4. ONE DAY IN THEIR LIVES
"Mio dio, Mac! Hai fatto scappare anche lui!", esclamò Thiago,
trovando l'amica seduta sola ed annoiata sul bancone del guardaroba, a gambe
penzoloni
"Sì, che ci vuoi fare... faccio paura!", disse, con voce profonda e
scuotendo le mani come per imitare un brutto fantasma.
"Sei tremenda... A proposito Jacob ci lascia andare. Possiamo tornare a
casa.", la informò, regalandole una bella notizia.
"I soldi?", chiese Mac, sempre attenta al lato economico del lavoro.
"Ce li ho io, tranquilla.", fece il ragazzo, dandosi una pacca sulla
tasca posteriore dei pantaloni.
"Benissimo, prendo la borsa e andiamo.", disse Mac, scendendo dal
bancone.
Thiago, nell’attesa, si mise a fischiettare una canzoncina improvvisata ma si
bloccò, quando sentì un rumore di tacchi alle sue spalle.
"Guarda chi c'è qua!", esclamò, voltandosi e vedendo Jutta venire
verso di lui. Era contenta di vederla, non sapeva proprio che anche lei fosse
dentro al locale. Le parve quasi strano vederla, avrebbe decisamente ricordato
di averle strappato il biglietto al momento del suo ingresso, ma proprio non
riusciva a rievocarlo con la mente. Non si era nemmeno allontanato dal suo
lavoro per un attimo, doveva essersi imbucata grazie a qualche conoscenza… Poi
si soffermò ad osservare la sua camminata: le sembrava avere un passo troppo
deciso perchè il loro incontro fosse casuale e di piacere.
"Dimmi dov'è quella deficiente della tua amica...", esclamò, quasi in
iperventilazione.
"Chi? Mac?", disse lui, cercando di fare il finto tonto.
"LO SO CHE E' QUI!", gridò l'altra, dando via all'isteria.
Che cosa era succeso? Cosa aveva combinato Mac?
Si affacciò nel guardaroba, ma lei non c’era, si doveva essere nascosta
sentendo sia il passo che la voce, entrambi incazzati, della sua collega di
lavoro…
"Mac... ti conviene farti vedere, Jutta è in preda a manie
omicide...", la esortò.
Mac, lentamente, sbucò da dietro il balcone, con aria da cane bastonato.
"Ti uccido!", esclamò Jutta.
"Che ho fatto....", chiese Mac, sentendosi sia colpevole che
innocente.
"Hai rovinato ogni mia possibilità di scrivere un'altra intervista ai
Tokio Hotel!"
"Io?!? Ma io non ho fatto niente...", disse Mac, allontanandosi dal
tavolo di legno, ma soprattutto dalle mani di Jutta, che si facevano sempre più
vicine al suo collo.
Ecco cosa era successo, realizzò Thiago… si era introdotta nel locale dalla
zona privè, che aveva un’entrata separata da quella dove lavorava con Mac, per
concludere l’intervista che era rimasta in sospeso qualche giorno prima…
"Tu... tu... adesso i due fratelli Kaulitz sono incazzati come delle...
come delle...", cercava di dire Jutta, senza trovare un paragone adatto,
"Sono molto incazzati punto e basta. E non vogliono concedere più
interviste alla nostra rivista! E' tutta colpa tua!"
"E che c'entro io se sono dei palloni gonfiati! Sono venuti loro a
cercarmi!", disse Mac in sua difesa. Tutti i torti non li aveva, pensò
Thiago, ma forse avevano davvero esagerato…
"Potevi anche risparmiare di umiliarli! La rivista aveva bisogno di
quell’intervista! Ora c'è il rischio che mi licenzino!", fece Jutta,
battendo il pugno contro al bancone, "Vai a rimediare ai tuoi guai o ti
giuro che farò licenziare anche te!"
Detta quell'ultima frase con le vene del collo a rischio di esplosione, Jutta
girò i tacchi e tornò sparì di nuovo dentro al locale.
"E ora?", disse Thiago, quando la calma fu ristabilita "Ti tocca
andare a scusarti..."
"Nemmeno per idea! Troverò un'altro lavoro!", sbottò Mac,
irremovibile.
"Mac... sii ragionevole..."
"Giammai chiederò scusa a quei due!"
"Ti prego... no...", continuava a dire Mac, con vocina da bambina in
lacrime. Thiago la teneva per un braccio e la trascinava fra la gente, nella
zona privè.
"Avanti! Smettila di frignare!", le disse, "Hai diciannove anni!
Neanche mio fratello che ne ha sette fa tutte queste storie!"
"Ma io ho un orgoglio da rispettare...", brontolò lei.
"Si dice reputazione.”, la corresse, “E poi c'è in gioco il lavoro di
Jutta ed anche il tuo, devi farlo per forza."
"Non voglio..."
"Non è volere, questo è dovere.”, le disse, “Eccoli, mi sembra di averli
visti."
Thiago dovette spingere ancora più forte la ragazza, che puntava i piedi come
una mocciosa, verso il tavolo intorno al quale tutto il gruppo se ne stava
riunito, a trascorrere la serata. I due fratelli stavano seduti su dei
divanetti e stavano ridendo tirandosi pop corn, sembrava quasi non fosse
successo niente. Gli altri due componenti della band, invece, stavano parlando
come persone normali ed educate, senza pop corn volanti.
"Ragazzi!", esclamò Thiago, per attirare la loro attenzione.
I quattro si voltarono quasi simultaneamente, ma solo le facce di due di loro
si oscurarono vedendo Mac. Le altre due parvero sorprese e la guardavano come
se fosse stata una marziana.
"C'è qualcuno qui che deve scusarsi con voi...", fece, spingendo Mac
un passo più verso di loro.
"Beh... scusate.", disse lei, a sguardo basso, mentre si incrociava
le dita.
"E poi...", disse Thiago, premendo perchè finisse tutto il discorso
che le aveva imposto di dire.
"E poi non dovevo trattarvi in quel modo solo perchè mi state antipatici e
fate della musica di mer..."
"Mac!", la riprese l'altro, tirandole una pacca sulla testa.
"Insomma, mi dispiace, vi chiedo perdono. E vi chiedo anche di concedere
un'altra possibilità alla rivista in cui lavoro, hanno bisogno di una vostra
intervista per il numero del prossimo mese... c'è in rischio il mio posto di
lavoro e quello della ragazza che avrebbe dovuto intervistarvi al posto mio,
l'altro giorno. Scusatemi ancora.", disse Mac, quasi tutto d'un fiato.
"Manca il finale...", puntualizzò Thiago.
"Devo proprio?", borbottò lei, sbuffando.
"Sì, te lo impongo."
"Allora...”, fece Mac, prendendo un lungo respiro e raccogliendo tutto
l'entusiasmo che poteva mettere nella frase che stava per sputare fuori dalla
bocca, “I Tokio Hotel sono il più grande gruppo rock della Germania..."
Cadde il silenzio, disturbato solo dalla musica che riempiva il locale.
"Beh... qualsiasi cosa hai fatto ti assolvo in formula piena!",
esclamò Georg.
"Anche io!", disse Gustav, alzando il suo bicchiere di birra come per
un brindisi, insieme all'amico.
Né Bill né Tom, però, si unirono al brindisi improvvisato dai due.
"Quindi io sarei Barbie rock'n'roll...", fece Bill.
"Sì...”, disse Mac, sospirando, sotto lo sguardo cattivo di Thiago, “Ma è
solo uno stupido soprannome. Ti chiedo scusa anche per quello.”
"Non è che hai altri soprannomi anche per me e gli altri?”, chiese Tom.
"Beh... diciamo di sì..."
"E quali sarebbero? Sono molto curioso.", le chiese, incrociando le
braccia.
"Tu saresti Rastaman...", gli spiegò Mac.
"E io?", fece Georg, scoppiando in una risata.
"Tu e Gustav non ce li avete...”, rivelò Mac, “Sai, all'intervista che vi
ho fatto non avete parlato molto... insomma, non mi siete saltati all'occhio..."
“E comunque non hai finito nell’elenco di tutti i nomignoli che hai dato
loro…”, fece Thiago, “Se non sbaglio Bill non è solo Barbie rock’n’roll… ma
anche Telespalla Bob”
"Telespalla Bob?!?", esclamò Bill, infervorandosi. Poi si impose di
calmarsi, prendendo lunghi respiri. "Vabbè... Grazie comunque per averla
portata qui Thiago."
"Figuratevi...", disse lui, tutto contento.
"Possiamo rimanere da soli con lei un attimo?", gli chiese Tom, dopo
un’occhiata di intesa con suo fratello.
"Certamente, rimandatemela giù incolume, deve guidare lei.", disse
Thiago, allontanandosi e lasciando l’amica nelle mani dei quattro Tokio Hotel.
Thiago stava aspettando Mac già da un quarto d'ora. Conoscendola, aveva combinato
qualche altro guaio, non credeva che fosse capace di rinunciare ad un'altra
parte del suo stupido orgoglio per farsi perdonare dai Tokio Hotel e salvare il
culo sia a se stessa che a Jutta. Stava quasi per andarla a cercare, quando la
vide sbucare alle sue spalle.
"Mio dio... che ti hanno fatto?!?", esclamò, portandosi le mani alla
bocca.
Già lo sguardo di Mac diceva tutto, il suo stato metteva i puntini sulle
i. Era fradicia, puzzava di birra, così tanto da far venire il vomito, e i
capelli trattenevano una grande quantità di pop corn.
Thiago scoppiò in una risata isterica che durò per tutto il viaggio di ritorno.
Il lunedì successivo una standing ovation accompagnò l'entrata di Mac in
redazione. Guardando i suoi colleghi come se fossero stati tutti pazzi, Mac
appoggiò la sua borsa sulla scrivania di Jutta, che sembrava aver riposto il
suo mega coltellaccio da macellaio per guardarla con contentezza..
"Sei sempre arrabbiata con me?", le chiese, per testare che quello
sguardo felice non fosse solo sarcasmo.
"Mi hai salvato la vita!", fece invece Jutta, saltandole al collo,
"Ti amo!"
"Niente baci... niente baci.", disse Mac, incredula, senza essersi
ancora liberata dell'abbraccio di Jutta "Perchè tutto questo amore
nei miei confronti?"
"Perchè un attimo prima che arrivassi ha chiamato il manager dei Tokio
Hotel e ci ha concesso di poter passare un giorno intero con la band! Potremmo
pubblicare in esclusiva cose che gli altri giornali sognano! E magari fare dei
podcast!"
Mac era ancora mezza addormentata per capire cosa stesse dicendo veramente la
sua amica, ma aveva abbastanza attività celebrale nella sua testa da ricordarsi
di quello che era successo venerdì.
"Non so cosa hai fatto per far cambiare idea a quei quattro, ma è stato
molto efficace!", fece Jutta, stringendola ancora più forte.
"Sicuramente è stata molto brava e molto convincente.", fece Hilke
con spocchia, l'odiosa nuova capo redattrice del settore moda, a qualche
scrivania più in là rispetto a loro.
"Di sicuro non mi è servito leccare loro il culo…", disse Mac,
alzandole in contemporanea il suo dito medio. L’altra si risentì e tornò al suo
computer, lasciando che le due si felicitassero per la buona notizia.
"Mac... dobbiamo fare qualcosa per il tuo brutto caratteraccio in questi
giorni.", le disse Jutta, lasciando la presa e iniziando a sistemarle i
capelli e gli abiti, come fosse stata un manichino.
"E perchè?", chiese lei.
"Perchè hanno chiesto la tua presenza."
"Chi? Cosa? Come?", domandò Mac, che sperava di aver capito fischi
per fiaschi ma che aveva la bruttissima sensazione di non aver perso nemmeno
una parola di ciò che aveva sentito.
"Hai capito benissimo, i Tokio Hotel vogliono che sia tu a fare
l'intervista."
"Eh no! Eh no! Eh no!", esclamò la ragazza, alzando le mani in segno
di arresa e allontanandosi dall'amica, "Mi dispiace, già ho fatto
più di quello che dovevo, mi sono presa quattro litri di birra in testa e un
sacco intero di pop corn per farti avere questa esclusiva, adesso torno alle
mie amate fotocopie!"
Premette almeno una decina di volte il pulsante dell'ascensore, nervosamente.
"Avanti... muoviti!", disse, attirando le occhiatacce delle persone
che erano con lei. Già l'avevano squadrata ben bene quando era entrata
nell’abitacolo, adesso l'avevano sicuramente catalogata come schizofrenica o
maniaca compulsiva. Erano le otto in punto ed era perfettamente puntuale.
"Piano dodicesimo.", disse la voce vellutata, dall'altoparlante.
Era arrivata. La porta in cui doveva entrare l'attendeva a una decina di metri
davanti a lei. Con passo deciso ma molto goffo, la raggiunse e suonò il
campanello. Nell'attesa, si tolse quelle maledette decoltè che le aveva
prestato Jutta e che le stavano distruggendo i piedi, benchè se le fosse messe
solo da cinque minuti. Anche se lei l'aveva obbligata a mettersi quel completo
rosino, peraltro sempre suo, Mac aveva con sè un cambio di abiti.
"Desidera?", disse una voce al microfono.
"Sono Mackenzie Rosenbaum, della rivista Pop my life.", si presentò.
"Prego, entri."
Sempre con le scarpe in mano, Mac entrò nell'appartamento, che poi solo dopo
comprese essere uno studio di registrazione. Un signore alto, che la squadrava
attentamente con faccia interrogativa, le teneva la porta aperta e le faceva
segno di proseguire per il corridoio.
"Senta, può dirmi prima dov'è il bagno?", gli domandò, arrossendo.
Non doveva essere molto professionale, a piedi scalzi, goffa…
"In fondo a destra.", rispose lui.
Sperando di non essere vista da nessun altro, la ragazza sgattaiolò nel bagno.
Davanti allo specchio, si tolse l’ombretto rosa, in tinta con il vestito, e si
dette un veloce colpo di matita e di nero sulle palpebre. Si tolse la camicia e
infilò velocemente una canotta scolorita con effetti psichedelici. Trovò
qualche difficoltà nel tirare giù la zip della gonna, che era difettosa, ma
dopo qualche imprecazione ci riuscì. Non essendo un'abile equilibrista dovette
appoggiarsi alla porta del bagno per infilarsi i calzini e, mentre cercava di
mettersi quello destro, non vide che la maniglia si stava abbassando
La porta la colpì sonoramente nel suo fondoschiena e Mac finì a bocconi in
terra.
"Oh cazzo!", sentì esclamare.
"Dio che male...", fece, voltandosi a pancia in su.
"Tutto bene?", le chiese Georg, sbucando dentro al bagno, “Non mi ero
accorto che il bagno era occupato… Ti sei fatta male?”
"Sì, anche se questa mano mi fa un po’ male.", disse lei, sedendosi a
terra mentre cercava di muovere il polso sinistro.
"Speriamo che non sia rotto...", fece lui, preoccupandosi.
"No, già me lo sono rotto l'anno scorso e non fa per niente male come
quella volta... mi sta già passando.", lo tranquillizzò Mac.
“Ah, meglio così, spero che ti passi presto…”, disse il ragazzo, rincuorandosi,
“Sei pronta per stare un giorno intero con il tuo gruppo preferito?"
"Sì... ma vorrei mettermi i pantaloni prima, non si fanno interviste in
mutande.", fece Mac, accorgendosi che era semplicemente in biancheria e
t-shirt.
Georg, notando a sua volta, diventò rosso come un peperone e si scusò per
l'inconveniente, uscendo dal bagno. Mac, che già non aveva nessuna voglia di
fare quel lavoro, si chiese se fosse meglio scappare dalla finestra, buttandosi
dal dodicesimo piano, o scavarsi una buca e sotterrarsi nella toilette, tra i
tubi dell’acqua. Per evitare altri inconvenienti girò la chiave del bagno e si
infilò i suoi classici ma amatissimi pantaloncini corti a quadretti e le
sneakers. Ripiegò i vestiti di Jutta con cura e li infilò in una busta di
carta, li avrebbe ripresi a fine giornata e per il momento potevano anche
rimanere lì. Si controllò un ultima volta allo specchio, appuntò i capelli
sulla testa con un bastoncino e uscì dal bagno.
Lì fuori la aspettava ancora Georg, sempre rosso per la situazione.
"Non ti preoccupare, condivido l'appartamento con un ragazzo e ci sono
abituata... solo che lui è gay, è un po' diverso.", gli disse, per
calmarlo, quando vide ancora l’imbarazzo sulla sua faccia.
"Sarebbe… il ragazzo dell'altra sera.", indovinò Georg.
"Sì... proprio lui...", disse Mac, con un sorriso stretto perchè non
voleva più pensare a venerdì, quando il suo orgoglio era stato vilmente
calpestato da tutti.
"Prego.", disse Georg, aprendo la porta dello studio e facendola
cavallerescamente passare per prima.
"Eccola! La nostra signorina è arrivata!", esclamò Tom, che
imbracciava la sua chitarra, seduto su uno sgabello, appena la vide entrare..
"Ciao a tutti.", disse Mac, salutandoli con poco entusiasmo.
"Ciao!", risposero gli altri, che invece sembravano contenti di
vederla.
"Sei pronta?", le disse Bill, andandole incontro.
"Pronta per cosa?", fece lei.
"Ad entrare un giorno nelle nostre vite."
"Ah… insomma...", disse Mac, perplessa.
"E le telecamere dove sono?", le chiese Tom, vedendo che era sola e
non accompagnata da una piccola troupe televisiva, con tanto di luci, pannelli
riflettenti e microfoni.
“Abbiamo cercato di assoldare qualcuno della BBC oppure della CNN per venire a
fare questa giornata con i Tokio Hotel ma, sai, ci hanno detto che sono tutti
molto impegnati qua e là…”, disse Mac, ironizzando.
“Ah! Ma che simpatica che sei!”, sbottò Tom, ridendo sforzatamente.
"Diciamo che hanno voluto rendere il tutto più... più...", si spiegò
lei, cercando di trovare l'aggettivo giusto, "Naif… e mi hanno affidato
queste."
Con sè aveva una borsa nera, una di quelle tipiche da fotografi. Ne estrasse
infatti una Canon digitale e una videocamera.
"Wow... alla faccia della BBC!", esclamò Bill, vedendo il misero
equipaggiamento della ragazza.
"Non criticare troppo, ho fatto un corso di fotografia di un anno e la so
usare questa roba.", fece Mac, riponendo la sua attrezzatura nella borsa.
"Ma non potevano mandare qualcuno ad aiutarti?", le disse Tom, ancora
poco convinto della sua professionalità.
"Vuoi che questo magnifico cavalletto in alluminio e plastica venga
deformato sulla tua cara testolina?", lo minacciò lei, afferrando il
sostegno richiuso della fotocamera.
"E dai ragazzi!", disse Gustav, dietro alla sua batteria "Ci
potremmo anche divertire a fare noi stessi le foto e le riprese! Così sarà più
divertente!"
"Santo cielo!", esclamò Mac, contenta, "Una voce amica! Una voce
intelligente! L'ho sempre saputo che i batteristi hanno una marcia in
più."
"E i bassisti?", fece Georg, che nel frattempo si era seduto sul suo
sgabello, pronto con il basso indosso.
"Certo, anche loro!", disse Mac, sorridendogli, "Siete voi il
perno rock del gruppo, mi piacete!"
"Avanti, ora che avete smesso di litigare come galline dobbiamo
iniziare.", disse la voce di David, che irruppe nello studio insonorizzato
attraverso l'interfono che lo collegava alla sala delle apparecchiature,
"Mac, potresti venire da questa parte, così i ragazzi possono
suonare?"
"Ok, vengo subito.", disse, raccogliendo la sua roba e
raggiungendolo.
Mentre cercava di programmare la macchina fotografica per fare qualche foto ai
ragazzi senza che venisse il riflesso sul vetro, Mac fece una chiacchierata con
il loro manager.
"Ti stanno proprio a metà strada... vero?", le chiese lui, mentre
spostava qualcuno di quei bottoni grigi su e giù per la consolle.
"Beh... non è che mi sono antipatici, a dirla tutta. E' che abbiamo avuto
modo di... scontrarci più che incontrarci. E la loro musica non mi piace, sono
più per altri generi."
"I gusti sono gusti.", disse David.
"Già...", fece Mac, che cercava ancora di capire come si utilizzava
quell'aggeggio.
"Qualche problema?", fece lui, notando che la ragazza sembrava
trovarsi in difficoltà.
"Sì... anzi no, ho risolto.", disse lei, "Posso fare qualche
foto, nel frattempo?"
"Certo, non penso che li disturberai.", disse l'uomo.
Nel frattempo che Mac scattava, venne a sapere molte cose sui ragazzi: fatti
privati, il loro carattere e così via. Si sentiva soprattutto affine con Georg
e Gustav, perchè, anche se l'heavy metal non proprio era al primo posto dei
suoi gusti musicali, c'era molto vicino. Di Bill non condivideva tutta la sua
passione per la cura nell’aspetto fisico, di Tom non sopportava il suo essere
presuntuoso e spesso arrogante.
Insomma…
In fin dei conti erano dei ragazzi come lei, della sua età.
Solo con una valanga di soldi in più e un successo europeo.