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Autore: Padme92    09/01/2013    3 recensioni
"Tony incatenò i suoi occhi chiari a quelli scuri di lei.
-Se non tornerai, sarò io a venire a prenderti.-"
Fanfic Tiva centrica.
Una promessa, un viaggio in Israele e un cuore corroso dal tempo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTORDICI: Sorriso di madre

 
Il periodo più duro doveva ancora incominciare, per entrambi.
Tony, col cuore lacerato, tornò a Washington con una promessa infranta che gli pesava addosso come un macigno. Ziva dal canto suo si chiuse in un silenzio di tomba: lavorava di continuo, seduta alla sua scrivania da nuovo vicedirettore, e scambiava troppe poche parole perchè la sua voce non risultasse roca ogni volta che apriva bocca, proprio come se avesse appena pianto. Tutto quello a cui pensava era stare al sicuro, per proteggere la sua creatura, esattamente come aveva detto Tony. 
Il suo appetito era praticamente scomparso, e si sforzava poco di mangiare: per lo più andava avanti a yogurt e latte e cereali.
Forse a causa di questo il suo fisico andò deteriorandosi: per crescere dentro di lei, il suo bambino utilizzava ogni risorsa disponibile, e quando Ziva non mangiava abbastanza, il piccolo si nutriva di lei. Presto le si formarono perenni occhiaie violacee, che assieme ad un viso più scavato, le davano un'aria malata. Così, piano piano, la sua delicata bellezza esotica sfumò in una più spenta, antica, un pallido ricordo del suo fresco viso giovanile; la luce dei suoi occhi non era più accesa e limpida, ma debole e polverosa; il suo sguardo si stava trasformando in ombra: era indifferente, freddo e calcolatore; la sua aggressività era aumentata in maniera proporzionale al passare dei giorni, e uccideva con lo sguardo chiunque cercasse di alludere al suo stato, sia fisico che psicologico. 
Ziva si ricoprì di filo spinato, ed eresse un muro di rovi tutt'attorno a sé, attirando molte critiche. Vedeva Altair di rado, poiché cercava più volte possibile di infilarlo in qualche missione pretenziosa di vendetta.
Fu proprio in quel periodo, rinchiusa nel suo bozzolo, che venne ovviamente il momento della prima ecografia.
La giovane donna, non sapeva con che stato d'animo accogliere questa cosa: si sentiva smarrita quando ci pensava, mentre per il resto del tempo aveva chiuso a chiave in fondo al cuore tutto ciò che riguardava il passato o il futuro. Non si sentiva piena di vita, quale incubatrice di una nuova vita, ma vuota, inerme, come una bambola di porcellana dagli occhi fissi e il corpo fragile. Non se la sentiva di affrontare quel momento, che sembrava tanto importante e spaventoso, da sola. Così rimase per un po' preda del dubbio e della paura, finchè qualcuno d'imprevisto arrivò a bussare alla porta dell'ufficio, un mercoledì pomeriggio qualunque: una voce familiare e amichevole la raggiunse come da lontano attraverso i ricordi, e la risvegliò come da un sogno.
La porta si aprì: era Monique.
Vederla fu per Ziva un sollievo enorme: la sorella più grande che non aveva mai avuto arrivava per tenerla a galla nel momento peggiore. Sembrava quasi un miracolo.
Ziva si alzò goffamente in piedi, senza però riuscire a sorridere, piena di stupore, mentre quella, sfoggiando il suo sorriso più bello, le correva incontro per abbracciarla.
-Ziva- Pronunciò con gioia la donna.
-M-Monique?- balbettò lei con voce strozzata.
Quella si allontanò di un passo da lei per scrutarla meglio in tutta la sua figura. Ziva notò chiaramente la singola ruga che le increspò la fronte, mentre prendeva nota dei sintomi fisici della sua evidente depressione.
-Achot.. Stai male.- Affermò duramente Monique senza preamboli.
Se fosse stata un animale, Ziva in quel momento avrebbe abbassato le orecchie. Non parlò in risposta: più che altro mugolò, come un gattino.
Monique non disse nulla, ma la strinse forte, alleviando il suo dolore come la pioggia sulla terra arida. 
Eccola: la stagione delle piogge finalmente sopraggiungeva lenitiva. E fu solo allora che, per la prima volta dopo mesi, Ziva irruppe in un singhiozzo.
 
Casa David, Tel Aviv
Ore 19:04
 
Erano andate a casa di Ziva insieme, dopo la chiusura dell'istituto.
Lei stava accoccolata contro lo schienale morbido del divano, mentre Monique preparava un tè al limone per entrambe. Era triste e sconsolata, e abbracciava un cuscino come una bambina. Era raro vedere Ziva in questi atteggiamenti, anzi, forse solo Monique ne era stata partecipe: il loro legame perdurava da tanto, tanto tempo. Così tanto che la loro amicizia sconfinava in un affetto molto più intimo: Monique era stata l'unica persona, oltre a Al Mualim, a darle affetto nella sua gioventù. 
In realtà, però, l'affetto di Monique era più simile a un amore profondo: assoluto e completo. Ella era una donna forte, coraggiosa, decisa, e nelle relazioni era dominante e orgogliosa. Quanto profonda era la loro unione, non lo sapevano neanche loro: da adolescente, per Ziva, Monique rappresentava il solo canale di sfogo, e grazie a lei esprimeva sé stessa, la vera sé.  Ma dove finiva l'amicizia e iniziava l'amore? Questo Ziva non l'aveva mai imparato. Forse per quello aveva fatto tanta fatica con Tony..
L'unica cosa certa, è che Ziva e Monique si erano amate, e da allora non si erano mai veramente separate: vivevano l'una nel cuore dell'altra, intensamente, sempre.
Quella sera, potendo osservare di nuovo il suo viso dai tratti severi, così simile a quello di un uccello selvatico, Ziva si sentiva come se il tempo non fosse mai passato: erano di nuovo insieme, con la stessa naturalezza di allora.
Monique posò piano la tazza di fronte a lei: emanava un vapore caldo e ristoratore. Ziva inspirò a fondo e poi riprese la conversazione da dove l'avevano interrotta mentre erano sulla strada di casa:
-C'è una cosa che devo fare Monique.. e per cui ho bisogno del tuo.. sostegno, diciamo.- Era incerta, ma se c'era qualcuno con cui sapeva e addirittura voleva confidarsi, questi era Monique, che la guardò interrogativa.
-Lo sai che puoi chiedermi qualunque cosa. Di che si tratta?- I suoi occhi da cerbiatta erano indagatori.
Ziva esitò un attimo solo, poi sputò fuori il rospo.
-Sono incinta e proprio domani ho la prima ecografia..-
Smise di respirare e per poco non ricominciò a piangere. Monique non azzardò una parola, prima che lei continuasse:
-Non me la sono sentita di farla prima, ma ora che tu sei qui.. ti prego, non voglio andare da sola.- Distolse lo sguardo e unì le mani come in preghiera. Monique si avvicinò e gliele strinse nelle sue: erano congelate. Aspettò che Ziva rialzasse lo sguardo, per metterla a suo agio con un grande e limpido sorriso.
Lei, suo malgrado, ricambiando la sua occhiata piena di tenerezza, azzardò un singhiozzo che cercava di distendersi in un sorriso di risposta.
 
Mitpaa S. Raphael
Ore 9:24 am
 
Ci aveva messo molto tempo, troppo anche, secondo la sua opinione, ma alla fine aveva raccontato tutto a Monique, o, perlomeno, tutto quello che era accaduto dall'ultima volta in cui si erano sentite per email: la morte di suo padre, la sua partenza improvvisa, la missione, l'imprigionamento, Altair, Tony, Amir, Mikàl e Al Mualim. Tutto quanto. La voce più volte le aveva tremato mentre discorreva, e più volte aveva interrotto il riassunto con profondi sospiri, ma non aveva più pianto. 
Quale buona, dolce, cara amica che era, Monique era stata a sentirla con attenzione. Alla fine, su quel divano di lino, si erano entrambe addormentate: la testa di Ziva sul grembo di Monique, e il piccolo feto nel suo ventre che cresceva in silenzio.
La mattina, dopo averla svegliato con un bacio sulla fronte, Monique accompagnò Ziva alla clinica, come promesso. Lei era nervosa, e visibilmente provata, e più volte Monique l'ammonì per il suo comportamento:
-Sei forte Ziva, non lasciarti andare così, non è da te.-
Ma Ziva pareva non ascoltarla, e divenne via via più muta con l'avvicinarsi dell'orario di appuntamento.
Quando finalmente si stese sul lettino per effettuare l'ecografia, si sentiva contratta all'idea di stare per vedere la prima immagine del figlio suo.
E di Tony. Già, di Tony, questo era un particolare essenziale.
Chiuse gli occhi, mentre una ragazza piuttosto giovane vestita di bianco le scopriva il ventre e iniziava a spalmare una fredda e viscida sostanza pomatosa. Ebbe un brivido, e aggrottò le sopracciglia. Dopo quello che sembrò un attimo, la donnina in bianco la invitò a guardare: a quel punto aprì gli occhi, nello stesso momento in cui sentì una mano gentile sfiorarle la spalla. Fissò attonita lo schermo di fianco al lettino per qualche istante, poi, dopo tanto tempo, il suo spirito assopito si risvegliò, e il suo viso si aprì in un gran sorriso, un sorriso unico al mondo: il sorriso di una madre.

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*achot significa sorella in abraico.
   
 
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