio alla bambina e la presero in giro, per poi disperdersi qualche minuto dopo quando sopraggiunse il bimbo più grande. La rossa non ricordava il suo nome, non credeva di averlo mai saputo, ma di quel terribile giorno ricordò le parole di quel bimbo tanto freddo:
«Smettila di piangere»
«N-non posso»
«Smettila di piangere, o gli altri continueranno a prenderti in giro»
«M-ma…» provò a dire Sora, ma il bambino la interruppe bruscamente, facendola sussultare per la paura.
«Smettila di piangere! I tuoi genitori non torneranno a prenderti! Sei irritante! Capisco perché ti abbiano abbandonata qui!»
«La mia mamma e il mio papà mi vogliono bene!» piagnucolò la bambina, iniziando a sentire un moto di rabbia nei confronti di quel ragazzino che non sapeva nulla ma parlava.
«Ora vai pure da Madelaine a piangere, frignona!»
«Smettila!»
«Frignona! Frignona! Frignona!»
«SMETTILA!» urlò la bimba, tirandogli un pugno in pieno viso. I due presero a picchiarsi, continuando a insultarsi, e furono separati solamente grazie all’intervento della direttrice, avvertita da una delle educatrici. Mentre la donna cinquantenne faceva la predica ai due bambini, Madelaine curava le sbucciature che entrambi avevano su tutto il corpino.
I due bimbi da quel giorno stettero insieme, in uno strano legame di amicizia e solidarietà. Di notte lui la trascinava in “spedizioni punitive” verso le docenti e gli altri bambini che si comportavano male, facendole intravedere un lato del suo carattere che non lasciava trapelare durante il giorno.
Fu così che uno strano giorno, Sora e il suo amico si ritrovarono separati: una famiglia aveva deciso di adottarlo.
Madelaine scattò una foto di quell’addio: Sora con un cerotto sul naso, recente “ferita di battaglia”, con le guance gonfie in un moto stizzito per i capelli scompigliati dall’amico, che mostrava per la prima volta il suo sorriso davanti a tutti.

Sora doveva avere quella foto da qualche parte. Frugò in uno dei cassetti della sua scrivania, la trovò perfettamente preservata, con la cornice in legno che formava un intreccio. Sorrise nel ricordare gli scherzi che avevano combinato insieme, e quelli che in seguito si era ritrovata a fare da sola.
La sua espressione però si incupì nel ricordare di quando Emy si era presentata all’orfanotrofio, pretendendo di adottarla. Inutile dire che Sora si era ribellata, sostenendo che lì aveva compiti da svolgere, in quanto leader. La mora però non si era arresa ed era ritornata il giorno dopo, accompagnata da Mike, e poco a poco si fece apprezzare dalla bambina di appena nove anni, riuscendo a convincerla totalmente ad andare con lei. La direttrice aveva chiesto molte volte il motivo per cui volessero farla prima adattare, piuttosto che farlo una volta che era diventata la sua famiglia; Emy disse:
«Oh, perché mai dovrei costringerla a seguirmi, sapendo che sarebbe capace di scappare dalla finestra non appena mi distraessi?»
Predizione che in parte si avverò.
Sora aveva tentato molte volte, durante l’inizio della sua adolescenza, di scappare e girare il mondo, si era persino fatta i suoi primi piercing durante una di queste scappatelle.
Emy e Mike non sospettavano però che l’improvvisa ribellione della rossa fosse stata causata da un’improvvisa chiamata di un certo Williams. Egli le spiegò brevemente che i suoi genitori stavano bene e lavoravano per lui, come archeologi; ma, c’era sempre un fottutissimo ma, pensò furiosa ricordando quell’avvenimento, se voleva rivederli sani e salvi doveva obbedirgli: avrebbe dovuto rubare per lui alcune cose, fingendosi una ladra del ‘700, chiamata Butterfly, che, a quanto pare, era una sua antenata.
Le disse di pensarci e di dargli una risposta entro una settimana.
La ragazza si sentiva oltraggiata, chi era quel tipo per minacciarla in quel modo? Scappò di casa, fece di tutto pur di scappare da quell’assurda situazione. Iniziò a cercare disperatamente un’identità tutta sua, sentendosi fragile come una bolla di sapone, consapevole di poter crollare da un momento all’altro.

Era accaduto tutto troppo in fretta.

Poi, però, arrivò Felix, e tutto sembrò cambiare. Sora divenne più calma, avendo qualcuno della sua stessa età in giro per casa, potendo scherzare con lui e, in un certo senso, pensare a lui come a un membro della propria famiglia.
Il ragazzo, con la sua freddezza e la sua costante presenza, le aveva fornito un appiglio a cui aggrapparsi per sopportare il peso della doppia vita che conduceva. Ma ora che Felix se n’era andato, lei che cosa poteva fare, se non piegarsi sotto il suo stesso dolore?

Era sola.

La solitudine non le aveva mai fatto paura, essendo sempre circondata da persone, ma, mai come in quel momento, si rese conto di essere sola in mezzo a tanta gente, di essere un’anima in bilico sul filo di una lama sottile.

Una piccola, trasparente stilla d’acqua cadde dall’occhio destro, infrangendosi contro le sue mani strette a pugno. In poco tempo si ritrovò a singhiozzare, nel buio della sera e nel silenzio della casa addormentata.



L'Angolo della Sadica:
Allora come prima cosa: un grazie a Ema (
Guitarist_Inside) nel sostenermi, nel commentare, nell'essere mia amica e un sacco di altre cose... Grazie mille!
Un altro grazie speciale ai lettori silenziosi! Spero che un giorno io possa sentire la vostra voce ;)
Ebbene, siccome oggi, sono in vena di sproloqui e min**** farò le mie solite domande (forse) retoriche... Naaaah! Ultimamente sono in vena di riassunti velenosi XD
Allora... La scena si apre con le pagine del diario di Elizabeth, un tizio misterioso le manda una lettera e le dice che Elisewin è in pericolo... Bella roba! Ah, e poi le rivela a cuor leggero il nome della sorella: Butterfly. Viva la delicatezza. Ma tant'è.
Sora sussulta, sia per la rivelazione (ci voleva un'arca di scienza per capirlo) che per la finestra che si spalanca di colpo, ovviamente un'avvenimento messo così a caso U.U
Sempre a caso lei inizia a pensare al suo passato e scopriamo che ha vissuto in un orfanatrofio, dove tutti la prendevano in giro ma dove un ragazzino gli ha fatto imparare la verità delle verità: fregarsene degli altri e punirli in modo mooooooolto crudele U.U Ovviamente i due si devono separare perché una coppia di misericordiosi (credo un frate e una suora) adottano il bambino (sicuramente per sfruttarlo nelle miniere di carbone e diamante).
Quando Sora viene adottata da Emy (santa ragazza che ancora non so se è una parente parente o se deve un favore ai genitori di lei... bah) dopo qualche anno, quando inizia la fase adolescenziale, la chiama Williams, il bast*** di turno, che la minaccia di non farle più vedere i genitori se lei non avesse fatto Butterfly. Lei ricorda che si calma solo all'arrivo di Felix (che a proposito, sono passati due giorni e lui ancora non ha chiamato, tsé, il solito da una notte e via) ma ora che lui non c'è si sente taaaanto depressa... Diamole qualche barbie e una casetta delle bambole con cui giocare.....
Ok, finito riassunto acidello e vi saluto.
Ciao a tutti *muove la testa a ritmo di Kick in the teeth*
Sadako Kurokawa

  
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