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Autore: shesafeandsound    04/01/2013    3 recensioni
"Continuai la mia corsa ed una volta che fui fuori dallo stabilimento mi precipitai in macchina. La schiavai, lanciai la borsa blu nel sedile del passeggero e trattenni un grido quando mi misi seduta e una volta lasciato passare il dolore, uscii dal parcheggio senza curarmi troppo delle macchine che avrebbero potuto venirmi contro. Non vedo molta differenza fra essere morta e condurre la vita che facevo io."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ogni tanto la cena si interrompeva per fare delle domande sul mio futuro, su possibili traslochi e tante altre cose che non mi interessavano particolarmente. 
 
"potresti passarmi il sale?" mi chiese Nathan indicando la saliera vicino la bottiglia d'acqua. 
 
"subito!" risposi in modo troppo allegro. un sorriso si fece spazio sulle sue labbra e mi accorsi di essere stata ridicola ad usare quel tono, come se non aspettassi altro che sentire la sua voce.

presi la saliera ed allungai il braccio sinistro, la prese in modo delicato, come se fosse una delle cose più preziose al mondo e poi mi ringraziò cortesemente. salò l'insalata che aveva nel piatto e poi passò il sale a sua madre.

 
"Allora, April, ti è piaciuta la cena che ha preparato Katerine?" mi chiese mio padre.
 
"oh ma davvero hai preparato tutto te?" gli domandai esterrefatta, lei annuì in segno di risposta ed io mi affrettai a riempirla di complimenti "è veramente tutto delizioso, sei una cuoca eccellente!" esclamai  lasciando andare la forchetta per poi pulirmi la bocca con il tavogliolo di stoffa bianco.

ci alzammo dal tavolo. io e Nathan aiutammo a portare tutti i piatti sporchi in cucina ed ogni tanto ci scambiavamo delle battutine, lui mi guardava ed io abbassavo lo sguardo per non arrossire. mi sentivo come nuda sotto i suoi occhi azzurri e profondi.

 
"vi va di andare a prendere un gelato?" chiese sua madre sistemando una sedia per poi illuminare tutta la sala con un sorriso immenso. ma dove la trovava tutta quella vitalità, quella donna?
 
alla fine ci sembrò una buona idea ed uscimmo. ci incamminammo verso la gelateria più vicina a casa nostra e io e il dio greco camminavamo lontani dai nostri genitori perchè loro erano troppo lenti, per i nostri gusti. stavo amando quella serata, mi sembrava tanto una di quelle che vivevo quando avevo una famiglia unita senza problemi.
 
"comincia a fare fresco" notò Nathan passandosi la mano fra i capelli per poi guardarsi attorno.
 
"un po' sì ma diciamo che ormai l'estate comincia ad abbandonarci" risposi cercando di mantenere viva la conversazione.
 
"purtroppo è vero. allora il prossimo anno farai il quarto, giusto?" domandò puntando gli occhi sulle mie mani che si sfregavano contro le braccia per riscaldare la pelle nuda. "hai freddo? vuoi che entriamo in un locale dove si sta meglio e tira meno vento?" mi chiese preoccupato.
 
"oh no, no stai tranquillo! un po' di fresco non mi farà male" esclamai sorridendo "comunque si, il quarto. mentre...te?"
 
"va bene, come vuoi ma se cominci a starnutire entriamo da qualche parte e non ci muoviamo finchè non si calma il vento" disse.

colsi un po' di comicità in quella sua frase come se non volesse dimostrare che si preoccupava per me poi così tanto. mi rivolse un sorriso dolce e poi continuò il suo breve discorso
"io quest'anno farò il terzo anno d'università. ma sai che sembri molto più grande?"
 
"davvero?" chiesi con stupore. mi piaceva il fatto che mi avesse osservato tanto da farsi un'idea sulla mia età.
 
"sì...non so, sembri più matura" 
 
"bhe grazie, lo prendo come un complimento" dissi sorridendo, dovetti alzare testa e occhi in alto per vederlo tanto era alto.

da quaggiù era ancora più bello. potevo seguire con lo sguardo il disegno del suo volto, vedere la punta del naso che era leggermente quadrata, il suo labbro inferiore che era più grosso di quello superiore e poi c'erano quei suoi occhi così intimidatori che erano leggermenti incavati ma per quanto erano luminosi risaltavano subito. quando si accorse che stavo studiando ogni piccola parte della sua faccia mi sorrise, lasciò uscire dalla sua bocca un accenno di risata e si massaggiò il mento con l'indice. era bello e sapeva di esserlo. tutto ciò mi intrigava da morire.

 
"non ti ho mai visto in giro, eppure questo quartiere non è grande" mi disse per smorzare la tensione.
 
"esco molto poco e quando esco vado il più lontano possibile" gli spiegai.
 
"ah sì?" mi domandò divertito. "e dove vai?"
 
"lontano, in qualche posto che mi restituisca la calma e mi rimetta in pace con il mondo" esclamai abbozzando una risata.
 
"quindi scappi" mi fece notare continuando a sorridere. evidentemente, questa conversazione lo stava divertendo molto.
 
"si, credo si possa chiamare anche così"
 
"e perchè scappi?" domandò piegando leggermente la testa per guardarmi meglio.
 
"quante cose che vuoi sapere!" sbottai. va bene che sei bello ma non puoi farmi il terzo grado.
 
"ok, scusa, non pensavo ti desse fastidio parlarne" ammise con un tono colpevole.
 
"no, stai tranquillo, semplicemente preferisco cambiare argomento, ci penso tutti i giorni a questo." spiegai riprendendomi dall'uscita poco cortese di prima
 
proseguimmo la nostra camminata silenziosamente, guardavo le macchine correre a destra e a sinistra, fermarsi ai semafori rossi e, spesso, ignorarli del tutto. c'era chi sbraitava al telefono e chi era seduto su una panchina con in mano chissà quale romanzo. urla di bambini risuonavano nel quartiere, era tutto così... vivo. da troppo tempo non uscivo fuori dai miei problemi, da troppo tempo non guardavo più fuori dalla finestra sperando in giorni migliori, semplicemente mi ero arresa che le mia vita sarebbe rimasta tale fino al giorno in cui qualcuno avrebbe avuto pietà di me e mi avrebbe chiamato a vita oltreterrena.
Nathan mi toccò il braccio e chiamò il mio nome, io mi girai di scatto e ci ritrovammo più vicini di quanto mi aspettassi, più di quanto avessimo mai potuto programmare.
 
"stai bene?" mi chiese dopo il momento più imbarazzante e più bello della mia vita. il suo alito profumava del vino che suo padre aveva portato come omaggio per la cena. delizioso.
 
"sì, sì scusami. mi ero immersa troppo nei miei pensieri... mi capita spesso" ammisi più come una riflessione personale che come una risposta
 
"solo gli stupidi non si perdono nei loro pensieri" esclamò sorridendo. "a cosa pensavi? se non oltrepasso troppo il confine, ovvio"
 
"pensavo che è da troppo tempo che non mi fermo a guadare fuori dalla finestra, non mi ricordo neanche da che parte gira il mondo!"
 
Nathan sorrise e mi indicò la gelateria, quindi ci mettemmo in fila.
 
"dovresti pensare un po' più a te stessa e a scoprire cose che non sai, è questa la chiave della felicità, signorina April." mi consigliò con un tono nettamente superiore, molto adatto alla sua nobiliare classe d'appartenenza ma dietro questa facciata c'era una ragazzo simpatico, a cui brillavano gli occhi e che non voleva rimanere confinato nelle quattro mura della sua dimora.
 
"ha pienamente ragione, signor Pierce" improvvisai.
 
"è per questo, signorina, che vorrei invitarla, la prossima settimana, alla mia solita e noiosa domenica che potrebbe essere allietata dalla sua presenza...cosa ne dice?"
 
"ne sarei estremamente onorata, mio signore" 
 
continuammo ad improvvisarci personaggi di altri tempi della classe aristocratica, non curandoci degli sguardi strani che venivano scambiati dalle persone che erano in fila. mi stavo divertento come mai prima, forse ridevo solo perchè ero troppo nervosa ma non mi importava, non volevo sapere la motivazione. una volta tanto, stavo bene.
 
"ok, tornando seri...che gusti prendi?" mi chiese mantendendo il sorriso stampato in faccia.
 
davanti a noi c'erano tantissimi gusti, dal cioccolato nocciolato alla macedonia e, come mio solito, ero indecisa quindi chiesi a lui di scegliere per entrambi.
 
"va bene...allora... -anche lui, per una volta, sembrava indeciso, sembrava non sapere cosa dire- prendiamo due coni grandi entrambi con doppia panna, cioccolato fondente, fragola e fior di latte."

prese i due coni in mano e mi chiese di prendere il portafoglio dalla tasca dei suoi pantaloni. quella davanti a destra. nel prendere il portafoglio, la mia mano si fermò a studiare la sua coscia da sopra il tessuto, mi veniva già un nodo alla gola. gli chiesi di poter pagare io ma lui si oppose ripetutamente e a quel punto, solo perchè la gente dietro di noi cominciava a sbuffare, dovetti cedere e consegnare i soldi che io stessa presi dal suo portafoglio. ci facemmo strada fra la lunga fila di persone impazienti di avere il loro gelato e ci sedemmo su una panchina verde rovinata qua è là. Il gelato era buono.

 
"ti piace?" mi chiese curioso.
 
"sì" esclamai imitando il sorriso felice di una bambina che scarta il suo primo vero regalo di natale. 
 
lui non disse nulla si limitò solo ad abbozzare un sorriso, il migliore di tutta la folla. c'era qualcosa nei suoi occhi che mi riportava a quella libertà perduta. 
'scappiamo e non torniamo più, non mi importa ciò che sei o ciò che fai, voglio solo andarmene via con te, acquistare di nuovo fiducia negli uomini e ritornare a vivere. ' per tutta la sera pensai solo a questo. 
cominciò una musica imbarazzante, io lo guardai e scoppiai a ridere 
 
"e questa cosa sarebbe?" domandai divertita
 
"è la mia suoneria" tirò fuori il telefono, mentre con l'altra mano teneva in mano il gelato,  "e questa è mia mamma!" 
 
"pronto?" rispose al telefono e si alzò in piedi, allontanandosi da me. 
 
"era mia mamma, ha detto che loro sono tornati a casa. andiamo?" 
 
"va bene" risposi cercando di non far trasparire la mia delusione e mi alzai in piedi.
 
il cammino verso casa fu più breve di quanto mi aspettassi, finimmo i nostri gelati e ci concedemmo una chiacchierata sulla politica. nulla era noioso con lui. arrivammo a casa e mentre stavo per suonare il campanello la porta si aprì ed uscirono Katerine ed Eduardo. 

"Oh finalmente eccovi" esclamò la madre di Nathan sistemandomi una ciocca di capelli che mi era caduta davanti agli occhi. "bene noi andiamo. è stato un onore conoscerti. spero di rivederti presto."
 
"certo, domenica verrà a giocare a golf con noi!" la informò Nathan.
 
"non vedo l'ora di trascorrere altro tempo con te. ciao, stammi bene fino a domenica" mi diede due baci sulla guancia, si girò verso mio padre e lo ringraziò per poi avviarsi verso il cancello. 
 
io intanto mi misi sull'uscio della porta, salutai anche Eduardo con una stretta di mano e poi venne il momento di Nathan. mi strinse la mano e mi diede due baci 
 
"ci vediamo domenica! ti passo a prendere io verso le 9:30" il suo tono non ammetteva nessuna contraddizione e mi andava benissimo, non mi sarei tirata indietro per nulla al mondo.
 
"va bene! grazie mille. buonanotte" esclamai guardandolo allontanarsi.

non feci in tempo a realizzare che se ne stava andando e che non l'avrei visto fino alla domenica successiva quando la paura di rimanere di nuovo sola con mio padre si insinuò nella mia mente. inspirai ed espirai. chiusi la porta e mi girai cercando di andare subito in camera mia, quando mi arrivò un suo schiaffo all'altezza della guancia, sentii l'aria lacerare anche il mio occhio.
 
"dove sei stata eh? dove pensi di andare?" mi domandò con tutta la collera che poteva usare, mi teneva la faccia con il pollice, l'indice e il medio di una sola mano.

sentii il suo fiato annebbiarmi la vista, la testa cominciava a girarmi e mi dovetti appoggiare con la schiena alla porta per non cadere. la sua mano si posò di nuovo sulla mia guancia ed un lamento uscii dalla mia bocca. 

 
"sei una puttana, non farai mai nulla in questa vita ed ora vediamo se sei capace di farti portare al letto pure da quello"
 
quando disse quelle cose qualcosa scattò nel mio cervello, gli diedi uno spintone e lo allontanai dal mio corpo, salii il primo gradino delle scale e mentre lo vedevo avvicinarsi di nuovo a me dissi una cosa che avevo tenuto nascosto per me fino a quel momento
 
"guarda che sei tu quello stronzo che mi ha messo incinta, quanto mi hai violentata. io ero vergine. il figlio è tuo. fanculo" corsi lungo tutte le scale chiudendomi in camera, prima ancora di riuscire a prendere fiato, crollai sul letto in un pianto disperato. 
  
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