Fu il rientro a casa più brutto della settimana.
Appena mise piede dentro le quattro mura domestiche capì che c'era qualcosa che non andava e lo scarico del bagno gli confermò l'orrendo pensiero che gli era trapelato nella mente.
Si affrettò a raggiungerlo, almeno per constatare che stesse non peggio del solito.
Quello che vide fu l'immagine di se stesso, con circa trenta chili di meno, poggiato al lavandino, con i capelli gocciolanti acqua.
< Ale, va tutto bene >
ricevette solo un lieve mugugno
< Dai, vieni, andiamo in cucina, preparo la cena >
< no grazie, ho già mangiato. >
Aveva paura di quella risposta, la temeva ormai da quasi dieci anni.
< ok, allora non fa niente, mangio da solo >
entrambi sapevano che l'altro mentiva, uno non aveva affatto mangiato, l'altro sapeva che non si poteva far finta di niente e continuare a vivere la propria vita così.
La sua immagine scheletrica lo superò barcollando e si richiuse nella sua camera, nel suo regno.
Da ormai dieci anni viveva con uno scheletro, parlava con un teschio.
Per diciotto anni lo aveva considerato solamente il gemello, da dieci anni era quasi un figlio, ora era quasi morto.
Si sedette da solo al tavolo della cucina davanti alla cena che avrebbe teoricamente dovuto mangiare l'altro.
Sapeva che ci aveva provato, ma neanche questa volta il cibo era riuscito ad arrivare in fase di digestione.
Inforchettò un rigatone e quasi sorrise pensando che da psicologo forse gli serviva andare in terapia.