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Autore: Iryael    04/01/2013    1 recensioni
Nel nostro universo, lei è una ragazza che vive la routine estiva di una qualunque adolescente. Nel suo universo – quello descritto in Endless Empire – lei è l’unica umana esistente, nonché la Creatrice, ossia colei che è onnisciente.
Trascinata dai suoi personaggi nell'universo da lei creato, si trova invischiata in un pericoloso gioco di potere. La linea di demarcazione tra eroi e mostri, tra patrioti e usurpatori avidi di potere, che prima era nitida, sfuma velocemente in una nebula di azioni mirate al successo dei propri interessi.
Tutte le fazioni la vogliono, ma solo per raggiungere scopi diversi. E lei non ha la possibilità di sottrarsi a quel gioco.
Ha creato un universo difficile, Silver, un posto dove non esistono seconde chance.
Cosa sarà disposta a sacrificare per uscirne?
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[Spin-off di Endless Empire di DarkshielD] [Leggibile a sé]
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quinto
19 Gennaio, ore 11:00 circa
Sud-est del centro cittadino, quartieri industriali, acciaieria in disuso
 
 
Ad appena quaranta ore dall’avvenimento, l’incendio di casa Beauford era passato dalla prima alla quinta pagina del quotidiano locale.
Il caso aveva scosso un po’ tutti, e per i ribelli chiusi nella vecchia struttura aveva rappresentato un allettante modo per passare il tempo. Le edizioni del giorno precedente – quella del mattino e quella della sera – erano squadernate sul tavolo, mentre l’ultima uscita era in mano a Kaden. Gli altri, assiepati intorno a lui, ascoltavano in silenzio mentre leggeva l’articolo sul caso.
 
Non v’è dubbio alcuno che questo crimine sia stato perpetrato dai Ribelli. Gli investigatori hanno infatti rinvenuto tra le ceneri i resti di una piastrina, la quale, dopo i primi accertamenti, è risultata appartenere al già noto criminale Tarcis Bennett, di cui potete vedere la foto.
 
Il lombax biondo abbassò il giornale, così da mostrare l’immagine. Quattro paia d’occhi studiarono prima la foto in bianco e nero, poi il cazar. Non c’erano dubbi: era lui.
«Sul serio ti chiami Tarcis?» domandò Nencer.
Tarx, in un’altra occasione, sarebbe scoppiato a ridere e avrebbe risposto: «Già. Orrendo, non trovi?», ma in quel momento la sua attenzione era tutta rivolta all’articolo. Persino la sigaretta, l’ultima del pacchetto, quella che si era chiesto tante volte se accenderla o aspettare i rifornimenti, pendeva dimenticata dall’angolo della bocca.
Kaden, alzato il giornale, riprese.
 
Costui, frutto di un evidente disagio sociale, è come tanti figlio della guerra. Ma, a differenza della moltitudine di cittadini ligi a Sua Maestà, la sua mente è irrimediabilmente corrotta. A sostegno di ciò, il dottor Howard Abbott – che alcuni anni fa l’ha avuto ospite nella sua clinica – ha affermato che egli non è in grado di gestire razionalmente la sua rabbia.
Non è un mistero che i Ribelli accolgano chiunque manifesti dissenso verso l’Impero: dunque, è ormai chiaro che Bennett ha trovato rifugio presso questi, “che hanno irrimediabilmente compromesso le sue capacità di tornare sulla retta via” – testuali parole di Abbott.
 
Sembravano tutti aspettarsi che Tarx esplodesse. Mano a mano che l’altro aveva enunciato l’articolo, la linea della sua bocca s’era girata verso il basso. L’occhio sano aveva assottigliato lo sguardo. La sigaretta, diventata di troppo, era stata gettata in terra e calpestata.
«Vai avanti.» ordinò.
Kaden eseguì.
 
La domanda che sorge spontanea è: per quale motivo il soldato Beauford è diventato vittima della rabbia incontrollata di Bennett? Cosa lo ha spinto ad un gesto sì tanto efferato?
A rispondere è stato Calligar Phyronix, capo della divisione fastooniana dei Reepor Runners: “Le nostre sono solo supposizioni, ovviamente, ma i contatti con l’esercito ci danno modo di credere che il soldato Beauford, nello svolgere le sue mansioni la notte in cui Azimuth è evaso, sia venuto in contatto con Bennett. Il ribelle deve aver pensato di essere stato riconosciuto, e dunque ha fatto la sua mossa.”
La domanda successiva è stata: perché aspettare cinque giorni?
“Non lo sappiamo. Probabilmente si è informato sulla vittima; oppure ha aspettato che le acque si calmassero un poco.”
Giusto, perché Tarcis Bennett – secondo le indiscrezioni dei soldati – ha partecipato alla recente evasione di Alister Azimuth. Diversi di essi hanno asserito di ricordare bene la sua presenza nella caserma, quella notte.
“Non sappiamo dove sia, ora, ma non possiamo escludere che compia un altro gesto simile” ha concluso Phyronix. “Per questo motivo chiediamo che, chiunque sappia qualcosa, lo condivida con noi. Se le notizie sono fruttuose, la ricompensa sarà di 50 bolt; se ci porteranno direttamente a lui, invece, saremo lieti di offrire un premio di 250 bolt. Come vedete, è nell’interesse di tutti scovare quest’uomo. È nostro dovere fermarlo prima che la sua scia di sangue si allunghi.”
Vi è poi un’oscura analogia con un altro delitto...
 
Kaden s’interruppe. Lesse tra sé alcune delle righe seguenti, dopodiché chiese: «Volete anche le speculazioni più improbabili o vi basta questo?»
La risposta – bofonchiata – venne da Nencer: «È sufficiente.»
Tarx, sotto lo sguardo di tutti, si prese la testa fra le mani.
«Buon Creatore. A ‘sto giro m’hanno fottuto.»
Lo disse senza una tonalità vera e propria. Più che altro, era la somma finale di tutte le constatazioni pensate mentre Kaden leggeva.
«Beh, vedila così: finché sei nella Tomba sei al sicuro.»
Tarx guardò Reginald come per dire “fammi il favore”. Poco oltre, Sacha annuì con un gesto accennato. Difficile capire se dava ragione a uno o all’altro: conoscendolo, poteva essere un cenno relativo a pensieri propri.
«E poi lo sappiamo che non puoi essere stato tu.» intervenne Nencer, che, in un raro gesto di conforto, lo afferrò per il gomito con fare rassicurante. «Al di là che siamo chiusi qui da una settimana, tu le piastrine le hai perse anni fa.»
«Grazie, ma non è questo il punto. Guarda dove siamo. Le persone che abitano qui intorno, al massimo, guadagnano due bolt al mese. Pensi davvero che ci sia qualcuno che rinuncerebbe a dieci anni di paga?»
«Ecco...»
«Appunto.» rimbeccò Tarx. «Mi gioco l’occhio buono se non c’è qualcuno pronto a dire “io l’ho visto”.»
Per quanto riluttanti ad ammetterlo, gli imperiali avevano fatto leva sull’unica cosa che avrebbe smosso anche gli animi più filo-ribelli. Rimanere nascosti sarebbe stato più difficile senza un appoggio certo della popolazione.
«Se anche fosse, nessuno sa che sei qui.»
Kaden appoggiò il giornale sul tavolo con noncuranza. Il suo gesto, assieme al tono convinto, decretarono la fine del discorso.
«Ne sei sicuro?»
Il lombax biondo alzò il mento di un poco e guardò Sacha dritto negli occhi. Quella domanda, per quanto banale, comportava una mancanza di fiducia. E la fiducia, per Kaden, era uno dei valori che non doveva mai venir meno.
«Ha portato Alister con me, e in seguito non è mai uscito. Siamo passati dalla superficie. Nessuno di Undertown ci ha visti.»
Parlò con asprezza, sfidando il giovane a smentire le sue parole.
Sacha fece un cenno di assenso, rinunciando a qualunque risposta. L’altro proseguì: «Tarx, senti, hai due scelte. La prima, se vuoi, è rimanere. Se ritieni meglio andartene, invece, ti indicherò una via per le miniere ad ovest. In ogni caso, oggi non uscirà nessuno. Pensaci.»
Nencer tornò a sedersi. Lanciò un’occhiata priva di interesse al mazzo di carte e si mise a pensare a un modo per uscire dalla situazione. I suoi pensieri, così come quelli di Reginald, Tarx e Sacha, non avevano niente a che vedere con quelli degli altri, che, pure, cercavano una soluzione allo stesso problema.
Solo Kaden aveva la testa su una visione più ampia del quadro. Non aveva aperto bocca sulla nuova abilità di Evelyne, né su ciò che Madeleine le aveva riferito la sera precedente.
 
Madeleine Evans, sorella di Clock e moglie del dottor William Harcourt. Kaden la considerava un alleato prezioso, al pari con Evelyne. Ella, infatti, era una delle poche donne ammesse nel corpo degli infermieri. Lavorava come assistente del marito, sia all’ospedale Tachyon I che per i Ribelli. Era lei che, sin da quando avevano attuato l’evasione, si occupava di Alister. Le sue doti di guaritrice, per l’evaso, erano state provvidenziali quanto la bravura di suo marito come chirurgo.
 
La sera precedente, dopo essere stata alla Volpe Bianca, aveva portato una brutta notizia: Evelyne era crollata. Da quando aveva cominciato a vedere anche il passato, non trascorreva più di mezz’ora tra una visione e l’altra. Era terrorizzata da ciò che vedeva e Roger aveva dovuto metterla a riposo. Anche così, però, le immagini si accavallavano nella sua mente.
Con Alister che doveva stare fermo ancora tre giorni, Evelyne fuori controllo e Tarx in costante rischio di denuncia, la situazione era decisamente giù per i coppi. Senza contare che la Creatrice era sparita.
Kaden analizzò i fatti basandosi su ciò che conosceva: i dati colti di persona, quelli ricevuti tramite spie e anche quelli appresi dai giornali, dando loro più o meno credito. Le conclusioni a cui giunse non gli piacquero. Pensandoci bene, nelle ultime tre settimane Evelyne aveva visto cinque futuri diversi, e neanche uno si era verificato. Informazioni errate, le condizioni di Alister, la fuga rocambolesca dal carcere, e in ultimo la sparizione della Creatrice. Evelyne aveva perso la sua abilità? I suoi futuri erano stati falsati da coincidenze?
No, rifletté. Era convinto che il problema non risiedesse nella veggente, e – allo stesso tempo – dopo trent’anni di guerra e guerriglia non credeva più nelle coincidenze.
Dunque, in conclusione, la partita doveva prevedere un terzo avversario.
Il suo umore scese ancora più in basso.
 
L’atmosfera cupa della stanza venne interrotta dall’ingresso di Madeleine. La sua presenza fu colta solo quando i tacchi risuonarono nella stanza, causando più di un sobbalzo.
«Scusate...» mormorò.
Portava un vecchio vassoio bombato, su cui il bollitore e alcuni bicchieri stavano in equilibrio precario.
«Ho preparato una tisana. Ho pensato che avrebbe potuto aiutare anche voi.» aggiunse, quasi per giustificare cosa facesse al di fuori della stanza di Alister.
La lombax era in piedi da quasi un giorno e mezzo. Gli occhi e la voce erano segnati dalla stanchezza; ma quanto quelle ore l’avessero sfiancata divenne visibile quando, dopo aver poggiato il vassoio sul tavolo, riunì le mani sul vestito. In quel momento non riuscì a trattenere un lieve tremore delle dita. Come volevano le usanze fece finta di nulla, ma la sua debolezza non sfuggì agli occhi più attenti del gruppo.
Kaden, che come gli altri aveva apprezzato l’interruzione del momento cupo, non perse l’occasione.
«Maddie, cara, dovresti riposare.»
La lombax rispose con qualche istante di ritardo. Lo sguardo, che carezzava le ammaccature sul bollitore, tradiva la quantità dei suoi pensieri.
«Sì, lo so. Ho voluto arrivare al limite, ma...ho pensato che avrei potuto farvi un ultimo favore, prima di coricarmi.»
«È un pensiero gentile.» intervenne Reginald.
La donna fece un cenno con il capo.
«Se non è di troppo imbarazzo, potrei usare una delle vostre brande?» domandò. «Non credo di resistere fino a casa.»
«Se non crea imbarazzo a te.» replicò Kaden, memore delle minacce non troppo velate di William. «Fai pure senza remore.»
Madeleine annuì.
«Allora mi accomiato. Grazie per la disponibilità. Svegliatemi se dovesse succedere qualcosa.»
Leggera com’era arrivata, voltò le spalle al gruppo e sparì in direzione del camerone.
Tarx osservò la sua figura che sfumava nel corridoio, poi si versò un bicchiere di tisana.
«Maddie è troppo buona.» borbottò. «Fa più ore qui che all’ospedale.»
Nencer colse l’occasione per cercare di cambiare discorso.
«Finché William la copre...» e alzò le spalle con indifferenza. «Credo che ufficialmente sia data malata. Non credo che la cercheranno fino alla prossima settimana.»
«Sì, ma a furia di starci dietro le verrà davvero un malanno.»
«Non desisterà fino alla completa guarigione di Alister.» commentò Kaden, che imitò Tarx e si versò un bicchiere di tisana. «Lo sapete com’è fatta. Però dovremmo pensare a un modo per sdebitarci, una volta finita.»
Ma non finirà mai, di questo passo. Il pensiero attraversò in un lampo le menti di tutti.
«Ci dobbiamo riprendere la Creatrice, per quello.» obiettò Sacha. «Ci serve.»
«Vero.» commentò Reginald che, prima di sorseggiare, portò il bicchiere al naso. «Nh, agrumi. La sua miscela preferita.» aggiunse. Centellinò un sorso della bevanda, dopodiché chiese: «Secondo voi dove le trova le erbe di questo periodo?»
Rispose Tarx, per nulla colpito dall’improvvisa frivolezza dell’argomento. «In ospedale ne hanno a casse. Nessuno dice niente se ne porta via un po’ a scopo personale.»
Kaden drizzò le orecchie. Osservando il colore della tisana, così simile a quello delle piastrine, percepì che era scattato un interruttore.
Ne hanno a casse. Nessuno si lamenta.
Simili alle tessere del domino, le idee si concatenarono in un nuovo quadro, più inquietante ancora dei precedenti.
«Loro sanno che è un’umana...» si ripeté, sconcertato.
«Sì, lo sappiamo.» fece notare il lombax dagli occhi bicromi. Kaden non lo ascoltò.
«No, voglio dire: non l’hanno uccisa perché è un’arma delle più comode. Forse non sanno delle sue capacità, ma basta la sua presenza per fucilare qualcuno.»
«Ma allora perché entrare in casa di un loro alleato, farlo secco e poi incolpare noi?» obiettò Nencer.
«Per farla sparire.» replicò l’altro, concitato.
«Non spiega comunque il numero di cadaveri rinvenuti.» disse Reginald, alludendo all’articolo del giorno precedente. «Ci sono due civili e cinque soldati. Posso capire il galoppino della Shoo-Koien e la domestica, ma i militari? Perché mai il maggiore ne ha tirati in ballo così tanti?»
«Infatti non è stato il maggiore.»
Quattro paia d’occhi l’osservarono stralunati.
«Prego?»
«Noi diciamo “il maggiore” per partito preso, perché è indubbiamente l’imperiale più accanito degli ultimi tempi, ma non credo che sia stato lui.»
Più di un sopracciglio schizzò verso l’alto, a delineare un’espressione scettica.
«Stai dicendo che è una vittima?» domandò Nencer. Kaden alzò una mano, zittendolo.
«Dico che è improbabile che sia il colpevole. È diverso.» spiegò. «La Creatrice è stata fatta uscire dal carcere ed è stata affidata a Beauford dietro autorizzazione del maggiore – Clock ha dato una letta ai documenti. Sembra che si conoscessero da qualche tempo, stando ai giornali. Ora, non so voi, ma non farei uscire qualcuno d’in galera affidandolo ad un conoscente per poi ammazzarlo e dare la colpa a terzi. È troppo contorto anche per i nobili di corte. Se il maggiore avesse voluto far sparire la Creatrice, avrebbe potuto farlo direttamente dal carcere. Sono convinto che lui e Beauford avessero in mente qualcosa, che è andato a puttane.»
«È plausibile.» commentò Sacha, senza alcuna inflessione.
«Quindi stai insinuando che qualcuno abbia scoperto le trame del maggiore e gli abbia rovinato la festa, tirando poi di mezzo noi altri?» domandò Tarx.
Kaden alzò le spalle, allargando le braccia. «Di certo non è l’imperiale più amato della caserma.»
«Quindi gli tirano lo scherzo e poi lasciano le piastrine di Tarx per depistarlo.» intervene Reginald, posando il bicchiere sul tavolo. «Supponiamo che sia così. Come si spiegano le morti dei militari?»
«Col vantaggio di mettere le mani su un’arma più unica che rara e non doverla condividere con altre cinque persone, che potrebbero accoltellarti alle spalle quando meno te l’aspetti.»
«Ti ricordo che le mie piastrine dovrebbero essere nell’archivio criminale della 147sima, però.» obiettò il cazar.
«Anche le erbe di Maddie dovrebbero essere in ospedale.»
«Ma...»
Stava per dire “e questo cosa c’entra?”, quando il punto focale di tutto il discorso divenne chiaro. Allora la bocca si spalancò in una “O” muta.
Immerso in un silenzio surreale, Kaden non riuscì a trattenere la soddisfazione. Poco professionale, ma tanto spontaneo per lui, che gioiva di ogni progresso, infimo o immenso che fosse.
«Non ho idea di chi sia stato, ma l’incipit è il più plausibile che abbiamo. Al ché poi ci sono altre domande: hanno davvero riconosciuto Tarx dentro la 147sima? Se la risposta fosse sì, al di là del “chi è stato?”, possiamo presumere che abbiano scelto intenzionalmente le sue piastrine, ma...»
«A caso o no poco importa.» replicò il cazar, stringendo i pugni tanto forte che emersero le vene sugli avambracci. «Se trovo quel figlio di puttana lo scuoio. E senza fargli il favore di ucciderlo prima.»
* * * * * *
Ratchet e Sasha, passeggiando a braccetto, imboccarono Vapedia Street. Quasi a metà della via, tre o quatto incroci più avanti, si vedevano le corde di barriera. Le funi, spesse e di colore sgargiante, si srotolavano tutt’intorno ai resti di casa Beauford, impedendo l’accesso ai curiosi. Due runners piantonavano l’ingresso.
«Sasha, sul serio, non dovresti farlo.»
«Sono la figlia del loro capo. Una malaparola mia e saranno cacciati a pedate: non mi rifiuteranno niente.»
«Sì, ma che mi dici della tua guardia del corpo?»
Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. A qualche passo di distanza, vestita di una livrea bianca, c’era una lombax con una lunga treccia di capelli rossi. Era la guardia del corpo di Sasha e li aveva seguiti sin dal loro incontro.
La cazar non sentì il bisogno di guardarsi alle spalle.
«Mio padre non saprà nulla da Lilith. È una buona amica.»
«Ma lavora per tuo padre.»
«No, lavora per me. E mio padre è convinto che stiamo amabilmente chiacchierando a spasso per Kerwan Street, o seduti al tavolino di un caffè di Central Plaza; cosa che sarà la versione ufficiale per tutti alla fine della giornata.»
Passeggiavano da un’ora circa e lei, trovando irrequieto il suo gentiluomo, aveva deciso che quel giorno la passeggiata avrebbe nascosto la loro indagine personale. A Ratchet – quando aveva scoperto dove stavano andando – l’idea non era piaciuta, per quanto avesse apprezzato lo sforzo della cazar.
«Non sarà un bello spettacolo. E poi mi spieghi da quando sei così spietata?»
Sasha finse di ammirare un’abitazione per un lungo istante.
«Sono fidanzata da un tempo che comincia ad essere lungo; devo sopravvivere alle chiacchiere in qualche modo. Lo sai che non c’è niente di più efficace per distruggere una persona.»
Il lombax si sentì colpire dall’accusa indiretta.
«Ne abbiamo parlato, cara...» tentò di giustificarsi.
«Però non siamo gli unici ad averlo fatto. Aspettare non mi pesa, ma le insinuazioni che si mormorano nel frattempo sono quanto meno disagevoli.»
Ratchet aggrottò le sopracciglia.
«Quali?»
«Andiamo, caro, quali vuoi che siano?» lo riprese lei. «Siamo fidanzati da molto, eppure vieni più spesso per parlare con mio padre che per vedere me, sei sempre preso dai ribelli...»
«Quindi dicono che ti trascuro.» concluse lui.
Sasha denegò lentamente, poi lo corresse: «Quindi dicono che non sono abbastanza interessante, che sono problematica per la mia posizione sociale, che sono poco fresca per un militare di bella presenza come te. E che è più che lecito che tu...come dire, cerchi intrattenimenti diversi.»
«Che sciocchezze!» Ratchet impugnò più rigidamente il bastone. «Me ne occuperò al più presto, vedrai. Ma prima di chiedere la tua mano c’è una cosa che devo chiarire, ed è estremamente importante.»
Sasha fece un cenno col capo, nascondendo appena in tempo l’espressione amareggiata che le era comparsa in viso. Era da quando l’aveva conosciuto che doveva risolvere una questione importante, ma quale fosse era un mistero da anni.
E aspettare, con un fidanzamento sempre più arido e l’età in cui l’avrebbero bollata come zitella sempre più vicina, era tutt’altro che leggero.
 
Casa Beauford era un cumulo di macerie annerite. Gran parte di esse era stata spostata in quattro grandi mucchi, ma si riconosceva ancora dove sorgeva l’abitazione. Lì c’era un cumulo più scomposto, da cui spuntava la sagoma cilindrica di un boiler, ora tutto ammaccato.
Non era un bello spettacolo, ammise Sasha. Ratchet aveva già avuto a che fare con quella desolazione e, sapendo cos’avrebbe visto, non rimase impressionato.
Uno dei runners – un cazar più largo che lungo – alzò una mano con fare imperioso.
«Non potete entrare qui, signori.» asserì pacatamente.
Il lombax, già pronto per dichiarare guerra, si accorse della casa retrostante quella di Enrique, e un istante dopo disse: «Sono il maggiore Ratchet, della 147sima. Potete dirmi chi abita in quell’edificio?»
Sasha spalancò gli occhi per la sorpresa, chiedendosi da dove venisse fuori la domanda. Osservò lo stabile: piccolo, di mattoni scuri, con la facciata verso casa Beauford annerita dalla fuliggine.
Il runner si voltò per un istante. «Oh, quella.» disse subito dopo. «Il suo proprietario è Theodore Turner. Ci vive con la moglie. Se ha intenzione di interrogarli, signore, sappia che non erano presenti la sera dell’incendio.»
L’altro fece un cenno d’assenso. Ricordava di averlo letto sulla relazione del giorno prima, ma fece finta di non saperlo. «Capisco. E gli altri vicini?»
«I signori Etbeth si sono nascosti per la paura. I Rockwell, invece, hanno avuto il buonsenso di chiamare aiuto, per quanto sia stata un’azione tardiva.» avrebbe voluto essere più esaustivo, ma il bon ton gli impediva di scendere nei particolari più cruenti. Maledì tra sé la presenza di Sasha e concluse: «In ogni caso potete chiedere tutti gli aggiornamenti alla nostra caserma, signore. In teoria non potrei parlarvene.»
Ratchet annuì, prestando attenzione come se udisse quelle notizie per la prima volta. Al rimprovero, poi, mostrò una faccia dispiaciuta.
«Certo, capisco, ci andrò sicuramente. Grazie soldato, e buona giornata.»
Fece dietro front e si diresse verso casa Turner. Il primo passo fu tanto deciso che Sasha incespicò nell’abito e per poco non cadde.
«Oh, perdonami.» si affrettò a dire Ratchet, aiutandola a rimettersi dritta. Il runner si stupì della libertà di linguaggio, mentre si chinava prontamente a vedere se ci fosse bisogno d’aiuto – ottenendo peraltro due occhiatacce; una di Ratchet e l’altra di Lilith.
Il maggiore lo allontanò con un cenno di mano e poco dopo riprese a passeggiare con Sasha. Lilith attese che la oltrepassassero e, ripresa la giusta distanza, si mise loro in coda.
«Temo di aver combinato un altro pasticcio sociale.» mormorò lui, ghignando divertito.
La cazar si sforzò di sorridere. «Temo anch’io. Il tuo patrigno ti farà un’altra lavata di capo.»
«Il mio patrigno è inutilmente formale. Se ti chiamo per nome, perché darti del Voi?» obiettò lui, conducendola pacificamente lungo Vapedia Street. «Però, davvero, scusami. Non volevo... - »
«Scuse accettate, signor Adler.» lo interruppe lei. «Solo, d’ora in poi, per evitare altre chiacchiere spiacevoli, vi chiedo di trattarmi col rispetto richiesto dal galateo, quando siamo in pubblico.»
Ratchet sembrò ingoiare un rospo. Lui e il galateo avevano un rapporto quanto meno singolare, per non dire difficile.
«Ciò comporta che dovrò lasciarvi per qualche tempo, signorina Phyronix. Ho intenzione di andare a parlare con i signori Turner, e non vorrei annoiarvi o, peggio, disgustarvi.» asserì, irrigidendosi.
A meno che non fosse un ambito militare, ogni volta che doveva esprimersi con l’ampollosità richiesta dal cerimoniale, si sentiva in perenne difficoltà. Era la frase giusta? Avrebbe offeso il tale davanti a lui? L’errore era sempre in agguato, e la società sembrava vivere degli errori altrui.
A giudicare dalla reazione di Sasha, però, non aveva commesso sbagli. La cazar chiamò la sua guardia del corpo con un cenno e, una volta che si fu avvicinata, disse: «Accompagnatemi a Central Plaza, Lilith. Il signor Adler ha da fare, ma siamo d’accordo di rivederci al Caffè Jandrix tra un’ora.»
Si salutarono brevemente, dopodiché Ratchet andò di gran carriera verso casa Turner.
 
Ad aprire fu un maggiordomo dall’aria snob, che tuttavia – dopo i dovuti annunci ai padroni di casa – lo fece accomodare nel salottino e gli chiese di attendere. Ratchet fece tempo a criticare l’intero completo di trine che ornava i mobili, prima che una lombax pingue apparisse sulla porta e si presentasse come Mildred Turner.
«So che i miei colleghi sono già venuti ad interrogarvi, signora, ma vorrei lo stesso che rispondeste a qualche semplice domanda.» disse dopo le prime frasi di circostanza.
Mildred studiò la persona davanti a lei con poche occhiate. Seduta sul bordo della poltrona, non poteva fare a meno di muovere nervosamente le dita.
Ratchet aveva imparato a riconoscere i vari stati emotivi nel corso della sua carriera. La donna davanti a lui – giovane e dalle forme piene – sembrava aspettare che qualcuno la salvasse.
«Vi prego di considerarla come una visita ufficiosa.» continuò, cercando di non risultare troppo militare. «Il signor Beauford era un mio conoscente, e mi preme fare luce sulla sua scomparsa prematura.»
La frase ottenne l’effetto sperato: Mildred si rilassò un poco – complice il fatto che il maggiordomo rientrò in salotto – e trovò la forza di obiettare: «Ma non posso aiutarvi. Theodore è un cancelliere del tribunale, sapete, al servizio del giudice Dowdale. Dopo il caso Rigsby, il giudice ha voluto premiare mio marito consentendoci di trascorrere qualche giorno come ospiti di un club a Brecon City. Siamo tornati ieri mattina.»
Il lombax annuì. Il caso Rigsby era stato famoso subito prima del caso Azimuth. Solo che, a differenza del primo, il secondo si era risolto rovinosamente.
«Non è una testimonianza diretta che sto cercando, state tranquilla.» asserì. «Quello che mi interessa è: avete trovato la casa in ordine, al vostro rientro? Intendo: esattamente come l’avete lasciata?»
La domanda colse la donna di sorpresa. Aveva letto i giornali; era aggiornata sulla vicenda. E quella frase aveva un’unica interpretazione. «Intende dire che i ribelli hanno usato la nostra abitazione come rifugio?»
«È una congettura che, purtroppo, non possiamo ancora screditare.»
Mildred sbiancò.
«Beh...no, in effetti lo studio era piuttosto in disordine.» ammise, intrecciando le dita così strette da far impallidire i polpastrelli. «Il tavolo era fuori posto e il tappeto sotto la finestra era sporco di muffa, però non c’era nient’altro. Non l’abbiamo ritenuta una cosa importante.»
«Potrei dare un’occhiata?» domandò lui. La donna annuì con fare nervoso e lo condusse attraverso il corto corridoio fino allo studio del marito.
La prima cosa che colpì Ratchet fu il quadro della finestra. Contrariamente a quanto si aspettava, non dava sul giardino interno; ma sul lato. Aprì i vetri e si sporse a guardare: da una parte c’erano il giardino interno e i resti di casa Beauford; dall’altro la parallela di Vapedia Street. La finestra dava sul viottolo che li collegava.
Corrucciò le labbra e richiuse le ante. Sotto i suoi piedi il tappeto – con i corti pelucchi annodati in fantasie floreali cupe – confermava la versione della signora Turner. I segni che la pesante scrivania aveva lasciato su di esso dimostravano che il mobile era stato spostato; mentre sul bordo qualcosa attirò l’attenzione del maggiore. Si chinò per osservare meglio e riconobbe il tentativo non completamente riuscito di pulire il tappeto dalla muffa. Essa, per quanto sfregata, rimaneva tenacemente attaccata ai pelucchi, disegnandovi microscopiche macchie verdoline.
La linea delle macchie, lungo il bordo, continuava per quasi mezzo metro. Ratchet vi passò un dito sopra e la sfarinò tra i polpastrelli, prima di guardare bene il resto del tappeto.
Dopo un tempo che gli parve soddisfacente, si rialzò in piedi e guardò la signora Turner dritta negli occhi.
«Vi ringrazio, signora, ho finito.» disse. «Se permettete...»
«Oh, sì, certo!» Mildred sembrava rinata per il sollievo. «Prego, l’ingresso è di qua.»
* * * * * *
Ore 17:45 circa
Central Plaza
 
 
Il Caffè Jandrix si adagiava sulla parte sud-est della piazza, ostentando gli sfarzi dei suoi interni con grandi finestre e una cupola di vetro ricamata d’ottone.
Al suo interno, al secondo piano, Ratchet si fece accompagnare da un cameriere al tavolo occupato da Sasha e Lilith.
«Buon pomeriggio, signorine. Mi è concesso sedere con voi?» domandò. Lilith si alzò subito in piedi e porse un inchino rigido.
«Buon pomeriggio a voi, signore.»
Si mise un passo dietro Sasha nel momento in cui la cazar si alzava e salutava con: «Sono spiacente, signor Adler, stavamo per avviarci verso casa. Ma, se voleste, potreste accompagnarci. Che ne dite?»
Ratchet annuì. «Volentieri, signorina Phyronix.»
Sasha sorrise. Attese che Lilith l’aiutasse ad infilare il cappotto, dopodiché s’avviò a braccetto del suo gentiluomo.
 
Alcuni minuti più tardi, dopo aver occupato una carrozza del servizio pubblico, riprese la conversazione. Fu Sasha ad esordire.
«Penso che tu mi debba delle spiegazioni.» disse, una volta appurato che nessuno fosse a portata d’orecchio (nessuno tranne Lilith, che era abituata al loro modo altamente informale).
L’altro si guardò intorno. Una volta concluso che nessuno li stava spiando, disse: «La casa dietro quella del soldato era vuota la sera dell’omicidio; mi è tornato in mente quando siamo giunti alle funi di barriera. Ho pensato che potesse aver avuto un qualche ruolo, e credo di aver fatto centro.»
«Ossia?»
«C’è uno studiolo che da sul viottolo tra il giardino interno e Morklon Street. Il tavolo è stato spostato all’insaputa dei signori Turner, che hanno rinvenuto una macchia di muffa verde sul tappeto. Ora. Questo tappeto ricopre quasi tutta la stanza, e le tracce rimaste della macchia mi fanno pensare ad un oggetto grande di forma rettangolare.»
«Un mobile?» domandò Sasha.
Ratchet denegò. «No, se avesse avuto i piedi il tappeto sarebbe rimasto segnato. Era qualcosa a struscio. Qualcosa non tanto pesante, dal momento che il tappeto non è rovinato.»
«Un baule, dunque, o qualcosa di simile.»
«...Un mobile per cui potrebbe essere necessario spostare il tavolo e che potrebbe avere il fondo ammuffito, certo!» il lombax sembrava essere stato folgorato. «Cara, sei un genio!»
Dopodiché partì a tutta velocità: «Immagina di essere il colpevole e di voler far sparire qualcuno. Se organizzassi la scena a dovere potresti indurre la preda a scappare nella direzione in cui vuoi tu; quindi basterebbe semplicemente aspettarla! Ma sì, ma sì, certo! Ecco come hanno fatto...hanno sfruttato la casa dei Turner, hanno atteso che il loro obiettivo cercasse una fuga dal retro e l’hanno attirato nel salotto, dove però l’hanno chiuso nel baule e fatto sparire! Ecco come...ecco, dev’essere andata così...»
La cazar dissimulò un colpo di tosse. «Siamo in pubblico, caro. Cerca di non urlare.»
Ratchet storse il naso. «Sì, è vero.» ammise, annotando a sé stesso di prestare più attenzione. «Dannate manfrine.»
«Lo so. Abbi pazienza.»
«Comunque.» grugnì. «C’è da dire che non ha un granché lo stile dei ribelli. Enrique era un obiettivo troppo piccolo per una mossa tanto eclatante.»
«Hanno trovato le piastrine di quel Bennett, però, e gli unici altri a conoscenza della signorina Darkshield sono proprio i ribelli.»
«Al contrario: c’è anche il dottor Saak.» la corresse, giocando con il bastone. «L’ho mandato a casa di Enrique a visitare la signorina il giorno dopo l’evasione di Azimuth.»
Sasha si portò una mano davanti alla bocca. «Oh, allora il segreto potrebbe essere stato svelato.» rivelò. Poi riportò la mano in grembo e spiegò: «Ho sentito il valletto di mio padre raccontare di aver visto il dottor Saak al Pub del Beone, qualche sera fa. Era piuttosto alticcio, pare.»
Ratchet sgranò gli occhi. Era convinto che il dottore fosse astemio; lo aveva scelto anche per quello.
«Sai se era da solo?» domandò, allarmato.
«No, il valletto ha detto che parlava con un soldato teracnoide.»
Il maggiore coprì gli occhi con una mano. Passò un lungo istante di silenzio.
«Diamine, ora sì che sono guai. Solo il Creatore sa che casino c’è dentro la 147sima. Darkwood è dovuto rientrare di corsa ed è infuriato a morte. Doveva esserci lui al comando della caserma, la sera in cui Azimuth è evaso, e gli stanno facendo pressioni dall’alto. Se venisse fuori anche questa storia, io avrei già il cappio al collo. E quei dannati ribelli si sono ripresi l’unica prova di tutta la trama.»
Sasha si chinò a risistemargli il bavero del cappotto. «Dunque credi anche tu che siano stati i ribelli?»
«Non è il loro stile, te l’ho detto; anche se le prove non mi aiutano.» replicò lui. «Per ora mi limiterò a sostenere la versione ufficiale, ma se Saak ha parlato non posso escludere che ci sia qualcun altro dietro.»
Ma chi, però?
Ci fu un altro breve silenzio, durante il quale ciascuno dei presenti osservò qualcosa di diverso. Ratchet guardò fuori dal finestrino; Lilith si ostinò a tenere gli occhi fuori dall’altra parte, e Sasha scrutò i ricami della tappezzeria. La fantasia intessuta nel broccato scuro ricordava le volute del fumo: un susseguirsi di ombre indefinite. Ogni curva nascondeva una figura diversa, disegnando un gioco enigmatico che somigliava allo svolgersi dei fatti recenti.
Quanto male avrebbe portato la faccenda in cui avevano scelto di imbarcarsi?, si chiese. Provava una strana angoscia quando pensava all’umana. Pena per lei e timore per loro.
Scacciò i suoi pensieri prima che si facessero cupi. Divisa tra dare e chiedere conforto, Sasha prese una mano di Ratchet e la strinse fra le sue.
«Promettimi che farai attenzione.» disse sottovoce. «Stai ballando su un campo minato.»
Il lombax si trattenne a stento dal dire “lo so”.
«Ci proverò.» rispose. Ma non era sicuro di riuscirci.
* * * * * *
Ore 19:15
Aperta campagna, villa di Ratchet
 
 
Villa Adler era stata donata a Ratchet dall’uomo che lo aveva adottato. Il suo patrigno – un militare con il pallino per l’onore – l’aveva fatta costruire pensando alla sua discendenza, e quello era stato uno dei punti critici della loro relazione. Poi, però, i rapporti si erano raffreddati di colpo: il patrigno si era trasferito su Reepor, al servizio del Gran Consiglio Militare, e Ratchet aveva dovuto cominciare a prendersi cura della casa e dei suoi affari.
Kreegan, il governante, era l’unico a conoscere tutti i segreti di quelle mura. Nemmeno Daniel, che era il valletto di Ratchet, ne sapeva quanti il governante. Il lombax stesso non conosceva tutti gli anfratti della casa, anche se ci era cresciuto. D’altra parte non gli era nemmeno mai interessato conoscere l’esatta ubicazione di tutte le cantine e dei sotterranei.
Quella sera, però, se ne pentì amaramente.
 
Dopo aver riaccompagnato Sasha e Lilith alla villa (con quest’ultima sempre vigile verso ciò che succedeva all’esterno), si fece portare fino alla propria abitazione.
Una volta passato il cancello, tuttavia, fu subito visibile che qualcosa non andava. C’era troppa luce intorno all’edificio. Ratchet si sporse dal finestrino, vedendo almeno mezza dozzina di uomini fare avanti e indietro, dentro e fuori dal portone.
«Ferma!» gridò al vetturino. «Ferma la carrozza!»
Scese di corsa, ignorando le proteste per il mancato pagamento, e raggiunse l’ingresso. Tre militari – tre teracnoidi, tra cui Emerald Yerzek – stavano parlottando tra loro.
Gli tornarono in mente le parole di Sasha: parlava con un soldato teracnoide. Tuttavia l’irritazione vinse la prudenza. Afferrò uno dei tre per il braccio e lo costrinse a girarsi.
«Cosa diamine succede?!» ringhiò. «Cosa fate a casa mia?»
La ferita in viso, complici la luce particolare e le orecchie abbassate, trasfigurò il suo volto donandogli un’espressione molto vicina alla furia. Il militare ebbe un fremito.
«U-una soff-soffiata, signore.»
Qualcosa fece pressione sulla mano con cui Ratchet stringeva il soldato. Quando abbassò lo sguardo notò un bastone. Lo reggeva Yerzek, che in quel momento mostrava più autorità di quanta Ratchet gliene avesse mai vista.
«Maggiore Adler, mettete giù le mani.» scandì. «Non peggiorate la vostra situazione.»
Quanti riguardi per uno che mi disprezza.
Non fu proprio un pensiero formulato. Fu una sensazione, più che altro. Fu quello che fece svaporare un po’ d’irritazione in favore della diffidenza, in modo da mantenere la guardia alta.
«Peggiorare?»­­
«Sì maggiore, peggiorare.» confermò Yerzek. Uno strillo alla sua destra gli fece voltare la testa. Ratchet si rese conto che Kreegan e Daniel erano stati portati in un angolo del giardino. In quel momento lo guardavano con aria perplessa e – sotto sotto – spaventata. Portavano i segni di una colluttazione, il ché non contribuì in favore dei militari, agli occhi del padrone di casa. Uno sparo, in alto, seguito da grida di paura, lo fece rendere conto che gli altri domestici erano stati radunati nel salotto verde. Tante paia d’occhi lo scrutavano dalle finestre, imploranti. Il lombax pregò che stessero tutti bene, mentre una specie di insofferenza rabbiosa prendeva corpo dentro di lui.
«Ci sono giunte voci sul vostro conto.» proseguì Yerzek, che si era interrotto quando l’altro aveva distolto lo sguardo. «Voci che parlano di voi e di un umano
La coda del lombax frustò l’aria. La schiena s’irrigidì, le spalle si aprirono appena. Lasciò andare il teracnoide balbuziente e affrontò apertamente il suo parigrado. Il terzo militare, segnato da un grosso livido in faccia, fece finta di sentire un richiamo e si allontanò in direzione della villa.
«Questa è una menzogna!» esclamò Ratchet. «Grande come un pianeta, per giunta! Come potete essere tanto imbecille da darvi adito?!»
«Già, perché mai il figliastro di Arthur Adler, generale di punta del Gran Consiglio Militare, dovrebbe disonorare così la casata dell’uomo che l’ha sottratto alle miserie di una vita da pezzente?»
Scandì ogni parola a voce alta, come se desiderasse essere ascoltato da tutti. Ratchet lo trovò disgustoso.
«Ditemelo voi.» sputò. «Siete venuto qui senza alcuna autorità, avete oltraggiato la villa e i domestici, e adesso uscite con questa falsa accusa, sporta da non si sa chi per calunniarmi!»
«La legge non è ancora cambiata, signor Adler.» lo rimbeccò Yerzek. «Nascondere un umano è tuttora reato. Potreste essere il figlio di Sua Maestà, ma per quest’accusa verrei lo stesso a frugare in casa vostra.»
In quel momento, puntuale come una disgrazia, il teracnoide con il livido in faccia zampettò di corsa fuori dalla villa.
«Maggiore!» esclamò trafelato, attirando l’attenzione su di sé. «Maggiore, l’abbiamo trovata!»
«Dove?» domandò Yerzek.
«Nelle cantine, signore. In un vecchio baule.»
Baule. La parola echeggiò nella testa di Ratchet, assieme ai ragionamenti compiuti con Sasha. Gli tornò in mente casa Turner, con il tavolo dello studio spostato e le tracce di muffa sul tappeto.
E poi la visita di Yerzek, che mostrava una spavalderia sospetta.
Parlava con un soldato teracnoide.
 
In quell’istante due soldati portarono fuori un grosso baule. A seguire, incespicando tra le gonne, Silver fu strattonata all’esterno da un cragmita in uniforme. Nonostante le mani legate e la minaccia di un’arma, la ragazza cacciava insulti ad ogni passo.
Yerzek assaporò l’espressione incredula di Ratchet, pregustando il momento di gloria. Stava per farlo a pezzi davanti alla servitù. La gente avrebbe parlato. Doveva solo attestare che quella ragazza era un’umana, e avrebbe vinto su tutta la linea.
Erano cinque giorni – da quando Saak gli aveva confessato della sua esistenza – che bramava di arrivare a quello. Era il motivo per cui, quando se la trovò davanti, dovette compiere uno sforzo di volontà per fingersi sorpreso.
Silver, invece, non ebbe bisogno di sforzi per mostrarsi arrabbiata. «Tu!» sputò in faccia a Yerzek. «Figlio di puttana! Sei stato te!»
Al ché fu costretta a inginocchiarsi e fu saldamente tenuta giù per le spalle. L’abito da sera mostrava impietosamente la sua pelle d’oca, e il fremito che l’attraversò nel momento in cui toccò il ghiaino gelido amplificò l’immagine di quanto fosse fragile, a dispetto dell’indole.
«Potete spiegare, maggiore Adler?» domandò il teracnoide, indicandola.
Ratchet strinse i denti. L’impressione che una tagliola l’avesse appena morso fece presa dentro di lui.
«Non ho nemmeno idea di chi sia.» mentì.
Yerzek tese una mano al collega – quello cui il lombax aveva quasi stritolato una spalla – e ordinò: «Il vademecum.»
Il militare balbuziente estrasse di tasca un libriccino e glielo consegnò. Era una vecchia guida al riconoscimento degli umani; un cimelio risalente all’epoca di Tachyon IV.
«Non vi dispiacerà se facciamo qualche controllo. Sarete curioso anche voi di capire, immagino.»
Ratchet lo fissò con aria incarognita, venendo ignorato deliberatamente, e cominciò a studiare una possibile via di fuga.
Non in casa, si disse.
L’altro aprì la guida con un gesto sicuro, ad una pagina segnata da una fettuccia di stoffa.
«Allora...leggendo i punti salienti del capitolo sul riconoscimento: “Egli è riconoscibilissimo per l’assenza di coda, ali o altre appendici”
Il militare che minacciava Silver, dopo aver controllato, replicò: «Non ne ha.»
Ratchet, fingendo insofferenza, si guardò intorno. C’erano i due del baule, quello con l’umana, Yerzek, il collega balbuziente, i tre che sorvegliavano Kreegan e Daniel, almeno altri tre nel salotto verde con il resto della servitù.
«“Egli poi presenta una pelle liscia, priva di voglie o maculazioni, le cui tonalità sono riportate di seguito”
«Corrisponde.» osservò il militare, zelante.
Quindici militari sicuri, pensò il lombax. Non ho visto nessuno al cancello.
Silver ruotò gli occhi. È perché non c’è nessuno, avrebbe voluto dirgli. Vogliono ucciderti prima che tu ci arrivi, al cancello.
«“Il padiglione auricolare presenta l’elice di forma circolare e un piccolo lobo tondeggiante. Si può dire che la forma di un orecchio umano somigli ad un’elegante lettera B rovesciata”
Il militare ruotò la testa della ragazza in una posizione anomala, strappandole un gemito per il dolore. «È conforme.»
Ratchet sentì la certezza che, qualsiasi cosa fosse successa, per lui si sarebbe messa male. Non avrebbe mai avuto una scappatoia verbale, non con la ragazza trovata dentro casa sua. Non con Yerzek che, per riottenere punti agli occhi di Darkwood, avrebbe fatto qualunque cosa pur di dimostrarsi irreprensibile.
«“Si potrebbe osservare che i markaziani hanno una particolare predilezione verso l’aspetto estetico di questa razza; e non è raro trovare individui – soprattutto di sesso femminile – che si sono fatti operare chirurgicamente per somigliare agli umani. In tal caso si distinguono per il lobo cicatrizzato sul bordo e l’elice molto rigida e non perfettamente curvata verso l’interno.”»
Silver aveva i denti serrati dal braccio del militare. Ciò, tuttavia, non le impedì di borbottare alcune parole, di cui Ratchet colse solo «venti», «carrozza» e «fregati».
«Signori, abbiamo un traditore.» affermò Yerzek, chiudendo il libro con aria trionfale. «Per l’editto emanato da Sua Maestà Imperiale Tachyon IV, Ratchet Adler, siete condannato alla pena capitale.»
Ecco il momento che aspettava.
I due che avevano portato fuori il baule gli bloccarono un braccio per uno e lo misero in ginocchio senza troppo sforzo.
«La condanna è da eseguirsi in questo luogo e in questo momento, come stabilito dalla legge.»
Silver strabuzzò gli occhi.
Perché? – si domandò. – Per quale motivo Ratchet non si è ancora ribellato?
Nella sua idea originale Yerzek era un mero idiota arrivista, mentre Ratchet era una specie di giustiziere solitario, che prima agiva e poi chiedeva, ma comunque gli andava bene. Perché, invece, si trovava con una iena dalla mente politica e un tardone che rimuginava più di un filosofo? Perché ciò che aveva ideato stava andando tutto a puttane?
 
Il teracnoide si chinò verso di loro, con un ghigno malefico, e si rivolse a Ratchet.
«Sfruttare Enrique per scavalcarmi è stata una pessima idea. Magari, nella prossima vita, assicurati di non prendere sottogamba il resto dell’universo.»
E sfoderò l’arma.

 

 

 

 

 


Ah, beh, eccoci qui. Nuovo capitolo, nuove emozioni (?), nuovi personaggi (??).
Yerzek si porta avanti coi piani e quegli altri non ci hanno capito una mazza. Bravo Emerald! Vai così, stai guadagnando vantaggio!
Peccato che non sia riuscita ad arrangiare meglio il finale. Avevo così tante idee che, alla fine, nessuna mi è andata davvero a genio. Ho appena riletto l’intero capitolo e mi sembra che il finale, nonostante la scena, manchi di tensione. Mah. Sarà la mia mente bacata. Sarà che sto ascoltando a nastro Mind Heist (ost del trailer di Inception) e Hope of a Nation (Immediate Music).
 
Ho un appello da fare: SILVER, NON UCCIDERMI! PER FAVORE...
Lo so, avevo lasciato intendere una comparsa di Geoffrey Darkwood, ma alla fine ho optato per rimandare. Ci sarà, è sicuro, ma prossimamente. Non pensavo di evolvere tanto nessuna delle scene qui presenti.
Ah, le idee! Ne ho una che mi piace, e mentre la sviluppo su word...tac! Ecco che si evolve da sola, nella mia testa, diventando qualcosa di più complesso (assai difficilmente mi si semplificano LOL). In questo caso ho optato per complicare leggermente le cose al tuo giustiziere. E a Lilly.
 
RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI A RECUPERARE IL VANTAGGIO CHE EMMY SI È PRESO SU DI LORO?
 
Per la risposta, purtroppo, vi toccherà aspettare i prossimi capitoli.
Intanto chiudo ringraziando tutti coloro che si prendono la briga di seguire la storia, con un abbraccio a DarkshielD, Poldovico e TooSixy, che hanno commentato il capitolo precedente.
Già che ci sono, vi metto anche il link alla cartella di deviantArt dedicata a DtF. Non aggiorno spesso, ma qualche schi(fo)zzo lo potete trovare.
 
Alla prossima!
Iryael

 

   
 
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