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Autore: Daifha    07/01/2013    5 recensioni
“L’estate è un mondo a sé”
Dal primo capitolo: - “Dovreste mandarlo dallo psichiatra, non è normale che cerchi di portarsi a letto suo cugino” dice solenne Kidd, mentre litiga con la batteria del telefonino che non vuole incastrarsi in quel cazzo di buco in cui, invece, dovrebbe ficcarsi e anche alla svelta, perché la pazienza di Kidd è a livelli così minimi che c’è gente che dubita sia mai esistita.
Killer ridacchia nel cuscino e risponde semplicemente “Sarebbero soldi buttati nel cesso” quasi soffocandosi. Poi sembra ripensarci, si tira nuovamente su con un braccio e fissa Kidd con occhi seri “A proposito di cugini, ho un favore da chiederti, Kidd…”
E qui lascia la frase in sospeso perché conosce Kidd, sa il carattere di merda che si ritrova e sa che il suo migliore amico raramente concede favori. -
[KiddLaw] [PenguinKiller] [Casquette]
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Eustass Kidd, Killer, Penguin, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Summer is a world itself 

5# - Sei e mezzo in logica del mondo


 
Luci psichedeliche che illuminano a tratti la pista, ballando in mezzo ai corpi di mille persone, giocando con le sue ombre e riflettendosi negli occhi dei più appassionati.
Musica che batte a un ritmo insostenibile, pareti che non riescono a contenerla, corpi che tentano di seguirla spingendosi sempre più l’uno addosso all’altro, facendo coincidere petti nudi e bacini.
E voci che si accavallano, senza mai prevalere le une sulle altre. Solo mille suoni indistinti sommati ad un’emozione troppo forte scandita da quel ritmo martellante. Le Terra gira su se stessa, e tu rimani fermo, aggrappato al primo petto in bella vista che trovi - una nuova preda, lo sai.
“Peeen, tra quant’è che andiamo a casa?” si lamenta Casquette, dopo essere caduto addosso all’amico per colpa di uno spintone da parte di qualcuno che ormai è già stato risucchiato dalla massa informe.
“Ma se siamo appena arrivati. Stai più attento” lo ammonisce invece Penguin, aiutandolo a rimettersi dritto.
Sono entrambi appoggiati al bancone del bar di quella discoteca, due birre in mano, a fissare la gente che passa loro davanti, ogni tanto commentando, forse parlando delle loro ultime giornate, a tratti ridendo perché quella canzone fa venire a galla bei ricordi, e magari con Penguin che tenta di convincere Casquette a provarci con quel tipo lì che sì, sembra proprio starci.
“Ma se siamo qui da due ore! Mi fa male la testa!” 
“Non è vero!”
“Sì che lo è!”
“Quella non la finisci?” chiede facendo segno con la testa alla bottiglia piena che Casquette tiene ancora in mano. 
Casquette sbuffa, gliela porge, tanto sa di non aver voglia di bere, e “Sei uno stronzo…” sussurra.
Un ragazzo passa loro davanti e fa un cenno a Penguin, mentre con gli occhi lo squadra e sembra desiderare spogliarlo lì, seduta stante. Poi anche lui viene inghiottito dalla folla.
“Uno stronzo dannatamente sexy, però” risponde a Casquette, con un sorrisetto sulle labbra che lo fa quasi sembrare una persona pericolosa - che poi, nessuno ha mai detto che non lo sia per davvero.
Casquette ride, in fondo, ha sempre voluto bene a Penguin per quella sua innata capacità di fare ironia su qualsiasi cosa. E poi non gli dispiace così tanto stare lì, non quando Penguin è lì con lui, solo e soltanto per lui. Di fatto è come se fossero soli. Loro due circondati da tante persone fatte di nulla, piene di aria e di vuoto, insignificanti. Perché è con lui che Penguin parla, beve, sorride e sembra tanto felice, con lui e con nessun altro.
“Comunque, lo sai che non possiamo andare da soli” Casquette riprende il discorso interrotto quando il ragazzo di prima lo aveva spintonato “La scorsa volta c’erano Heat e Wire con noi in barca, ma ora che si sono trasferiti in Inghilterra non saprei a chi chiedere”
“E’ davvero così impossibile andare da soli?”
“Assolutamente! I miei starebbero troppo in ansia se fossimo solo in due, e anche io non penso riuscirei a stare tranquillo”
Penguin non risponde, troppo concentrato a fissare la folla. La musica sembra sempre più alta mentre le luci impazziscono rendendo i pensieri e i movimenti ancora più confusi. È quasi divertente perdersi nei dettagli della pista, notare quante magliette vengano abbandonate a terra con noncuranza e come la gente si strusci l’una addosso all’altra senza il minimo pudore.
“Ci penseremo dopo,” dice, mentre appoggia la bottiglia vuota sul bancone dietro di loro e afferra Casquette per il polso “Ora balliamo”
E subito la pista li accoglie, vengono integrati nella massa e nel movimento, che li rendono partecipi di quel suono, di quell’unico battito pulsante che dirige tutto, come una grande orchestra. Le mani che si sfiorano sono quelle di tutti e di nessuno, i sospiri e il sudore si confondono e i corpi sono un unico elemento che si scompone e ricompone secondo le regole di un alchimista sadico e cieco. Il desiderio di qualcosa in più scorre nelle vene, l’adrenalina si inietta direttamente attraverso ogni minimo contatto di pelle nuda, rovente.
E’ tutto un singolo, ogni voce e ogni mossa, ogni pensiero offuscato dall’alcool, tutto si riconduce all’unità.
Solo una cosa non condividono, Penguin e Casquette, col resto dalla folla. E’ quel loro legame, sottile e forte allo stesso tempo, quel qualcosa di invisibile ed intoccabile, quello sguardo che sempre si scambiano quando si sfiorano le mani o i petti. Gli occhi di uno sono gli occhi dell’altro, sempre fissi, a puntarsi, ad aspettarsi, a vivere l’uno dell’altro. 
Poi qualcuno si intromette, rompe quel contatto visivo, sembra quasi voler violare il loro legame. Si mette in mezzo tra i loro corpi e balla, sfacciatamente, puntando lo sguardo sul volto di Penguin.
Ed è proprio quando anche Penguin abbassa lo sguardo sullo sconosciuto, che Casquette si rende conto che quella persona è lì per rovinargli la serata.

 
“Va bene, Kidd, lo ammetto. Ti devo delle scuse” Killer appoggia nervoso il bicchiere mezzo vuoto sul bancone, senza preoccuparsi del rumore che fa questo quando sbatte sulla superficie di legno.
Kidd si limita a lanciargli un’occhiata furente, mentre osserva davanti a sé la scaffalatura piena di bottiglie di quel vecchio bar di cui ormai sono entrambi clienti abituali.
“E quindi?” 
“E quindi ti chiedo scusa!” un altro sorso e di nuovo il bicchiere sbattuto sul bancone “Però adesso ascoltami!”
“Parla” si limita a rispondere freddo Kidd, continuando imperterrito ad evitare lo sguardo di Killer.
“Law non ti darà alcun fastidio, fidati. Tu lascialo fare, quello è matto, se torna a casa ubriaco sono fatti suoi. Basta che tu non stia a discutere con lui e sarà come se non esistesse”
“Mi ha portato a casa un gatto” 
“Fregatene, ci penserà lui al cibo e ai bisogni…”
“Ieri notte,” e qui Kidd sospira, voltandosi leggermente verso l’amico “Si è messo parlargli. E sghignazzava!”
“Te l’ho detto che è pazzo!”
“E allora tientelo a casa tua!”
Ancora, Killer prende il bicchiere, svuotandolo completamente in un unico sorso. Quando lo riabbassa, lo fa scivolare sul bancone, facendo segno al barista di riempirlo nuovamente. Nonostante sappia che Kidd ha tutte le ragioni del mondo per lamentarsi, quella situazione comincia a dargli seriamente sui nervi, perciò decide di essere sincero una volta per tutte “Kidd, sono stufo di abitare sotto lo stesso tetto di cugini o nipoti che potrebbero mettermi le mani addosso in ogni momento… Ora che Rowan non c’è, vorrei stare un po’ tranquillo, e con Law tra i piedi, sarebbe impossibile”
Killer finisce di parlare sotto lo sguardo attonito di Kidd. 
“Kidd?”
“Law… E’ gay?” chiede, come se avesse un bruciore in gola che gli spezza la voce.
E allora Killer sospira, convinto ormai di aver perso la guerra. “Sì” sbuffa, per niente convinto che dire la verità sia sempre la cosa migliore da fare.
Non che Kidd abbia qualche strana fobia verso i gay o altro, in fondo, lui stesso ha sempre detto di non avere preferenze, che maschio o femmina che sia si tratta sempre di una scopata, ma Killer sa cosa significa condividere casa con qualcuno di cui non ti fidi e con cui corri sempre il rischio di risvegliarti una mattina, con il mal di testa da dopo-sbornia e le mani e i piedi inspiegabilmente ammanettati al letto. Nessuno lo vorrebbe, men che meno Eustass Kidd.
“E sia” Killer sgrana gli occhi, incredulo, davanti ad un Kidd ghignante e incazzato allo stesso tempo. Il barista poggia con un ottimo tempismo il bicchiere nuovamente colmo vicino ai due ragazzi, e Kidd lo afferra portandoselo alle labbra. Lo sbatte poi sul ripiano con ancora meno gentilezza di Killer poco prima, facendo fuoriuscire qualche goccia del contenuto “Ospiterò a casa mia Trafalgar. Ma se quel verme osa anche solo sfiorarmi, io giuro che lo ammazzo!”

 
Sospira, mentre svolta l’angolo della stradina poco illuminata che conduce poi alla via principale. Se non ricorda male, dovrebbe essere lì che ha parcheggiato l’auto, qualche ora prima. Tiene lo sguardo basso, le mani in tasca, ogni tanto calcia qualche ciottolo che incontra sul suo cammino, sbuffa ogni volta che il ricordo di quel sorrisino beffardo gli torna in mente.
Come immaginava, gli ha portato via Penguin. 
Lo sguardo che si erano rivolti, in quella discoteca, esprimeva una complicità strana, nuova ma già salda, a Casquette non era sfuggito. Perché raramente vedeva sul volto del suo amico un sorriso del genere, che metteva a nudo la parte più contorta e sadica del suo essere, quella che da un certo punto di vista, Casquette non poteva proprio sopportare e che spesso pure Penguin stesso tendeva a nascondere. Ma quel tizio, quello che si era presentato come Law, con la voce sensuale e moderata, accattivante, la aveva riesumata con una semplicità sconvolgente, con un semplice sorriso, di quelli di chi sa di avere in mano un potere non trascurabile, la cui influenza si sente a distanza, forte ed inebriante.
Avevano parlato un po’, in mezzo alla pista, Casquette aveva intuito che quei due dovevano già essersi incontrati da qualche parte, poi Law aveva detto di essere il nipote di Killer e allora aveva più o meno intuito come si erano svolti i fatti. Penguin infine aveva fatto il nome di un altro, uno che Casquette non conosce, e ci aveva scherzato sopra mentre lo sconosciuto diceva che era a casa di questo Kidd che avrebbe abitato per l’estate. 
Shachi si era limitato a sorridere e ascoltare, fingendo di capire e di non essere indispettito dalla presenza di Law. Poi, proprio come si era immaginato, Penguin aveva circondato la vita dell’altro e lo aveva invitato a casa sua, puntando gli occhi maliziosi nei suoi. Si era scusato con Casquette, aveva detto che si sarebbero sentiti il pomeriggio dopo e se ne era andato con Law, lasciandolo solo fuori dalla discoteca.
No, non era una novità, ma non per questo Casquette riesce a farci l’abitudine.
Non sopporta l’idea che Penguin sia quel tipo di persona, che prima ti invita con un sorriso e poi ti abbandona a metà serata per andarsene con un altro, magari appena conosciuto, solo perché il suo culo ne ha attirato lo sguardo. Gli da incredibilmente fastidio ma sa che non può farci nulla, perché Penguin è fatto così, e lui gli vuole troppo bene per potergli rinfacciare quel comportamento. 
Ancora, sbuffa, non convinto di star andando dalla parte giusta. Quella stradina non se la ricordava. Ma non fa in tempo a guardarsi attorno che sente dei passi venire nella sua direzione, delle risate grasse di un gruppo di ragazzi probabilmente un po’ brilli riempiono l’aria e la luce tremolante dell’unico lampione presente mostra presto i profili di tre uomini, probabilmente sulla trentina.
Non ci da troppo peso, Casquette, si limita a procedere dritto, calandosi di più il berretto rosa e azzurro - un regalo di Penguin - in testa, fino a coprirsi gli occhi. Li ignora pure quando li sente fare qualche commentino stupido ben poco apprezzato, nonostante le risa degli altri gli urtino particolarmente i nervi. E’ gente ubriaca, ne è sicuro, non merita certo la sua attenzione.
Ma il suo cuore perde un battito quando si sente afferrare per un braccio con ben poca grazia, mentre quello che sembra essere la colonna portante del gruppo lo fa voltare di scatto, facendogli sbattere le spalle al muro. 
“Ragazzino, stavo parlando con te, sai?” dice subito l’uomo, ridendogli in faccia e sputandogli addosso l’odore acre di tutto lo schifo che doveva aver bevuto quella sera “Non è educato far finta di nulla”
Casquette non risponde, stretto tra il muro e il corpo dell’uomo: rimane semplicemente fermo, a testa bassa, i muscoli tesi e il cuore che comincia di secondo in secondo a battere più velocemente, terrorizzato dalle mani dello sconosciuto che dopo poco cominciano a frugare impazienti nelle tasche dei suoi jeans e della felpa, tirandone fuori quel che trovavano. Il sorriso sul volto dell’uomo si allarga ancora di più, strafottente, quando si accorge che il portafoglio di Casquette non è affatto vuoto, e subito commenta, continuando a tenere l’altro fermo contro il muro “E’ messo bene, il ragazzino…” 
Non gliene frega niente del portafoglio, o del cellulare - che già lo sconosciuto sta passando ai compagni dietro di lui perché possano giudicare da sé il bottino appena guadagnato - vuole solo essere lasciato andare, Casquette, vuole che quel tizio si allontani da lui e smetta di toccargli i fianchi in quel modo insistente e quasi febbricitante. E’ terrorizzato da quello sguardo e da quel sorriso deformati dall’alcool, dall’espressione quasi maliziosa che l’altro assume poco dopo, quando gli afferra un polso e lo tiene premuto contro il muro, mentre con l’altra mano gli toglie il cappello, buttandolo a terra con non curanza e gli afferra i capelli, costringendolo e guardarlo in viso. 
“Allora, che ne dici se ti insegnassi io l’educazione?”
E il suo viso è terribilmente vicino, nauseante e schifoso più di prima, quando lo fissa negli occhi con un’espressione terrorizzata e le lacrime a bagnargli le ciglia. “Lasciam--”
“Che sta succedendo qui?”
Alla risata sguaiata dell’uomo si sovrappone una voce, forte, e tutti si girano.
Casquette spera quasi possa trattarsi di Penguin, nonostante quella, lo sa, non sia assolutamente la sua voce; ma quando si gira, la figura del nuovo arrivato è in ombra, controluce all’unico lampione presente in quella stradina. Riesce a distinguere solo il colore intenso dei capelli, di un rosso simile alle fiamme dell’inferno.
“Allora?”
“Fatti gli affari tuoi!” grida l’altro allarmato, stringendo la presa sul polso di Casquette.
Shachi scuote leggermente la testa, gemendo piano, chiedendo con gli occhi aiuto. Continua ad avere troppa paura per parlare.
“Lascialo andare” tuona di nuovo, Eustass Kidd, avvicinandosi ai due ed afferrando a sua volta il polso dell’uomo, stringendo e costringendolo a lasciare la presa su quello di Casquette. 
“Ch-Che fai, stronzo? L-Lasciami andare o--” grida lo sconosciuto e subito il pugno che riceve in pieno volto lo butta a terra, sotto gli sguardi terrorizzati dei compagni. 
Kidd intima loro di andarsene, con ancora il pugno a mezz’aria, e questi non si fanno alcun problema a scappare, seguiti subito dall’altro uomo a terra, imprecando e lasciando cadere nella fretta quello che avevano appena rubato a Casquette. Qualcuno, mentre svolta l’angolo, grida che gliel’avrebbero fatta pagare, che poteva starne certo, ma è una minaccia a vuoto, perché Kidd già non lo ascolta più, girandosi verso Casquette, seduto a terra con la schiena contro il muro freddo e ancora l’espressione terrorizzata in volto. Vorrebbe ringraziare, ma non trova la forza necessaria per far uscire la voce.
“Tutto bene?” chiede Kidd, senza neanche porgere una mano per aiutarlo a rialzarsi - gli pare di aver fatto già fin troppo per quel cosino tremante. Si limita a guardarlo dall’alto in basso, con i capelli che in parte gli ricadono sul viso, in scomposte lingue di fuoco che fan risaltare gli occhi ambrati, con le mani in tasca e la giacca di pelle nera aperta. In realtà, non si aspetta davvero una risposta. Lo capisce da come il ragazzino abbasso lo sguardo, ancora confuso, con le spalle scosse da lievi tremiti, e prende il cappello da terra, stringendolo tra le mani senza sapere bene cosa dire. A Kidd basterebbe un ‘Sì’, anche poco convinto, per levar le tende e lasciare che quella sottospecie di pulcino bagnato se la cavi da solo per quanto riguarda l’alzarsi e, magari, raccogliere le proprie cose.
Ma Casquette non fa nulla di quello, si infila il cappello con una lentezza e dei gesti ancora tremolanti e poi alza lo sguardo, fissando i suoi grandi occhi color nocciola in quelli del rosso. “S-Scusa” sussurra, con un misto di timore e devozione nella voce, come lo stesse ringraziando senza trovare le parole adatte.
Ed Eustass è quasi tentato di andarsene, ora che è sicuro che il ragazzino stia bene, ma qualcosa lo trattiene: lo guarda in volto, con le sopracciglia aggrottate, e sbuffa quando lo vede provare a mettersi in piedi nonostante le gambe tremanti, mentre scivola all’indietro e sbatte il sedere per terra. La sua espressione sembra quasi concentrata, come se stesse tentando di contenersi ed evitare di scoppiare a piangere all’improvviso.
Al secondo tentativo fallito, Kidd gli si avvicina, afferrandolo sotto le ascelle e sollevandolo senza il minimo sforzo. Gli pare quasi di alzare un gatto con le orecchie abbassate e la coda spumosa ciondoloni tra le gambe, ma subito si riscuote quando vede le prime lacrime bagnare le guancie dal ragazzo davanti a lui, mentre lo aiuta a restare in piedi. Prova a chiedergli se va tutto bene, se per caso quegli uomini gli avessero fatto qualcosa, con un tono quasi apprensivo che lo disgusta ma che non può fare a meno di usare, per evitare di spaventarlo ulteriormente. L’altro però si limita a scuotere la testa mentre singhiozza, e quasi abbraccia Kidd, nonostante non lo conosca, per cercare un po’ di conforto e un solido appoggio per evitare di cadere di nuovo.
Ha solo bisogno di sfogarsi un po’.  

 
La casa di Penguin non è particolarmente spaziosa, è disordinata e non ha affatto l’aspetto di un rifugio sicuro, di una calda abitazione dove trovare ristoro dopo una dura giornata di lavoro. Sembra più la camera di un adolescente con ancora troppe poche certezze per fermarsi su un’unica cosa alla volta, sempre pronto a lasciare il nido per rivolgersi ad orizzonti più lontani. Pare destinata a non dover durare, ad essere dimenticata, sepolta sotto un ammasso di ricordi ben più importati di due poster appesi ad una parete - come la prima notte d’amore, la vigilia di Natale in discoteca, o il giorno del diploma. E’ tutto fermo, immobile, senza un rumore, quasi fosse inabitato da tempo.
E’ questo che fa capire a Law che quella casa, Penguin, non l’ha mai vissuta veramente. Che probabilmente è un alloggio temporaneo, ma che la maggior parte del tempo lui la passi fuori, altrove, il più lontano possibile da quelle quattro mura asfissianti. 
Il letto, una semplice brandina aperta in un angolo, è sfatto e sopra una felpa nera aperta sembra star solo aspettando il momento di essere indossata. Penguin ci si siede sopra, senza stare a spostare niente, facendo segno a Law di avvicinarsi, lasciando che si sedesse sulle sue gambe, così da poter riprendere il bacio poco prima interrotto, quando passando per la cucina, erano stati costretti a causa dello spazio ridotto a staccarsi l’uno dalle braccia dell’altro.
“Scusa il disordine” dice Penguin, tra uno schiocco di labbra e l’altro, sorridendo e fissando l’altro negli occhi scuri. Law sospira sulla sua bocca, come a dire che non importa, che non ci ha fatto caso, che sono davvero preoccupazioni inutili quelle, in quel momento, e Penguin non può che dargli ragione.
Gli toglie la felpa e la maglia in una sola volta, facendo poi scivolare gli indumenti di lato, così che non dessero più fastidio. Si avventa sul suo petto senza chiedere alcun permesso.
“Fai sempre così, con gli ospiti?” chiede ironico Law, mentre inarca leggermente la schiena per lasciar modo all’altro di avere completa via libera sul suo torace. 
Penguin non risponde perché sa non essercene alcun bisogno, mentre gli succhia avido un capezzolo e lascia scivolare una mano lungo tutta la spina dorsale di Law, fino all’orlo dei pantaloni. 
Lo ha capito fin dal primo sguardo che si erano lanciati, nell’appartamento di Killer, che presto o tardi sarebbe successo, che avrebbero condiviso qualcosa che entrambi volevano e sapevano di poter ricevere dall’altro. E non si trattava solo del puro piacere carnale, di quelle mani che stuzzicano l’erezione di uno e di quella lingua che gioca con i capezzoli dell’altro, ma di qualcosa in più, qualcosa di incredibilmente profondo che può essere trasmesso solo attraverso uno sguardo più significativo di un altro. Una comprensione, un’inquietudine perennemente condivisa, un tremore dell’anima e un desiderio folle che suscita impazienza e instabilità. Era come far resuscitare un lato del proprio essere ormai dato per disperso, a cui si aveva rinunciato da tempo, e per il quale, eppure, basta una scintilla, anche minima, perché dia vita ad un folgore e accenda un fuoco che infiamma l’anima e la brucia, pezzo dopo pezzo, finchè l’incendio non verrà domato da qualcuno che lo conosce veramente. Un rapporto deleterio, forse, ma necessario per non cadere nella monotonia e nel terrore di ogni giorno, nello sguardo fisso e devastante di un destino ormai inevitabile che tende famelico le proprie mani verso la sua nuova preda. Un rapporto che serviva semplicemente a rendere più docile l’implacabile mietitrice.

 
Casquette si asciuga le ultime lacrime rimaste a brillare agli angoli degli occhi con il dorso della manica della felpa bianca, scusandosi nuovamente con Kidd, che, per quanto poco pazientemente, era rimasto al suo fianco per tutto quel tempo, a volte sbuffando, altre inveendogli contro che era tardi e voleva andare a dormire. Gli ha raccontato cosa era successo, tra le lacrime il tremore di gambe che continuava a fargli sentire l’impellente bisogno di un appoggio stabile, presentandosi e costringendo a sua volta, con i suoi modi gentili ed affabili, Eustass Kidd e presentarsi. Ogni tanto tirava su con il naso, ma poi, parola dopo parola, il sorriso gli era tornato spontaneo e genuino sulle labbra, sempre più accentuato grazie alla tranquillità che Kidd gli aveva permesso di riacquistare.
E ora, come se non avesse già fatto abbastanza, Eustass sta accompagnando Shachi Casquette verso la sua auto, così da evitare altri spiacevoli incontri per quella serata e potersene tornare finalmente nel suo agognato appartamento. 
“Vedi di stare più attento, la prossima volta” gli dice, quando finalmente si stanno separando, davanti all’auto nera e decisamente costosa di Casquette. L’altro sorride ancora, sinceramente felice di quell’incontro inaspettato, e annuisce, mentre sale in macchina e mette in moto.
Saluta scuotendo la mano all’indirizzo di Kidd, che ricambia con uno scocciato cenno del capo, prima di partire. E’ davvero contento che al mondo esista ancora gente del genere, Casquette, e quasi si rammarica di non aver scambiato gli indirizzi. Ma poi pensa che sicuramente si sarebbero rivisti, perché vivevano nella stessa città e frequentavano gli stessi posti, quindi era quasi inevitabile un nuovo, piacevole incontro.
Inoltre, il nome Eustass Kidd gli suona incredibilmente familiare.

 
- La mattina dopo -

 
E’ strano, per Law, svegliarsi e ritrovarsi con la testa appoggiata al petto di un altro uomo. Non gli capitava da tempo, ormai, ed è quasi un senso di nostalgia, quello che, per un misero attimo, lo tranquillizza e gli fa sentire un tiepido calore dentro al petto.
Però è strano lo stesso.
Osserva attentamente il volto dell’uomo addormentato sotto di lui, che storce leggermente il naso nel sonno.
E’ strano davvero.
Perché Law si ricorda di essere andato a letto con qualcuno ieri sera, ricorda bene e nei dettagli il suo viso mentre gli entrava dentro e mentre veniva, quegli occhi mentre lo baciava e quelle mani mentre lo tastavano. Ricorda bene, quel Penguin e quel suo sguardo di pura malizia e dolce voluttuosità.
Per questo, gli sembra incredibilmente strano l’essersi risvegliato sul petto bianco e perfetto di Eustass Kidd, nudo e felicemente appagato.
 
 
- Fine 5# -
 
 

 
Ohi, ci sono!
Ok, mi devo assolutamente scusare con tutti voi per il ritardo nell’aggiornamento… Già pubblico poco, se poi vado a ritardare, finisce che non vado più avanti ^^’’
Comunque ora il capitolo è qui e io sono felicissima di averlo finito, perché era da un pezzo che non riuscivo a scrivere la parte finale, ed oggi invece ci sono riuscita :D
Inoltre devo ringraziare tantissimo voi che continuate a recensire nonostante le mie depressioni momentanee e che aggiungete la fic a preferiti/seguiti/ricordati! Cioè, qualcuno mi ha pure aggiunto tra le autrici preferite e io *coff coff* salto davvero di gioia! Ok, sono in un periodo di incredibile ed insensata felicità, e questo è dovuto anche a voi che mi sostenete!
Ad alcune recensioni devo ancora rispondere, scusate, ma io sono una ritardataria di prim’ordine… Lo farò al più presto ^^’’
E sul capitolo non ho molto da dire, spero non ci siano molti errori, ma ho dovuto rileggerlo un po alla svelta quindi di sicuro qualcuno mi è scappato… La parte che meno mi convince è quella con Casquette e i tizi cattivi (ò__ò) ma beh, più di così non riuscivo a fare… E il resto non so, il finale è crudele e fatto apposta :3 
Beh, spero che il capitolo sia piaciuto,
See ya,
 
By Ming
  
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