Crossover
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Autore: Siirist    05/01/2013    2 recensioni
Siirist Ryfon è un giovane ragazzo della città di Skingrad, figlio di benestanti agricoltori che sogna di entrare nella Gilda dei Guerrieri per ricevere onore e gloria. Ma non è una persona comune, discende da un'antica casata elfica, della quale fece parte millenni prima un Cavaliere dei draghi leggendario. Un giorno la sua vita cambierà drasticamente e verrà catapultato in un mondo di magia, tecnologia, intrighi politici, forze demoniache e angeliche, per poi affrontare la più grande crisi della storia di Tamriel. Questa fanfic è una crossover tra tre mondi fantasy che amo: Final Fantasy (di cui troviamo le ambientazioni, come Spira, Lindblum), "Il ciclo dell'eredità" di Paolini (di cui sono presenti molti dati, quale i draghi con i Cavalieri e il sistema della magia, ma l'ispirazione è molto libera) e The Elder Scrolls IV: Oblivion (di cui sono presenti le città). Oltre a questo ci saranno anche alcune citazioni di One Piece e di Star Wars. I personaggi principali sono tutti originali. Ci saranno alcune comparse da vari manga (Bleach, ad esempio) e in alcuni casi i nomi saranno riadattati (Byakuya), in altri saranno quelli originali (Kenpachi).
NB: il rating è arancione in quanto è adatto alla maggior parte della storia, ma in alcuni capitoli dove compaiono i demoni (non il primo che si incontra all'inizio, quello è ridicolo) gli scontri possono essere anche molto cruenti.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL FABBRICANTE DI MATERIA

 

Timber era una piccola città il cui nucleo era la stazione. Intorno alla città sorgevano numerosi villaggi, alcuni costituiti solo da una ventina di abitazioni, ed essa rappresentava il loro vincolo con il resto di Ivalice. La stazione aveva otto binari e si trovava al piano terra del grande centro commerciale nel cuore della città. In esso si trovava di tutto, ristoranti, bar (in uno di questi Siirist si prese una coppetta di gelato al limone, l’ideale per quella giornata afosa) e negozi di tutti i tipi. In uno di essi trovò Sylgja e Durin e nemmeno aveva avuto bisogno di rintracciarli mentalmente: gli era bastato trovare una grande folla composta da gente con gli occhi sgranati e la bocca aperta.

«Avete per caso visto un nano?» chiese ad un uomo di passaggio.

«Sì, è incredibile, vero? Un nano fuori dai Beor! Inaudito!»

Ridacchiando, Siirist raggiunse gli amici.

«Che ci fai qui?» chiese sorpresa Sylgja.

«Cambio di programma, ho dovuto usare la magia, quindi tanto valeva aggiustare l’aeronave con la negazione temporale. Non ci serve niente da qui, adesso torniamo indietro.»

Insieme uscirono dal centro commerciale, sempre con tutti gli occhi puntati addosso. Raggiunsero l’automobile nel parcheggio fuori dalla città e, una volta entrati, Siirist usò la dislocazione per riportarla nel vano dell’aeronave che aveva precedentemente reso sicuro per una rilocazione. Sylgja subito andò ai comandi ma si fermò sorpresa nel salotto nel ritrovarsi davanti i due orchi.

«E loro?» chiese insicuro Durin.

«Ci accompagneranno. Oghren è fuori con un balrog per avermi fatto incazzare; spero che tu sia più  sveglio e non creerai problemi con loro.» lo minacciò nemmeno tanto velatamente il mezz’elfo.

«Certo che no. Siamo tutti figli di Titano.» rispose con un po’ di esitazione.

«Sono sicuro che andremo molto più d’accordo con te che con quello lì fuori.» commentò Ghorza-gul-Marak.

«Puoi dirlo forte…» rispose con un grugnito Sylgja.

Siirist guardò fuori e vide, proprio come si era aspettato, Oghren a terra, ammaccato, ferito e bruciacchiato.

«Ti avevo detto di non provare ad attaccarlo. Vieni dentro, è ora di partire.» disse Ryfon mentre rimandava il daedra a Oblivion.

 

«Quanto ancora dovrò aspettare prima che ti occupi anche delle mie armi? Sono qui già da due settimane e ancora niente.» disse stufa Alea.

«Pazientate. Devo solo finire questa armatura per Gilia, poi tutto il suo equipaggiamento di Adamantio sarà completo.» rispose Hans, come sempre calmo e gentile.

Da come lo aveva descritto Siirist, l’elfa se lo era immaginato come uno che le avrebbe tirato addosso un’ascia da lancio dopo la sua ennesima lamentela, ma era evidente che il tempo che aveva passato a Imladris lo aveva cambiato, così come il tempo che Alea aveva passato con Siirist e ad Arcadia e ora in questa dannata Alexandria aveva cambiato lei, ma in peggio. Non aveva più un briciolo di pazienza e era sempre nervosa. Gran parte della colpa era di certo da attribuire alla capitale di Ridorana, che era una città ancora rimasta al tempo precedente alla Materia, ma a differenza delle città di Cyrodiil, era molto grande, almeno otto volte Imperia, e le strade sporche disturbavano il delicato olfatto della altmer. E pensare che era stata così bene a Ellesmera. Sbuffò, il mento appoggiato alle braccia a loro volta appoggiate al bracciolo del divano. Stava stesa a pancia sotto con la faccia a pochi centimetri dal ventilatore. Fuori il clima era torrido e il caldo non faceva altro che peggiorare l’odore dello sporco e dell’immondizia delle strade. Il giorno prima era piovuto, e anziché ripulire le strade, aveva amplificato la puzza. Non erano le belle piogge che aveva sempre amato a Imladris che creavano splendidi arcobaleni, in primavera facevano risplendere tutti i fiori della vallata, in estate facevano profumare erba e aria, in autunno amplificavano i colori della natura e in inverno davano forma a sculture di ghiaccio maestose; né erano quelle di Ellesmera, dove gli odori della foresta venivano accentuati e ogni forma di vita vegetale pareva risplendere.

Ma perché non potevamo tornare a Rabanastre?

Non l’avrebbe mai creduto, ma le stava effettivamente mancando una Città delle Macchine. Anche quella sarebbe stata meglio di quella fogna a cielo aperto di Alexandria.

Hans finì di unire l’ultimo strato di Adamantio alla pelle di drago e la terza e ultima armatura del Cavaliere d’Incubo era terminata. Nell’anno in cui Gilia e Hans erano stati insieme, il fabbro gli aveva riforgiato Enedome ithil rendendola una spada ad una mano e mezzo di Adamantio e migliorando gli incantamenti per gli elementi fulmine, oscurità, terra (compreso il suo marmo nero), Sisma e Incubo. Ora la sua spada da Cavaliere aveva l’elsa bianca, sempre di Adamantio, con la guardia costituita da due busti di tigre con le strisce nere che balzavano in direzioni opposte, come occhi avevano entrambe dei piccoli diamanti neri di altissima qualità, l’impugnatura era rivestita da morbida seta nera e il pomolo era una testa di tigre di onice ben lavorata con due diamanti bianchi per occhi; la lama era logicamente nera, di un colore uniforme, profondo, perché gli Incubo avevano le scaglie tutte dello stesso colore. Il nome della spada era scritto in caratteri viola scuro sulla coccia, con le rune poste perché fossero leggibili sia che la spada era rivolta verso l’alto, sia che fosse verso il basso. Gli aveva forgiato una Falce di luna migliore, che, quando non combinata alla spada, poteva estendersi ed avere effettivamente la forma di una falce di luna; un immenso spadone nero e grigio di tre metri per quaranta centimetri con un lato di cinque centimetri al posto del filo, che lo rendeva un’arma contundente anziché da taglio, chiamato Schiacciaossa, che poteva portare devastanti attacchi di terra; un martello da guerra a due mani, nero, con le due parti contundenti, che recavano incantamenti scritti in viola scuro, che uscivano dalle fauci di due teste bianche con strisce nere di tigre chiamato Siberia, che amplificava esponenzialmente gli incantesimi di Sisma, in particolare l’incantesimo Mjollnir; un’ascia ad una mano dalla lama ricurva e con una punta al termine dell’arma e una opposta alla lama, nera e con il filo e le punte argentate, capace di trasformarsi in un’alabarda, con una tigre balzante incisa su entrambi i lati della lama, chiamata Caspio; una grande ascia a due mani con le lame ricurve che partivano da un cerchio al termine dell’asta nel quale era raffigurata una tigre ruggente, chiamata Bengala; una mazza di sessanta centimetri con la testa più lunga che spessa e a strati, con diversi angoli, che poteva allungarsi sull’asta e diventare di un metro e mezzo di nome Amur; due sciabole gemelle dalle lame nere sulla parte contundente e argentate sulla metà che aveva il filo, l’elsa era a forma di tigre rampante, con l’impugnatura situata lungo il corpo del felino bianco, chiamate Giava e Bali. Gli aveva forgiato due scudi, uno immenso e rettangolare, alto due metri e mezzo e largo un metro, che poteva incanalare la magia del marmo nero e indurirsi ulteriormente, inoltre poteva emettere degli spunzoni dal fondo e con essi piantarsi nel terreno e diventare un muro irremovibile; come il vecchio scudo di Corvinus, anche questo risultava trasparente dall’interno. Il secondo scudo era circolare, e grazie ai suoi incantamenti era in grado di rimandare indietro ogni incantesimo lanciato sotto forma di proiettile, quindi che fosse una sfera di fuoco o una lancia di ghiaccio, il mago nemico doveva stare attento a non essere troppo suscettibile ai suoi stessi incantesimi. Le tre armature erano logicamente di Adamantio rivestito di argento magicamente reso nero, e avevano tutte forme e dimensioni diverse. Tutte erano un pezzo unico tenuto insieme dalla veste di pelle di drago sotto all’Adamantio, così che il Cavaliere d’Incubo le potesse indossare con un’invocazione: la prima aveva dei punti dal colore rossiccio anziché nero, come sotto le ascelle, sui gomiti, le spalle, i polpacci, le ginocchia ed i fianchi ed un elmo a testa di toro. Era massiccia e ricoperta di incantamenti che la rinforzavano ancora di più ed era perfetta per incassare forti colpi che avrebbero altrimenti potuto scuotere l’uomo al suo interno, per quanto fosse pressoché invulnerabile ad attacchi da taglio, fisici o magici che fossero, visto il materiale di cui era fatta; aveva anche incantamenti che le permettevano di incanalare l’elemento terra. La seconda armatura era più leggera, le placche di Adamantio spesse solo qualche millimetro invece che dieci centimetri come quella del toro, e aveva come elmo una testa di serpente e in alcuni punti aveva disegnate delle scaglie giallo spento; era fatta per movimenti veloci ed era incantata per incanalare l’elemento fulmine. L’ultima armatura aveva strisce bianche su tutto il corpo ed una testa di tigre come elmo, era più robusta di quella del serpente ma non ai livelli di quella del toro, gli stivali erano dotati di artigli decorativi, così come le mani; la differenza era che questi ultimi, che si trovavano a ricoprire le nocche, erano quattro lame di dieci centimetri che potevano essere estratte e ritratte a piacere. Era incantata per incanalare magie di Sisma e Incubo e di marmo nero puro. Dagli avambracci si potevano estendere degli scudi rettangolari di un metro per mezzo metro. Tutte e tre le armature avevano elmi chiusi senza alcuna visiera, ma dall’interno era come se nemmeno si stava indossando un elmo e la vista non era bloccata da nessun angolo.

«Io paziento, però ci hai messo più di un anno per fare tutto questo. Sei lento.» insistette Alea.

«Ammetto che sto lavorando meno velocemente che a Kami no seki, ma ho paura ad andare più veloce. Non ho l’abilità di Bhyrindaar e Totosai e per quanto possa ora forgiare armi e armature al livello delle loro, per farlo devo lavorare lentamente e attentamente. Bhyrindaar avrebbe finito Luna di mezzanotte in un giorno, io ce ne ho messi dieci. Avreste dovuto vedere come abbiamo lavorato su Lama di sangue, la spada di Siirist: siamo stati tutti insieme tre giorni interi a forgiare lei e le sue due spade di accompagnamento. Da solo ci sarei stato un mese, e molto probabilmente nemmeno ci sarei riuscito. Le spade di Siirist sono qualcosa di unico, abbiamo usato tre zanne di Tyron e sono state infuse del potere del fuoco nero. Mi duole dirlo, ma Luna di mezzanotte e persino Ala dei cieli, una volta che l’avrò modificata, non potranno mai competere con Lama di sangue.»

«Le ha dato un nome sinistro.» commentò.

«La prima idea era stata Brama di sangue. Quando la vedrete capirete che il nome sarebbe stato appropriato, ma giustamente Bhyrindaar fece notare che era un nome infausto. Spero comunque che Siirist abbia imparato a controllarla per quando vi rivedrete.»

Alea restò a pensare a cosa il fabbro avesse detto, non capendo bene, ma comprendendo che il suo amato si era ritrovato con una spada potente, sì, ma molto pericolosa.

«Quanto ci vorrà per il mio equipaggiamento?»

«Volete solo un’armatura che possa combinarsi con i cigni, giusto?»

«Sì.»

«Poi c’è da fare la nuova lama per Ala dei cieli di cui abbiamo già una meravigliosa elsa, e la incanterò perché possa accorciarsi e diventare una vera e propria lancia oltre che una spada dritta. L’elsa si può adattare a qualunque forma, giusto?»

«Sì.»

«Perfetto. Farò in modo che non importa la forma presa dalla spada, la Coda di rondine e la combinazione con i due cigni funzioneranno perfettamente. Allora vediamo... Vi forgerò un pugnale in grado di diventare una spada, non si sa mai, può risultare sempre utile anche se non usate lo stile a doppia spada, poi un bello scudo lungo e uno più piccolo, magari tondo. Un’altra lancia, sì, può sempre far comodo, una che possa variare in lunghezza, magari, come una di quelle di Siirist. Dei pugnali da lancio in grado di incanalare l’elemento Bufera? Sarebbero degli ottimi assetti in battaglia, magari da usare in combinazione con arco e frecce. Ah sì, frecce, chiaramente tante frecce. Il vostro arco fantasma ha una potenza inaudita, servono frecce dal legno abbastanza resistente da non andare in frantumi al momento dell’impatto; le frecce per l’arco di Siirist sono in ferrocorteccia, potrei fare lo stesso… No. E se le facessi interamente di Adamantio? Hm, quello potrebbe essere difficile. L’arco le potrebbe certamente scagliare lontano, ma il problema è bilanciarle perché rimangano con la punta in avanti. Potrei incantarle, ma non so per certo se funzionerebbe. Le punte saranno comunque incantate tutte perché possano amplificare vari tipi di incantesimo: saranno tutte legate ad una faretra e una volta scagliate, saranno richiamate ad essa attraverso una dislocazione spaziale, o forse una contro-invocazione? Frecce per amplificare attacchi di luce, altre per il vento, per l’acqua, per la Bufera, per il Radiante. Magari delle frecce con dentro alcuni semi per l’elemento Natura? Poi serviranno degli amuleti…»

Ben prima di metà discorso Alea aveva capito che il fabbro aveva smesso di parlare a lei e si era messo a pensare ad alta voce. Se aveva avuto tutti quei dubbi quando aveva progettato le armi di Gilia, iniziava a capire perché ci aveva messo così tanto. E anche lavorare in quella fucina improvvisata nella cantina non doveva essere stato semplice. La Volpe Grigia aveva fatto del suo meglio per far trovare al fabbro un luogo da lavoro ideale, ma c’era un limite a quello che si poteva mettere su in un luogo non concepito appositamente. L’elfa era certa che la Volpe avesse altri luoghi in giro per Tamriel in cui aveva potuto far nascondere lei e Gilia, magari un posto in cui Hans avrebbe potuto lavorare meglio. Ma era certa anche che la Volpe avesse una ragione per averli fatti andare lì, e non aveva mai dato voce ai suoi pensieri. Solo odiava quella dannata città per il suo pessimo odore. Per passare il tempo si guardò il polso sinistro su cui apparve il tatuaggio rosso che raffigurava il sigillo dell’aquila. E di nuovo sparì grazie alla magia organica. La Volpe Grigia aveva reso la casa in cui abitavano un luogo sicuro in cui praticare le arti mistiche e Gilia le aveva insegnato il metodo di mettere sotto sigillo un oggetto inanimato. E Alea aveva trovato il modo di usare solo “un” sigillo per invocare svariati oggetti, cioè creare con la magia organica diversi strati di pelle che si sovrapponevano. Su ognuno di essi si disegnava un tatuaggio e poi tutti erano pronti all’uso. Gilia aveva già cancellato i sigilli delle sue armi e dei suoi daedra che gli forniva il tatuaggio magico sul pettorale, e aveva invece sostituito i primi (oltre trecento) con i dodici livelli di sigillo e i secondi con un unico tatuaggio dell’aquila che appariva sulla spalla. Aveva già messo sotto sigillo le nuove creazioni di Hans, ora c’era solo da aspettare l’arrivo di Tren, uno dei ladri più importanti della Gilda, una delle Nove Code, che si sarebbe occupato di metterle al sicuro nel deposito di armi del Cavaliere d’Incubo all’interno del quinto piano. Come la Gilda fosse in possesso di un portale segreto per Oblivion e come sapesse dove i Cavalieri (Eimir, Gilia e persino Siirist) avevano nascosto le loro armi, era un mistero per tutti. Fatto sta che ogni primo del mese arrivava Tren e chiedeva loro se avevano bisogno di qualcosa, che fossero materiali per Hans, ingredienti per pozioni, cibo, grimori o altri generi di libri o il dover andare a Oblivion a depositare un’arma. Due mesi prima era toccato ad una lancia di Cristallo che il fabbro aveva fatto in fretta e furia con alcuni scarti di Cristallo che gli erano rimasti (era comunque di qualità superiore alle armi forgiate alla Rocca, l’impronta di Bhyrindaar era chiara come il sole), che era stata la prima arma di Alea messa sotto sigillo. Il deposito era situato nel secondo piano in una grotta sottomarina; quando fosse tornata alla Rocca, uno dei ladri Cavalieri l’avrebbe accompagnata lì per mostrarglielo.

Continuò a far apparire e svanire il tatuaggio sul polso quando entrò Gilia.

«Bene arrivato, tempismo eccellente. L’armatura della tigre è pronta.» disse Hans che smise di colpo di pensare ad alta voce all’equipaggiamento per Alea.

«Ottimo! Fa’ vedere, fa’ vedere!»

«Vacci piano, gli incantamenti sono delicati. Se li maneggi male potrebbero percepirti come un nemico e respingerti. No, occhio agli artigli sulle mani! Finché non ce l’hai addosso, ti sconsiglio di giocarci troppo. Mettila sotto sigillo e mettiamola via per quando arriva Tren.» lo ammonì Hans.

Appoggiò le dita della destra alla lastra metallica all’interno delle fauci della tigre che avrebbe in futuro coperto il viso di Corvinus e aprì la mano mentre mormorava qualcosa nella Vera lingua, parole che nemmeno l’udito dell’elfa riuscì a cogliere per quanto erano state bisbigliate piano. La lastra si aprì, rivelando l’interno dell’elmo che, come previsto, risultava trasparente, addirittura invisibile. Con l’armatura addosso, Gilia avrebbe potuto aprire e chiudere l’elmo a volontà, ma, come detto da Hans, quando non era equipaggiata, non rispondeva a nessuno se non a chi l’aveva forgiata che ne conosceva i segreti. Il moro si ferì magicamente sulla punta dell’indice destro e applicò il sigillo modificato dell’aquila nel punto che avrebbe protetto la sua nuca. Poi fece apparire il sigillo sulla spalla attraverso il tatuaggio e lo ricoprì con uno strato di pelle sul quale segnò ancora il sigillo dell’aquila. Hans chiuse la visiera e Gilia riportò il suo tatuaggio magico sul pettorale in posizione neutrale.

«Tra due giorni arriverà Tren con i materiali necessari per le vostre armi, Alea. Fino ad allora starò a progettarle. Fatemi sapere se vi viene in mente niente di particolare.»

«D’accordo, grazie.»

 

Durin era stato paonazzo per tutto il viaggio, dal momento in cui erano decollati a quando erano atterrati nel nord di Cyrodiil, in un bosco a est di Anvil. Oghren era stato sempre rinchiuso nella sua cabina a vomitare nel gabinetto (Siirist lo aveva minacciato con una morte atroce se avesse sporcato da qualche altra parte), mentre gli orchi erano stati più tranquilli. Un po’ agitati, sì, ma parecchio divertiti (anche se avevano cercato di nasconderlo) a vedere i nani ridotti a quella maniera. Siirist capiva che tutti e quattro si sentivano a disagio a perdere il contatto fisico con Titano, però li trovava esagerati. Stava pensando di legare Oghren alla sella di Rorix e vederlo impazzire mentre l’Inferno dava il peggio di sé, ma poi rifletté che il drago, uno, non lo avrebbe mai accettato, due, anche fosse, si sarebbe rigirato e lo avrebbe divorato perché stanco degli urli e del molto probabile vomito che lo avrebbe investito.

«Per prima cosa andiamo ad Anvil a prendere dei vestiti per voi orchi: potete passare per degli orchi di città, sì, ma non vestiti a quella maniera. E mi dispiace, ma dovrete lasciare qui le vostre armi. Io farò lo stesso. Anche voi, nani. Lo so, non volete, ma non si può girare in città armati, è altamente proibito per chi non è della Gilda dei Guerrieri o dei Mistici o non è un Cavaliere. Anche potessi dire chi sono, non ho né drago né anello con me per provarlo, quindi dovremo arrangiarci. Non vi preoccupate delle vostre asce, nessuno le ruberà, la Gilda dei Ladri si assicurerà di nascondere l’aeronave.»

«Non è un nome molto promettente.» osservò Durin.

«Non sono solo ladri, anche spie, e sono i servizi segreti dell’Ordine dei Cavalieri. Sono loro che ci hanno dato questa aeronave e sono loro che mi hanno aiutato tutto questo tempo: io stesso sono un ladro. Fidatevi, tutte le nostre armi saranno qui quando torneremo.»

«Se lo dici tu.» si arrese Dorrak.

«Che genere di vestiti dovremo indossare?» chiese Azuk-lob-Khalak

«Non qualcosa a cui siete abituati, questo è poco ma sicuro. Andiamo. Ah, nani, vi nasconderò in un’illusione che vi farà sembrare umani come a Balfonheim: ci siete già abituati, quindi non vi lamentate. Non vogliamo attirare la stessa attenzione che ha avuto Durin a Timber.»

Dorrak scosse la testa convinto: la faccia imbarazzata e infastidita che aveva avuto nella città di Ivalice era stata comica oltre ogni immaginazione. Se non stessero cercando di passare senza farsi notare troppo, il mezz’elfo si sarebbe felicemente divertito a vedere i nani scacciare tutti gli umani che avrebbero iniziato a fare loro foto.

Siirist era vestito con una camicia a maniche corte a piccoli quadrati bianchi e blu, dei pantaloncini azzurri che gli arrivavano al ginocchio e delle scarpe molleggiate, una delle ultime scoperte nella moda sportiva delle Città delle Macchine. Aveva degli occhiali da sole dalle lenti verde scuro e alla vita due cinture che si incrociavano e a una mise il suo borsellino contenente dieci monete d’oro. Sui pantaloni aveva una catenella d’acciaio di Besaid che aveva attaccato ad un passante sul fianco destro e ad uno all’altezza dei lombari sul lato destro della schiena. Nei passanti vi era una cintura, quella che effettivamente stringeva i pantaloni. Al polso destro aveva un orologio con cinturino e cassa in acciaio, all’indice l’anello della Gilda e al mignolo quello di Glarald; al collo la Collana del giuramento nascosta sotto la camicia.

Usciti dall’aeronave, si ritrovarono davanti tre donne e un uomo ad aspettarli con sei chocobo sellati.

«Cavaliere d’Inferno.» salutò uno alzando la mano sinistra e puntano in avanti l’anello che teneva al pollice.

«Puntuali come sempre.» sorrise Ryfon, avvicinando il suo anello.

Su entrambi apparve l’occhio della Gilda e il mezz’elfo affidò ai quattro umani l’aeronave. Aiutò i nani a salire in groppa ai chocobo e salì a sua volta, mentre gli altri tre erano già in sella, gli orchi comodi, Sylgja un po’ incerta perché era la prima volta che ne montava uno da dieci anni.

«Cavaliere d’Inferno, arrivati a Zanarkand, andate all’ostello “La simpatica sorpresa”.»

«D’accordo.»

Ryfon si mise in testa ai compagni, subito seguito dalla ragazza mentre gli orchi affiancavano i nani per evitare che cadessero, e si diressero verso la città portuaria. Arrivati alle sue mura, lasciarono i chocobo nelle stalle e oltrepassarono il cancello dopo che Ryfon aveva condizionato le menti delle guardie perché non facessero domande. Andarono al negozio d’abbigliamento dove più di quarant’anni prima il mezz’elfo si era procurato i suoi primi vestiti invernali per Vroengard, ora gestito dal figlio del proprietario del tempo. Scelse tre paia di calzoni per Azuk-lob-Khalak e altrettante per Ghorza-gul-Marak, quattro tuniche e un paio di stivali a testa. Usciti dagli spogliatoi, gli orchi si guardarono come fossero dei giullari, schifati.

«State benissimo, state contenti che non vi ho preso niente della moda delle Macchine come quello che sto indossando io. Andiamo.» disse Ryfon mentre pagava con una moneta d’oro.

Ripreso il resto di 200 guil, uscirono dal negozio e dalla città e, rimontati in groppa ai grandi pennuti, si diressero a nord verso Zanarkand.

Il lembo di terra che divideva il massiccio del Gagazet dal mare era largo nemmeno duecento metri ed era evidente su di esso il passaggio di animali, carri, automobili e altre macchine da trasporto. Zanarkand aveva tre porti e cinque aeroporti, ma l’unico accesso via terra era quello, perciò era chiaro che fosse molto frequentato. Lungo la strada passarono un carro trainato da un bue e furono superati da una automobile dall’aspetto sportivo, per niente come il fuoristrada che Siirist aveva preso a Rabanastre. Era priva di tettino e curvilinea, aerodinamica, di colore rosso fiammante. Aveva due posti e gli interni rivestiti di legno, i sedili in pelle beige, le ruote erano grandi e cromate. Era un gioiello di macchina.

‹Un giorno me ne prenderò una.› si disse deciso.

‹A cosa ti serve? Puoi usare la dislocazione, in alternativa ci sono io.› fece notare Rorix.

‹Se voglio portare Alea a cena fuori per un appuntamento romantico, non è bello farlo andando al ristorante in groppa a te e a Eiliis, inoltre il vestito di Alea potrebbe rovinarsi. Con un’automobile come quella sarebbe tutto più fico e di classe: tutti i ricchi delle Macchine hanno auto di lusso, perché non dovrei averne anche io?›

‹Perché quando tornerai a Vroengard ti ci rinchiuderanno e butteranno via la chiave.›

‹Vedremo se ci resterò…›

‹Hehe.›

Un lungo ponte a sedici corsie, otto per direzione, e dalla pendenza di trenta gradi collegava Spira alla città sull’acqua. I chocobo non lo salirono, invece proseguirono verso le grandi stalle che erano state ricavate nel lato del Gagazet. A Siirist fu dato un biglietto che sarebbe dovuto essere riconsegnato al momento della partenza, e avrebbe dovuto pagare l’affitto delle stalle in base al numero di giorni in cui i chocobo vi erano rimasti. Una stalla costava tre bronzi al giorno, e per sei chocobo erano centottanta guil al giorno. Sarebbe costato parecchio, ma al mezz’elfo non interessava perché avrebbe presto parlato con il granduca che avrebbe fatto in modo che il suo vecchio amico non pagasse. A piedi, dunque, Ryfon salì sul marciapiede laterale del ponte con gli altri dietro. Tutto era certamente diverso quando si arrivava in città dalla terra e non dal cielo in groppa ad un drago. Il primo edificio di rilievo era la grande stazione che si collegava direttamente a Bevelle con un treno sotterraneo super veloce che copriva la distanza in sette minuti. Fuori da essa vi era una fila di automobili con la scritta TAXI sul tettino ed il mezz’elfo si avvicinò ad una di queste.

«Potreste portarci a “La simpatica sorpresa”?» chiese all’autista.

«“La simpatica sorpresa”?! Haha! Il nome si riferisce agli insetti che si possono trovare nelle lenzuola o nei pasti che servono. Si trova nel sesto piano sottomarino, sicuro di volerci andare?» rispose pigramente e con aria divertita, forse immaginandosi quel biondino tanto pulito e ordinato che aveva davanti dimenarsi e urlare come una femminuccia nel ritrovarsi cimici che gli giravano tra i capelli.

Divertente come, invece, tutti gli insetti sarebbero morti il momento in cui il mezz’elfo li avesse toccati con la mente, un po’ come Siirist nell’avere l’alito pesante di alcool e cibo fritto dell’uomo inquinargli le cavità nasali. Oltre a quello, il conducente puzzava anche dalle ascelle (anzi, da ogni poro) e indossava una canottiera larga che lasciava intravedere il petto pieno di lunghi, unti, sudati e schifosi peli. Le braccia erano grosse e flaccide e pure esse ricoperte di peli scarni e oliosi.

«Sicuro che ci possiamo fidare di questo qui alla guida? Sembra più ubriaco di Oghren!» bisbigliò Sylgja con aria disgustata: Siirist non sapeva dire se era per via dell’uomo al volante o al pensiero dell’ostello.

«È impossibile.» «Mi ritengo offeso. Biondino, portami a bere.» dissero all’unisono i due nani.

«Grazie per l’informazione, ma puzzate troppo, prenderemo il prossimo.» sorrise Ryfon.

Il conducente lo mandò a quel paese e il Cavaliere si avvicinò al secondo taxi. Disse di andare a “La simpatica sorpresa” e fece salire in macchina Sylgja e i nani, mentre lui prese quello dopo con gli orchi. La superstrada, come tutto il resto della città, era fatta di metallo e roccia fusi insieme e passava attraverso i vari isolati della città, che fossero costruiti direttamente sopra all’acqua gelatinosa oppure sulle isolette che affioravano qua e là. Arrivate ad una collina d’acqua in cui si apriva una galleria di pietra, le auto vi entrarono e incominciarono a scendere verso i bassifondi. Quasi un’ora ci volle prima di arrivare all’ostello. La strada era illuminata a giorno dai lampioni a Materia e dai piani d’acqua in alto che, da sotto, risplendevano. C’erano edifici ovunque, tutti di colore marroncino, metallico, il fondo di un intero quartiere era visibile proprio sopra alla strada in cui si trovavano Siirist e compagni. Per quanto si trovassero nei bassifondi e stavano per andare in un ostello rinomato per le sue condizioni igieniche simili a quelle di Oghren, c’era da ammirare quanto Zanarkand fosse relativamente pulita, molto meglio di Rabanastre. Era una città impressionante, il mezz’elfo non si sarebbe mai stancato di pensarlo, complessa, intricata ma bene organizzata.

Con le loro borse in mano, i sei entrarono nell’ostello dopo che Ryfon aveva pagato i due tassisti. L’ingresso era squallido, c’era poco da dire, con un bancone protetto da una grata di ferro.

«Che posso fare per voi…?» chiese con fare disinteressato e assonnato la proprietaria.

Era grassa e aveva degli sporchi capelli tenuti legati in una sorta di palla disordinata dietro la nuca. Aveva un orrendo rossetto messo male sulle labbra e un improponibile ombretto celestino brillante. Le unghie lunghe e mal curate avevano un brillante smalto rosso. A prima vista poteva passare per una cinquantenne o anche più, ma probabilmente non aveva nemmeno quarant’anni, solo si trattava male.

«Tre camere doppie, possibilmente vicine, due con letti singoli e una con un matrimoniale.» rispose il biondo.

«Sono nove guil per la matrimoniale e tredici per le doppie. Volete la colazione domattina?»

Il suo tono era così piatto che avrebbe potuto far addormentare la persona più energetica di Gaya che si era appena fatta una doppia dose di skooma. Persino Siirist in stato di calma assoluta aveva più vitalità nella sua voce!

«No grazie, niente colazione.»

Come se avrebbe permesso a quel suino su due zampe di avvelenarli. Pagò l’anticipo per le camere e prese le tre chiavi, ne diede una a Durin, una ad Azuk-lob-Khalak e salirono al piano di sopra. La camera di Siirist e Sylgja era tutto ciò che si era immaginato: piccola, con due letti duri e comodini. La ragazza doveva ringraziare di non essere in grado di percepire le forze vitali: tra cimici, scarafaggi, formiche e altri animalacci, nella mente del mezz’elfo, la stanza risplendeva di arancione. Toccò le menti di tutti gli animali e le schiacciò fino ad ucciderli. Allora estrasse la macchina che avrebbe interferito con il filatterio e usò una magia di fuoco per eliminare i cadaveri e una di vento per purificare tutto l’ambiente. Il bagno non c’era, ce ne era uno in comune lungo il corridoio: Siirist già stava pensando di dar fuoco a tutto l’ostello, non riusciva a capacitarsi del perché la Gilda gli avesse detto di andare a nascondersi lì.

Lasciò a terra la borsa e stava per dire qualcosa a Sylgja quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire e ritrovò l’ippopotamo dell’ingresso.

«È entrata una donna che mi ha detto di darvi questo.» disse, come sempre, in maniera eccitante quanto una persona in coma.

«Grazie.»

Il mezz’elfo aprì la lettera e trovò scritto “via del Cane rosso 96 alle 20:30” assieme ad una collana con un pendente dorato a forma di pugno chiuso. Il nome della strada in cui si trovava l’ostello era appunto Cane rosso, il numero 80 e l’orologio gli diceva che erano le sei di sera. Sorrise nel pensare a tutti i sotterfugi usati dalla Gilda. Qualcuno bussò ancora, e questa volta si trattava di Oghren.

«Ascolta, biondino, io ho fame. Abbiamo a malapena mangiato in groppa a quegli uccelli gialli mentre venivamo qui, questa sera voglio una cena abbondante.»

«Naturalmente. Andiamo a mangiare tra un’ora, e poi più tardi andremo a vedere qualcosa di interessante.»

«Che cosa?»

«Non lo so, ma so per certo che lo sarà.»

 

Il numero 96 era una porta che dava su delle scale discendenti. Era come entrare in una cantina. Arrivarono ad un corridoio e lo seguirono fino a che giunsero ad una sorta di biglietteria gestita da un uomo massiccio e imponente, molto probabilmente oltre trecento chili in lardo e muscoli. Pareva uno scimmione con un’espressione da “bronto stitico”, come fece notare Oghren. Dietro a lui Siirist notò alcuni bot da guardia dalla forma sferica e armati con fucili a Materia a ripetizione.

«Biglietti.» grugnì.

Siirist mostrò il pugno dorato e quello sgranò gli occhi.

«Da questa parte, prego!» disse con un cambio di tono improvviso.

Li condusse lungo un corridoio buio che terminò con una porta di legno pregiato, cosa che risaltava molto in quel luogo cupo, sporco e dall’aria poco raccomandabile. Oltre la porta vi era un salottino decorato lussuosamente, con le pareti coperte da bei drappi, eleganti tappeti ricoprivano il pavimento, sopra ad essi vi erano tavolini, poltrone e divani, e l’aria era impregnata del forte odore di sigaro. Tutti i presenti, elegantemente vestiti con smoking delle Macchine o tuniche tradizionali, fumavano, conversavano e bevevano vino da calici di cristallo. L’olfatto elfico di Siirist gli permise di discernere l’odore della bevanda e lo riconobbe come il Surrille, di produzione della cantina Ryfon. Ripensò ai suoi genitori, a come stessero, e se avevano dovuto assumere qualcun altro per coltivare la vigna. Su alcuni tavolini vide anche le bottigliette di skooma dorato, la droga di più alta qualità rispetto a quella comune.

La parete opposta alla porta da cui erano entrati Siirist e compagni era tutta una lastra di vetro che dava su una piccola arena al centro di innumerevoli spalti.

«Che posto è questo?» chiese Azuk-lob-Khalak, chiaramente poco felice di trovarsi in un luogo simile.

«Devo concordare con lui, non capisco il motivo della nostra venuta qui.» si aggiunse Durin a cui stavano lacrimando gli occhi per il fumo.

«Nemmeno io lo so, ma la Gilda ci ha fatto venire qui per un motivo, e sono sicuro che questo motivo diventerà presto chiaro.»

Si avvicinò a loro un uomo dai modi snob e arroganti, vestito con un abito elfico costituito da camicia celeste con ricami dorati e calzoni dorati; ai piedi aveva stivaletti di velluto celeste e alla vita una fascia argentata che pendeva lungo il fianco sinistro. Indossava una collana di oro bianco e due anelli di oro giallo su indice e medio sinistri. Aveva la pelle liscia nonostante la sua età, era chiaro che si fosse fatto “rimettere a posto” da un mago organico, e morbidi capelli bianchissimi, divisi perfettamente a metà da una riga, che gli arrivavano alle orecchie. Aveva occhi azzurri limpidissimi e una delle espressioni più fastidiose e piene di disdegno che Siirist avesse mai visto. E aveva avuto più di un incontro con i sei membri del Consiglio che lo odiavano a morte, dal suo resoconto della battaglia di Zanarkand, alla sua cordiale rimpatriata con Ashemmi e Injros ai cancelli di Orzammar.

«E voi chi sareste?» chiese con un tono di sufficienza.

«Qualcuno che è stato invitato qui. Ma non vogliamo disturbare, perciò ci andremo a mettere in quell’angolo.» rispose cordialmente il mezz’elfo.

Dovette trattenere Oghren che aveva preso a mugugnare parole incomprensibili: le uniche che Ryfon era riuscito a cogliere erano state “Narik” e “sventrare”.

Se lo volessi morto, lo sarebbe già. Non dobbiamo attirare troppa attenzione su di noi, è meglio stare buoni.› gli disse mentalmente.

Il nano grugnì e annuì.

Intanto fuori da quella sala PMI, la folla nelle gradinate aveva incominciato a spazientirsi e i loro richiami finalmente ebbero effetto e la luce che illuminava l’arena, da giallo sfumato, divenne bianco brillante come sotto il sole di mezzogiorno. Apparve l’annunciatore, un uomo un po’ in sovrappeso con due lunghi baffi all’insù che indossava un orrendo vestito rosso, così brutto che Siirist avrebbe preferito indossare tutto il guardaroba di Adeo prima di anche solo avvicinarsi a quel coso. Forse.

«Signori e signore, bene arrivati. È con mio immenso piacere che questa sera vi propongo questa battaglia!» pronunciò.

La folla esplose e Ryfon sentì i figli di Titano farsi più attenti.

«Interessante.» mormorò Kondrat mentre un sorriso gli si dipingeva in faccia.

«Nell’angolo rosso abbiamo lo sfidante: ha trentadue anni, è due metri e dieci per 130 chili di muscoli e un totale di 302 douriki!»

La folla incrementò i suoi urli di supporto mentre i nani, specie Oghren, si lasciarono scappare una risata. Effettivamente anche Ghorza-gul-Marak, la più debole fra loro escludendo Sylgja, avrebbe potuto rigirare lo sfidante come un calzino sporco.

«Ma non crediate che sia solo muscoli! È un praticante della Danza del serpente e la gru degli elfi che ha raggiunto il dodicesimo livello! Per chi di voi non la conoscessero, si tratta di una serie di movimenti atti a sciogliere il corpo e renderlo più flessibile, forte e scattante. In tutto sono ventidue, ma solo gli elfi con la loro grazia riescono a compiere tutti i movimenti di tutti i livelli. Vedrete che chiunque di voi non raggiungerebbe nemmeno il secondo livello!»

Era vero. Pure Siirist nei suoi anni a Vroengard aveva avuto difficoltà a superare il sedicesimo livello, e lui era sempre stato agile e sciolto, e solo con il risveglio del suo sangue elfico aveva potuto completare tutte le movenze. Gilia si era fermato al nono livello, ma non era mai stato molto slegato: se quell’uomo che si apprestava a combattere, con la sua stazza ed il suo peso, era riuscito a raggiungere il dodicesimo livello, c’era da fargli veramente i complimenti.

«Ha studiato arti marziali in tutta Tamriel dall’età di sei anni e possiede un quantitativo di energia spirituale che supera i 10mila douriki, tutti impegnati per la Materia di forza che tiene nel suo corpo! Un applauso per Wulgraf!»

Fra i boati del pubblico entrò nell’arena un armadio di uomo dalla carnagione scura e la testa pelata con un tatuaggio bianco sul capo e non un filo di grasso che indossava solo dei pantaloncini verde acido. Con una Materia che gli aumentava la forza fisica di 10mila douriki e una costituzione fisica simile, doveva essere in grado di polverizzare un macigno senza il minimo sforzo. Tra un po’ i Cavalieri dei draghi sarebbero diventati inutili visto che le Materia permetteva a chiunque di raggiungere i livelli dei Cavalieri comuni. Poi certo, c’erano casi come quello suo o dei Cavalieri d’Incubo o di Aulauthar.

«E ora, nell’angolo blu… – continuò il presentatore, e tutta la folla si azzittì. – La nostra campionessa in carica. È bella, è aggraziata, è il sogno di tutti noi. Con un quantitativo di douriki fisici e spirituali ignoti, Tifa!»

Se tutti avevano esultato per lo sfidante, ora era come se si fossero aggiunte almeno altre duemila persone. L’accoglienza che ricevette quella ragazza che non poteva essere più vecchia di Sylgja fu qualcosa di epico. Aveva lunghi capelli castano scuro e la pelle chiara, un viso incantevole e un seno di grandezza e forma da favola, messo bene in risalto dal reggiseno atletico che, assieme a dei pantaloncini elasticizzati, era l’unica cosa che indossava. Sylgja inspirò di getto, preoccupata nel vedere una persona così simile a lei, così apparentemente indifesa andare contro quell’energumeno, e la sua opinione fu condivisa dagli altri.

«Non ha la minima possibilità.» disse quasi spaventato Durin.

Siirist non disse niente, invece si concentrò sulla campionessa dell’arena. I suoi muscoli erano ben delineati e tonici, ma non esagerati né in massa né in definizione. All’apparenza poteva sembrare una semplice atleta e non una combattente; era molto simile fisicamente ad Alea, era solo più bassa di qualche centimetro. Eppure era la campionessa in carica, doveva necessariamente esserci qualcosa che la rendeva capace di mantenere il suo titolo. A giudicare dal suo corpo, non poteva avere più di 200 douriki fisici, ed era un corpo più sviluppato all’agilità che alla forza bruta. Poi poteva anche avere un enorme quantitativo di douriki spirituali e avere nel corpo una Materia così potente da permetterle di schiacciare l’avversario con solo il mignolo destro. Però lo sfidante conosceva la Danza del serpente e la gru, quello lo avrebbe reso ostico. Eppure Tifa era tranquilla, per niente preoccupata o tesa. Anzi, pareva divertita dalla situazione.

Intanto nell’area PMI si stavano facendo scommesse con cifre che raggiungevano tranquillamente il milione di guil. Per la sorpresa dei compagni del mezz’elfo, quasi tutti stavano puntando sulla ragazza.

«Queste vostre Materia stanno sconvolgendo tutte le normali regole di una battaglia.» si lamentò Durin.

«Sarebbe ridicolo se una ragazzina come quella lì vincesse contro un uomo imponente come lo sfidante. Le Materia hanno rovinato tutto, ora chiunque può essere forte anche senza alcun allenamento.» si aggiunse Oghren.

«Non proprio. Per poter contenere una Materia nel corpo, bisogna avere un equivalente numero di douriki energetici. Se la campionessa dovesse mantenere il titolo significherebbe che ha più douriki spirituali dell’altro, perciò è in grado di avere in sé una Materia di forza superiore.» spiegò Siirist.

«E se avesse qualche altro tipo di Materia?» domandò Sylgja.

«No, è proibito. Ho sondato le menti di tutte queste persone nella stanza e ho scoperto il regolamento: solo scontri fisici corpo a corpo, sono consentite esplosioni di energia incanalata attraverso il corpo e l’uso di Materia che migliorino le prestazioni fisiche, quindi che possono aumentare la forza fisica, incrementare la resistenza, rendere i muscoli più elastici e scattanti, anche quelle di rigenerazione. Ma niente Materia elementali o di volo o dotate di altri poteri.»

Nell’arena suonò una campana e i due avversari partirono l’uno verso l’altra. Wulgraf caricò un diretto destro, ma Tifa saltò in alto e compì un salto teso con un mezzo avvitamento con cui arrivò alle spalle dell’uomo. Gli assestò un possente colpo con il palmo aperto in cui mise tutto il suo peso. Ryfon sentì la colonna vertebrale dello sfidante rompersi fino alla tribuna PMI. Nani e orchi emisero un verso di sorpresa, Sylgja un sospiro di sollievo, mentre Siirist socchiuse appena gli occhi, concentrandosi attentamente sulla campionessa.

Lo sfidante era a terra e in una situazione normale un colpo simile lo avrebbe steso, ma con la Materia che lo rafforzava e la sua grande forza di volontà, egli si rialzò e, per la sorpresa di tutti, si riassestò la schiena.

‹Che abbia anche una Materia di rigenerazione?› suppose Rorix.

‹Possibile, non è contro le regole. Ti trovo particolarmente interessato, come mai?›

‹Queste Materia sono interessanti: come il misticismo sono imprevedibili, non sai che tipo una persona possa avere, sia nel corpo, sia come carica per armi. Oggigiorno ad un comune umano basta avere una grande spiritualità per avere la forza di un Cavaliere dei draghi, chi sa quanti Scorpioni sono equipaggiati con esse.›

Ryfon non rispose, concentrato com’era sullo scontro e intento com’era a immaginarsi ogni possibile scenario: l’annunciatore doveva essere stato messo al corrente solo della Materia di forza dell’uomo, mentre era evidente che nascondesse altri assi nella manica e chi sa quanti ancora. Wulgraf si avventò sulla sua avversaria con le braccia aperte, intenzionato ad afferrarla e probabilmente schiacciarla a terra, ma quella eseguì un salto raggruppato all’indietro dopo avergli assestato un calcio doppio sul petto. Il pubblicò apprezzò quella mossa. Con lo sfidante a terra, Tifa scattò in avanti e, a tre metri dall’uomo, fece un salto carpiato in avanti che finì con un calcio sulla sua nuca; ma quegli non si fece sorprendere e la afferrò per la caviglia e la roteò violentemente, sbattendola a terra e lanciandola contro le sbarre che delimitavano l’arena. Sylgja strinse il braccio a Siirist, quasi sentendosi male.

‹Tu che dici?› il mezz’elfo chiese al suo drago.

‹Se si rialza da una botta simile, dico che potrebbe vincere lei. Non sappiamo quanto sia potente la sua Materia, potrebbe benissimo non aver sentito niente di quel colpo.›

‹Io mi chiedo solo come faccia un uomo degno di tale nome a colpire così brutalmente una ragazza tanto bella.›

‹Tu tutte le volte con Alea?›

‹Ma quello era allenamento, sapevo bene che si sarebbe ripresa e guarita completamente un secondo dopo la fine dei nostri duelli; per di più non le ho mai voluto fare veramente male. Se all’inizio mettevo tutto il mio impegno, era perché sapevo che era necessario per avere anche la più minima possibilità di colpirla. Questi due, invece, fanno sul serio, per quanto non si vogliano uccidere.›

‹È proprio un bene che tutti i nemici che hai affrontato fossero uomini; conoscendoti, non avresti mai il coraggio di eliminare un’elfa oscura. Patetico.›

Il Cavaliere ignorò il commento del compagno mentale e osservò come la campionessa stesse cercando di rialzarsi con difficoltà. Era sulle ginocchia e si reggeva con il palmo destro e il gomito sinistro.

‹D’accordo, come non detto: l’ha sentito.› si corresse l’Inferno.

Con un poderoso calcio sulle costole, Wulgraf la scagliò verso l’alto, mandandola a sbattere contro le sbarre che delimitavano il sopra della gabbia. Tifa ricadde violentemente sul pavimento dell’arena con il pubblico che non proferiva parola. L’avversario rimase in attesa che si rialzasse mentre l’arbitro intervenne per incominciare a contare. In uno scontro reale l’uomo avrebbe incominciato ad infierire, oppure l’avrebbe semplicemente finita. Quei “combattenti” non avevano la minima idea di che cosa fosse una vera battaglia. O anche solo un allenamento con Kenpachi.

Il conto dell’arbitro era arrivato a cinque quando la ragazza aveva incominciato a rialzarsi. Pareva debole e sofferente, ma l’occhio attento di Siirist notò che non aveva alcun danno grave, giusto un labbro rotto, e che il tremolio che aveva nelle braccia era finto.

‹He, ma guarda un po’, è davvero dotata di una Materia potente.› ridacchiò Rorix.

‹È brava, tutti credono che sia davvero ridotta male.›

‹Immagino debba ravvivare un po’ lo spettacolo, se vincesse ogni volta con il minimo della difficoltà, questi babbuini non si divertirebbero.› commentò il drago.

Prima che Wulgraf potesse schiacciarla a terra con una pedata, la ragazza rotolò via e si rialzò con un movimento rotante agile e aggraziato. Attaccò con un calcio in faccia, ma l’uomo inarcò la schiena all’indietro, evitando di venire colpito con un movimento che quasi pareva impossibile per la sua corporatura, frutto dei suoi studi della Danza del serpente e la gru. Si rialzò di scatto e cinse la coscia della campionessa con il braccio e strinse forte fino a spezzare il femore. Sylgja sbiancò.

‹Questa non la può fingere di sicuro.› disse Rorix.

‹Intrattenitori: se lo avesse finito dall’inizio, avrebbe vinto. Ora invece rischia di perdere il titolo.›

‹“Rischia”? Non può volare, con una gamba spezzata in quel modo che credi possa fare? A meno che abbia una Materia rigenerativa. Ma ne dubito: per guarire una frattura simile dovrebbe essere molto potente, e dubito abbia i douriki energetici sufficienti per contenere una Materia di forza e una di rigenerazione di tale livello allo stesso tempo.› osservò l’Inferno.

‹Vediamo. Anche senza una gamba, mi sembra il tipo capace di inventarsene sempre una nuova.›

E come previsto dal mezz’elfo, Tifa, ancora a contatto con l’avversario, gli assestò un forte pugno in mezzo alla fronte, colpendolo con l’intersezione tra la prima e la seconda falange del dito medio leggermente alzato.

‹Gli ha stimolato un punto verde?!› disse incredulo.

‹È una ladra?› domandò insicuro Rorix.

‹Non credo. Quel metodo di pressione non è una tecnica della Gilda, è possibile che abbia scoperto da sola l’esistenza dei punti verdi e possibilmente degli altri punti sensibili. È interessante.›

‹Perché credi che la Gilda ti abbia mandato qui?›

‹Non lo so, ma sono sicuro abbia a che vedere con lei. La voglio andare a conoscere.›

Mentre l’annunciatore dichiarava Tifa la campionessa ancora in carica, Ryfon vide un grosso uomo dalla carnagione quasi nera, probabilmente il discendente di qualche appartenente alle tribù del deserto che si era stabilito in una Città delle Macchine, a giudicare dal suo vestiario non del deserto, e con il braccio destro dal gomito alla mano metallico, andare ad aiutare la ragazza giù dall’arena.

«Quel pezzente di Wallace vince ancora, che Sithis se lo porti! Non importa chi troviamo da mandarle contro, quella ragazzina non si fa battere.» disse arrabbiato lo snob dai capelli nivei.

Il nome che questi pronunciò colse l’attenzione del mezz’elfo che gli invase la mente per scoprirne di più, e venne a sapere che l’omone con il braccio metallico era proprio Barrett Wallace.

«Seguitemi.» disse ai cinque compagni.

Uscirono dall’area PMI e raggiunsero gli spogliatoi degli atleti grazie alle analisi mentali di Siirist di tutto lo stadio sotterraneo. Bussò alla porta e venne ad aprire proprio Barrett.

«Non si fanno autografi.» disse scortese e cercò di richiudere la porta.

Ma Ryfon appoggiò un dito ad essa ed impedì all’altro di muoverla di anche solo un millimetro.

«Sono qui per aiutare.»

Spinse via l’omone ed entrò nello spogliatoio dove la campionessa era stesa su una panca con la gamba destra tirata su. Aveva un’espressione di puro dolore in volto e gli occhi arrossati.

«So che la Materia che hai in corpo ti sta aiutando a sopportare il dolore perché ti aumenta la resistenza, ma potrebbe interferire con il mio incantesimo di guarigione, quindi ti devo chiedere di rimuoverla.»

«Di che stai parlando?! È una brutta frattura, nessun incantesimo la può aiutare! Ha bisogno di mettere il gesso, bere molte pozioni e, al limite, sottoporsi a qualche incantesimo leggero. Qualcosa di così potente da guarirla istantaneamente può solo causarle ulteriori danni!» si oppose Barrett.

«Fai silenzio. Tifa, che dici? Questo dolore può sparire tra dieci secondi, se vuoi, e potrai ritornare a camminare, correre e saltare tra undici.»

Annuì, incapace com’era a formulare parole sensate tra i suoi lamenti di sofferenza. Ryfon attivò la macchina della Volpe per impedire al filatterio di rintracciarlo e le toccò il Flusso con il proprio. Il momento in cui ella fece uscire la Materia giallo splendente dalla mano destra, le recise ogni terminazione nervosa della gamba per impedirle di sentire dolore. Le guarì la frattura, le risistemò i nervi e ristabilì il normale andamento del corpo.

«Fatto.» disse.

«Non hai fatto niente!» protestò l’omone.

«Tifa?» chiese il mezz’elfo con tono retorico.

«Sto… bene?» disse sorpresa.

«Naturalmente.»

Barrett le fu istantaneamente addosso e la aiutò a rialzarsi quando vide che ella stava mettendo i piedi a terra.

«Non serve, sto bene, davvero.» insistette, e l’omone si allontanò.

Fece qualche passo prima di guardare il mago.

«Ti ringrazio.» disse con tutta la sincerità possibile.

Barrett, invece, rimaneva sospettoso.

«Come hai fatto? Chi sei?»

Il mezz’elfo ci pensò su, chiedendosi se era meglio dire la verità o inventarsi qualche balla. Optò per la prima possibilità.

«Io sono Siirist Ryfon, il Cavaliere d’Inferno.»

Le facce dei due erano illeggibili. Tra la confusione, l’incredulità e la sorpresa, era difficile dire quale delle emozioni fosse la predominante.

«Mi prendi in giro.»

«No.»

«E dove sarebbe il tuo drago?»

«Ad allenarsi.» rispose vago.

«E perché dovremmo crederti?»

«Barrett…» cominciò a dire Tifa.

«Entri qui, senza invito, esegui questa magia misteriosa e invisibile e pretendi che crediamo che sei un Cavaliere dei draghi, quello di Inferno, per giunta, quando non hai nemmeno il tuo drago con te? Ci hai presi per cretini, ragazzino? Dovrei farti saltare qui e ora!»

La mano meccanica si deformò e si ricostituì sotto forma di un grosso fucile a Materia.

«Barrett!» insistette.

«Che c’è?!»

«Con il modo in cui mi ha guarito, credo sia possibile che stia dicendo la verità. Anche non fosse, gli dobbiamo molto, non puoi metterti a sparargli!»

«Hm, hai ragione…» ammise deluso.

Era stato fortunato che la ragazza lo aveva fermato, perché Siirist aveva già preparato un taglio di vento che gli avrebbe reciso il fucile dal resto del braccio, se no.

«Come possiamo ringraziarti?» chiese Tifa gentilmente.

«Io qualche idea ce l’avrei, hehe.» sogghignò Oghren.

Ryfon lo calciò sul lato della testa, mandandolo a schiantarsi a terra.

«So creare Materia e possiedo alcune armi alimentate ad essa, ma ho saputo che tu sei il migliore sulla piazza, Barrett Wallace. Ti chiedo di insegnarmi a costruire armi e a creare le migliori Materia possibili.»

Per un momento l’omone rimase serio e in silenzio. Lui e il biondo si fissavano senza distogliere lo sguardo, Tifa guardava da l’uno all’altro, i compagni del Cavaliere pure, sentendosi un po’ a disagio. Infine Wallace scoppiò sonoramente a ridere. Tifa si seppellì la faccia in una mano e scosse la testa, mentre Siirist alzò un sopracciglio con aria indispettita.

‹Fossi lì lo farei arrosto.› commentò Rorix.

«Se solo avessi Orgoglio…» mugugnò Kondrat.

«Potrei gentilmente sapere perché staresti ridendo?» mantenne la calma il biondo.

«Un Cavaliere che vuole usare la Materia?! Ridicolo! Sapevo che non eri il vero Cavaliere d’Inferno!»

Siirist sorrise. Era lo stesso sorriso che gli aveva tante volte rivolto Evendil; lo stesso che Keira, a Skingrad, aveva sempre odiato perché sapeva che guai sarebbero presto seguiti; lo stesso che aveva sempre visto su Alea prima che questa generasse le sue temibili lance di ghiaccio. Per un momento stava per trasformarsi in draconiano, ma cambiò subito idea. Chiuse gli occhi, abbassò la testa e sospirò. Quando guardò di nuovo l’altro in faccia, aveva cambiato espressione.

«Io sono chi dico di essere; non mi credi?, non mi interessa. Ma trovo che mi siete debitori dopo il modo in cui ho guarito Tifa, perciò voglio che mi insegni. Potrei anche pagarti, se è quello che vuoi.»

Le ultime parole parvero essere andate a segno, e Wallace incominciò a pensarci approfonditamente, ma la ragazza tagliò corto dopo avergli assestato una gomitata fra le costole che egli ricevette con un verso strozzato.

«Certo che ti insegnerà, e gratuitamente!» disse quasi minacciosa, rivolgendosi più all’amico che al biondo.

«Hm, d’accordo...» rispose quegli controvoglia, massaggiandosi il punto colpito dalla gomitata con un’espressione dolorante in volto.

«Ottimo! Quando possiamo cominciare?» sorrise il mezz’elfo.

«Dopodomani alle nove di mattina. Il mio negozio sta sul terzo livello della città, nel sessantunesimo settore, nel quartiere delle Due Torri, via del Leviatano numero 101. Ora sparite.»

«Ci vediamo lì.» rispose Ryfon, uscendo.

 

Il quartiere delle Due Torri era tutta un’altra cosa rispetto ai bassifondi. Situato nel terzo piano della città, aveva una vista tale da poter vedere molto lontano, gli edifici erano tutti belli e tenuti bene, con splendide cascate che uscivano da alcuni e si riunivano nel parco al centro oppure si riversavano nel piano d’acqua che sorreggeva il quartiere. Per prima cosa, Siirist si era trovato un piccolo albergo a tre stelle in cui alloggiare anziché quella topaia d’ostello, abbandonata alle prime luci dell’alba, se così si potevano chiamare dai bassifondi, dove erano invece le luci a Materia ad illuminarsi a giorno, sostituendo le luci soffuse dei lampioni. Sylgja era rimasta per un’ora e mezza nel bagno a lavarsi, grattarsi, lavarsi ancora e quasi spellarsi, e si era addirittura rifiutata di indossare nuovamente i vestiti che aveva avuto addosso in quella casa di batteri. Addirittura la cella in cui l’aveva tenuta Stig era stata pulita a confronto, aveva detto, e non aveva voluto nemmeno dar retta al mezz’elfo che le aveva spiegato che ci aveva pensato lui a igienizzare la stanza al loro ingresso. Per colazione Siirist andò ad un bar poco distante dall’albergo, indossando camicia a maniche corte a quadretti rosso rubino e scuro, lunghi e larghi pantaloni di un rosso così scuro da quasi sembrare nero con molte tasche e un paio di scarpe molleggiate bianche con strisce rosse. Nella tasca anteriore destra dei pantaloni aveva il suo borsellino di guil, mentre ad una delle due cinture messe più per decorazione che altro aveva assicurato la custodia degli occhiali da sole grigio scuro che indossava. Mentre camminava sentì degli urli quasi disperati e si voltò per veder correre e urlare a perdifiato un manipolo di soldati; ma non erano le guardie cittadine, le loro armature recavano i colori del granduca, il nero e l’oro.

‹Che accidenti stanno facendo qui delle guardie di palazzo?!›

Erano affannate, come avessero corso per ore, ma non avevano armi sguainate, perciò non doveva essere una situazione realmente pericolosa. Il settimo senso disse al mezz’elfo che due presenze piccole gli stavano per arrivare addosso, allora volse lo sguardo e vide correre velocemente due bambini che non potevano avere più di cinque o sei anni. Uno era castano scuro, con degli occhi nocciola di una tonalità conosciuta che ridevano, se possibile, anche più della bocca, deformata in un sorriso fino a quel momento ritenuto impossibile; l’altro era biondo scuro e aveva dei brillanti occhi azzurri e pure lui un sorriso smagliante ed esagerato. Ridendo sonoramente, i due scapparono via.

«Eccoli lì! Fermatevi!» urlò uno dei soldati, boccheggiando.

«Venite qui…!» disse un altro.

«Nobile Tryen…!»

Ma i due bambini erano sordi ai richiami delle guardie e continuarono a correre; il biondo saltò oltre un carro levitante, poggiando entrambe le mani su una delle valigie trasportate e dandosi la spinta, mentre l’altro scivolò sotto.

«No!» si disperarono diverse guardie.

E ripartirono.

‹Due semplici bambini che riescono ad eludere le guardie di palazzo? Non male.›

‹Mah. Da quello che ricordo, le guardie di palazzo non sono tutto questo che: furono massacrate dagli Scorpioni senza tante difficoltà.› rispose Rorix.

‹Sì, come è anche vero che di sette draghi e Cavalieri, sopravvivemmo solo noi e Ren e Zabi. I soldati hanno chiamato uno di loro “nobile Tryen”: che sia il figlio di Glallian? Suppongo sia il biondo, gli assomiglia pure.›

‹Sai che mi frega.› disse prima di troncare la conversazione e tornare ad allenarsi.

 

Dopo una bella colazione a base di cornetti vuoti, frittelle con sciroppo d’acero e spremuta d’arancia, Siirist lasciò il bar fissato da tutti per la quantità di cibo che aveva consumato. Il negozio di Wallace era a due piani, ed era situato quasi in cima al quartiere, con solo una strada che lo sovrastava. Appena entrato si ritrovò davanti Tifa che lo accolse calorosamente, ed effettivamente Ryfon non poteva negare che era meglio trovare lei di prima mattina anziché quello scimmione di Barrett.

«Buongiorno.» rispose il mezz’elfo con un sorriso.

«Tzè, non pensavo saresti venuto veramente.» disse quasi sputando l’appena giunto gorilla.

«Cominciamo?» sorrise amabilmente, decidendo di ignorare la maleducazione del costruttore di Materia e di non cancellarlo con il Vuoto.

«Hm… Vieni.»

Barrett incominciò a camminare per il negozio, avvicinandosi man, mano ai prodotti in vendita ed indicandoli all’altro che lo seguiva.

«Sai come si crea una Materia?» chiese quasi spazientito.

«Si infonde una gemma con il potere del Flusso vitale per darle l’effetto di un incantesimo, dopodiché la si carica e la si fa passare attraverso vari processi alchemici atti a cambiarne la forma e a rendere l’energia contenuta al suo interno facilmente ricaricabile.»

«Hm. – annuì. – E mi sai dire quali sono i due gruppi in cui si possono suddividere le Materia?»

«Da carica e da corpo?» rispose insicuro che fosse la risposta voluta.

«Esattamente. Quando ne crei una è importante chiarire da subite quale tipo vuoi. Come vedi si possono ottenere diverse forme e dimensioni e non sempre una Materia grande può essere più caricata di una piccola: come per le gemme, quando si usano come magazzino per l’energia, conta più la purezza della grandezza, e visto che le Materia non sono che gemme che hanno attraversato un processo alchemico, il discorso non cambia. Inizialmente le Materia da carica erano più convenienti di quelle da corpo, perché per quelle da corpo è necessario un equivalente in douriki spirituali, per di più le capacità fornite erano pressoché le stesse. Ma ora la tecnologia ci permette di creare Materia con capacità sempre più simili alla magia: una Materia di fuoco, ora, non solo può sparare palle o generare fruste, può fare tutto ciò che un mago di fuoco può fare, sempre nei limiti del potere della Materia, chiaramente. Ma tu, Cavaliere d’Inferno, immagino sia più che pratico e dotato nelle arti mistiche, perciò se vuoi delle Materia, suppongo sia interessato a quelle da carica.»

Il mezz’elfo annuì.

«Da questa parte.»

Lo seguì nel retrobottega e si sedette ad una sedia opposta a quella che venne occupata dal costruttore d’armi.

 

Dopo un’intera giornata passata a studiare le varie parti meccaniche che compongono una pistola, l’ultima cosa che Siirist voleva sentire era Sylgja che gli chiedeva di portarla a fare compere.

«Eh?» chiese con un sentimento che poteva essere facilmente e a ragione confuso con il disgusto.

«E dai!»

«Ma tu ho paura che sei scema!»

«Oh!»

«Che hai fatto tutto oggi? Non potevi andare da sola?»

«Ma non mi diverto da sola.» mise il broncio.

Il mezzo demone ringhiò infastidito, non sopportando quando la ragazza faceva in quel modo che gli ricordava Kaede. Chiuse gli occhi e si calmò.

«Domenica. Domenica non mi vedo con Barrett perché deve “andare a guardare la partita, bere, dormire, mangiare e non avere rotture di coglioni in mezzo ai piedi”. Ne parlo anche con Tifa domani, che certamente conosce i negozi della città, va bene?»

«Grazie!» esultò saltandogli addosso e abbracciandolo.

 

L’unica cosa che girava per la testa di Siirist, oltre alle risate di derisione del suo amatissimo drago, era il desiderio di uccidersi. Sì, pensava di prendere quella pistola che aveva appena finito di costruire, mettersela in bocca e premere il grilletto. Se solo fosse stata sufficientemente potente da ucciderlo veramente… No, se si fosse voluto ammazzare con un’arma a Materia, avrebbe dovuto usare una di quelle di Barrett, altrimenti sarebbe dovuto ricorrere al caro vecchio tantou nello stomaco. Ne aveva sentito parlare durante la sua adolescenza a Skingrad, ed era qualcosa che, assieme a tutti gli altri suoi concittadini di genere maschile, aveva sempre temuto più dell’attacco di una cocatrice o di un basilisco, le due creature più pericolose in quella zona di Spira. L’aveva sempre scampata, l’aveva sempre evitata come la cristallizzazione, perciò tutto quello che ne sapeva a riguardo erano voci e leggende, superstizioni e dicerie. E per Obras se aveva sempre fatto bene: accompagnare una donna a fare compere di vestiti era uno dei segni della fine del mondo. La noia stava divorando tutto il suo essere, era come essere un indifeso pesciolino in una vasca piena di megalodon che, lentamente, si avvicinavano sempre di più; era come trovarsi in una stanza sigillata in cui l’ossigeno veniva a mancare ad ogni boccata; era come trovarsi in mezzo ad un harem di Alea ed essere diventati impotenti. E dall’alto della sua ingenuità, della sua incoscienza, ne aveva invitata un’altra! Con disgusto e depressione guardò Sylgja e Tifa zompettare allegramente tra le vetrine.

‹Il miglior… giorno… della mia vita!› disse a stento Rorix tra le fragorose risate.

‹Ridi, ridi, hahaha! Senti quanto sto ridendo anche io!› ribatté irritato il Cavaliere.

All’interno della sua torre mentale, Ryfon se ne stava seduto sul suo trono, livido, mentre quella sottospecie di lucertola alata si rotolava dalle risate sul pavimento.

‹La vuoi finire?›

‹Mai!› rispose aspirando così forte da quasi rendere la parola incomprensibile, visto il volume delle risa. E pensare che stavano comunicando mentalmente.

«Siirist! Vieni qui!» chiamò eccitata Sylgja.

Il mezzo demone ringhiò prima di andare dalle ragazze. Oh bene, l’ennesimo vestito. Sempre meglio delle scarpe, almeno. O delle borse. Per Obras, se odiava le borse! Stava per non mettere nemmeno troppo impegno nel fingersi sorpreso/eccitato/interessato quando qualcosa nella vetrina dall’altra parte della strada colse la sua attenzione. Aprì il borsellino e tirò fuori due monete d’oro.

«Tieni, comprate quello che volete.» mormorò, prendendo la mano di Orla e mettendole dentro i duemila guil senza nemmeno guardarla.

Ciò che gli era saltato all’occhio era un lungo cappotto di pelle nero, esposto sopra ad un manichino che indossava dei grossi stivali, un modello chiamato “anfibio”, e dei larghi pantaloni di un qualche tessuto nero con molte tasche. Si avvicinò al vetro con la bocca aperta.

«Ohi? Che succede?» lo raggiunse preoccupata Sylgja.

«È perfetto.» disse Siirist.

«Per cosa?» domandò Tifa.

Il biondo sorrise e basta.

 

 

 

~

 

 

 

Spero abbiate tutti passato delle buone vacanze e che questo nuovo anno sia iniziato bene.

 

Il prossimo capitolo si intitola PISTOLERO. Siirist sta imparando a costruire Materia del più alto livello e armi capaci di sostenerle, ora è il momento di allenarsi ad usarle propriamente.

  
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