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Autore: Cassie901    08/01/2013    7 recensioni
Auschwitz,1942
– Sono sicura che tu sia una buona persona, Liam, ma non è certo il modo migliore per dimostrarlo standotene qui a massacrare la gente– scorse un luccichio nei suoi occhi, non voleva che si rimettesse a piangere. Allungò sovrappensiero una mano, per poi ritirarla quasi nello stesso istante.
–Io non massacro la gente– disse dopo qualche minuto di silenzio, guardando il vuoto.
–Oh, davvero?– esclamò con una punta di ironia nella voce – ci sono bambini e ragazzi,qui, che non hanno ancora visto niente del mondo. IO sono una persona che deve ancora vivere, e tu standotene qui mi stai togliendo la possibilità di farlo–
Genere: Malinconico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Memories of '42;

27 novembre 1942, Berlino.
 
L'aria fredda pizzicava in modo fastidioso le guance delle persone che in quel momento si trovavano a passeggiare per la piazza. L'imponente fontana di Nettuno,  nel quartiere di Mitte, sembrava quasi fatta di ghiaccio, dato il gelo che sembrava aver preso il sopravvento su ogni oggetto fosse posto al di fuori di un riparo.
Il rumore che gli stivali facevano sul brecciolino era quasi piacevole, messo a confronto con gli schiamazzi dei bambini che stavano giocando nel parco lì accanto.
– Simon!  disse una giovane donna dai capelli corti e castani. Il tono con cui aveva pronunciato il nome non era severo, anzi, c'era un accenno di divertimento nella sua voce mentre correva dietro ad un bambino che avrà avuto sì e no otto anni.
L'ufficiale Liam Payne si fermò per un istante a guardarli mentre si dirigevano verso l'uscita del parco, ed accennò ad un sorriso al suono del nome del ragazzino.
'Simon' pensò 'nome tipico ebraico'.
Continuò a fissarli senza dare nell'occhio, proprio mentre la mamma porgeva la mano a suo figlio e si chinava per regalargli un dolce bacio sulla guancia paffuta, curvando le labbra in un sorriso carico d'affetto.
Liam abbassò lo sguardo, come se al posto di guardare la scena gli avessero tirato un pugno dritto nello stomaco. Sospirò, lasciando che i suoi pensieri volassero al ricordo di quella donna bionda dal volto comprensivo e dolce, con gli stessi occhiali di sempre e gli occhi ridenti come quelli di suo figlio.
Scosse la testa, e sospirando di nuovo si voltò, facendo per tornare sui suoi passi.
Ed andò a sbattere contro qualcosa, no, qualcuno. Guardò stupito accanto ai suoi piedi e vide una figuretta piccola e asciutta, e pensò di aver fatto cadere una bambina, dati i lunghi capelli castani che fuoriuscivano dal cappello di lana. L'individua, per attutire la caduta, teneva le braccia strette al viso e si era rannicchiata in posizione fetale.
Liam fece per fare un passo avanti ed aiutarla, ma lei con uno scatto si alzò a testa bassa, scrollandosi i sassolini dal vestito bordeaux. Aggrottando le sopracciglia, il ragazzo chinò la testa per cercare di scrutare il volto della sconosciuta, mentre lei alzava lentamente lo sguardo.
I suoi occhi ne incontrarono immediatamente un altro paio, color del cioccolato al latte.
Si era sbagliato, non era una bambina. Era una ragazza che avrà avuto più o meno diciannove anni, a giudicare dai tratti che portava.
Aveva la carnagione chiara, quasi trasparente, con diverse lentiggini che le punteggiavano il naso piccolo e delicato. Le labbra sembravano essere a forma di cuore, rosee e piene.
Quello che fece scappare a Liam un sorriso, però, fu il colorito acceso delle sue guance: erano in enorme contrasto con la pelle da albina, come un fuoco in un paesaggio innevato.
Io... sussurrò gracilmente la ragazza, contorcendosi le mani mi scusi, non stavo guardando la strada  disse in un sospiro, buttando fuori una nuvoletta di gelo.
Liam le sorrise Scusi lei, signorina,avrei dovuto essere più vigile  rispose chinando gentilmente il capo si sente bene?
La giovane aprì leggermente di più gli occhi, sorpresa oh..si! Certo, grazie mille...
– Elena!  una voce familiare dietro di loro li fece voltare entrambi, e scoprirono la donna ed il bambino che il ragazzo aveva visto pochi minuti prima. Si stavano dirigendo verso di loro.
Mamma esclamò sospirando, per poi rivolgersi di nuovo a Liam, che non dava cenno di volersi spostare dalla sua posizione.
Devo andare... le porgo ancora le mie scuse fece un sorriso timido, che lui osservò con cura, soffermandosi nei suoi dettagli in una manciata di secondi:
due leggere fossette le erano apparse sulle guance arrossate, e ai lati degli occhi c'erano delle piccole, tenere pieghe.
Si figuri, buona giornata portò la visiera del cappello leggermente verso il basso con la mano destra da vero gentiluomo, in segno di saluto.
Elena, così sembrava si chiamasse, allargò il suo sorriso mostrando i denti piccoli e bianchi, mentre sorpassava il biondo lentamente dirigendosi verso sua madre.
Liam girò la testa adagio per seguirla con lo sguardo, e sorrise di nuovo quando scoprì che lei stava facendo esattamente la stessa cosa.
Liam!  chiamò qualcuno non troppo lontano da lui. Notò due ragazzi, uno castano e l'altro biondo, dall'altra parte della grande fontana, e tirò un terzo, lungo sospiro mentre li raggiungeva.
Louis, Niall  disse con una voce incolore, priva di emozione. I due portarono la mano dritta vicino alla testa velocemente, raddrizzando la schiena. Avevano una divisa verde palude simile a quella del ragazzo, ma con un grado in meno.
Ufficiale Payne, il Comandante ci vuole tutti al centro di ritrovo per discutere di alcune pratiche disse Niall pratico, senza scomporsi, con il suo buffo accento irlandese.
D'accordo allora, andiamo rispose con un tono quasi annoiato, ma la verità era che non aveva nemmeno sentito quello che gli aveva appena detto.
Iniziarono a camminare silenziosamente verso l'edificio che si trovava ad un kilometro dalla piazza. Liam, assorto nei suoi pensieri, si ritrovò a pensare di nuovo al volto di quella ragazza e cercò di mascherare il suo riso con una smorfia.
Si chiedeva se l'avrebbe mai rivista, quella fanciulla.
Elena.
 
 
 
7 dicembre 1942, Auschwitz.
 
 
Di certo non era uno dei giorni migliori per arrivare a destinazione, pensò Liam mentre scendeva suo malgrado dal treno. Venne investito immediatamente da una folata di vento gelido e dai primi fiocchi di neve che scendevano a poco a poco dal cielo completamente bianco.
Scorse Louis e Niall che scendevano due vagoni dopo il suo, anche loro pronti a far scendere tutte le duemila persone contenute all'interno del mezzo.
Odiava doverlo fare, lo odiava con tutto sè stesso, ma ormai non poteva tirarsi indietro e questo lo sapeva fin troppo bene.
Le ore che seguirono sembravano non passare mai, un'eternità messa a confronto sembrava solamente una manciata di secondi, e le urla che provenivano da ogni dove di certo non gli facilitavano il lavoro.
Ecco, questo è l'ultimo vagone pensò il ragazzo sollevato. Sollevato e terribilmente stanco, non vedeva l'ora di farla finita dal momento che quei dieci giorni di viaggio da Berlino erano stati stremanti e faticosi.
Notò che la fila si era fermata dietro ad un corpo buttato per terra, in seguito ad un grido di dolore. Accigliato, l'Ufficiale si avvicinò per vedere di cosa si trattasse e sbuffò quando vide una donna accasciata al suolo. La prese per un polso cercando di essere il meno violento possibile; l'ultima cosa che voleva era spaventare ulteriormente quelle persone.
Il suo cuore perse un battito quando incrociò un paio di occhi color cioccolato e due guance rosse come una fiamma.
Stavolta erano diversi, però. Stavolta lo stupore e l'imbarazzo avevano lasciato spazio al terrore e alla paura, che erano palesemente dipinti sul volto della ragazza.
Elena sussurrò stupito, allentando la presa sul suo polso quasi meccanicamente. Lei lo guardò impotente, dischiudendo leggermente la bocca non più rosea.
Che succede qui? Muovetevi, veloci!  una voce autoritaria si avvicinava alla folla, e Liam la lasciò andare completamente, spingendola a continuare a camminare con un cenno della testa.
Le persone ripresero a camminare silenziosamente, ed il giovanotto notò con dispiacere che accanto alla ragazza si trovavano il bambino con la mamma che aveva incontrato al parco.
 
 
 
 
14 dicembre, Auschwitz.
 
Era più di una settimana che Liam non parlava con nessuno, fatta eccezione che per dare ordini ai suoi inferiori ed incitare i prigionieri a proseguire i loro doveri.
Ed era più di una settimana che guardava quella ragazza così indifesa, così gracile, lavorare quanto dieci uomini nei campi adiacenti al principale.
Era straziante averla così vicina e non poter fare nulla per aiutarla, specialmente quando alzava lo sguardo dal lavoro ed incrociava il suo sguardo, guardandolo con quegli occhi lucidi ed impauriti. E lui non poteva fare niente che la aiutasse, non aveva niente.
 
 
Esther? si sentì chiamare, e senza farsi vedere incontrò un paio di occhi verde smeraldo.
Harry, ciao gli sorrise malgrado tutto, lei riusciva a regalare un sorriso persino nella situazione più brutta in cui si sarebbero mai potuti trovare.
Per te... per te quanto ci terranno qui?  sussurrò lanciando sguardi nervosi verso gli uomini in divisa tra i quali, aveva notato Esther, c'era il ragazzo che aveva incontrato davanti alla fontana. Scosse la testa.
Non lo so, Harry, spero il minimo possibile, non posso più sopportare questa situazione ammise continuando a scavare la fossa su cui stava lavorando ma, ehi disse di nuovo sollevando il mento del ragazzo tranquillo, sono sicura che andrà tutto bene
Il riccio annuì e fece qualche passo indietro, tornando alla sua vanga.
Tu! urlò un uomo calvo, andando verso di lei con un'espressione infuriata. Esther lo guardò terrorizzata mentre, a grandi passi, era arrivato davanti a lei.
Qui non siamo in un salotto da thè, ragazzina, qui o lavori o finisci male ringhiò in faccia alla giovane, che aveva gli occhi spalancati dalla paura mi hai capito? sputò di nuovo.
Lei annuì, mentre veniva trascinata fuori dal campo e la buttava ai piedi di Liam.
Ufficiale Payne, a questa una notte in cella di isolamento farà solo che bene. Provveda lei
Liam la guardò trattenendo il respiro, e capì da sé che doveva alzarsi in piedi. Se pur a fatica, lo fece.
No! Esther! – urlò Harry da lontano, e buttando la pala che teneva stretta tra le mani a terra, corse verso lei sebbene la ragazza gli avesse lanciato uno sguardo di pietà, come a dirgli ‘non farlo’. Liam ci mise un po’ per capire che quel giovane si stava riferendo a lei.
Ma prima che potesse superare la staccionata del campo, qualcuno lo spinse da parte per correre a sua volta nella medesima direzione. La donna dal viso dolce, sua madre.
Sul viso della ragazza comparve una maschera d’orrore, diventò –se possibile  ancora più pallida e sembrò implorare la donna di rimanere dov’era. Ma invano.
Tutto accadde così velocemente che Liam quasi non ebbe il tempo di vedere. Ma Esther sì.
Esther vide, e avrebbe voluto tanto non farlo.
Il rumore assordante che squarciò il silenzio tombale, di certo non l’avrebbe scordato nessuno.
Fu, come si suol dire, un fulmine a ciel sereno. Nessuno, nemmeno Liam si aspettava che accadesse una cosa del genere.
Un secondo prima Esther aveva la bocca sigillata dalla paura, e un momento dopo stava gridando parole incomprensibili fissando il corpo che giaceva inerme sulla terra con uno sguardo vuoto.
No, no! Mamma… urlò cercando di raggiungerla, se non fosse stato per le braccia forti di Liam che l’avevano avvolta e che ora la stavano trascinando via da quella scena. Via da sua madre, via da una sua possibile fine simile. Riusciva a sentire il pianto del piccolo Simon sin da lì.
Svoltarono in un angolo isolato, mentre la ragazza si dibatteva ancora tra le sue braccia: scalciando, agitando le braccia, ma era molto più forte di lei e questo lo sapevano entrambi.
La posizionò davanti a sé continuando a tenerla per le spalle, e la guardò dritta negli occhi lucidi di lacrime.
Stammi a sentire scandì bene le parole, sperando così che lo prendesse seriamente –questo non è un gioco, hai capito? Se continuerai così, ti ammazzeranno l’ultima parola quasi non riuscì a pronunciarla, gli ardeva in gola anche solo il pensiero di una possibile scena.
Che mi uccidano, allora! – singhiozzò, mentre una nuova serie di lacrime le rigava il viso – non hanno avuto scrupoli con lei, perché dovrebbero averne con me? – si stava mordendo il labbro inferiore così forte che di lì a qualche minuto avrebbe sicuramente iniziato a sanguinare. Liam la guardò nervoso, prima di avvicinare una mano al suo volto. Esther sussultò, forse di sorpresa, forse di paura, ma non disse nulla quando il ragazzo avvicinò il pollice alle sue labbra per dividerle dolcemente. E non disse nulla nemmeno quando, dopo essersi guardato intorno con discrezione, la strinse in un abbraccio delicato.
 Mi dispiace – le sussurrò all’orecchio, accarezzandole i capelli o meglio, quello che restava dei suoi bellissimi capelli che le erano stati rasati al suo arrivo nel campo. Singhiozzò di nuovo, ma non ricambiò la stretta.
In fondo, Liam sel’aspettava.
Andiamo – tossì staccandosi da lei, che rimase impassibile mentre la conduceva nella cella d’isolamento sfiorandole la schiena con la punta delle dita.
 
 
Liam non avrebbe saputo dire per l’esattezza che ora fosse stata, ma una cosa era sicura: era tardi, molto tardi, e lui se ne stava seduto contro le sbarre fredde di metallo, ad ascoltare il pianto sommesso della ragazza che vi era all’interno della cella. C’erano momenti in cui il giovane apriva la bocca, emetteva un suono appena udibile, si portava la mano al meno e richiudeva lentamente la bocca. Quella scena si era ripetuta più o meno un’ottantina di volte, ma sul serio non riusciva a trovare il modo di parlarle.
Cosa poteva dire ad una ragazza che aveva visto morire la propria madre davanti ai suoi occhi?
La risposta era palese: nulla. Ovviamente nulla.
Sa qual è la cosa più brutta? – disse lei alle sue spalle, cogliendolo completamente di sorpresa.
Senza aspettare che rispondesse, continuò a parlare – che io non so il motivo per cui sono qui
Liam si voltò a guardarla, e vide che lei era messa più o meno nella sua stessa posizione: schiena contro le sbarre, girata leggermente verso di lui, le braccia che stringevano le ginocchia al petto.
La luce debole della luna, per quel poco che si poteva scorgere, le illuminava debolmente gli occhi.
Quegli occhi.
Che in quel momento erano puntati su di lui.
Stava per risponderle, quando parlò di nuovo – E non riesco nemmeno a capire cosa ci faccia LEI qui, Ufficiale Payne– mormorò quasi in un sussurro, guardandolo tristemente.
Perché, stono così tanto con questo posto? – le domandò curioso, scrutandola con interesse.
La ragazza sospirò – Quando ci siamo incontrati, a Berlino, mi sembravi una persona buona- disse senza fiato.
Ma io sono una persona buona! – esclamò a voce non troppo alta, con una nota di sorpresa nella voce che fino a quel momento si era limitata a sussurrare.
-Io sono sicura che lei…
Non darmi del lei, ti prego la implorò.
Annuì – Sono sicura che tu sia una buona persona, Liam, ma non è certo il modo migliore per dimostrarlo standotene qui a massacrare la gente scorse un luccichio nei suoi occhi, non voleva che si rimettesse a piangere. Allungò sovrappensiero una mano, per poi ritirarla quasi nello stesso istante.
Io non massacro la gente disse dopo qualche minuto di silenzio, guardando il vuoto.
Oh, davvero? esclamò con una punta di ironia nella voce – ci sono bambini e ragazzi,qui, che non hanno ancora visto niente del mondo. IO sono una persona che deve ancora vivere, e tu standotene qui mi stai togliendo la possibilità di farlo!rispose alterandosi leggermente.
Quelle parole lasciarono Liam stizzito. Aveva ragione, sapeva che aveva ragione, ma lei non poteva capire.
– Quando avevo quattordici anni sospirò il giovane Ufficiale –mio padre decise di spedirmi all’accademia militare. Non opposi resistenza, in fondo ero solo un ragazzino che doveva sottostare al volere del capofamiglia.
Frequentai quel posto per cinque anni, molti mi dissero che mi ero distinto per le mie doti di militare, erano tutti fieri di me. Diventai Ufficiale in pochissimo tempo –
sorrise amaramente spostando lo sguardo verso il buio della cella, oltre la ragazza –qualche mese fa feci ritorno a casa, e mi sembrava tutto un sogno: i miei genitori erano orgogliosi di me, mi ero assicurato una carriera importante, e pare che le ragazze stravedano per i militari fece una smorfia, contorcendo appena le labbra. Esther lo osservava rapita, non lo aveva mai sentito parlare così tanto, e la sua voce… Dio, la sua voce era la cosa più profonda e rassicurante che avesse mai sentito.
–Ma… oltre ad essere un Ufficiale, sembrava che le persone si dimenticassero sempre che come prima cosa ero un ragazzo, un adolescente. E come ogni adolescente che si rispetti, avevo dei sogni. Che ovviamente mio padre stroncò sul nascere amareggiato, con un sospiro alzò gli occhi ed incrociarono i loro sguardi.
–Cosa sognavi?– chiese Esther curiosa, voltandosi ulteriormente verso di lui e guardandolo con quei suoi occhioni spalancati.
–Di cantare– fece una risata sincera, che durò una frazione di secondo, ma la ragazza rimase a bocca socchiusa. Nei suoi diciannove anni di vita, aveva incontrato tante persone con una risata piacevole, divertente… ma quella di Liam…
Quella di Liam era sul serio il suono più bello che abbia mai sentito. Era pacifica e schietta, profonda e tutt’altro che priva di colore, anche in una situazione come quella riusciva a trasmetterle sicurezza.
–Buffo, eh? – continuò, non avendo idea dei pensieri che stavano avendo luogo nella testa della giovane.
–Perché buffo?– volle sapere, non capendo. Non riusciva proprio a deridere i sogni degli altri, perché trovava che ognuno avesse la sua storia e la sua passione, ma soprattutto perché odiava che la gente lo facesse con il suo.
–Un Ufficiale con una brillante carriera davanti… che quasi si fa buttare fuori casa per cantare– scosse la testa, come se il solo ricordo lo facesse rabbrividire, e in effetti era così.
–Fammi sentire–
–Cosa?–
–Fammi sentire,coraggio, canta qualcosa– insistette accennando un sorriso, che si spense subito quando luì iniziò a scuotere la testa ripetutamente.
Non oggi. Forse, un giorno le sorrise, e suo malgrado ricambiò di fronte a quelle labbra così perfette.
Annuì a testa bassa, riprendendo la sua posizione iniziale con le spalle adiacenti alle sbarre,e lui fece lo stesso.
Il tuo nome è Elena? chiese Liam d’un tratto, smorzando il silenzio placido che si era creato da pochi minuti.
No rispose subito   mi chiamo Esther. Elena è il mio secondo nome
Liam sorrise. Un nome ebreo ed uno cattolico, non aveva mai sentito una cosa del genere.
Era quasi certo che significassero ‘stella’ e ‘splendore del sole’
Qual è il tuo sogno, Esther? le domandò di nuovo, rendendosi conto che ancora non le aveva posto quella domanda.
Sentì la ragazza sussultare – Nessuno mel’aveva mai chiesto disse piano, e Liam poteva scommettere che in quel momento stesse sorridendo –voglio diventare una scrittrice sussurrò infine con voce carica d’orgoglio, come se stesse annunciando che le era appena nato un figlio.
E lo diventerai, Esther Elena disse senza un attimo di esitazione –troveremo il modo di farti uscire di qui
 
 
 
**
 
 
Fa’ piano, Harry, se ci scoprono siamo morti. Esther si guardò attorno –letteralmente-
Esther, dove stiamo andando? sussurrò Simon, mano nella mano con sua sorella.
Lei gli sorrise –In salvo, piccolo, andiamo via di qui le brillarono gli occhi quando il suo sguardo incrociò quello di Liam, che li guidava silenziosamente attraverso le costruzioni di mattoni.
Si fermarono in un punto che i ragazzi non avevano mai visto, quasi completamente isolato dal resto del campo.
Alla fine di esso c’era una rete. Una rete tagliata.
Dovevano aggiustarla, ma non se ne sono mai ricordati disse Liam con un sorriso. Esther lo guardò storto.
Okay, può darsi che l’abbiano riparato e che io lo abbia accidentalmente riaperto ammise alzando le mani in segno di resa.
Ragazzi, voi andate, vi raggiungo subito disse loro Esther dolcemente, guardando Harry e suo fratello dirigersi verso la rete di protezione.
Liam, io… sussurrò voltandosi verso di lui, che attendeva con sguardo rassegnato. Non fece in tempo a dire altro, che delle voci alte li raggiunsero.
Verso là, Malik, ho sentito dei rumori.
Esther fece volare lo sguardo ai due ragazzi al di là della rete, e tirò un sospiro di sollievo. Fece segno loro di scappare, di mettersi in salvo, mentre mimava ad Harry con le labbra: “Prenditi cura di lui”.
Esitò, facendo un passo incerto all’indietro, lo sguardo terrorizzato fisso nel suo. Poi prese il bambino per mano.
L’ultima cosa che vide di loro furono i capelli mezzi rasati del suo amico, dai quali spuntava qualche riccio.
Non c'era più tempo.
Si rivolse a Liam – Liam, non devi rimanere qui, ti prego, và via- lo implorò prendendolo per le spalle.
Lui le abbassò le mani ed intrecciò dolcemente le loro dita, sapendo che ormai non c’era nient’altro che potesse fare. C’era una cosa, che avrebbe voluto fare per lei, un’ultima cosa.
Intonò a bassa voce la prima ninna nanna che gli venne in mente, ed Esther lo osservò stupita beandosi di quel suono tanto dolce quanto doloroso. Sapeva benissimo perché lo stava facendo.
Avrei voluto esserci, Esther sussurrò al suo orecchio in un soffio, facendola rabbrividire.
Quando?
Quando avresti realizzato il tuo sogno disse tremante, mentre i passi erano ormai dietro di loro.
Appoggiò la sua fronte su quella di lui –Avrei voluto esserci anch’io disse a voce talmente bassa che solo lui la sentì, ed una piccola, calda lacrima le scese lungo il viso.
Poi nulla. Si sentì soltanto il rumore assordante del giorno prima, e poi il nulla.
Non si accorsero nemmeno di quello che era accaduto, era stato più facile di una passeggiata.
Come un soffio del vento, come l’ossigeno.
Non si erano resi conto di essersene andati, come sapevano bene ciò che avevano perso.
Avevano perso la possibilità di costruirsi una vita… forse insieme.
Avevano perso la possibilità di veder nascere i propri figli.
Avevano perso la possibilità di compiere vent’anni.
Avevano perso la possibilità di cantare e di scrivere.
L’avevano fatto cercando di vedere oltre.
L’avevano fatto per salvare le persone che amavano.
Lei l’aveva fatto per suo fratello, perché Harry ci sarebbe stato per lui più di un padre.
E Liam l’aveva fatto per lei, per Esther, la ragazza di cui non si sarebbe dovuto innamorare.
Se fosse stato ancora vivo, probabilmente avrebbe detto che non esiste modo migliore per morire.
Forse, il destino li farà incontrare in un’altra vita.
O forse resteranno soltanto un sussurro nel vento gelido di Auschwitz, insieme, per l’eternità.




#aloha


ciao a tutti c: inizio subito col dire che questa è la mia prima 
one shot "drammatica" , quindi non mi bastonate se fa schifo, devo ancora
abituarmi lol  l'idea mi è venuta ieri, a scuola, durante la spiegazione di
diritto, la professoressa ha fatto un accenno alla seconda guerra mondiare e BADOOM,
tutta la storia era già praticamente scritta nella mia testa. Sono tornata a casa e sono rimasta
a scrivere finché non l'ho finita, vale a dire mezzanotte e mezza :')
Ah, poi, ho pianto mentre scrivevo il finale. Non perché sia stato drammatico il modo in cui l'ho scritto,
semplicemente perché so che,purtroppo, è finita così per migliaia di persone.
Inizialmente avevo pensato di farli scappare insieme. Ma no, chi ha letto le altre mie storie sa che non
mi piacciono i lieto fine. Poi avevo abbozzato un'idea per i forni crematori, ma 1. non cel'ho fatta davvero
a scrivere, o a cercare informazioni su come funzionasse, non me la sono sentita e 2. credo che in
fondo sia stato meglio che se ne andassero loro due, da soli, senza altri centinaia di uomini attorno a loro.
Mi sto allargando troppo nello scrivere questo spazio autrice, ora la pianto çç 
anyway, questo è il mio twitter   
e PER FAVORE lasciate una recensione, mi fanno paicere anche critiche o consigli,
non vi mando mica a quel paese. Alla prossima, sciao bele 
   
 
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