Parte I
– Il tram
La
meraviglia dell’attesa è attendere
Do uno sguardo
alla grossa signora accanto a me: il sedile
non è abbastanza spazioso per contenere il suo enorme
didietro, quindi occupa
anche metà del mio, costringendomi in uno spazio minuscolo.
Ogni
giovedì è la solita storia, le solite vecchie
facce
sbiadite dalla monotonia. Solita strofa di una canzone che non
è più in voga da
anni, ma sembra dover ripetersi all’infinito.
«Una
volta non ero così grassa, sai?» Mi guarda, la
signora
con il sedere abnorme, gli occhi piccoli e le palpebre cadenti.
Succede sempre
così: quando meno te lo aspetti, le persone
ti stupiscono, magari con un sorriso o, come in questo caso, con una
parola. Una
dichiarazione di coscienza, come a dirmi che è consapevole
di essere in
sovrappeso.
La guardo.
Guardo questa signora grassa e malinconica,
decadente come una di quelle case abbandonate di periferia. La guardo e
il
ricordo di una giovane donna dagli occhi vispi splende nelle sue iridi.
E il
suo sedere flaccido non ha più alcuna importanza.
«Ero
bella. Sì. Ero bella.» Si guarda le scarpe, il
doppio
mento pronunciato è una visione raccapricciante. Assomiglia
ad un budino andato
a male, magari con la muffa. Sembra volare tra le nuvole, in cerca di
un
passato che non può ritrovare. In cerca di una sé
stessa andata perduta.
È
malinconica, questa donna budino.
Resto in
silenzio mentre il tram striscia come un serpente
per le strade della città.
In piedi, con la
mano che afferra l’apposito appiglio, il
solito barbone dai capelli unti e lo sguardo assente, perso in
chissà quale
pianeta di chissà quale galassia.
Mi guarda,
l’accattone, forse perché si sente osservato. E
rimango sconcertato, perché sembra avere in comune con la
donna budino la
malinconia.
Ma che cosa sta
succedendo, su questo tram?
Una ragazza dai
capelli biondi e il viso angelico chiama la
fermata. Chiama la fermata e si avvicina alle porte, attendendo.
Attendendo la
sua fermata. Il tram si arresta.
Scende, la
ragazza. Scende e sorride. È la sua fermata.
E io resto qui,
seduto.
E attendo.
Attendo la mia
fermata che, lo so, prima o poi arriverà.
Se non sapessi
che in un tempo futuro anche io scenderò da
questo tram, allora non starei più aspettando. E sarebbe un
problema, perché
l’attesa è il momento in cui ognuno di noi ricerca
sé stesso.
La meraviglia
dell’attesa è attendere.
Guardo fuori dal
finestrino, ma non c’è nulla di
particolarmente interessante, perché tutto ciò
che può attirare la mia
attenzione si trova all’interno del bus. La donna budino
tossisce
rumorosamente, sputa il suo catarro dentro un vecchio fazzoletto di
stoffa,
probabilmente utilizzato numerose volte, ma mai lavato.
«Ho
capito che ero invecchiata quando è morto il mio cane.
»
Mi guarda di nuovo, con quei suoi occhi infossati, la signora con il
sedere
grosso. Mi guarda e aspetta un mio cenno. Una gocciolina di sudore
scivola
sulla sua fronte e io la seguo stomacato.
«Ero
bello il mio cane, sai? Era uno di quei bastardini che
non sono né di una razza né di
un’altra. Come avrebbe detto il vecchio zio
Gerardo, era un meticcio schifoso ed inutile.» Mi guarda e
aspetta un mio cenno
di approvazione. Non lo trova. Va avanti. «Comunque sia,
quando è morto Bob –
il mio cane – ho capito che ero diventata vecchia. Era con me
da quasi quindici
anni, sai...» No. Non so. Ma non glielo dico. Rimango in
silenzio, la donna
budino continua a parlare sputacchiando, ma io non la sto ascoltando. A
volte,
però, abbiamo solo bisogno di pensare che qualcuno ci
ascolti, anche se non è
così, in modo da poter parlare. Parlare. Parlare. Parlare.
E io resto qui,
seduto.
E attendo.
Il tram si
ferma, ma so che non devo scendere qui. Saluto
allegramente l’accattone, che è smontato e ora mi
sta facendo un cenno con la
mano, il sorriso sotto la barba grigia. Spero che possa trovare
ciò che va
cercando.
La donna budino
continua a raccontarmi di suo zio Gerardo e
io provo una pena indescrivibile nei suoi confronti, perché
so che le manca
ancora molto alla sua fermata. Ha perso sé stessa, nel
passato. Ha perso sé
stessa negli anni.
Plin.
È la
mia fermata.
«Buona
permanenza, donna budino.» Mi alzo, lei mi guarda
interrogativamente, forse scioccata dal nomignolo che lo ho affibbiato.
L’autista
ha un capellino da basket blu, due grossi baffi
neri e gli occhi più vacui che io abbia mai visto in tutta
la mia vita. Lui
guida sempre. Ogni mattina si alza, smonta dal letto e guida. Sale sul
tram e
guida. Lui è l’uomo del tram.
È
l’uomo che attende.
Sorrido e scendo.
È la
mia fermata.
*
Per chi di
voi ha letto non posso fare altro che dire GRAZIE TANTE, anche
perché questa
storia è un vero e proprio viaggio mentale fatto di
sensazioni e astrattismo.
Vi è
piaciuta la donna budino? Sì? No? Fatemelo sapere, insomma!
:D
Ringrazio
chiunque di voi abbia letto, inserito la storia tra le Preferite,
Ricordate o
Seguite e chi ha recensito o lo farà! Grazie di cuore!
Un
abbraccio,
Eryca.