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Autore: lubitina    05/01/2013    0 recensioni
Io, il senza nome, il Nessuno. Ho vissuto una vita strana, confusa. Ho inghiottito gli incubi, e gli incubi sono entrati in me. E mi hanno ucciso.
Questa è la mia storia. Abbiate pietà di me.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrai in chiesa. E piansi. Guardavo il crocifisso,lontano,immerso nell'oro,e le lacrime mi riempivano gli occhi. Perchè,chiedevo. Perchè Dio voleva questo per me? Perchè dovevo amare una donna che apparteneva ad una razza mitica?Chi e cos'era Sibilla? Perchè Leucesios mi aveva parlato? Perchè me?
Dio,dove sei?,imploravo. Dove sei? Aiutami! Rispondimi se se qui!
Non rispose nessuno.
Cristo continuava a fissarmi da sotto la sua corona di spine.
Chissà se al Sommo parlava. Non credo. Io parlavo con creature d'altre epoche,morte ma vive,e nessuno era più immerso nel divino di me. Nessuno lo sarebbe mai stato.
Fu una consapevolezza orribile da raggiungere,spaventosa.
All'improvviso,sentii come uno strappo provenire dalla mano in cui stringevo la boccetta. Una puntura,piccola ma violenta. E allora capii,amico mio.
La feci scivolare in tasca e,baldanzosamente,calpestai quel sacro pavimento di marmi,varcai la sacra soglia,e sputai sul sacro suolo di marmo bianco della Basilica.
E me ne pento solo adesso.
 
Dio non è nelle chiese; Dio non è nei marmi,non è nei fregi; Dio non è misericordioso. Dio è nei poveri,Dio è nei disperati, Dio è nei pavimenti di terra battuta, e sta a guardare i suoi Figli in balia del destino,tendendo loro la mano da dentro,dal cuore. Dio è nel cuore,Dio è in ognuno di noi. Dio aiuta chi sa capire se stesso.
 
Decisi,mentre tornavo a casa ( la città,viva,eppure immobile,attorno a me ),di andarmene. Amico mio,fu scioccante e terribile,non compresi la gravità del mio gesto. Entrai nell'appartamento,e lasciai un biglietto a Sibilla,con l'intenzione di farle capire ciò che provavo. Fui egoista.
“Amore,devo andare. Non posso rimanere qui. Loro mi cercano,loro mi vogliono. Tu sai CHI loro. Tu puoi leggere nel futuro,tu vedi in me,tu vedrai quello che mi accadrà. Salperò nella prima nave mercantile che troverò ad Ostia. Tornerò per il tuo amore,tornerò per te. Sei la mia anima,viaggerai con me. Ti amo,Sibilla”
Ero un uomo infranto. Infranto per l'eternità. Infranto come il cuore grigio di Sibilla.
Uscii dalla catapecchia, e andai al porto di Ostia con la prima carrozza che trovai. Pagai le 10 lire, e mi godetti l'ultimo viaggio attraverso la capitale. Quei rumori,quegli odori..le campane, la gente che correva affaccendata,i cavalli per le strade,i carretti di merci, i Ministri con le loro vesti porpora e nere;il profumo del pane di grano della mia terra. Immaginai la mia terra,pensai ai campi di grano e alla rugiada sulle foglie,guardando il Tevere giallo. E lontano,la cupola bianca e bulbosa della Basilica. Mi scese una sola lacrima,durante quel viaggio.
Poi arrivò l'odore del mare. Ed eccolo,all'improvviso, il mare. Blu,di un blu che se non lo si è mai visto prima non si può descrivere. Il blu della libertà,il blu che cercavo per sfuggire da tutto quel bianco,quel bianco candido della Basilica,della veste di Leucesios. Divina e eterna,come lui.
Scesi dalla carrozza. E 2 giorni dopo ero in viaggio come marinaio su di una nave mercantile diretta in Spagna,l'Eternità.
 
Accadde tutto molto in fretta,amico mio. Non ho ricordi di come trovai modo di farmi arruolare nella flotta dell'Eternità. Ero un semplice marinaio,che doveva ammainare e issare le vele,pulire il ponte,portare il vino al comandante (un individuo orribile,tutto bardato di blu).
Sibilla era un pensiero fisso,che oscurava tutti gli altri. Anche se sul mare blu batteva il sole incessante,dentro di me pioveva. Non era temporale: pioveva solamente,senza tregua,senza speranza. Spesso piangevo,nella mia cuccetta,consolandomi dicendo che lo facevo per lei. Fuggivo per lei. Ero dannato,dovevo aspettare che Dio mi perdonasse. Che scacciasse via i diavoli da me,dai campi di grano,dalla piazza della Basilica. Nascosi la boccetta sotto al materasso,senza mai tentare d'aprirla. Gli incubi mi torturavano. Sognavo Leucesios,che mi ripeteva che Sibilla era sua,e lo sarebbe stata per sempre. Sua al punto che,alla fine di ogni sogno,la uccideva sgozzandola,e lasciando il sangue scorrere su un altare bianco,in mezzo a una foresta di colonne bianche. Rosso su  bianco e lei,grigia,morta.
L'alba poi mi svegliava e tornavo a lucidare il ponte.
I primi tempi furono orribili. Scoprii di soffrire di mal di mare e, peggio d'ogni altra cosa,condividevo la stanza con un Ministro. Pregava ogni sera. Ad alta voce. Dentro di me imploravo tacesse per sempre,quando scivolava nel sonno.
Un giorno,sul ponte,mentre mi riposavo un istante,e mi sporgevo dalla balaustra per guardare i delfini grigi che correvano nell'acqua, mi si avvicinò.
“Cos'hai,figliolo?”
“Sono un senza Dio,padre.” Guardavo i delfini giocare tra le onde.
“Lo vedo. Ma hai qualcosa di più profondo che ti turba. Parlane con me.”
“No, non voglio e non posso.”
“Perchè?”
Nel cuore sentivo una morsa violenta,crudele,e immaginavo una bestia con artigli di ghiaccio. L'aria profumava di viole.
“Perchè sono dannato,padre. E nessuno capirebbe. Nessuno...”
Vissi,sull'Eternità,come una lucertola che da piccoli catturavamo. Guardavo il Sole,mi lasciavo arroventare. Mi crebbe la barba,smisi di tagliarmi i capelli, finchè non dovetti legarli. Sono belli,neri,lunghi.. Oh Cielo, Sibilla che li accarezza fino a farmi addormentare.. Le sue mani,le sue labbra,il suo profumo.. E il crack metallico del suo cuore grigio che si spezza.
 
Arrivò settembre con le sue tempeste. Piovve a dirotto quasi tutti i giorni. Io trovai una chitarra nella cambusa,mal accordata,ma ancora integra. Suonavo dolci melodie,nel poco tempo libero che avevo. Pensavo a quanto mi aveva insegnato mia madre,e al mondo che mi aveva regalato tramite la musica. Era mio,è mio,e lo sarà per sempre. L'unico che lo sarà per sempre.
Una sera,ero nella mia stanza,in silenzio,col prete che fumava la pipa mentre io suonavo.
Il mare era agitato,sentivo le ondate abbattersi contro le fiancate dell'Eternità. Salii sul ponte,e iniziò a piovere. Cadevano le prime gocce,si sentirono i primi tuoni: e con loro riapparve il profumo di viole. Il mare iniziò a crescere,il vento ad ululare,e l'Eternità oscillava in balia delle onde.
Insieme agli altri marinai,corremmo sul ponte. Nell'aria c'era..c'era una certa pressione. L'aria gemeva,come se soffrisse. Come se ogni tuono fosse un urlo di dolore. Stava avvenendo qualcosa contro natura,contro Dio. Amico mio,fu quello il momento in cui capii che non potevo più fuggire,neppure in capo al mondo.
Tutto era confuso: ammainammo le vele,urlando sopra l'ululato del vento. Ed i lampi cadevano,e parlavano con la voce dei tuoni.
Rimasi sul ponte,incurante delle urla degli altri marinai,che scendevano sotto coperta. Sentivo ogni goccia cadermi sul viso,ed erano dolorose e gelate.
E mi sporsi dalla balaustra,guardai il mare. Guardai tra le onde e vidi due occhi perfettamente blu,che fissavano i miei.
E poi fu il buio.
  
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