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Autore: EliCF    08/01/2013    7 recensioni
"Il mio nome è Blaine Anderson, ma questo lo sai già.
Sono stato insultato, preso a calci e picchiato. Sono scappato da demoni, ho dovuto accettare compromessi e sono stato messo in gabbia. Ho accettato di affrontare incubi per un uomo che avrei conosciuto solo un giorno… l'uomo di cui mi sono innamorato. Ho cantato canzoni d'amore. Sono stato in piedi di fronte a folle, forte e senza paura. Ho vissuto, ho amato, sto ancora combattendo la mia guerra. Il mio nome è Blaine Anderson. E sono l'eroe di qualcuno."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Cooper Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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nda: E’ martedì! Avevo detto martedì e oggi è martedì e sono qui! (Lo so, avevo detto anche niente più note a inizio capitolo, ma una cosa alla volta!)
Sarò breve: ringrazio chi ha deciso di continuare a tenere d’occhio la raccolta inserendola tra le seguite, ricordate o addirittura (pazzi!) le preferite. Ringrazio una volta in più chi ha recensito, perché amo leggere le vostre impressioni quanto amo il formaggio. E amo davvero tanto il formaggio, credetemi.
Ci ho messo tipo tutta la settimana per scegliere la shot da pubblicare oggi e spero di non essermela sparata troppo presto. Questa volta non ci sarà una frase finale incisiva come quella dell’altra volta, ma vi assicuro che per ora è l’unica della raccolta strutturata in questo modo. Ci sarà una… situazione. Non so spiegarlo. E poi voglio scrivere, è una cosa normale?
Nota a fine capitolo!

The last dance.

Blaine Anderson era un ragazzo magro – forse troppo, bassino e dalle sopracciglia triangolari.
Sì, sopracciglia triangolari. E non c’è niente da ridere.

Quando camminava tra i corridoi del liceo faticava nel trasportare la borsa strapiena di libri che no, non poteva dividere con qualche compagno semplicemente perché non ne aveva. Guardava nervosamente a destra e a sinistra e, ogni volta che si rendeva conto di starlo facendo, si sforzava di fermare il braccio che faceva ondeggiare come un pendolo. Era ansioso e aveva le unghie totalmente mangiucchiate, tanto che le dita nemmeno gli bruciavano più.

Aula di storia, aula di biologia, aula di matematica, bagno. Filava dritto quando passava di fronte all’aula coro perché era un po’ come il serpente che convinse Eva a cogliere la mela: pericolosa, tentatrice e assolutamente troppo forte per lui. Non avrebbe mai saputo resistere, una volta che i suoi occhi si fossero posati su di essa.
Quindi, meglio fare in modo che non lo facessero mai.

Gli faceva male la schiena a causa del peso della borsa e dei lividi. No, niente football.
Non che non gli piacesse - andava matto per le partite di football, ma non avrebbe mai potuto giocare né nella squadra della scuola, né in quella di qualsiasi altro posto dell’intero mondo. Era solamente uno sport grazie al quale sarebbe potuto rimanere secco o avrebbe potuto essere spedito in orbita da uno di quei bestioni che puzzavano di hamburger andati a male. I suoi lividi erano dovuti alle spallate.

Proprio così, spallate. Nei corridoi, appena fuori la scuola, a volte anche nel cortile di casa sua.
Spallate seguite dal puntuale “ringrazia che mi stia fermando a questo, frocio di merda!”

Il suo aggressore non aveva né un volto, né un nome: semplicemente, non era mai lo stesso. Spinte occasionali, occhiatacce occasionali, minacce occasionali.
Era un meccanismo accurato e calcolato, lui lo aveva capito. Non avrebbero mai sospeso – o addirittura espulso –qualcuno per aver dato un paio di spallate ad un compagno. Potrebbe non averlo fatto apposta almeno una delle due volte e a quel punto come avrebbe provato le violenze che subiva? Poteva essere capitato che qualcuno dei suoi aggressori venisse ammonito ma, se accadeva, Blaine Anderson era costretto a chiudersi in casa e a fingere coliche e attacchi di mal di testa o vomito persino con i suoi genitori per non mettere piede a scuola.
Perché lo cercavano più spesso.

I suoi nascondigli, dopotutto, erano limitati. Sul retro della pasticceria vicino la scuola, tra le macchine esposte dal meccanico, spalle contro il muro di fianco alla stage door del teatro della città. Ormai li conoscevano tutti, i suoi luoghi di fuga. Sarebbe stata una sorpresa se non si fosse nascosto, più che altro.

“Papà, non ci posso andare a scuola”.

Suo padre non capiva. Doveva andare a scuola, doveva dare il massimo, doveva essere il migliore. Aveva un altro milione di doveri, e uno di quelli era quello di non trovare scuse per saltare la scuola.
Blaine Anderson era incastrato.
Proprio così, incastrato. Tra la sua debolezza e il bene che nutriva nei confronti del padre.

Lo aveva già deluso comunicandogli che fosse… sì, insomma, gay. Ma proprio gay, assolutamente gay, evidentemente, ingiustamente e irrimediabilmente gay.
Diverso. E la diversità ha bisogno di riflessione, tempo. E il tempo è prezioso in un’America alle prese con l’inizio del millennio. Svantaggio.

La diversità si traduceva in svantaggio, diamine! Perché diavolo ci aveva pensato solo dopo averlo confessato a suo padre? Se ci fosse arrivato prima avrebbe pensato ad un modo per nasconderlo anche a lui, almeno un po’. Ma sapeva bene che non era mai stato troppo bravo a conservare quel segreto.
Come se ci fosse un modo per tenerlo nascosto, dopotutto.
Come se ci fosse unmotivo per doverlo tenere nascosto.

Cosa c’era di sbagliato in lui? Cosa c’era di sbagliato nelle sere in cui preferiva rimanere a casa piuttosto che uscire con i suoi compagni di corso – perché erano solo questo: compagni di corso – la cui unica passione era quella del fumo e dell’alcool e del sesso? Proprio no, davvero, non ce la faceva.
Almeno, non quella sera.

L’anno scolastico stava volgendo al termine, e ciò voleva dire una sola cosa: ballo di fine anno. Oh diavolo.

Ragazzi vestiti di tutto punto la cui unica preoccupazione è quella della scelta del fazzoletto giusto da mettere nel taschino, ragazze profumate di lacca per capelli e luminose di brillantini, uniti entrambi dall’eccitazione per il dannato ballo di fine anno.

E lui? Che avrebbe fatto, lui? Chi avrebbe invitato al ballo? O –un brivido gli percorse la schiena – sarebbe stato invitato al ballo?

Dopotutto non aveva molta scelta: avrebbe parlato con l’­­altro ragazzo gay dichiarato del liceo e avrebbe provato a convincerlo ad andarci insieme. Da amici. Da amici coraggiosi e fieri di essere quello che erano. Insieme.
Ma sarebbe stato difficile estorcergli un .

Era sempre stato un ragazzo riservato e timido, quanto o persino più di Blaine, e non gli piaceva per niente mettersi in mostra. Davvero. Però aveva avuto il coraggio di fare coming-out al terzo anno e Blaine aveva apprezzato un sacco il suo gesto.
Non lo aveva fatto sentire meno solo, no. Non era una questione di solitudine – a quella ormai era abituato – ma di coraggio. Sapere che nel mondo… no, non esageriamo.

Sapere che nel liceo ci fosse qualcuno abbastanza coraggioso da, semplicemente, dire cosa… chi fosse, lo rallegrava e gettava dentro di lui il seme della speranza. Si sentiva vivo, sentiva che ci sarebbe stato un posto per lui in quel mondo, perché non era l’unico ad essere così diverso.

E questo significava che allora, forse, non lo era poi molto.

Ma tutto questo non contava, quando si trattava di esporsi ancora una volta.
Sapeva che il suo compagno avrebbe avuto paura di accettare il suo invito al ballo perché ne aveva un sacco anche lui. Ma cosa avrebbero dovuto fare? Non andarci? Dargliela vinta ancora una volta? Come tutte le volte in cui non aveva la forza di rialzarsi dopo uno spintone o di mantenere lo sguardo dopo un insulto?
No. Quel ballo sarebbe stato il suo riscatto.

Fu spaventosamente facile. Blaine ottenne un sì quasi subito ed entrambi ne parlarono con i rispettivi genitori. Si guadagnò persino il passaggio a casa.
Finalmente tutto sembrava stare girando a suo favore.

Il suo abito era terribilmente semplice, niente che desse nell’occhio. Si consolò pensando che avrebbe scelto quella giacca in ogni caso. Impastò i capelli con la consueta quantità di gel, questa volta impiegando meno tempo del solito ed ottenendo un risultato addirittura migliore. Era in anticipo quando salutò i suoi genitori con un cenno della mano per uscire di casa.

Fu in ritardo quando riuscì effettivamente a lasciare il piccolo cortile di casa sua, bloccato da sua madre che gli stampava grossi e umidi baci sulle guancie e, quasi con le lacrime agli occhi, gli intimava di stare attento, non fare tardi, non esagerare.
Come se ballare con un amico fosse stato esagerato.

“Mamma, balleremo. E’ questo che si fa, ad un ballo”.
Sua madre accennò un sorriso che non fece altro che alimentare la portata delle sue rughe di preoccupazione. Blaine sospirò e le assicurò che sarebbe stato divertente.

Divertente. Stava andando a dimostrare di essere uno che vale, per la miseria. Avrebbe affrontato occhiatine divertite, risate di scherno, battute di pessimo gusto, a causa della sua scelta.
Non sarebbe stato solo, certo, ma non sarebbe stato tanto diverso. Era una scelta che avevano preso insieme e insieme ne avrebbero raccolto i frutti.
Ma i genitori sono convinti che i propri figli vivano per questo, per divertirsi. Allora perché deluderli?

---

Ringraziò il Signore di essere un tipo realista perché, come aveva previsto, non fu una passeggiata.

Aveva lasciato a casa tutti i tranquillo! e Ma di cosa ti preoccupi? e Devi solo pensare a divertirti! che facevano parte del piano di auto-convincimento di suo padre – abbondantemente spazzati via dal pianto trattenuto di sua madre poco prima che uscisse – e si era armato di una corazza difficile da tenere su a causa del grosso peso, ma estremamente forte.
La speranza.

Era stato previdente perché quello che lo accolse furono occhiatine divertite, risate di scherno e battute di pessimo gusto, per l’appunto. Vide il suo accompagnatore stringersi appena un po’ di più nel cappotto semplice, proprio come il suo. Si scambiarono un’occhiata complice quando decisero di farsi coraggio e ballare un lento in un angolo della camerata. Sorrisero quando si accorsero di quanto fosse semplice e rilassante e naturale un gesto del genere. Si chiesero come mai le persone vedessero in una cosa del genere qualcosa di scandaloso o indecente. Scossero la testa quando nessuno dei due riuscì a trovare una risposta.

La serata era trascorsa bene, solo il loro arrivo aveva destato un po’ di scalpore e aveva sollevato qualche commento osceno che erano riusciti a farsi scivolare addosso perché in due è più semplice. E perché, davvero, non gli interessava.
A nessuno dei due ragazzi piacevano le feste che si prolungavano troppo, anche se si trattava del ballo di fine anno e anche se tutto sembrava essere andato fin troppo bene, per i loro standard.

In realtà, entrambi avevano paura del fatto che ci fosse ancora tempo perché potesse succedere qualcosa.

Blaine si sentiva terribilmente fiero mentre aspettava fuori che il padre del suo compagno li andasse a riprendere. Se qualcuno gli avesse chiesto come si sentisse, avrebbe potuto addirittura lasciare da parte il suo “perché me lo chiedi?” e rispondere con un tanto sospirato “bene”.

Davvero, bene. Si sentiva bene.
Così bene che non si accorse nemmeno dei tre ragazzi in smoking che spuntarono dalla porta sul retro della palestra.

“Ti sei divertito, Anderson?”
“Furbo da parte tua. Fai il fighetto tutto il tempo in cui i professori stanno al ballo e appena se ne vanno…”
“Ti dilegui!”

Risate. Blaine odiava profondamente il modo in cui avessero l’abitudine di completare le frasi l’uno con l’altro.
Li guardò in volto e li riconobbe. Come avrebbe potuto non riconoscerli? Non avevano un nome, ma sapeva che tutti e tre lo avevano aggredito. Tutti e tre più di una volta.
Ricordò che uno gli avesse rovesciato il pranzo sul pavimento per una settimana intera prima che qualcuno se ne accorgesse e lo ammonisse, un altro gli aveva sfondato la porta dell’armadietto ma aveva trovato il modo di provare che non fosse stata colpa sua. O meglio, aveva trovato il modo di far stare zitto Blaine.
Un altro ancora lo aveva minacciato con un coltellino, ma Blaine non ne aveva mai avuto paura perché prima di riuscire a tirarlo fuori dai pantaloni aveva sempre un grosso vantaggio di tempo. Sapeva che prima o poi quel bisonte sarebbe morto a causa di tutti i chili di troppo che aveva accumulato e dell’ingente numero di sigarette che fumava. Una bestia obesa e pelosa che camminava su due zampe. Disgustoso.

“Ce ne andiamo prima e non è un vostro problema.”

 “No, infatti. E’ un vostro grosso problema quello di trovarvi al buio proprio qui dietro, dove nessuno può vedervi!”
 
Quello al centro rise sommessamente e gli altri due lo seguirono a ruota.
Blaine sentì il ragazzo al suo fianco prendere un respiro profondo prima di parlare. Pronunciò le parole in un tono così basso che Blaine non capì mai se stesse effettivamente parlando a loro, a lui o a se stesso.

“Mio padre sarà qui tra pochi minuti…”

“Allora faremo bene ad iniziare subito.”

---

Certo che voglio accompagnarti al ballo, Kurt.

Certo che voleva accompagnarlo. Ma era semplicemente terrorizzato all’idea di mettere piede ad un altro ballo. Avrebbe sicuramente riaperto ferite mai chiuse totalmente, gli avrebbe ricordato della sua sconfitta e del fatto che partecipare ad un altro ballo in un’altra scuola non l’avrebbe resa una vittoria. Sarebbe stato inutile, doloroso, persino umiliante. Per se stesso.
Sarebbe stato come fare finta di aggiustare qualcosa che non si sarebbe mai aggiustato sul serio.
O, almeno, così credeva che sarebbe andata.

Kurt era l’unico motivo per cui quella sera sarebbe stato disposto ad accettare qualsiasi tipo di trattamento. Avrebbero anche potuto picchiarlo ancora una volta, sarebbe stato ripagato con un altro dei sorrisi che gli aveva rivolto quando gli aveva detto di sì. Lo avrebbe accompagnato al ballo, anche se non sarebbe andata come credeva lui. Non ci sarebbe stato nessun riscatto. Ma non c’era bisogno che lo sapesse.

Non poteva sapere che, in realtà, sarebbe stato tutto semplicemente perfetto.

Nessuno li insultò, nessuno rise, nessuno li spinse dentro una vasca di ponce o semplicemente contro un muro. Ascoltarono i ragazzi del Glee cantare canzoni dai ritmi sfrenati o lente e ballarono, persino.
Era diventato così impensabile ballare, dopo quel suo ultimo ballo. E lui aveva persino liquidato sua madre con una frase in cui la assicurava che l’avrebbe fatto, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Non per quelli come lui, evidentemente.

Stavano bene, ma non era solo quello. Erano felici perché si erano trovati e questa volta era diverso. Non era semplicemente non essere da solo, era essere in due. Era avere quattro braccia, due teste, quattro occhi. Era avere il doppio della forza. Ed era splendido.

Poi, come per Cenerentola, il loro tempo sembrò finire.
Kurt venne eletto reginetta del ballo e scappò via dalla palestra, pianse seduto in corridoio, riaprì tutte le ferite di Blaine senza volerlo quando parlò di come nessuno imparerà mai ad accettarli, ma rifiutò di tornare a casa.
Decise di farsi incoronare reginetta del ballo, al microfono esclamò “Beccati questa, Kate Middleton!” e ricevette un applauso fragoroso.

In quel momento Blaine fu orgoglioso. Vide in Kurt lo stesso ragazzo impaurito che fu lui, durante quel ballo che gli spaccò la vita e qualche osso, ma la cosa più dolorosa fu il non vedere se stesso nel Kurt che sfoggiava corona e scettro, convinto della decisione da lui presa.

Allo stesso tempo fu splendido.

Fu per questo che, quando David Karofsky si rifiutò di ballare con quel bellissimo angelo con scettro e corona, fu finalmente naturale fare il primo passo ed invitarlo a ballare.
Quello sarebbe stato quanto di più vicino ad un riscatto sarebbe riuscito ad avere. Niente di più.

Ma se riguardava Kurt andava bene.

Finalmente si era sentito al posto giusto perché lo aveva, in qualche modo, salvato. Era stato il suo re.  Lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva visto sorridere un po’ di più ad ogni passo. Era stato semplicemente come sarebbe dovuto essere.

Per la prima volta nella sua intera vita non gli importava che tutti lo stessero fissando.

Non c’entrava niente con l’esibirsi: lì le persone non possono avere pregiudizi sulla tua sessualità e, per di più, devono guardarti per forza. No, non c’entrava decisamente nulla.
Era semplicemente pieno di orgoglio. Senza contare il fatto che stringeva tra le braccia l’amore della sua vita, sorridente e con lo sguardo pieno di gratitudine.

Improvvisamente si sentì stupido ad aver pensato, anni prima, che quello sarebbe stato davvero il suo ultimo ballo.


nda: Niente paura, non devo dire niente. Mi piacerebbe solo saper caricare di quei link in cui si scrive “clicca qui!” e compare tutto quello che deve comparire. Pazienza. Questo è un regalino per este: questa foto l’abbiamo trovata insieme! EDIT: clicca lì! Io amo Abigail 


Al prossimo martedì!
   
 
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