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Autore: Trick    10/01/2013    6 recensioni
SPOILER della 02x10, "The Cricket Game".
"E tu? Nella favola ce l'hai, un padre. E pure un grillo domestico".
Il silenzio di August era stato piuttosto eloquente e i suoi occhi si erano velati di nostalgia. Neal non aveva più fatto accenno a grilli o burattini: quella fiaba doveva essere più triste di quanto non ricordasse".

August ritorna a Storybrooke, ma avrebbe dovuto farlo prima, avrebbe dovuto essere più forte, più adulto... forse è davvero poco più di un burattino e forse questa volta è davvero troppo tardi per diventare un bambino vero.
| Vaghi accenni Red/Jiminy |
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Archibald Hopper/Grillo Parlante, August W. Booth/ Pinocchio, Killian Jones/Capitan Uncino, Neal Cassidy, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa allucinante one-shot è stata una specie di violenza mentale da parte di Eterea, che non tiene mai la bocca chiusa e mi strappa alla vita sociale e agli studi lanciando malandrine ispirazioni. A lei e a tutte le Muse fissate quanto me con Once Upon A Time dedico quest'insana follia/speranza/allucinazioni, perché sapete tutti quanto ami Archie Hopper.
Ripeto qui nel caso non sia chiaro: SPOILER più o meno grossi della puntata 02x10, The Cricket Game – se non l'avete vista siete dei pazzi, perché era da un bel po' che la seconda stagione non mandava così tanti feelings.
Altre note? Uhm, sì, ecco, c'è un accenno Red/Jiminy così spudorato che, francamente, non dovrei nemmeno chiamarlo accenno, ma chissenefrega.

I personaggi non appartengono a me, ovviamente, giacché non scrivo a scopo di lucro: sono tutti della ABC, dei fratelli Grimm, di Collodi, di Barrie e di tutta quella gagliarda ciurma di burloni che hanno creato quella cosa meravigliosa che chiamiamo letteratura per l'infanzia.




*

Com'ero buffo, quand'ero un burattino!”.
da Le avventure di Pinocchio, Collodi.

Sii te stesso
La cosa giusta verrà da sè


Hook non era mai stato un uomo particolarmente paziente. Non lo era prima di diventare Hook e di certo non lo sarebbe diventato in seguito, ma Cora era stata piuttosto illuminante. Rumpelstiltskin aveva riacquistato l'antico potere e per quanto il capitano fosse avvezzo alle imprudenze, non si sarebbe mai scagliato contro un simile nemico senza un'arma degna del conflitto. Lo aveva già fatto una volta – e mille volte nei suoi incubi, dove il dolore sembrava sfrigolare sotto il suo uncino come un eterno monito.
Ci vorrà un po' di tempo...” gli aveva assicurato Cora. “Ma alla fine questo grillo canterà”.
Le aveva creduto d'istinto: Archie Hopper – Jiminy Cricket, un tempo – non sembrava certo un nemico all'altezza del capitano Hook.
Aveva vinto le guerre contro gli indiani della temibile Giglio Tigrato, contro le sirene, contro i Bambini Sperduti... e ora che Peter Pan giaceva nel suo corpo di immortale ragazzino negli abissi degli oceani dell'Isola-Che-Non-C'è non c'era più nessuno che potesse fronteggiarlo. C'era un'unica battaglia che non aveva ancora potuto vincere, e l'uomo con il volto sanguinante e lo sguardo spento in ginocchio ai suoi piedi era l'ultima chiave in grado di condurlo al trionfo.
Ci vorrà del tempo...”.
Ma Hook, di tempo, ne aveva già lasciato correre abbastanza. Non era un uomo paziente, lui... e quell'insetto si faceva di minuto in minuto sempre più fastidioso. Fece un drammatico sospiro e iniziò a passeggiare avanti e indietro per la stiva. Alla luce delle fiamme accese da Cora, il suo uncino sembrava luccicare. Il sangue scivolava lentamente lungo la sinuosa curva di ferro e gocciolava sul legno della nave.
«Ti va se ci proviamo ancora una volta... Jiminy Cricket, giusto?» sibilò con un sorriso mellifluo. «Rumpelstiltskin può usare la magia, io no. Come faccio?».
La schiena di Jiminy Cricket tremava ad ogni respiro. Sulla sua camicia azzurra, nel punto in cui era stata cucita la manica, si stava espandendo una scura chiazza rossiccia. Un'altra era comparsa sul fianco sinistro, pochi centimetri sopra la cintura, e il bavaglio calato fino al mento era ormai impregnato del sangue che colava dalla bocca, dal naso e dalla tempia. Una delle lenti dei suoi occhiali era andata in pezzi.
Eppure ancora taceva, ancora continuava a fissarlo con quello sguardo così... penoso. Aveva paura di lui, certo: Hook era bravissimo a leggere il terrore negli occhi della gente, ma il modo in cui quell'insetto lo osservava andava oltre la paura.
Compassione.
Il suo silenzio iniziava seriamente a indispettirlo, quando l'uomo decise di aprire la bocca. Le sue prime parole suonarono più simili a un rantolo di dolore, ma Hook era così felice di sentirlo finalmente cantare da non desiderare di mettergli fretta.
«U-una...».
Hook si inginocchiò davanti a lui con un sopracciglio inarcato. Il cuore gli stava andando a mille. Presto il proprio uncino avrebbe assaggiato la gola di Rumpelstiltskin... c'era quasi, era a un passo... quasi riusciva a immaginarlo cadere straziato suoi suoi stivali.
«Una volta...».
Se solo quel grillo ci avesse meno tempo...
«Una volta ero Jiminy Cricket... il g-grillo che p-parlava» mugugnò flebile. Le sue labbra erano arricciate in un sorriso timido. Quando sollevò il viso sul proprio aguzzino, nei suoi occhi si era aggiunta una scintilla divertita. «Ma ora... ora non lo sono. Io non p-parlo».
Fu troppo. La punta dell'uncino scintillò come il bagliore di una pistola e si conficcò in profondità nella sua coscia. Jiminy Cricket cacciò un grido di completa agonia e si accasciò su se stesso, con le braccia ancora legate al gancio che lo sorreggeva e le lacrime che si mescolavano al sangue. Tremava come una foglia, ma ancora taceva.
Come diavolo era possibile che un insetto fosse così testardo?
«Farsi del male è davvero così divertente?» gli disse con voce stanca Hook, rigirandosi l'uncino insanguinato davanti al viso. «Io non credo. Parla e basta, amico: così risparmiamo tanto le tue sofferenze quanto il mio tempo».
«P-perché vuoi sapere...» iniziò, ma poi emise un altro lungo gemito e le parole si sciolsero nell'aria. «Rumpelstiltskin... p-perché?».
«Questi non sono certo affari che ti riguardino, grillo».
«Vendetta» mormorò Jiminy con un sorriso triste.
La sua voce si era quasi persa nel frastuono della tempesta che stava scuotendo la cittadina di Storybrooke. Era poco più di un sussurro mangiato fra i denti, eppure colpì Hook con più forza di quanto non avrebbe dovuto. Succedeva in continuazione: “vendetta”, e all'improvviso il volto di Milah si affacciava davanti ai suoi occhi, il suo sguardo che si accendeva di eccitazione nel sentirlo pianificare le avventure che avrebbero vissuto per ogni mare, e poi era fra le sue braccia, il volto esangue, e la sua voce si spegneva sempre nello stesso modo.
Ti amo”.
Jiminy Cricket osservò attento la sua reazione. Il dolore che lo stava attanagliando era lancinante, ma doveva trovare il modo di porre fine a quella follia – doveva distrarsi dalla coscia, dal fianco e dalla spalla che stavano andando in fiamme. Non ricordava di aver mai provato un dolore del genere, nemmeno quando Pinocchio lo aveva colpito con quel grosso martello o quando la Volpe lo aveva stritolato fra le fauci. Era un dolore così diverso, quello... sentire il sangue colargli lungo il viso, i polmoni soffocati e ogni centimetro del suo corpo chiedere pietà era una sensazione così umana... una volta il guinzaglio di Pongo si era attorcigliato attorno alle caviglie e si era ritrovato steso sul marciapiede davanti allo studio nel giro di un secondo. Una contusione da nulla e un grosso bernoccolo, aveva detto il dottor Whale, e alla fine si era risolto tutto con una fragorosa risata da Granny's.
Archie Hopper non ricordava di aver mai sanguinato e Jiminy aveva trascorso così tanti anni nel corpo di un grillo da essersene dimenticato. Faceva male. Faceva più male di quanto non avrebbe mai potuto immaginare, eppure doveva fare qualcosa. Aveva gli occhiali, due gambe e i capelli rossi, ora, ma rimaneva sempre la voce della coscienza. Lo era, c'era poco da mentire.
Quando aveva cercato di abbandonare Storybrooke, Red lo aveva quasi ammazzato.
Tu sei la coscienza del regno, Archie, un membro del concilio di Snow e Charming!” aveva ruggito furiosa. “Come diavolo ti è saltato in mente di superare i confini della città!? Avresti dovuto immaginare che la gente ti avrebbe seguito!”.
Io non sono più Jiminy Cricket!”.
Lo schiaffo gli aveva colpito prima l'onore e poi la guancia. Il tono deluso della voce di Red aveva fatto il resto.
No, non lo sei... ma un tempo eri la creatura più ragionevole che conoscessi. Chiamami quando la becchi in giro, perché ho bisogno di lei”.
Era stata rude e violenta come un pugno in faccia, ma aveva capito. Aveva tradito se stesso tante volte in quegli ultimi ventotto anni, ma ora era tutto diverso: ora c'era Jiminy Cricket, c'era l'ombra di ciò che era stato, c'era la sensazione di non essere poi così tanto lontano dalla persona che avrebbe voluto essere. Dopo tutto ciò che era accaduto, c'era di nuovo la speranza di potercela fare... la speranza di poter tornare a essere l'uomo che aveva vissuto nel corpicino di un grillo che parlava.
«La vendetta ti renderà ciò che hai p-perduto?».
Hook si voltò di scatto, gli occhi ridotti a due fessure e la bocca serrata in un'unica linea severa. Si passò la lingua sul labbro inferiore e scosse il capo con aria supponente.
«No, ma stai certo che mi darà qualcos'altro».
Jiminy alzò il capo. Alla luce delle fiamme il suo volto sembrava sempre più cereo, il sangue continuava a insozzargli la camicia, ma il suo sguardo era penetrante. Hook fece una smorfia: avrebbe tanto voluto schiacciarlo, lui e la sua aria da ragionevole primo della classe.
«E cosa vincerai, c-capitano? Sono... sono assai c-curioso».
«Il cuore di Rumpelstiltskin infilzato nel mio uncino» sibilò furioso il pirata, con il braccio monco teso verso l'uomo in ginocchio. «Ecco, la mia vittoria: un cuore per un cuore».
Per qualche secondo nella stiva non risuonò che il rumore della pioggia sul legno della nave. Quando tornò a parlare, la voce di Jiminy Cricket aveva un suono triste e distante quanto il temporale.
«Devi... devi averla amata davvero... molto».
Hook trasalì.
«Qual è il punto debole di Rumpelstiltskin? Dove lo trovo?».
«La vendetta r-rende ciechi q-quanto l'amore...» mormorò piano Jiminy, strizzando gli occhi con espressione sofferente. «Certo, finché... finché v-viene alimentata pare ci sia un... un senso per ogni cosa, non è vero? Strappare ciò che ci è s-stato strappato... distruggere chi ci ha d-distrutto... e una volta vinto, capitano... che farete di una v-vita priva di scopo?».
«È questo il punto!» gridò con ferocia Hook, calciando il cerchio arrugginito di una vecchia botte di legno. «Io non ho niente a causa sua! Rumpelstiltskin mi ha tolto ogni cosa, ogni speranza, ogni...» si fermò e fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi e tremando appena. «Lui mi ha tolto tutto. Non mi interessa cosa farò dopo... mi interessa cosa posso fare adesso».
«Capisco» annuì Jiminy. «Ma quando... quando “adesso” diventerà “dopo”? P-posso provare a immaginare cosa potrebbe accadere?».
«No, non puoi».
«S-solo, capitano. Solo in un m-mondo che non conosci... dal quale non p-puoi scappare. Un mondo nel quale n-nessuno ti offrirà il suo aiuto, se non f-fai appello alla tua c-coscienza».
«Ipocrita» ribatté pungente Hook, inclinando il capo. «Parli di redenzione e coscienza nel tentativo di difendere Rumplestiltskin, la più mostruosa delle creature che abbia mai vissuto».
Jiminy scosse la testa.
«Nessuno di noi è nato per essere mostruoso».
«Oh, ci risiamo... e tutti abbiamo un lato buono, no?».
«Tutti noi».
Hook inspirò profondamente e alzò la mano e l'uncino in segno di resa. Riprese a camminare avanti e indietro per la stiva, sempre più irrequieto e spazientito.
«Te lo chiederò un'ultima volta, Jiminy: come posso annientare Rumplestiltskin?».
Il vago sbuffo che si levò dalle labbra dell'uomo ricordava una risatina soffocata, ma si trasformò presto in un violento colpo di tosse. Jiminy Cricket si ripiegò su stesso per l'ennesima volta. Quando ritrovò la forza di parlare, la sua voce risuonò con più decisione di quanta non avesse avuto dacché Cora lo aveva trascinato via dal suo studio.
«Nello s-stesso modo in cui annienterai te stesso» sussurrò debole. «Uccidi Rumplestiltskin, capitano... v-vendicati... e non ti resterà che un u-uncino sporco e un mondo v-vuoto in cui vivere».
«Ora basta!» urlò rabbioso. «Cosa ne sai tu di vita e vendetta!? Cosa ne sa uno stupido grillo dell'amore!?».
Al di sopra delle lenti rotte, gli occhi di Jiminy Cricket sembravano brillare di comprensione. Non aveva più timore di lui. E il dolore... perfino il dolore raggiungeva i suoi nervi con fitte sempre più ovattate. Temeva di essere sul punto di svenire – buon Dio, quanto sangue poteva aver perduto? - eppure quello era il suo posto. Quello era ciò che sapeva fare.
Parlare.
Peccato che il dolore lo stesse facendo parlare a sproposito.
«Un g-grillo non può amare, quindi?».
Hook soffiò con aria supponente.
«Non dire sciocchezze».
«Non aggiungerò altro, se preferisci».
Hook non aveva idea di cosa diavolo stesse parlando, e non era granché interessato ad ascoltare i piagnistei di un grillo mezzo moribondo. Voleva Rumplestiltskin, voleva la sua vendetta, voleva abbandonare quel posto assurdo chiamato Storybrooke il più in fretta possibile... eppure la curiosità era diventata morbosa di minuto in minuto.
«Tu hai amato? Sul serio?» domandò con una nota beffarda. «E chi hai amato? Una lucciola?».
Questa volta Jiminy Cricket rimase in silenzio. Hook gli assestò un potente calcio nello stomaco. L'altro rantolò, con gli occhi sgranati per il dolore improvviso. Gli occhiali scivolarono dal naso e si infransero a terra. Jiminy rimase piegato, con le braccia legate sopra la testa e la fronte a poche decine di centimetri dalle assi del pavimento. Boccheggiò per diversi minuti, con ogni fibra del proprio corpo intenta a tremare.
«Ti ho fatto una domanda».
Jiminy capì solo in quel momento di aver commesso un madornale errore.
«Tu non hai voluto p-parlarne... p-perché dovrei volerlo io?».
Hook gli afferrò con rudezza i capelli e lo costrinse a sollevare il viso. La punta del suo uncino grattava fastidiosamente la gola di Jiminy, che emise un rantolo soffocato.
«Tu che dici?».
Jiminy deglutì a stento.
«F-fallo. Io n-non dirò niente» sentenziò con orgoglio. «N-non tradirò di nuovo la mia regina».
«Hook, basta così» risuonò una voce sibillina dall'alto.
Cora scese nella stiva con movimenti lenti ed eleganti, come una pantera intenta ad ispezionare con cura la propria preda. Hook si allontanò da Jiminy Cricket e fece le spallucce.
«Affoghiamo il grillo e prendiamone un altro» suggerì con franchezza.
La donna inarcò divertita un sopracciglio e rivolse al capitano un sorriso comprensivo – poco dissimile a quello che avrebbe potuto destinare a un bambino capriccioso.
«Mio caro Hook, quanta intemperanza. Hai solo toccato...» disse, chinandosi per osservare interessata i segni che l'uncino avevano lasciato sul corpo di Jiminy, «...i punti sbagliati».
Jiminy cercò di evitare le dita di Cora, ma era troppo malridotto e le corde troppo strette attorno ai suoi polsi. L'unghia del suo pollice si piantò nel suo mento mentre la donna gli sollevava il viso.
«I-io non p-parlo».
«Strana cosa, detta da te» lo prese in giro con tono mellifluo. «Temo che lo farai presto, ad ogni modo. Dimmi, Jiminy Cricket... qual è il nome di quel tuo amico che lavora in quel bugigattolo poco dopo il porto? Mastro Geppetto, non è vero?».
L'uomo impallidì del tutto.
«N-no... tu n-non...».
«Oh, no!» lo interruppe lei, portando drammaticamente una mano al petto. «Certo che non lo farei... credi potrei mai fare qualcosa di male a un povero e innocente falegname, Hook?».
Hook sollevò lo sguardo dallo straccio con cui stava ripulendo il proprio uncino e fece un sorriso sghembo.
«Certo che no... stai tranquillo, Jiminy».
«La vita è così ingiusta e inaspettata» continuò Cora con leggerezza. «C'era un sacco di gente in lacrime al tuo funerale, credo ti sarebbe piaciuto. E chi poteva pensare che una simile disgrazia potesse capitare proprio al buon Jiminy Cricket? Che ne sarà del suo povero migliore amico, ora? Senza più figlio... senza più coscienza... oh, il dolore potrebbe rivelarsi tremendo. Insostenibile. Mortale».
Era inchiodato al muro. Abbassò la testa e chiuse gli occhi, cercando di placare il dolore del corpo e quello della possibilità che quella folle trovasse davvero Geppetto. Lo avrebbe fatto – oh, certo che lo avrebbe fatto. E dopo di lui, sarebbero arrivati a Henry, a Emma... a Red.
C'era solo una cosa che poteva fare.
«Belle» mormorò con voce rotta. «Che Dio mi perdoni, il suo nome è Belle».

*

Neal Cassidy credeva alla favole da oltre dieci anni, eppure non aveva mai pensato che avrebbe avuto un ruolo nella più assurda di tutte. Sotto la pioggia di Storybrooke, Pinocchio camminava al suo fianco con la testa bassa e il cappuccio sollevato, ed era la persona più improbabile a calzare i panni del burattino che Neal avesse mai incontrato.
«Se Emma ha spezzato la maledizione, perché questa cittadina esiste ancora?».
August fece le spallucce e infilò le mani nelle tasche.
«Non lo so. Non so nemmeno come abbia fatto la magia a tornare».
Attraversarono la strada che circondava la scuola in fretta. Neal non vedeva l'ora di mettersi al coperto: nonostante l'ombrello, era fradicio fino all'ultima punta dei capelli.
«Sei sicuro?» chiese di nuovo, guardando perplesso l'orologio del municipio. «A me sembra tutto così comune, qui...».
L'altro lo scrutò di sottecchi al di sotto del cappuccio e si toccò un paio di volte il naso.
«Ehi, guardami: io non sono fatto di legno».
«Questo non significa che tu non stia mentendo... Pinocchio».
Si fermarono di colpo sul ciglio del marciapiede e August rimase in silenzio per diversi secondi. Neal si sentì improvvisamente preda dei sensi di colpa.
«Okay, scusa, non volevo dire che... sono spaventato, va bene? Io amavo Emma, e poi tu sei arrivato con questa storia allucinante delle favole e della maledizione. Hai sconvolto tutta la mia vita, August».
«Hai avuto dieci anni di tempo per accettarlo».
«Forse non sono stati abbastanza».
«Forse, ma di sicuro non c'è più tempo» fu la vaga risposta. Alzò un braccio e gli indicò l'imbocco di una piccola stradina. «La casa di Snow White è la quinta sulla sinistra. Lei saprà dirti dov'è Emma».
Neal si mosse dopo qualche istante, accorgendosi solo in quel momento che August aveva già girato i tacchi e stava prendendo tutt'altra direzione.
«Ehi! Ehi! Dove diavolo pensi di andare, adesso!?» esclamò nella pioggia.
August si voltò verso di lui e alzò la mano in segno di saluto.
«Emma non sarà per niente contenta di vedermi» gridò di rimando. «E c'è una cosa che devo fare prima che mi ammazzi».
L'altro uomo lo osservò svanire nel buio della sera. Sollevò il bavero della giacca per ripararsi dal freddo e sbuffò infastidito.
Le cose non si stanno muovendo com'era previsto si muovessero” gli aveva raccontato August durante il viaggio. “Non so cosa stia succedendo, ma non va bene per niente”. E io che c'entro?”.
Sono la tua famiglia. Tutti dovrebbero tornare dalla propria famiglia, prima o poi”.
Neal gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
E tu? Nella favola ce l'hai, un padre. E pure un grillo domestico”.
Il silenzio di August era stato piuttosto eloquente e i suoi occhi si erano velati di nostalgia. Neal non aveva più fatto accenno a grilli o burattini: quella storia doveva essere più triste di quanto non ricordasse.

*

Aveva creduto di trovarlo nel garage che aveva adibito a bottega nei ventotto anni trascorsi nei panni di Marco, ma la saracinesca era chiusa e il suo furgone non c'era. Chiamò un paio di volte il suo nome, ma non rispose nessuno.
Mentre s'incamminava tristemente verso Granny's, iniziò a calciare per gioco una lattina di Coca-Cola. Era quasi arrivato all'angolo della via, quando un grosso dalmata si lanciò con foga sul pezzo di alluminio. August trasalì e fece un salto indietro.
È il cane di Jiminy” realizzò in un istante. Era così convinto di imbattersi nell'uomo con i capelli rossi e gli occhiali che aveva spiato a lungo da non poter mascherare la propria delusione nel ritrovarsi davanti Red. Era avvolta in una sciarpa rossa piuttosto bagnata. I suoi occhi sembravano gonfi di pianto.
«Porca miseria» imprecò lei non appena lo ebbe riconosciuto. «Sei... tornato».
August aprì la bocca e fece per parlare, ma l'espressione minacciosa sul volto di Red lo fece desistere. La giovane strinse a sé Pongo, si umettò le labbra e gli puntò contro l'indice.
«Tu non eri rinchiuso a Storybrooke, ma sapevi di Storybrooke».
«Red, io--».
«E sai chi sono...».
Lei lo fissò perplessa.
«Chi sei davvero, August?».
Lui fece un profondo respiro.
«Pinocchio».
L'espressione della giovane non avrebbe potuto essere più sbalordita. Rimase per un po' con le labbra dischiuse, fissandolo sconcertata. Pongo aveva ripreso a strattonare il guinzaglio, ma Red sembra intenzionata a ignorarlo.
«P-Pinocchio?» ripeté.
Lui annuì lentamente. Aveva avuto ragione: c'era davvero qualcosa di strano. La maledizione si era spezzata, sì, ma tutti loro erano rimasto a Storybrooke e Red era impallidita, incapace di parlare. August la guardò portarsi una mano alla bocca, abbassare il capo e tentare invano di soffocare un singhiozzo. Red si strinse d'istinto il guinzaglio al petto.
«Pinocchio...» disse di nuovo, mentre gli occhi si riempivano di lacrime.
August deglutì a stento. C'era qualcosa... Dio, era successo qualcosa.
«Non sono lacrime di gioia, quelle» mormorò, appoggiandole una mano sul braccio sinistro. La scrutò preoccupato, poi Pongo abbaiò di nuovo. Inarcò un sopracciglio e aggiunse, tremante: «Red... perché il cane di Jiminy è con te? Dov'è lui?».

*

Red lo aveva seguito nella folle corsa attraverso le strade di Storybrooke con Pongo alle calcagna. Di tanto in tanto gridava il suo nome – quello vero, quello che per poco non scordava – ma August era diventato sordo. Non sentiva la pioggia, non sentiva il vento, non ricordava nemmeno dove aveva abbandonato il proprio ombrello.
C'era stato un tempo in cui si era divertito a farsi rincorrere da Red fra gli androni e i lunghi corridoi del castello di Snow White e James. A differenza degli altri castellani, sempre troppo impegnati nelle loro faccende, lei era piuttosto incline a partecipare ai suoi giochi. In un paio di occasioni, lei e Jiminy avevano improvvisato un teatrino di marionette di carta. Pinocchio rideva per ore guardando le dita di Red camuffate da grossi draghi cercare di mangiare il piccolo grillo.
Jiminy è morto”.
Forse August non aveva nemmeno sentito l'ultima parola. Forse l'aveva capito e basta, aveva sentito “Jiminy” ed ogni nervo del suo corpo era precipitato nel caos.
Varcò la soglia di Granny's con l'irruenza di un carro armato, fradicio e ansante, con l'espressione stravolta e la gola arida.
Non è vero” continuava a ripetersi. “Non è morto, non è morto, lui non può morire, lui è Jiminy, lui non può morire...”.
Alla sua vista tutti i presenti si erano bloccati. La vedova Lucas era in piedi davanti al bancone e stringeva fra le mani grassocce un vassoio pieno di tazze fumanti; Grumpy e Doc si erano alzati in piedi nel medesimo istante, il primo aggressivo e il secondo preoccupato; e poi c'era lui, seduto a un tavolo con le spalle rivolte all'ingresso. Geppetto teneva la testa china fra le mani e non si era mosso di un solo centimetro.
«Granny's è chiusa» sentenziò burbero Grumpy, facendo un passo verso di lui.
Red sbucò dietro a August con il fiato corto. Pongo gli girò attorno e si affrettò ad accucciarsi ai piedi di Geppetto. L'anziano uomo gli accarezzò tristemente la testa.
La vedova Lucas guardò confusa la nipote, ma la giovane si limitò a togliersi la sciarpa e a lasciarsi scivolare sulle poltroncine più vicine. Si passò una mano fra i lunghi capelli e appoggiò la fronte al tavolo, immobile e abbattuta.
August avanzò nel locale e d'un tratto ci fu solo silenzio.
«...babbo?».
Geppetto si girò con incredibile lentezza. Aveva il volto rigato di lacrime quanto quello di August – eppure il giovane non se ne era reso conto. Si alzò traballante e Doc dovette affrettarsi a sorreggerlo per evitare che scivolasse sul pavimento. Il suo sguardo era sconvolto. Pareva fosse invecchiato di mille anni nell'arco di un secondo.
«Pinocchio?».
August si morse le labbra e non fu più in grado di sostenere lo sguardo del padre. Iniziò a scuotere la testa, incapace di parlare.
«Pinocchio...» mormorò di nuovo Geppetto, arrancando verso di lui e sollevando tremante le mani. Gli sfiorò appena la felpa, si mangiò ogni centimetro del suo viso da uomo con crudele avidità. «Il mio ragazzo...».
«Non è vero» negò con forza lui, le unghie conficcate nei palmi. «Non è vero, non è vero, non è vero...».
Geppetto gli posò una mano sulla spalla e August si sorresse a lui. Il pianto lo travolse come un fiume in piena.
«È colpa mia... è tutta colpa mia».
L'abbraccio di suo padre si fece più deciso e bisognoso. La sua mano callosa salì ad accarezzargli piano la nuca.
«Non è colpa tua... non è colpa di nessuno...».
Jiminy è morto”.
Quando riuscì a realizzare davvero ciò che quelle parole significavano, cadde in ginocchio sul pavimento di Granny's in preda allo strazio, dondolato da suo padre come se fosse tornato bambino – come se non fosse niente più di un burattino inanimato.

*

Non si accorse che Red era uscita dal locale se non dopo parecchio tempo.
Aveva smesso di piovere, ma l'aria era ancora umida e fredda e il vento che soffiava era impietoso. La ragazza si era seduta su uno dei tavolini estivi. Non sulla panca, no: proprio sul tavolino.
August si avvicinò piano a lei e le toccò appena un ginocchio. Red arrangiò un sorriso triste, ma continuò a guardarsi le punte delle scarpe a tennis.
«Non sei cambiata nemmeno un po'» iniziò lui. «A parte quei ciuffi rossi... sono carini».
«È così strano vederti... adulto. Di', ricordi quando scappasti dalle cucine e ti buttasti nelle acque del lago? Eri così preso dalla tua piscina improvvisata che mi sono dovuta immergere fino alla pancia per convincerti a uscire».
«Mi ricordo» annuì mesto lui, arrampicandosi sulla panchina e sedendosi accanto a lei. «Jiminy continuava a sbraitare dalla riva. Detestava l'acqua... e come dargli torto? C'era mancato poco che affogassimo tutti».
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
«Non ho fatto in tempo a dirglielo, Pinocchio».
Lui scosse la testa.
«Cosa?».
Il sorriso di Red era vago e distante, ma i suoi occhi erano ancora arrossati e le gote rigate di lacrime.
«Che ho sempre apprezzato il fatto che in questi ventotto anni fosse rimasto il solo a trattarmi come un'adulta. Che...» scosse il capo e sbuffò imbarazzata, «...che mi divertivo a trascorrere il mio tempo con lui anche prima, quando era un grillo e tu lo rinchiudevi negli orologi del castello in continuazione, e che io... che Ruby, che l'altra, che lei sapeva perfettamente come Archie Hopper beveva il caffè. Doppio, con una sola bustina di zucchero e una spruzzatina di panna. Ed era l'unico che lo ricopriva di caramello... non ho mai visto niente di tanto disgustoso, ma... e io non gliel'ho mai detto. Non gli ho mai detto nulla. Prima che Emma distruggesse la maledizione, non ci avevo nemmeno fatto caso, e dopo ho pensato... che avrei avuto tempo e che c'erano così tanti problemi e che...» Red si bloccò di colpo e chiuse con forza le palpebre, ma il pianto ormai dilagava sul suo viso stremato. «E ora è tardi, Pinocchio... e io ancora non ci credo, ma Jiminy è sul serio... sul serio...».
August le sfiorò appena la nuca, permettendole di appoggiare la fronte alla sua spalla. Mentre assisteva alla disperazione di Red levarsi in violenti singhiozzi, alzò il capo fra i nuvoloni scuri che andavano svanendo. L'alba era vicina.
E ora è troppo tardi”.
Era tutta colpa sua.

*

Il sole stava ormai sorgendo e Red si era addormentata sulla sua spalla. August cercò di spostarla con cautela e di sollevarla, ma lei cacciò un flebile borbottio infastidito e iniziò a storcere il naso. Lui si fermò, ma ormai Red si stava svegliando.
«Lo sento...» mugugnò con voce impastata.
August aggrottò la fronte e scosse perplesso il capo. Red si alzò, si stropicciò gli occhi e fece un lunghissimo respiro. La sua espressione si fece d'un tratto serissima.
«Pinocchio... lo sento».
«Red, non--».
La ragazza scattò in piedi come una molla e iniziò a gironzolare su se stessa in preda a una crescente agitazione. Puntava il naso in aria, annusava attenta e muoveva la testa a destra e a sinistra come un piccolo segugio con la sciarpa rossa. Quando finalmente rivolse la propria attenzione a August, il suo sguardo sembrava brillare.
«Jiminy».
Lui sbatté un paio di volte le palpebre, poi si avvicinò a lei, le strinse gentilmente le spalle e la fissò con tristezza.
«Red, stavi dormendo».
«No» ringhiò lei con feroce testardaggine. «No, Pinocchio, io lo sento... lo sento!».
Scattò come un fulmine lungo la strada che conduceva al municipio prima ancora che August realizzasse cosa stava cercando di dirgli. Il ragazzo la chiamò a gran voce, le corse dietro per un paio di passi e si bloccò sul marciapiede, mentre l'ombra di Red si perdeva nella foschia del mattino. Era davvero veloce. August si passò una mano fra i capelli, ancora confuso, e guardò oltre le finestre di Granny's. Geppetto era seduto al bancone con un bicchiere vuoto fra le mani e lo sguardo apprensivo della vedova Lucas puntato sul volto stravolto.
La vocina acuta di Jiminy Cricket gli risuonò d'improvviso nella testa: “Sii sempre impavido, leale e altruista”. L'attimo dopo stava già sfrecciando alle costole di Red, annaspando nel tentativo di raggiungerla. Era davvero troppo, troppo veloce.
«Red!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola. «Red!».
«Il porto! Il porto!».
La ragazza aveva già superato il municipio e lo aspettava sotto un lampione, agitando frenetica le braccia. August le arrivò accanto e si piegò in due.
«Porca miseria... Red, dove stai andando?».
«Il porto» ripeté con forza lei, piantandogli le dita in una spalla. C'era una luce di estasiata gioia sulla sua faccia arrossata. «È al porto. Lo sento. È odore di libri vecchi, di caramello, di... di Archie. È l'odore di Archie, Pinocchio, te lo giuro».
Voleva crederle con tutto se stesso, ma c'era una parte di lui che doveva essere davvero diventata insofferente alle menzogne. Jiminy era morto, l'avevano visto tutti. L'avevano seppellito il giorno prima nel cimitero di Storybrooke... come poteva Red avvertire il suo odore nell'aria?
«La pioggia» riprese a spiegare nervosamente lei, afferrandogli entrambe le mani. «È piovuto per giorni e ora... senti il vento, Pinocchio, soffia dal porto!».
August si massaggiò lentamente le tempie.
«Okay. Red, io non credo che--».
«È vivo» sentenziò franca lei, prima di volgergli le spalle e gettarsi nuovamente in quella corsa senza respiro. «È vivo!».
E lui le corse dietro, e per un attimo credette sul serio di essere tornato il bambino che giocava con lei fra le mura del castello. La folle speranza di Red era contagiosa e presto si trovò ad accelerare il passo per non perderla di vista, spinto dal pensiero che, dopotutto, Red aveva un ottimo olfatto. Red le sentiva davvero, certe cose. Superarono a perdifiato la zona mercantile e si ritrovarono all'imbocco delle barche nel giro di dieci minuti. August era ansante, ma Red continuava a saltare da una parte all'altra del molo, guardandosi attorno febbrile, annusando l'aria salmastra...
«È qui».
August sospirò e diede un'occhiata intorno. C'erano solo sei o sette piccole imbarcazioni ancora ormeggiate: i pescatori dovevano essere a largo già da ore. Red portò le mani ai lati della bocca e iniziò a chiamare a gran voce il suo nome. L'altro la bloccò di colpo e la strattonò con forza.
«Sei pazza? Qualcuno potrebbe sentirti!».
«È proprio quello che mi auguro!» ribatté lei piccata, liberandosi dalla sua stretta. «Voglio che mi senta Archie!».
«O chi l'ha fatto sparire?».
Red rimase spiazzata, ma poi assottigliò minacciosa gli occhi. August credette di vedere l'ombra del lupo guizzare per un momento nelle sue pupille.
«Lo sbranerò. Giuro, Pinocchio... lo sbranerò».
August non lo dubitava. La ragazza riprese la sua ricerca insensata lungo la banchina. Era buffo vederla fiutare tutt'attorno come un cagnolino, ma nessuno avrebbe potuto dire che non era un metodo efficace. Si fermò d'improvviso davanti a una passerella vuota, confusa. Poi sollevò un indice a mezz'aria e indicò il vuoto.
«Qui».
«Qui?» ripeté perplesso August, grattandosi la nuca. «Red, qui non c'è niente».
«C'è Archie».
La sua testardaggine iniziava a diventare insostenibile e August si sentì uno sciocco per averle dato ascolto. Non avrebbe dovuto illudersi. Era già un uomo, ormai, era giunto il momento di piantarla di raccogliere per strada tutte le fantasie da ragazzino che gli cascavano davanti. Jiminy era morto e lui non c'era. Non aveva nemmeno avuto il tempo di salutarlo, di chiedergli perdono, di ascoltare per un'ultima volta i suoi consigli. Era morto e non sarebbe tornato. Avvertì le lacrime tornare a pizzicare gli occhi, così strizzò le palpebre e fece un profondo respiro.
Red si era incamminata lungo la passerella e lui decise di seguirla. Non sarebbe stato facile convincerla a tornare indietro.
Poi accade una cosa strana. Red si inginocchiò sul legno umido e allungò una mano verso l'acqua; l'espressione sconcertata sul suo viso era piuttosto eloquente.
«Cosa c'è?».
Lei lo fissò con la bocca aperta in una muta esclamazione di sorpresa.
«Credo ci sia una... barca».
D'improvviso nel molo risuonò un violento boato. La terra parve tremare e August si ritrovò a terra. Alzò lo sguardo su Red: la giovane sembrava essersi attaccata a una corda invisibile. Il frastuono dei gabbiani che si alzavano spavantati in volo era assordante.
«Che diavolo è stato!?» esclamò lei.
«Non ne ho idea» rispose in fretta. «Stai bene?».
«Sì, sono--».
La seconda esplosione risuonò ancora più tremenda e violenta della prima. Questa volta anche Red scivolò sulla passerella.
«Corri a cercare Emma!» le gridò August, rimettendosi in piedi e aiutandola ad alzarsi a sua volta. «In fretta!».
«Vieni con me!».
«Tu sei più veloce. Io...» si interruppe e alzò gli occhi al cielo: una grossa nube viola si stava alzando dai palazzi che circondavano il molo. «Oh, porca vacca... quella è magia grossa. Red, corri».
«Tu--».
«Io mi nascondo da qualche parte e vi aspetto. Tu corri! Va' a cercare Emma!».
Red lo fissò per qualche istante, annuì decisa e ripercorse a lunghissime falcate la strada che li aveva condotti lì. Lui attese di vederla svanire oltre la curva. Era sul serio la creatura più veloce che avesse mai visto. Il terzo colpo spezzò in due l'aria. August si ritrovò inginocchiato davanti all'assurda barca invisibile che aveva trovato Red. Allungò cauto un piede, ma con suo sbalordimento la suola dello stivale toccò una superficie rigida e sicura. Guardò in basso: era come volare sull'acqua. Iniziò a risalire piano, con le mani ben strette alla fune che c'era davvero, ma non poteva essere vista.
Riuscì a vedere la barca solo una volta salito a bordo, ma non era una barca: era una nave vera e propria, quella, come quelle che credeva di aver lasciato nel mondo delle fiabe, con gli alti alberi di legno e le bandiere rozze ammainate, i cannoni pronti a sparare e una bella sirena intagliata a prua. Guardò l'albero maestro e sgranò gli occhi: una bandiera dal teschio nero sventolava fiera nel vento del Maine.
«Oh, diavolo...» mormorò fra sé.
La nave sembrava deserta. Stava valutando quanto fosse rischioso per lui restare a bordo, quando l'ennesimo scoppio fece sobbalzare ogni cosa. August si abbassò in fretta, accucciandosi sui gradini che portavano alla stiva. Nel tentativo di rialzarsi, la suola bagnata del suo stivale scivolò sul legno e il ragazzo precipitò indietro, rotolando per quasi metà dell'altezza della scala. Quando riaprì gli occhi era immerso nell'oscurità. Si mise in piedi a tentoni: aveva il sedere un po' dolorante ed era certo che ci fosse un bel bernoccolo in procinto di spuntare sulla sommità della sua testa, ma a occhio e croce non si era fatto particolarmente male. Frugò nelle tasche dei jeans ed estrasse un minuscola torcia portatile. Non faceva più luce di un fiammifero, ma era meglio che camminare nel buio più completo.
La stiva sembrava pressoché vuota. C'erano delle casse abbandonate in un angolo e un mucchio di funi annodate, ma non c'erano né merci né provviste né qualcosa che facesse pensare a una ciurma di corsari affamati. Non c'era nemmeno del rum.
La grata del sottostiva era aperta e August si avvicinò lentamente. La flebile luce vagò nell'oscurità per qualche istante, prima di fermarsi sulle assi del fondo. Il ragazzo affilò la vista e trattenne il respiro: non ne era del tutto sicuro, ma credeva potesse essere sangue. Seguì la scia rossiccia fino a quando non illuminò il corpo inerme e privo di conoscenza di un uomo con i polsi legati a un grosso gancio sopra la testa.
August ebbe l'impressione di essere appena riemerso da una nuotata tremenda, di aver finalmente ripreso fiato... di essere uscito dalla pancia della balena ancora una volta.
Si fiondò nel sottostiva, si inginocchiò davanti a Jiminy e abbassò il bavaglio che gli copriva la bocca. Respirava appena. Fece per posargli una mano sulla spalla, ma quando si accorse della grossa macchia rossa sulla sua camicia stracciata si bloccò con il braccio a mezz'aria.
«Jiminy?» mormorò spaventato, scuotendolo delicatamente. «Jiminy, per favore, svegliati...».
Dalle labbra dell'uomo risalì un rantolo impercettibile.
«Jiminy, va tutto bene» tentò di rassicurarlo, ma le parole sembravano tremargli nella gola. L'immane pace che aveva provato nel trovarlo laggiù vivo era stata fin troppo effimera. Sotto il corpo di Jiminy si era allargata una considerevole pozza di sangue e la sua camicia ne era zuppa. «Va tutto bene, sono io, sono tornato, adesso ti riporto a casa... torniamo a casa tutti e due, Jiminy, te lo prometto».
August non aveva mai avuto modo di parlare a lungo con Archie Hopper – era segretamente intimorito da ciò che avrebbe potuto pensare tanto quanto lo era di suo padre. Non aveva mai udito sul serio la sua voce umana, ma era certo che quella voce strascicata e sommessa fosse ben lontana tanto da quella di Jiminy Cricket quanto da quella dello psicoterapeuta.
«--occhio».
«Come?».
L'uomo alzò faticosamente la testa e aprì piano gli occhi. Alla luce bianca della torcia elettrica, il suo volto sembrava ancora più pallido e cadaverico. I suoi occhi erano stanchi, ma in quel momento sembrarono scintillare di incontenibile gioia.
«Pinocchio».
August si mordicchiò il labbro inferiore e annuì un paio di volte. Poi si alzò in piedi e liberò i suoi polsi legati dal gancio che lo teneva appeso. Jiminy gli ricadde addosso come un peso morto, ma lui fu lesto a sorreggerlo. Si sosteneva a stento in piedi. August si passò il braccio meno malandato sulle spalle e lo alzò di forza.
«Coraggio, Jiminy... torniamo a casa».
«G-Gold... devi avvisare Gold... loro vogliono... non ho potuto fare altrimenti...».
«Risparmia le forze, ti prego. Va tutto bene... Red è corsa a cercare aiuto. Emma starà--».
«S-sta bene? Red... lei sta bene?».
«Sì» rispose con incredibile sicurezza August. «È lei che ha scoperto dov'eri finito. Dice di averti... sentito».
Jiminy arricciò le labbra in una smorfia affettuosa.
«S-sapevo... s-sapevo che saresti tornato».
August si aggrappò al corrimano della piccola scala di legno. Le sue nocche sbiancarono e le sue guance arsero improvvisamente di umiliazione. Non trovò nulla da dire.
La sua presa si fece più sicura mentre appoggiava il piede sul primo gradino. Per quanto Jiminy faticasse a parlare, il suo tono non sembrava poi così tanto diverso da quello del piccolo insetto che lo aveva tirato fuori dal Paese dei Balocchi. Temeva di averlo perduto per sempre già una volta, quando lo aveva cercato invano fra i boschi e i prati di Storybrooke: poi lo aveva incrociato per caso da Granny's, mentre si affrettava a raggiungere il proprio studio.
Non lo aveva riconosciuto immediatamente – e come avrebbe potuto, d'altronde?
Oh, santo cielo” gli aveva detto Archie Hopper, sistemandosi gli occhiali sul naso e rivolgendogli un sorriso gentile. “Lei deve essere il famoso scrittore su cui tutta la città spettegola”.
August gli aveva stretto la mano con crescente curiosità.
Credevo di essere noto come lo straniero”.
È un termine piuttosto barbaro in una società civile, non trova?”.
Red – Ruby, la cameriera con l'eye-liner e la minigonna, quella che aveva distrutto il ricordo della coraggiosa fanciulla al servizio di Snow White che August conservava – si era sporta dal bancone in quel momento e si era allungata per afferrare un ombrello nero agganciato al bordo. August aveva distolto lo sguardo dalla scollatura della sua camicetta.
Archie!” aveva gridato lei con voce squillante, brandendo l'ombrello a mezz'aria. “Te lo dimentichi sempre!”.
Sembrava un siparietto provato un'infinità di volte – e a conti fatti, lo era sul serio. Ruby gli aveva lanciato l'ombrello e Archie lo aveva afferrato al pelo, faticando un po' a coordinarsi fra la borsa di pelle stretta in una mano e gli occhiali che gli stavano scivolando dal naso.
Quando August aveva riconosciuto l'ombrello, Archie Hopper era già diretto verso il proprio studio.
«Quando mi hanno detto che eri morto, ho pensato che sarei impazzito».
«Sono un grillo magico, Pinocchio... ho un s-sacco di vite omaggio, io».
August ridacchiò appena e scosse il capo.
«Henry Mills mi ha p-parlato di te» riprese Jiminy. «Mi ha detto ciò che hai fatto».
«Oh... mi dispiace. Io...».
«Pinocchio...» lo chiamò ancora, e c'era qualcosa di disperato nel modo in cui continuava a ripetere il suo nome. Pinocchio, Pinocchio, Pinocchio... sembrava che nemmeno lui riuscisse ancora a crederci sul serio. «C-cercare di rimediare ai propri errori è molto più difficile che non commetterne affatto».
«Avevo dato la mia parola...».
«E ora sei qui» concluse in un soffio Jiminy, con quel sorriso lieve ancora sulle labbra. «Sei qui...».

Sei tornato a casa, ragazzo mio.

   
 
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