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Autore: ChandersonLover    09/01/2013    2 recensioni
Ship: Grant Gustin - Nuovo Personaggio
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
"Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.
Lui.
La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.
Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici. Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…
E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.
Lui sta piangendo per me.
Grant Gustin.
Grant sta piangendo per me. "
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Grant Gustin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bene, eccoci arrivati al 4 capitolo.
In realtà questa storia era iniziata soltanto per lei...Betta, che ora mi implora ogni giorno di continuarla. Ma devo anche ringraziare chi la sta leggendo e seguendo. So che può sembrare noioso, quando i protagonisti non sono entrambi famosi o non siamo noi stessi e invece ci sono delle persone che la stanno leggendo e a noi fa tanto piacere. Grazie.

Buona Lettura :)




                                                                                                Capitolo 4
 
 
Eravamo soltanto al secondo giorno di quella follia e già ne ero profondamente pentita.
 
Quella mattina sembravo uno zombie.
Ovviamente.
Dopo un messaggio del genere dal tuo… come definirlo? Idolo? Ragazzo dei sogni? Principe Azzurro? Maledetta Illusione? Qualsiasi cosa lui sia… dopo un messaggio così, non puoi affatto dormire. Sfido chiunque a chiudere gli occhi dopo che il tuo sogno ti sta praticamente confessando di averti visto e che avrebbe voluto vedere di più.
 
Prevedibilmente, aggiungendola ad un’altra delle mie ultime e continue cazzate, non risposi.
Restai lì, sul “comodissimo” pavimento di quella stanza di Milano, fissando quel messaggio, sperando di riuscire a dormire e svegliarmi direttamente sul treno di ritorno.
 
Purtroppo per me, la mattina seguente arrivò ed anche troppo in fretta.
 
Ludo si svegliò e, tutta felice, corse in doccia per prepararsi al meglio per la seconda giornata di fiera. Oggi avremmo potuto interagire con gli indossatori e lei non aspettava altro.
“Che ne dici? Quel perfetto modello biondo di Armani, che ieri ho praticamente mangiato con gli occhi, potrebbe accorgersi di me con… questa?” chiese mostrandomi una mini gonna nera… Molto mini, in effetti.
“Nessuno non potrebbe non notarti con quella. Fai prima a non metterla!” scherzai, cercando anch’io qualcosa da indossare.
“Allora è quella giusta!!llora è quella giusta.si cosa.
davvero gettato dalla finestra. angiato con gli occhi, potrebbe accorgersi di me con...e di pi+Sei tu che sei troppo pudica e… Molla quei Jeans o te li lancio dal balcone!!” urlò vedendomi recuperare dalla valigia dei Jeans a mio parere molto carini.
“Perché?” le chiesi, scappando dalla sua presa. Se li avesse recuperati, li avrebbe davvero gettati dal 4° piano. Da Ludo, ormai, mi aspettavo qualsiasi cosa.
“Perché oggi Tu parlerai con Lui e di questo non si discute! Quindi, se non vuoi fare la figura della pallosa ragazza di campagna, quale sei… (senza offesa), prendi quel dannato vestito nero che ti ho comprato e mettilo!!” mi urlò gettandomi addosso il vestito di cui parlava, strappandomi dalle mani i Jeans che avevo intenzione di indossare.
 
“Allora, partiamo dal presupposto che Io non parlerò proprio con Nessuno, perché noi oggi non resteremo fino alla fine. Non ho intenzione di rendermi ridicola, ancora. Non dopo quel mes..” mi bloccai, capendo che stavo per darle soltanto filo da torcere, se le avessi detto del messaggio.
“Dopo quel…? Ti ha mandato un altro messaggio? Dammi qua!!” urlò prendendomi il cellulare dalle mani con un gesto felino.  “Come diavolo si fa ad usare sto coso?” imprecò cercando l’applicazione di twitter.
Provai a prenderglielo un paio di volte, ma lei era più alta di me, quindi decisi di arrendermi, mentre lei aveva già letto tutto e mi stava guardando di nuovo col suo sguardo assassino.
“Non voglio nemmeno parlarne! Betta ti giuro che se non ti metti quel dannato vestito, io oggi scatenerò la mia ira su di te. Inizierò a parlare tutto il tempo di ‘Cento Vetrine’ e sai che lo faccio!!” urlò sfidandomi, con un ghigno divertito sul volto.
“No ‘Cento Vetrine’ no!” urlai disperata. Odiavo quelle stupide soap opera italiane e quando Ludo iniziava a parlarmene, raccontandomi ogni minimo dettaglio di ridicoli intrecci amorosi tra fratelli, cugini e cognati… iniziava a prendermi un odioso mal di testa, che mi trascinavo fino alla mattina dopo.
Sconfitta, presi quel dannato vestito e corsi in doccia.
Sistemai i capelli in modo semplice e uscii dal bagno con Ludo che mi aspettava sulla porta, con due paia di sandali, con tacco vertiginoso, tra le mani.
“Sei impazzita? Io non li metto quelli! Dove sono le mie ballerine?” chiesi, cercandole in stanza.
“Allora… da dove posso iniziare? Mirko Locci sta uscendo con Miriam che…” iniziò a raccontare sapendo che avrei ceduto subito e infatti le presi le scarpe dalle mani e sbuffando le indossai.
 
A fine giornata avrei avuto i piedi gonfi e un grosso mal di testa, di questo ne ero certa.
 
 
Dopo svariati inciampi e grosse figuracce per quei dannati tacchi, che non ero abituata ad indossare, eccoci di nuovo lì, sedute nelle prime file, attendendo che la giornata avesse inizio.
Feci alcune foto che credevo mi sarebbero potute servire per la mia tesi, lasciando Ludo fare amicizia con alcuni degli organizzatori, dandomi un’occhiata in giro.
Era tutto davvero organizzato alla perfezione. Il cibo, gli opuscoli, i vari campioni dei capi che avrebbero mostrato. Approvai il tutto e segnai passo, passo ogni cosa che, se avessi organizzato io, un evento del genere, avrei cambiato o… evitato.
Per esempio: Io avrei sicuramente evitato tutti quei maledetti cartelloni del maledettissimo ospite d’onore. Insomma, gli spettatori non sono stupidi. Hanno già annunciato la Grande Star, perché continuare a tenere questi cartelloni con lui che indossava quei dannati slip che non lasciavano nulla all’immaginazione?
Sorrisi pensando a quanto fossi ridicola. Ero solamente attratta inesorabilmente da quei cartelloni e la cosa mi mandava in bestia. Odiavo il fatto che una semplice stupida fotografia facesse quello strano effetto su di me.
Sentivo ancora i suoi occhi puntati su di me, proprio come il pomeriggio precedente e riuscivo soltanto a rabbrividire.
Rendendomi conto di essermi imbambolata davanti a quel dannato cartellone, scossi la testa e tornai al mio posto.
 
“Betta!” Mi urlò una voce familiare alle mie spalle. Mi voltai e trovai Elena, una vecchia amica conosciuta ad un raduno per Lui, organizzato rigorosamente da Me, qualche anno prima.
“Elena! Come stai?” la salutai abbracciandola.
“Benissimo ma… che ci fai qui? Ieri non ti ho vista, pensavo non saresti venuta. Me lo hai detto tu che non saresti venuta o l’ho sognato?” chiese facendomi ridere.
“No, avevo deciso che non sarei venuta. Poi la mia amica mi ha convinto e questa fiera mi serve per la tesi di laurea…”
“E poi c’è Grant” concluse lei allusiva. La guardai, scrollando le spalle.
“Si c’è Grant, ma sinceramente sono qui per me, non per lui.” Risposi, mentendo più a me stessa che a lei.
“Davvero? Forse perché ancora non lo hai conosciuto. E’ davvero una persona fantastica!” disse tutta eccitata.
Mi resi conto che il mio battito cambiò.
Era davvero rimasto a salutare i suoi fan.
Fingendo calma le chiesi “Perché tu lo hai conosciuto?”
“Oh si! Ieri dopo la sfilata si è fermato nel parcheggio a parlare con noi. Era emozionato per la fila di persone che erano accorse per lui. Non credeva di avere tutti questi fan italiani. E’ stato davvero dolce e ha detto che, basandosi sui vari impegni, proverà a fermarsi ogni giorno di tutte e due le settimane!” raccontò con gli occhi che le brillavano.
 
Forse, se ieri non fossi scappata, avrei potuto anche io avere quel sorriso sulle labbra.
Ma, sinceramente, non ne avevo bisogno.
Non mi sarebbe servita a nulla una parola o un sorriso di sfuggita in mezzo ad altre cento persone. Avrebbe soltanto portato un altro vuoto dentro me. Non avevo bisogno di un suo cenno d’assenso, per sentirmi meglio.
La mia vita avrebbe continuato a fare schifo. Ed io sarei stata rintanata ancora in un sogno che, secondo il mio parere, era più semplice che rimanesse tale, perché, già soltanto qualche messaggio e uno sguardo da lontano, mi stavano confondendo troppo e la mia vita era già abbastanza confusa di suo.
 
La salutai promettendole che ci saremmo viste dopo, tornando alla mia postazione. Sorrisi vedendo Ludo tenere banco con due bellissimi ragazzi. Indossatori, provai ad indovinare.
Mi avvicinai e mi accorsi che stavano parlando in inglese.
Appena mi sentì arrivare si voltò fiera e mi presentò. Non capii nemmeno i loro nomi e nemmeno m’interessava. Pensavo soltanto al fatto che ieri Grant avesse passato del tempo con alcune delle ragazze che io stessa avevo chiamato. Pensai a quanto fosse gentile, proprio come lo avevo immaginato e pensai che forse avrei dovuto darmi una chance. In fondo dare un viso … reale a ciò che hai sognato per così tanto tempo, avrebbe soltanto aiutato la mia salute mentale.
 
“Allora Betta?” mi chiese Ludo, portandomi alla realtà.
“Cosa?” chiesi, guardandomi intorno. I due ragazzi erano andati via.
“Ti ho chiesto se sono carini..”
“Oh certo.”
“Bene! Perché stasera usciamo con loro!” esclamò, voltandosi dall’altra parte per non guardami.
“Ma tu sei pazza!! Semmai tu esci con loro!! Urlai, prendendola di forza e facendola voltare.
“E dai Betta! Mark, quello carino, ha detto che sei una bella ragazza. E Liam, l’altro carino ha detto che lo sono io. Che male c’è? Un’uscita a quattro, totalmente innocente….” Disse, unendo le mani in segno di preghiera.
“No! E per come li guardavi non sarà nulla d’ innocente. Non ci pensare nemmeno!! Io non vengo! E poi dì a quel Mark che si trovasse un’altra stupida civetta da accalappiare, perché a me non interessa!!” le urlai offesa. Come aveva potuto prendere una decisione del genere senza consultarmi? Ero già abbastanza nervosa. Non mi avrebbe aiutato passare una serata muta come un pesce a guardare lei flirtare con uno dei due…o entrambi.
 
“Letizia, l’ex moglie di Mirko Locci quando aveva deciso di riprovarci, iniziò però a scopare con uno dei suoi dipendenti, non sapendo che era anche un suo lontano nipote…” iniziò a raccontare seria. Non so nemmeno se la metà delle cazzate che racconta su quella soap siano vere. Insomma: è assurdo!
Sbuffai provando a non ascoltarla, ma stavo già avvertendo un formicolio alle tempie.
Mi voltai verso la passerella, visto che la giornata stava per iniziare.
“Intanto Maddalena, che aveva passato almeno due giorni a scopare col suo ex marito…”
“BASTA!” urlai frustrata. Sapeva che odiavo quella parola. Non che io sia una specie di suora di clausura ma, usare quella parola non era nel mio stile. Avevo avuto soltanto due ragazzi, in quel senso, ed entrambi erano stati importanti. Quindi io non scopavo con qualcuno, io se volevo facevo l’amore con qualcuno. Quella parola la odiavo e lei lo sapeva. Mi metteva a disagio.
“Lo sai che non la smetterò! Sai che Omar si è riscoperto gay e ha scopa…”
“Ok ok! Ci vengo! Ma smettila!!!” le urlai, mentre lei si apprestava a mostrarmi il suo ghigno fiero.
“Ad una condizione!” le dissi però, facendole smettere di sorridere.
“Qualsiasi cosa!” rispose, prendendomi le mani.
”Metterò i jeans e oggi alle 4 ce ne andiamo!” dissi, in tono autoritario.
La serata sarebbe stata un inferno… almeno avrei evitato di incontrare quegl’occhi di nuovo, evitando di passare anche un’altra notte insonne.
“Ma sono  due condizioni!!” sbuffò, ma vedendo il mio viso fermo, accettò senza controbattere.
 
 
 
 
                                                       ****
 
 
Non avrei mai immaginato di passare soltanto due giorni a Milano prima  di trovarmi nel locale più In della città.
Mi ero fatta trascinare in questa stupida serata, per evitare un esaurimento nervoso dovuto a Ludo e ai suoi racconti sulle scopate di quella ridicola Soap Opera.
Devo ammettere però che avevo giudicato male quei due ragazzi. Come immaginavo erano indossatori, ma entrambi lo facevano per pagarsi gli studi del college ad Oxford.
Mark, il ragazzo che sembrava spavaldo ma, invece, era più timido di me, studiava architettura. Liam invece, leggermente più audace, appunto adatto a Ludovica, studiava Ingegneria. Entrambi al secondo anno.
Nella mia mente ero convinta che la serata sarebbe stata orribile e invece… mi stavo addirittura divertendo. Ogni tanto Ludo m’inviava occhiatacce per indicarmi di parlare.
Ma ero troppo stanca e troppo poco motivata per mantenere banco. Mi limitavo ad ascoltare gli esilaranti racconti sulle serate da nudi e ubriachi al campus di Liam e, perché no, a ridere ogni tanto.
Il locale dove ci avevano portate era stupendo. Il Millenium. Il classico locale dove o ci entravano dei Vip o i figli di papà. E la cosa non mi dispiaceva. Di certo era meglio che passare la serata in uno di quei bar con la musica ad alto volume da farti scoppiare i timpani, mentre sciocchi ragazzini, scorazzavano di qua e di là in cerca di qualche ochetta da portarsi a letto.
Il mio telefono mi vibrò dalla tasca dei Jeans e mi accorsi che era mia madre.
Uscii di corsa per la troppa confusione. Non volevo che sapesse che non ero a Milano, soltanto per “studiare”, o avrebbe iniziato a sproloquiare e non ne avevo voglia.
 
Uscii nel fresco della sera, godendomi un attimo di relax e risposi.
“Mamma ciao! Come stai?”
Parlammo qualche minuto, mentre mi chiedeva sui due giorni passati lì, quando una macchina nera attirò la mia attenzione.
Mi sembrava di averla già vista, ma non ricordavo dove. Stessi colori. Stessi vetri fumè. Addirittura aveva una targa che mi sembrava familiare.
Scossi la testa pensando che ero soltanto da due giorni a Milano. Forse mi stavo immaginando tutto.
Continuavo a parlare distrattamente con mia madre, stringendo le braccia al petto, mentre guardavo curiosa. Di sicuro da quella macchina sarebbe uscito un pezzo grosso.
In fondo, era il Millenium, no?
 
Poi fu un attimo.
E il mio cuore si fermò.
 
Aveva soltanto messo il piede fuori dalla macchina e capii tutto. Quello era il macchinone al quale mi ero appoggiata il giorno prima, quando ero scappata dalla sfilata.
Non ci avevo nemmeno fatto tanto caso, forse. Ma ricordo di averla guardata e di aver pensato : “Magari è la sua. O del suo autista.” E… non mi sbagliavo.
 
Senza pensarci due volte. Riattaccai e mi nascosi dietro un’enorme pianta, al lato delle scale d’ingresso.
Aspettai che uscisse dalla macchina, prima di rendermi conto che stavo tremando talmente tanto che forse non avrei retto.
Era lui.
Lui era lì. Davanti a me. Nello stesso locale. Nella stessa serata.
Cos’era quello? Un fottuto scherzo del destino o una prova alla mia sanità mentale?
 
Scese, avvicinandosi al locale accompagnato da due ragazzi. Ricordo di averli visti alla sfilata, insieme a lui. Parlavano tra loro, scherzando come tre ragazzi normali. C’era poca gente quella sera, quindi per ora nessuno li notò. Ma in fondo la gente che poteva permettersi di mangiare in un locale simile, in ogni caso, ci era abituata.
 
Stava avanzando verso l’ingresso e io mi accucciai in modo da non farmi vedere.
Sembravo una stupida ragazzina che giocava a nascondino ma, come il giorno prima, non
ero pronta per le presentazioni.
 
Forse non lo sarei mai stata.
 
Si fermarono prima di entrare perché Lui ricevette una chiamata al cellulare.
Imprecavo in silenzio, essendo in trappola. Una sola mossa e mi avrebbero notata.
Eravamo a pochi passi…
Io, di nuovo, ero a pochi passi da Lui.
Stava parlando al telefono con qualcuno che dedussi era il suo agente, abbastanza accigliato, quando mi sentii chiamare dall’ingresso.
“Betta?” mi chiamò Mark con quel suo accento inglese, inconfondibile.
Mi stava cercando. Quell’idiota non aveva fiatato tutta la sera e ora mi stava cercando?
In un attimo Grant si voltò verso la voce di Mark e in fretta riattaccò il telefono.
Riuscii solo a capire “Mark?” e l’idiota rispose “Grant?” e tra risate e abbracci, anche con gli altri due, iniziarono a parlare, ignari del fatto che partecipavano tutti allo stesso avvenimento.
Da come si parlavano sembravano amici di vecchia data, cosa che non mi spiego, visto che Grant non è inglese.
Provando a recepire le loro chiacchiere e sentendo le gambe oramai pesanti, per essere stata troppo a lungo accucciata in ginocchio, riuscii solo a risentire il mio nome.
Mark gli stava spiegando che era venuto a cercare una ragazza di nome Betta.
“Betta?” domandò Grant, incredulo.
 
Cazzo.
 
In quell’istante quel mio nome così particolare lo odiai al punto che avrei chiamato mia mamma per imprecarle contro. Non potevano scegliere un nome più comune? Anna? Maria? Genoveffa?
Proprio Betta?
L’unica cosa che realmente Grant sapeva di me.
Il mio nome.
Si sorprese al tal punto che disse: “Bhè presentamela!”
Presa dal panico, mi sedetti in terra, provando a non fare rumore e non riuscivo più a vedere nulla.
So solo che il mio telefono squillò.
 
Cazzo. Di nuovo.
 
Ero in trappola. Non avrebbero potuto non sentirlo. Guardai il mittente di cui non conoscevo il numero. Ero certa che Ludovica avesse dato il mio numero a Mark, magari anche stesso quella mattina, in fiera.
Ed ero certa che Ludovica non sarebbe arrivata a fine serata.
L’avrei uccisa prima.
 
E infatti tutte le mie supposizioni si mostrarono veritiere quando Mark seguì la scia degli squilli del mio telefono, che presa dal panico, non avevo messo in silenzioso e mi ritrovò lì, seduta in terra, come un’emerita idiota.
 
Mi diedi da sola uno schiaffo alla fronte.
“Cosa ci fai qui? Ti stavo cercando! Sei sparita!” disse, piano per farmi capire, porgendomi una mano. Non sapeva che io avessi finto di non capire un cavolo d’inglese, soltanto per togliermi lui e l’amico indossatore dalle scatole.
“Ero al telefono…” risposi, facendomi aiutare ad alzarmi. Era gentile e premuroso, ma in quell’istante lo odiai.  Provando a nascondermi il viso tra i capelli mi avviai verso l’interno del Millenium, quasi in corsa quando Mark disse: “Betta aspetta, ti presento un amico”.
 
Cazzo. Alla terza.
 
Ma questo cavolo di Mark non poteva restarsene muto altri 15 giorni oppure tornarsene  da Oxford, Londra, Parigi, Congo o da dove diavolo veniva?
Mi voltai piano, sapendo di avere tutti gli occhi puntati su di me e scossi la testa, provando a fargli capire che non fosse il caso, ma lui stava già dicendo “Lui è Grant… Grant Gustin! Non dirmi che non lo conosci!” Lo guardai maledicendolo con gli occhi invocando un fulmine che speravo prendesse lui e me… prima di voltarmi quasi a rallentatore.
Ormai ero lì. A due centimetri da lui. Non c’erano urla isteriche o luci da palcoscenico a dividerci. Eravamo fuori ad un locale come due ragazzi normali…  ed io non potevo scappare. Però mi resi conto che lo avrei fatto, nell’istante in cui mi voltai e lui sbarrò gli occhi. I miei li chiusi, sperando di svenire e magari finire all’ospedale in un sonno riparatore.
Ovunque ma non lì.
Era perfetto nei suoi jeans chiari e nella sua maglia a collo largo grigia. Non aveva trucchi, né inganni. Era lì per passare una serata con i suoi amici. Nessun riflettore. Nessuna intervista. Era Grant Gustin il ragazzo di Norfolk. Non era il modello di D&G e il protagonista di “Freedom” un telefilm che stava spopolando in tutto il mondo.
Era Grant ed era lì per passare una semplice serata, proprio come me.
A differenza mia, però, che se mi avessero detto che mi sarei ritrovata nel locale più cool di Milano con due modelli, tre giorni fa, avrei riso sguaiatamente.
 
“Ciao…” disse in italiano, quasi perfettamente.
“Ciao” risposi col cuore a mille. Avrei voluto scappare, davvero. Ma le mie gambe non accennavano a muoversi, se non per tremare.
Poi allungò la mano verso di me, educatamente ed io quasi avessi paura di scottarmi gliela porsi piano… ed avevo ragione. Prendemmo la scossa entrambi e staccammo le mani in un attimo. Sorrise scuotendola. Io semplicemente, mi feci rossa come un pomodoro e questa volta sparii davvero dalle loro viste, lasciando lì un Mark decisamente confuso.
 
Corsi al nostro tavolo e presi Ludovica di peso, trascinandola al bagno.
 
“Andiamocene subito di qui!!” urlai come una pazza, non curante delle ragazze che erano in procinto di rifarsi il trucco.
“Cosa? Che diavolo?”
“Lui è qui!!” le dissi, iniziando ad iperventilare.
“Cosa chi? Lui? Lui???” chiese, con occhi sbarrati.
“Si, Ludo ti prego. Ci hanno presentati. Quell’idiota al quale hai dato il mio numero, per il quale ti ammazzerò, stanne certa, ci ha presentati perché sì, lo conosce e… perché diavolo stai ridendo?” sbraitai, guardandola sorridere come un’ebete. Poi feci mente locale e capii. “No!!! Lo sapevi! Ludo tu… lo sapevi? Ti prego dimmi di no! Ludo io ti giuro che se lo sapevi…”
“Non sapevo sarebbe venuto. Ma stamattina mi hanno detto che lo conoscevano… da tempo. Non te l’ho detto perché avresti pensato…”
“Cosa? Che hai fatto tutto questo per farmici incontrare e farci la figura dell’idiota come ho appena fatto? Questo avrei pensato? Cazzo Ludo!!! Io non ce la faccio più con te!
Non volevo venire a Milano e mi hai trascinata qui, usando la carta dell’amica bisognosa.  Non volevo conoscerlo e hai fatto tutto questo contro la mia volontà!! Ma quando inizierai a crescere e a provare ad ascoltarmi, ogni tanto??” le sputai contro, sapendo di starle facendo male. Tanto male.
 Ma lei aveva fatto male a me. Le avevo detto di non essere pronta e mi ha mentito pur di farmelo conoscere. Non stava a lei decidere. Ma a me. Ed io non volevo. Non adesso. Sapevo che avrei fatto la figura della stupida e così è stato.
“Io.. volevo..” provò a dire con le lacrime agl’occhi ma non la feci finire, uscendo di corsa dal bagno, sbattendo la porta. Corsi al tavolo a recuperare la mia borsa e senza nemmeno salutare Mark e Liam che mi guardarono come se fossi pazza, corsi fuori, con gli occhi che bruciavano.
Avevo bisogno di stare sola e di certo un locale pieno di gente con la puzza sotto il naso, non mi avrebbe visto piangere.
 
Arrivata all’esterno mi resi conto che non avevo idea di come tornare a casa.
Sospirai facendomi cullare dall’aria fresca della sera che soffiava sulle mie lacrime.
Lacrime di rabbia e di delusione. Ma anche di pentimento.
Mi ero subito accorta, appena uscita da quel bagno, che avevo esagerato.
Eravamo a Milano per me, non per lei. Eravamo in questo locale con due sconosciuti sempre per me e mai per Ludo. Stava facendo tutto questo per vedermi, per una volta, felice ed io le avevo urlato contro tutta la mia ira, non rendendomi conto che non era con lei che ce l’avessi ma con me stessa.
Perché dopo 4 dannati anni l’unica cosa che ero riuscita a dire a colui che mi ha riempito le giornate di speranze era stato soltanto Ciao. Un ciao talmente flebile che forse non aveva nemmeno sentito. Forse nemmeno l’avevo pronunciato e l’avevo solo immaginato. Ero talmente nel pallone che non avrei saputo dire se stessi realmente parlando o no.
 
Di nuovo le lacrime tornarono a farmi compagnia e senza pensarci, mi avviai verso la strada, sperando in un taxi. Fare l’autostop non era proprio nel mio stile.
Sarei dovuta tornare dentro e chiedere scusa a Ludo e forse anche a Mark e Liam, ma non ne avevo le forze. Volevo soltanto tornare a casa, piangere, sfogarmi e aspettare che arrivasse quel sonno tanto agognato che magari mi avrebbe dato consiglio.
 
Una cosa era certa:
Il giorno dopo, Ludovica o non, io me ne sarei andata.
Sarei tornata a Perugia con un carico di appunti per la mia tesi, tanta delusione, ma sicuramente tranquilla.
Perché restare a Milano non mi avrebbe sicuramente fatto stare tranquilla.
Una cosa era andare alle sfilate, scappare prima della fine, sapendo che sarebbe arrivato dopo le 5, in modo tale da non vederlo. Un’altra era avere la consapevolezza che me lo sarei potuto ritrovare ovunque e di certo non andava a mio favore.
Non sarei rimasta lì a fare la figura dell’idiota.
 
Il piano era già lì nella mia testa:
Tornare a Milano.
Cancellarmi da Twitter.
Dormire sei giorni.
E dimenticare quella serata.
 
Appunto. Era quello.
 
Stavo quasi per varcare il cancello d’ingresso del parcheggio quando quella scossa tornò ad invadermi. Questa volta non sentii la scossa  nella mia mano, ma sul mio polso che era stato prontamente stretto da una mano forte. Tanto forte.
Mi voltai piano, col cuore a mille. Talmente piano che pensai che forse prima di guardare chi mi stesse trattenendo, sarei potuta svenire. Perché era inutile che io guardassi. Io sapevo già chi mi avesse bloccato.
Alzai lo sguardo, puntandolo in quelle iridi verdi e lì cedetti.
Le mie gambe tremarono talmente forte che quasi, stavo per cadere, ma la sua stretta al mio polso non cambiò. Ero salda tra le sue mani. Non sarei caduta, se mi avesse ancora tenuta così.
 
 
“Eh no! Questa volta non scappi!”



Angolo della "scrittrice"

Allora... Com'era? u,u io se avessi incontrato Grant non sarei scappata, l'avrei stuprato lì sulle scale, davanti a tutti lol. Ma Betta è speciale. Lo sei vero?
Si perchè ti voglio bene piccina
Spero ti piaccia.
Baci
Vale
   
 
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