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Autore: RebelleDawn    07/01/2013    1 recensioni
Il Governo Mondiale è ora in mano all'élite, ottenuto da essa con un violento colpo di stato.
Le masse ora sono nelle mani dell'esercito, sono controllate con ogni mezzo possibile.
Tutte le manifestazioni tarpate con la violenza e punizioni esemplari.
I ragazzi ribelli vengono mandati in dei collegi militari.
Alexander è uno di questi.
Ora lui dovrà fare i conti con il Governo.
Benvenuti nel suo inferno.
Genere: Azione, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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III
We are born to die

Una calca enorme si affollava nella piazza, facendo un gran rumore. Urla, cori, grida. Una grande orchestra di suoni si armonizzava a tal punto che tutto sembrava silenzioso.
Un ragazzo con un grande striscione a lettere cubitali rosse ci faceva un cenno con la mano.
Io e Rachel ci facemmo largo tra la folla e lo raggiungemmo.
<< Ehi belli, anche voi non entrate a scuola oggi?>> domandò con tono squillante.
Noi due ci guardammo un po’ stupiti. Mi girai di nuovo verso Lucas.
<< Non ne ho idea Luc, non mi sembra una grande idea. Hai visto che ci sono Forze dell’Ordine ovunque a Wall Street? >> sentenziai un po’ incerto.
<< Eh dai Alex, cosa ti costa? Anche se i tuoi genitori sono avvocati non vuol dire che il Nuovo Governo non li toccherà, anzi, probabilmente li caccerà tutti via per dare spazio ai suoi Funzionari! >>.
<< Fanculo Lucas, questo lo so pure io! Ho paura che qualcuno mi prenda a manganellate e mi porti in Centrale! >>.
Lo guardai. Aveva una cuffia rossa, che ben si sposava con i capelli color fuoco.
<< E non dire stupidaggini Alex, dai, non dirmi che non vuoi venire perché ci sono io!? >> fece lui con voce implorante.
<< Non c’entra quella questione … >> il mio tono si spense.
<< E allora vieni, cazzo! >> e prese entrambi per i cappucci delle felpe e ci portò in un gruppo di suoi amici.
Avevo una brutta sensazione. E pure Rachel. I nostri sguardi si incrociarono, ognuno con un volto preoccupato.

 
Nel corridoio si trovavano ora un cinquantina di ragazzi, disposti tutti in fila, come i soldati nell’esercito.
Nessuno si voltò verso di me quando uscii dalla mia stanza.
Notavo in tutti uno sguardo vuoto, inespressivo. Probabilmente sarei divenuto pure io così.
Jesse mi mise in mezzo a quella fila. A fianco di me un ragazzo molto più alto di me, massiccio, dai capelli castani, pelle olivastra, con un forte profumo di dopobarba. Alla mia destra invece un ragazzino più o meno della mia età, con capelli neri spettinati e una cicatrice profonda che gli attraversava la guancia.
Una Riformattatrice sulla quarantina leggeva da un registro ad alta voce dei nomi.
<< Harold Broken >>.
Il ragazzo castano alla mia sinistra fece un passo in avanti e poi tornò al suo posto.
Un Appello.
Sembrava davvero di essere nell’esercito.
<< Jona Cho … Eli Chandler … >>.
Uno ad uno i ragazzi fecero un passo in avanti.
<< Alexander Lauren >>.
Le mie gambe quasi cedettero. Feci un passo e con sveltezza tornai al mio posto.
Quell’Appello durò altri cinque minuti, poi la donna chiuse il registro di pelle nera e si avviò verso la porta che conduceva al Salotto. Tutti i ragazzi la seguirono in fila indiana. Jesse camminava a fianco a me e ogni tanto mi rivolgeva un sorriso crudele.
Avrei voluto saltarle addosso e prenderla a schiaffi ma non volevo finire elettrizzato.
Dal Salotto entrammo di nuovo nella Sala d’Ingresso.
Dal Corridoio Ovest giungeva un’altra fila indiana, con a capo uno dei Riformattatori che avevo visto in Presidenza.
Dietro di lui vi era una trentina di ragazze.
Avevo ragione.
I due Riformattatori si guardarono e condussero i due gruppi fuori dal portone principale. Dai piedi delle scale ci dirigemmo a sinistra, camminando sull’erba fresca.
Il sole batteva forte sulla mia fronte. Arrivammo dopo un paio di minuti ad un piccolo edificio bianco con una porta di acciaio.
Il Riformattatore prese una chiave dalla tasca e l’aprì.
La Mensa era grande e spaziosa, rispetto a come si poteva pensare.
Aveva grandi finestre e vasi con gerani e rose erano appesi ai muri.
C’erano tre grandi tavolate, tutte già apparecchiate con tovaglie di pizzo e piatti di ceramica nera già pieni.
Arrivarono dietro di noi una quarantina di Riformattatori seguiti da Funzionari Collegiali. Questi si sedettero nella tavolata centrale. I ragazzi in quella a sinistra e le ragazze a destra.

Mi ritrovai a fianco il ragazzo con  la cicatrice e un altro di origine orientale. Quest’ultimo doveva essere Jona Cho, per quello che ricordavo dall’Appello. Mentre l’altro non mi veniva in mente. Possibile che fosse stato chiamato prima del mio arrivo.
Guardai il mio piatto. Dentro c’era della carne di agnello con delle verdure. Nel piattino vicino c’era quella che sembrava una zuppa di pomodoro. Bevvi un po’ d’acqua e mi guardai attorno.
Non c’era più il silenzio maestoso di prima, anzi, alcuni ragazzi chiacchieravano con i loro vicini, ma perlopiù ognuno si faceva gli affari suoi.
Un paio sembrava che stessero per rivoltare il tavolo, altri avevano dei tic nervosi alle mani e lo sguardo nell’aria. E poi ero io il mentalmente instabile.
Lentamente cominciai a mangiare.
Il ragazzo con la cicatrice non aveva toccato nemmeno la forchetta, e a braccia conserte era intento a squadrarmi.
Abbassai lo sguardo e rivolsi la mia attenzione sulla carne.
<< Sei nuovo? >>. Quella voce profonda e inaspettata mi fece quasi andare di traverso il cibo.
Il ragazzo mi guardava ora non più con aria intimidatoria, ma interrogativa.
Inghiottii e dopo un po’ feci:
<< Sì >>. La mia voce era quasi un sussurro.
<< Piacere,  Richard Adams >> e mi porse la sua mano.
<< Alexander Lauren >> e la strinsi. La mano era callosa e stringendola sentii dei profondi tagli solcare il palmo di essa.
<< Cosa hai fatto per finire qui? >> mi chiese con tono incuriosito.
Il volto sembrava quello di un attore, perfetto, delicato, ma deturpato da quel taglio rosso che scivolava da sotto la palpebra fino al labbro.
<< Ehm … >>
Urla, urla ovunque. Il silenzio rumoroso si era rotto.
L’armonia di voci si era infranta come quando mamma aveva rotto il portacenere di Swarovski gettandolo a terra quando avevo portato Lucas a casa.
La gente correva, scansava le persone ferme.
Caos.
Rachel urlava, lo sguardo disperato, lacrime agli occhi e volto contratto dal dolore.
Cadde a terra.
Non riuscivo a muovermi. Non sapevo che cosa fare.
Un rivolo rosso uscì dalla sua nuca. Si chinò con la testa e cadde di peso per terra, mentre la gente continuava a correre.
Lanciai un urlo. Mi gettai su di lei e la presi.
Lo sguardo era vuoto. Respirava ancora.
Alzai lo sguardo e vidi una Forza Armata con un manganello nero guardarmi da sotto il casco.
Non doveva finire così.


<< Allora? Sei vivo? >> la voce di Richard mi risvegliò dai miei pensieri.
<< Ah sì .. scusa, beh sono qui un po’ per gli stessi motivi per il quale tutti noi siamo finiti in questa schifo >>.
<< Capito, storia difficile, non ne vuoi parlare, nessun problema >> tagliò corto.
Rimasi in silenzio.
 
Perché ero finito in quella situazione di merda?
Nove giorni erano passati tranquillamente.
Invece perché proprio l’ultimo giorno di proteste in periodo scolastico era finito così?
Era un augurio di buone vacanze estive?
Fanculo.
La Forza Armata continuava a guardarmi.
Le orecchie mi fischiavano, e all’improvviso di nuovo silenzio.
Ma non un silenzio armonioso come prima. Era freddo, tombale. La calma prima della tempesta.
Cercavo di scuotere un po’ Rachel, che giaceva svenuta tra le mie braccia, in mezzo alla strada.
Nessuno si fermava ad aiutarci.
Tutte le Forze Armate con camion e altri veicolo inseguivano tutti i manifestanti.
La Repressione Armate.
Wall Street non era mai stata così movimentata.
La Forza Armata batté il manganello sulla mano, e mi lanciò un’occhiata di sfida.
E poi la tempesta quiescente si risvegliò forte ed impetuosa.


Il tempo quasi era passato senza che me ne accorgessi.
Dei Funzionari stavano sparecchiando i tavoli e i ragazzi si alzavano svogliatamente.
Richard mi guardò ancora un po’ e poi sentenziò:
<< Beh, ci vediamo dopo a Storia, magari riesci ad aprire la bocca per più di un minuto >> e si diresse verso un Riformattatore.
Che maleducato che ero stato. Lui mi voleva dare il benvenuto e io ero stato in silenzio a pensare al mio passato. Un passato che probabilmente non avrei più riabbracciato.
Avrei cercato di farmi perdonare.
In un modo o nell’altro.
Mi girai e vidi Jesse che mi scrutava.
<< Tra nuovi arrivati ci si intende, eh? >> .
Rimasi zitto.
<< Beh spero che almeno Richard ti dia una bella raddrizzata mocciosetto >>
Di che cosa stava parlando?
<< Vedo che non ti piace parlare >> fece un ghigno e mi diede un mazzo di fogli << Questi sono i tuoi orari delle Lezioni e il regolamento dell’Istituto e i tuoi dati. Per qualunque informazione non provare a chiedere a me, non ho voglia di spiegare qualcosa ad un bamboccio come te. Ora fila in camera tua, la prossima lezione è alle 16.45, fatti trovare pronto quando arrivo >> .

Nome: Alexander Robert Lauren
Data di nascita: 2 aprile 2024
Luogo di nascita: New York City
Segni particolari: Nessuno
Entrata nel Collegio Correzionale: 1° settembre 2040, ore 11.57
Uscita dal Collegio Correzionale: a definirsi
Reati: Resistenza a pubblico ufficiale, instabilità mentale, propaganda antidemocratica, istigazione alla violenza
Genitori e\o tutori legali:
-Arthur James Lauren (padre biologico), nato il 23 febbraio 1997 a Washington D.C., età 43 anni, residente a New York City, professione: avvocato.
-Isabelle Marie Stephen-Lauren (madre biologica), nata il 17 marzo 1998 a Londra, età 42 anni, residente a New York City, professione: avvocato.
Tutore collegiale: N°24
Stanza assegnata: N°14


Non continuai a leggere. Era troppo straziante, misi i fogli dentro la tasca interna della camicia e mi diressi verso il corteo di ragazzi che si dirigeva stancamente verso la loro stanze.
Sembravano una fila di mucche che si apprestavano a compiere il loro ultimo cammino prima di essere uccise nel mattatoio.
Un cammino che non finiva mai ed era sempre più doloroso.
Per il Nuovo Governo eravamo nati solo per morire, delle bestie utili solo al sostentamento dell’élite.
Mi ricordai allora il discorso che fece Lucas al Corteo. Ricordai le emozioni e la voglia di combattere per un futuro migliore.
Tutto quello riaffiorò nella mia mente e un moto di ribellione si instaurò nel mio cuore.
Non dovevo arrendermi così.
I grandi della storia non avevano mica gettato la spugna alla prima difficoltà.
Non dovevo diventare carne da macello.
Il Collegio doveva renderci schiavi.
Quella mattina quel desiderio mi aveva persuaso la mente, ma ora la vista di quella fila di ragazzi ormai persi e il ricordo di quella Forza Armata accese un fuoco dentro di me.
Un fuoco che non si sarebbe spento presto.
Dovevo resistere.
E magari, prima o poi sarei stato libero.
Magari il mondo sarebbe stato libero.
  
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