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Autore: damnitgallagher    04/01/2013    0 recensioni
Ventiquattro ragazzi pronti ad uccidere.
Un'Arena colma di pericoli.
Un solo sopravvissuto.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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76th Hunger Games.

 



6. Last day- part one.




 
 
 
Mackenzie correva a perdifiato, il cuore le batteva all’impazzata.
Continuava a sentire rumori dietro di sé, e questo le fece credere di essere inseguita. Doveva essere la compagna della ragazza che aveva appena ucciso.
Ucciso.
Ora era un’assassina.
Credeva di essere pronta, si sentiva pronta. Ma solo quando l’aveva vista morire aveva capito: nulla ti può preparare per una cosa simile. E Mackenzie già sapeva che da quella notte il viso della ragazza avrebbe popolato i suoi incubi..
 
Una figura spuntò improvvisamente fuori dalla boscaglia, e Mackenzie correva troppo velocemente per poterla evitare, così vi sbattè contro.
Stava per cacciare un urlo assordante, quando una mano le coprì la bocca, mentre l’altra le alzò il viso: era solo Guè.
 
I suoi muscoli si rilassarono e la ragazza di tranquillizzò. Guè la lasciò andare.
 
“Ho appena ucciso una ragazza.”
 
Le parole le uscirono senza che lei se ne accorgesse. Doveva dirlo a qualcuno, aveva bisogno di conforto.
Guè la fissò per secondi interminabili, poi si voltò, raccolse il suo zaino ed iniziò a riempirlo con alcune delle provviste.
 
“Guè! Che stai facendo? Hai sentito quello che ti ho detto?”
 
Guè finì di riempire lo zaino, poi si voltò. Il suo viso era inespressivo, il suo sguardo gelido.
 
“Io me ne vado, è ora che ognuno se ne vada per la propria strada.”
 
Mackenzie restò interdetta per qualche momento.
 
“Andartene? Io ti dico che ho appena ucciso una persona e tu mi dici che te ne vuoi andare?!”
 
Con un sospiro Guè si voltò nuovamente, piegandosi per raccogliere uno dei due pugnali rimasti.
 
“Siamo rimasti in quattro, siamo al quinto giorno. I giochi non dureranno ancora a lungo, e non sarò io ad ucciderti. “
 
“Buona fortuna Mackenzie.”
 
Guè le sorrise, poi si incamminò nella foresta.
 
La ragazza non tentò nemmeno di fermarlo, in fondo lui aveva ragione.
Ma davvero non riusciva a sopportare di essere rimasta sola proprio in quel momento, quando più aveva bisogno di lui. Si ritrovò a pensare alla ragazza che aveva ucciso solo poche ore prima, ripensò al compagno del Quattro, anche lui morto.
Le gambe le cedettero, e si ritrovò a terra, il corpo scosso dalle lacrime.
 
 
 
 
 
 
 
L’aveva abbandonata proprio quando lei aveva avuto più bisogno di lui. Se n’era andato senza nemmeno avere il coraggio di guardarla in faccia, come un codardo.
Avrebbe dovuto lasciarla prima.
Lasciandola così, scossa e terrorizzata, l’aveva trasformata in una facile preda per chiunque, e non solo per gli altri due tributi rimasti.
 
Questa edizione era stata fin troppo tranquilla, e Guè in cuor suo sentiva che qualcosa stava per succedere.
Nessun incendio, o allagamento, niente bestie feroci.. questo era davvero molto strano.
Doveva essere pronto, ma non lo era. Le provviste erano poche, ma aveva comunque la pancia piena, anche se non aveva praticamente alcun mezzo di difesa.
Lui e Mackenzie avevano perso quasi tutte le armi durante lo scontro con i Favoriti, qualche giorno prima; erano rimasti solo due pugnali ed una spada, e con sé aveva preso solo un pugnale.
Con quell’unica e misera arma non poteva certo sperare di durare a lungo, forse poteva tenere testa all’altra ragazza, ma non al ragazzo, e men che meno ad una bestia feroce.
Doveva trovare una spada, o una lancia.
E l’unico posto in cui poteva trovarne era la Cornucopia.
Recarsi là sarebbe stata sicuramente un’azione avventata da parte sua, avrebbe significato esporsi, diventare un facile bersaglio per chiunque. Ma non aveva molta scelta.
La piana non era molto lontana da dove si trovava, in meno di mezz’ora ci sarebbe arrivato. E volendo, poteva passare dal lago, non aveva scorte d’acqua, ed era da almeno mezza giornata che non beveva.
 
 
Arrivato in prossimità dello specchio d’acqua Guè rimase per qualche istante nascosto nell’ombra del fogliame, per poi dirigersi velocemente verso la sponda soltanto dopo essersi accertato che quel luogo fosse deserto.
Iniziò a bere con foga, poi si lavò il viso e le mani, il che fu un gran sollievo.
Certo, l’ideale sarebbe stato farsi un bel bagno dato il sudiciume che lo rivestiva da capo a piedi, ma non poteva rischiare così tanto.. o si?
Dopotutto non c’era anima viva intorno, e la situazione era così tranquilla e silenziosa che sarebbe stato in grado di avvertire qualsiasi rumore in tempo per allontanarsi in fretta, in caso di pericolo.
In due secondi i vestiti erano a terra, e Guè immerso nelle fredde acque del lago, mantenendo sempre uno sguardo vigile verso la foresta e la montagna.
 
Improvvisamente Guè avvertì un dolore lancinante alla gamba e l’acqua attorno a lui si tinse di rosso, rosso sangue.
Il più velocemente possibile riuscì ad issarsi sulla riva del fiume, giusto in tempo per evitare il secondo attacco di un grosso animale, simile ad un coccodrillo, ma molto, molto più grosso.
La gamba era messa davvero male: un squarcio che partiva dal ginocchio fino alla caviglia la attraversava, e Guè poteva distinguere nitidamente i solchi provocati dai denti della bestia.
 
Improvvisamente l’animale tornò ad attaccare, e sotto lo sguardo sconcertato del ragazzo, si alzò su due zampe ed avanzò verso di lui. Era un ibrido.
Fortunatamente i vestiti e le armi erano solo a pochi centimetri di distanza, e fu facile per il giovane afferrare il pugnale e conficcarlo nel petto dell’ibrido, che stramazzò a terra.
 
Ma ciò che segnò la fine di Guè furono i tre ibridi che si levarono successivamente dalle acque, troppi per lui, ferito e ormai disarmato.
 
 
 
 
 
 
 
BOOM.
 
 
Il suono del cannone risvegliò Sunshine dallo stato di trance in cui era caduta, ed in cui si trovava ormai da parecchie ore.
Si guardò intorno, completamente spaesata: aveva perso la cognizione del tempo, e non ricordava nemmeno dove si trovasse.
 
La disperazione tornò ad assalirla, spingendola a rintanare il proprio viso tra le mani e a nasconderlo tra le ginocchia. Singhiozzi tornarono a scuoterla. Sapeva che era ora di alzarsi, i giochi stavano finendo, e per quanto ne sapeva in quel momento uno dei tributi rimasti poteva essere diretto proprio nella sua direzione, deciso ad ucciderla.
 
“E allora mi lascerò uccidere, tanto non uscirò mai viva da qui!”
 
Ma poi ricordò la sua promessa.
Non era mai stata brava in questo, nel mantenere promesse.
Ma forse questo era il momento giusto, forse questa era la seconda chance che la vita le stava offrendo. Almeno doveva provarci, no? Lo doveva all’amica, alla sua famiglia, al suo Distretto, e soprattutto a sé stessa.
 
“Tu non sei una codarda Sunshine, tu non sei debole.”
 
E fu questo stesso incoraggiamento, rivolto a sé stessa che la convinse ad alzarsi da terra, raccogliere tutte le sue cose, e muoversi.
Ma per andare dove?
 
Iniziò a guardarsi intorno, e notò di essere a pochi chilometri dalle pendici della montagna. Si, quello era un buon posto per iniziare. Almeno avrebbe potuto controllare la situazione dall’alto e se fosse stata fortunata, avrebbe scorto gli altri due tributi ammazzarsi a vicenda nella pianura. Si, gli avrebbe lasciati fare, e lei avrebbe vinto.
 
 
La camminata fu più faticosa del previsto, e Sunshine non era di certo riuscita a recuperare le forze nella giornata precedente.
Il pendio della montagna divenne subito piuttosto ripido, e dopo nemmeno un’ora di cammino la ragazza fu costretta a cedere alla stanchezza, abbandonandosi a terra.
 
Non appena si sdraiò a terra il terreno sotto di lei iniziò a tremare, sempre più forte.
Poi un rombo squassò il silenzio dell’Arena.
 
Sunshine ebbe appena il tempo di voltarsi per vedere che dalla cima della montagna si era staccato un grandissimo masso, che ora stava precipitando verso di lei, smuovendo una grande quantità di roccia.
La ragazza si precipitò giù dal pendio scosceso, correndo a perdifiato.
 
La frana era sempre più vicina, e le sue gambe iniziavano a cedere, non avrebbe sostenuto quel ritmo per molto, e la frana sembrava invece acquistare velocità ogni secondo di più. Nemmeno le alte sequoie della foresta riuscirono ad arrestarne la caduta, e vennero spazzate via.
 
Improvvisamente la frana, così come era iniziata, si arrestò.
 
Sushine non riusciva a crederci, era salva. Per un momento aveva davvero creduto che sarebbe finita li, che sarebbe stata sommersa da quella nube di macerie.
Ebbra di felicità iniziò a saltare ed urlare per la gioia, poteva ancora farcela, poteva ancora tornare a casa, era ancora viva.
 
Le sue urla attirarono però un altro pericolo: arrampicata sui rami più alti dell’albero sotto cui la giovane si trovava, stava rannicchiata Mackenzie, che non appena scorse l’avversaria, iniziò la lenta discesa dalle fronde dell’albero.
 
 
La frana non era stata ideata per mietere vittime: un corpo sommerso da macigni non poteva avere alcun tipo di attrattiva per il pubblico, o almeno non quanto un fortuito incontro tra due tributi.
 
Ed ora Mackenzie era abbastanza vicina per poterla colpire, sapeva di potercela fare. Molto lentamente sfilò il pugnale dalla cinta.
Un colpo solo, dritto in mezzo alle scapole, e poi soltanto una vita l’avrebbe separata dalla vittoria, da casa sua. 




Continua..
  
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