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Autore: yoshimoto    06/01/2013    1 recensioni
Sul mio piccolo quaderno rosa iniziai a buttare giù appunti su appunti, rispondendo a volte alle domande che la professoressa ci poneva.
«Richardson, mi dica.»
La professoressa ora aveva mosso il viso lungo e rugoso verso gli ultimi banchi.
Mi voltai curiosa. Un ragazzo con i capelli lunghi aveva alzato la mano, facendo sbattere con forza il suo bracciale borchiato sul banco.
«Ho una domanda.» parve alquanto scocciato.
La professoressa annuì, incitandolo a parlare.
«Io odio la scuola. Odio lei, odio questo posto. Perché dovrei ascoltare questa inutile lezione?»
Fu come se stesse parlando direttamente con me. Lo fissai, mentre cercava di avere un’aria strafottente, con gli occhi fuori dalle orbite. Nella mia mente sognai di essere io la professoressa e di poterlo mandare direttamente in un carcere per gli ignoranti. Un posto che avevo inventato io per le persone che non avevano rispetto per gli altri, né tanto meno per la cultura.
Ginnie Pywett te la farà pagare, Richardson.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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I know times are getting hard


 

«Splendore!» una voce irritante sovrastò il silenzio nella biblioteca dove, come ogni altro studente normale, cercavo di studiare.
Lo sguardo assassino della signora Brown, l’addetta alla custodia della biblioteca, non esitò a soffermarsi sulla ragazza che emise quel gridolino.

«Qual buon vento, Chrys» risposi provando ad essere cortese.
Sii sempre disponibile, anche quando non sopporti una persona. «Come mai da queste parti? Di solito il tuo habitat naturale è totalmente diverso da questo.»
La bionda davanti a me trascinò chiassosamente la sedia vicino alla mia e si stravaccò poggiandosi sul tavolo.
Come si fa ad essere disponibili con certa gente?
«Ho bisogno di una mano.»
Annuii mentre leggevo una frase interessante sul libro che avevo davanti.
«Vorrei capire perché Claire non mi parla più! Sono giorni che mi evita.»
Giusto, la questione Claire. Il suo avvocato ero io, chiunque avesse voluto parlare con lei prima doveva avere una consulenza con me, la sua migliore amica.
«Credo sia per il fatto che tu ti sia portata a letto Charlie.» constatai.
«Io credo ci sia dell’altro. Sono anni che ci scambiamo i ragazzi!»
Che razza di discorsi. Alzai di poco lo sguardo alla ricerca di qualcosa che avesse potuto farmi allontanare da quell’oca.
A due tavoli di distanza notai il tipo che qualche ora prima aveva risposto male alla professoressa. Indossava un paio di cuffie enormi e vistose ed aveva lo sguardo assente. Sbaglio o da che mondo e mondo la biblioteca viene utilizzata essenzialmente da persone che vogliono leggere e non per ascoltare la musica?
Chrys accanto a me continuava a parlare, non percependo che io in quel momento ero distante mille miglia dal suo mondo fantastico. La sua poca intelligenza non l’avrebbe mai notato.
«…e così ieri mi ha guardata quasi schifata.»
«E ha fatto bene.» sussurrai.
«Scusami?» chiese rimanendo con la bocca spalancata a forma di ‘O’.
Tagliai corto dicendole di andare da Claire e chiederle scusa, ne avevo abbastanza di quelle paranoie inutili. Insomma, quale persona sana di mente vorrebbe vantarsi di essere andata a letto con dieci ragazzi diversi in tre settimane?
La bionda mi salutò scoccandomi un bacio sulla guancia, lasciandomi la forma delle sue labbra per il rossetto appiccicoso.
Subito passai convulsivamente la mano sulla gote. Le mie orecchie captarono una risatina sommessa di fianco a me. Prima di capire da chi provenisse provai ad essere più disinvolta che potei e chiusi tutti i libri davanti a me, così da poter guardare meglio il soggetto facendo finta di andare a mettere a posto dei libri. E, ovviamente, chi poteva essere se non mister-io-non-voglio-studiare?
Ora mi stava guardando divertito, con i capelli che gli nascondevano mezza faccia. Semplicemente lo guardai sprezzante dirigendomi verso gli scaffali che mi interessavano e che, casualmente, si trovavano anche vicino a lui.
La sua risata non aiutava granchè. Salii sulla scala per raggiungere i piani più alti e poggiare il libro più pesante. Ogni tanto sbirciavo verso il tavolo dove si trovava il tizio che, puntualmente, si girava nella mia direzione quasi a farlo apposta. O forse dovrei eliminare quel ‘quasi’?
Finito il lavoro di inserimento dei libri, passai accanto al suo tavolo, sorridente come sempre.
«Ho bisogno anch’io di un consiglio.» fece lui per attirare la mia attenzione.
Mi girai di scatto rimanendo sorridente. Credo che la mascella si fosse atrofizzata perché il mio sorriso non durava mai così a lungo con le persone che non sopportavo.
«Dimmi.» mi fermai di fianco a lui che stava fissando ancora il vuoto.
«Vorrei sapere perché Clark non mi parla più!» disse imitando Chrys prima.
Stavo quasi per ridere, ma mi ricomposi subito. «E’ Claire.»
«Oh, scusami. Le cuffie hanno insonorizzato quello stupido nome.»
«Di grazia, che stai dicendo?!»
«Guarda che di dietro ha quella lì!» cambiò discorso indicando una ragazza vestita interamente di nero che era appena passata recandosi agli scaffali di Arte Mistica. Mi vennero i brividi solo a vederla lì vicino conciata in quel modo.
«Per tua informazione, questa è una biblioteca. E poi, sbaglio o in questo momento dovresti essere in punizione?» sorrisi falsamente.
Lui ricambiò allo stesso modo. «Il preside ha deciso di graziarmi. Oramai sono di casa nel suo studio, non gli va nemmeno più di inventare punizioni.»
Maledetto.
Annuii e me ne andai.
Quindi le cose da risolvere erano due: avrei chiesto a papà che cosa aveva fatto quel tizio oltre a quello che avevo visto quella mattina e trovare una giusta punizione ai suoi modi di fare così palesemente menefreghisti. E non l’avrebbe scampata liscia.
 
 
«Non ci crederai mai!» sbottò la mia amica bionda intenta a mettersi lo smalto. Non feci nemmeno in tempo a sedermi sulla panchina che mi colse con una nuova notizia.
«Cos’è, non hai più il titolo ufficiale di Barbie?» ironizzò Sophie.
«Oh, non succederà mai» si vanto Claire «io intendevo parlare di Chrys.»
Non ascoltai i loro stupidi discorsi, mi buttai in una lettura profonda. Persi più di una mezz’oretta di tempo nel leggere, tanto che ero rimasta sola sulla panchina. Chissà quante se n’erano inventate le mie amiche per farmi staccare dal mio momento di relax. Sorrisi al solo pensiero.
Respirai un po’ d’aria pura del parco davanti alla scuola e sorrisi ancora alla vista di alcuni bambini che giocavano a rincorrersi. Molti ragazzi che uscivano da scuola mi salutarono cordiali, altri mi evitavano. Per loro ero solo la secchiona di turno.
Tra queste persone che non mi sopportavano, ovviamente, spuntò la chioma scura del tipo della biblioteca. Teneva stretta per mano la ragazza vestita di nero che aveva adocchiato prima e correva verso un angolo remoto del parco.
Schifoso.
La suoneria del mio cellulare rimbombò, distogliendomi dai miei pensieri.
«Tesoro» gridò mia madre «stasera andiamo a cenare dalla nonna. Vengo a prenderti?»
«Torno a piedi, non preoccuparti. Sarai stanca per il lavoro.»
«Sicura? Posso anche…»
«Sicura. A dopo mamma.»
Detestavo essere troppo disponibile, ma lei faceva tanti sacrifici per me. Era il minimo che potessi fare.
Mi incamminai verso casa, trovando un mio amico-ex e camminandoci insieme per un bel tratto di strada.
«I tempi che corrono sono orribili, Ginnie.» sentenziò Freddie.
«Perché dici così? Io credo sia il contrario. Siamo nei tempi della rivoluzione!»
«Rivoluzione? Ah, no cara! Qui la rivoluzione è tutta nel tuo cervellino.» indicò la mia testa «Non cambierai mai, eh?» sorrise. Un sorriso mozzafiato.
Perché ci siamo lasciati io e te? Ricordamelo.
«No, credo di no.» ricambiai il sorriso «Per me la rivoluzione è qualcosa di essenziale. Se non decidiamo noi stessi di migliorare qualcosa allora il mondo farà una brutta fine.»
«Sei troppo geniale.» scosse il capo divertito.
Una coppia vestita di nero ci sorpassò quasi correndo. Oh, fantastico. La coppia di innamorati punk. Sbuffai rumorosamente, richiamando l’attenzione di Freddie che era intento a scrivere un messaggio.
«Brutta giornata?»
«Non per me, ma per qualcun altro si.» indicai col capo i due.
«Sembrano… strani.»
«Io toglierei il ‘sembrano’.»
Richardson si girò verso di noi, guardandoci torvo. Si bloccò facendo spaventare la ragazza e si diresse a tutta furia verso di me. Si avvicinò così pericolosamente a me che mi lasciò alla sprovvista. Rimasi immobile col cuore che batteva a mille per la paura. Chissà cosa passava per la mente di quel tizio strano.
«Ora non ho le cuffie, sai?» chiese quasi calmo.
Mi voltai alla mia destra e di Freddie nemmeno l’ombra. Perfetto, ora ricordo perché lo lasciai. Era un codardo. Rimasi ancora immobile a fissarlo.
«Dovresti contare fino a dieci prima di sparare cazzate!» urlò infuriato. La ragazza cercò di tirarlo via, invano.
«I-io…»
«Sentiamo, tu cosa? Credi di essere migliore di me? Credi che la tua vita sia bellissima e perfetta a tal punto da giudicare gli altri?» la sua fronte sfiorava quasi la mia.
Avevo una paura immensa. Dio solo sa come ebbi la forza di rimanere ancora lì in piedi davanti a lui.
«Se non la smetti io me ne vado.» disse scocciata la ragazza in nero.
«Fa’ come ti pare, Fitz.» sbraitò lui.
Detto fatto. La ragazza girò sui tacchi e se ne andò. Altra codarda. Riflettei sul suo nome, mi sembrava appartenesse ad un vecchio cane dei miei nonni, così risi istericamente.
«Oh, la signorina qui la prende sul ridere.» si allontanò di poco lui.
«Richardson, si da il caso che io stia ridendo per il nome di quella ragazza.»
«E sentiamo, cos’ha di strano il suo nome?»
«E’ il nome del cane dei miei nonni.» risi ancora di più.
«E vediamo, quale sarebbe il tuo nome?»
«Ginnie.» risposi ovvia. Volevo proprio vedere cosa ci avrebbe trovato di strano.
Rise più forte di me, mantenendo l’aria da duro. «E tu dicevi a lei?»
Lo scrutai timorosa e curiosa allo stesso tempo.
«Cos’è, i tuoi ti hanno concepita leggendo Harry Potter?»
Non ci vidi più. Iniziai ad urlare anche io, inventando insulti e imprecazioni, sotto lo sguardo nascosto dai capelli di lui. Mi muovevo come non avevo mai fatto, a scatti. A volte mi ci buttavo addosso, provando a spingerlo, invano. Era pur sempre un uomo, non ci sarebbe voluto niente a farmi male.
«Una ragazzina che sfida uno come me, notevole.» parve calmarsi. Nel frattempo continuai ad imprecare a bassa voce. «Non ti hanno insegnato che le signorine non devono dire certe cose?»
Fu un attimo. Pensai ai miei genitori, a quanto sarebbero rimasti delusi dal mio comportamento se solo ne fossero venuti a conoscenza. Scoppiai inevitabilmente a piangere.
  
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