5. VISITE INASPETTATE
(Epicuro)
Tutta quella nuova
condizione per me era così estranea e al tempo stesso familiare, che mi
confondeva e inebriava simultaneamente. C’era qualcosa di nuovo in ciò che i
miei occhi scorgevano: nel familiare scoprivo lo sconosciuto, lo sconosciuto lo
percepivo in maniera più potente. I miei occhi finalmente vedevano, le mie orecchie udivano.
Mi sembrava di possedere mille terminazioni nervose più di prima, mille
percezioni nuove e sorprendenti.
Tutto in me era cambiato,
migliorato.
Ma c’era una cosa, una
sola cosa tanto singola quanto potente, che schiacciava la bellezza di quella
nuova esistenza, la sbriciolava sotto la sua disgustosità senza eccezione
alcuna.
La sete.
Bramavo il sangue come un
drogato brama la sua eroina, o un alcolizzato la sua vodka. Pareva una malattia
che dalla gola mi infiammava ed indolenziva ogni arto, ogni singola molecola
del mio corpo.
Ma non mi ero più nutrita.
Ogni qual volta sentivo il bisogno di quel liquido vermiglio, mi venivano alla
mente gli occhi terrorizzati di quegli uomini che avevo ucciso, e le macchie
scarlatte che macchiavano la mia veste erano moniti crudeli che ogni secondo mi
ricordavano la mostruosità che ero diventata.
Ma dopo cinque giorni
passati a rinnegare l’evidente bisogno di sangue, il mio corpo era stremato.
Fu in una notte qualunque,
quando la fronte mi si era imperlata di sudore freddo e la vista offuscata si
era persa su di un paesino di cui potevo scorgere lontani i bagliori, che la
incontrai.
Era giovane, almeno
apparentemente, e mentre mi si avvicinava con sguardo duro e consapevole capii che non avrei
resistito. In un barlume di lucidità indietreggiai, sgranando gli occhi e
appiattendomi alla superficie ruvida di un tronco alle mie spalle.
-Non ti avvicinare, se lo
farai morirai! Scappa finché sei in tempo, fuggi!- la mia voce fu poco più che
un rantolo rauco e strozzato, ma bastò per farle capire la gravità della
situazione in cui si stava cacciando.
Ma lei non fuggì, non
gridò né si mosse.
Dai miei occhi appannati
sgorgarono lacrime di disperazione e frustrazione mentre le mie dita
affondavano nella corteccia, sbriciolandola come crosta di pane.
Perché sentivo.
Lo sentivo quel rumore
ritmico e calmo, il suono della vita, il battito del cuore che pulsava sangue
in ogni più piccola vena.
Quasi mi chiamava, quel rimbombo infinito che
come un rullo di tamburi lento e costante innalzava la mia sete, osannandola
attraverso una litania inibitrice.
-Da quando ti sei
trasformata?- chiese lei dura, tenendosi a debita distanza senza però apparire
spaventata.
La fissai con sgomento,
capendo che lei sapeva, e mentre
cercavo la voce per risponderle mi imposi almeno di non respirare, così da non
sentire il suo odore, un misto di arance e cannella.
-Da..da cinque giorni
quasi-
Lei annuì impercettibilmente,
continuando a rimanere immobile di fronte a me.
-E da quando non ti
nutri?-
Grossi lacrimoni mi
rigarono le guance al ricordo dei tre poveri uomini che avevo dissanguato senza
neanche rendermene conto. Sapevo che il senso di colpa mi avrebbe tormentata
sino alla fine dei miei giorni.
-Sempre da cinque giorni-
Lei aggrottò la fronte,
socchiudendo gli occhi con sospetto.
-E dopo non ti sei più
nutrita?-
Scossi la testa
velocemente, tanto che il paesaggio e la sua figura ritta e impettita traballarono
per un secondo davanti ai miei occhi stanchi.
-Come hai fatto ha
resistere per tutto questo tempo?-
Ora nella sua voce si
leggeva una lieve nota di genuina curiosità, mentre faceva un passo avanti,
portandomi così ad appiattirmi maggiormente all’albero. Il terrore che avevo di
non rispondere più delle mie azioni ed attaccarla era lancinante, distruttivo.
-Non…non voglio
uccidere…non più-
-Morirai se non ti nutri,
questo lo sai? O per lo meno ti indebolirai fino alla pazzia-
-Io sono già morta…- soffia
tra le labbra screpolate, fissandola in quegli occhi chiari e diffidenti che si
spalancarono appena, sorpresi da quella risposta cruda.
La vidi guardarsi un
attimo attorno, quasi con circospezione come avesse paura che qualcuno ci
vedesse o ci attaccasse, e quindi fare dei passi veloci verso la mia direzione,
afferrandomi malamente un braccio e strattonandomi verso di lei. Poi, notando
il terrore nel mio sguardo e intuendone il motivo, sorrise misteriosa e
vagamente sadica.
-Tranquilla, se per caso mi
attaccherai saprò difendermi senza problemi, l’unica che si farà male sarai tu,
casomai, quindi vedi di pensarci due volte prima di attaccarmi alla gola,
qual’ora te ne venisse il desiderio-
Arcuai le sopracciglia,
guardano confusa quella strana ragazza dal carattere deciso e lo sguardo
determinato.
-Ma cosa…?-
-Sono una strega- disse
solo, voltandosi per incamminarsi verso il villaggio che avevo intravisto poco
prima, non senza prima però avermi gettato una rapida occhiata attenta da capo
a piedi –E a tal proposito, ti servirà una protezione dal sole dato che non ne
possiedi. E magari anche delle vesti puliti, se non vogliamo che ti mettano al
rogo prima ancora che tu riesca ad
attraversare le porte del villaggio…-
-Io…grazie. Ma perché fai
questo per me?-
Lei si voltò un attimo,
regalandomi un sorriso lieve –Perché a differenza di come molti credono, non
tutto ciò che è definito mostro si rivela tale-
Rimasi spiazzata da quelle
parole, così gentili per essere scaturite da una sconosciuta che mi aveva vista
ricoperta di sangue, pallida come un lenzuolo e per giunta bramosa di sangue e
null’altro, e la mia risposta la poté solamente leggere in quel sorriso che le
regalai, il primo da che ero “rinata”.
-Non mi hai ancora detto
come ti chiami-
-Nina Lefevre…e tu sei?-
-Selena. Selena Vasilyeva-
Mystic Falls, oggi
Poco male, giacché io non
potevo percepire nulla di questi cambiamenti termici.
Se fossi stata umana, dopo
quella giornata mi sarei tranquillamente potuta definire esausta sia a livello
emotivo che fisico, ma non lo ero, per cui le tre ore e mezza passate in giro
con Caroline in quella che da gita turistica si era ben presto trasformata in
un tour a chi svaligia per primo ogni singolo negozio di Mystic Falls non mi
aveva sfiancata minimamente, tutt’altro, si era rivelata una splendida
occasione per parlare, conoscerci meglio e stringere amicizia.
A fine pomeriggio, prima
di salutarci, lei ridendo mi aveva definita la sua gemella mancata, e per
quanto sciocca ed ingenua fosse un’affermazione simile mi aveva totalmente
inebriata di una felicità che non provavo da anni, quella genuina e pura che
scaturisce direttamente dal sentirsi amati.
Certo, se poi parliamo di
quella mattina…beh sono un altro paio di maniche.
Al solo pensiero, sentivo
il cuore schizzarmi in un non ben definito punto a metà strada tra la gola e lo
stomaco, mentre quest’ultimo mi si contraeva spasmodicamente.
Ecco, forse un tantino
spossata a livello emotivo lo ero….
Dopo averlo visto, averci
scambiato poche parole, dopo aver sentito nuovamente quella voce profonda che
bramavo da secoli, ancora non avevo ben chiaro cosa effettivamente provassi
mentre camminavo oziosamente verso casa, le mani in tasca, lo sguardo perso nel
vuoto ed infinite buste appese ai polsi che mi sbatacchiavano sulle cosce ad
ogni passo, prova tangibile di quanto fosse dimagrito il mio portafogli nel giro
di qualche ora.
Dire che era stato strano,
quell’incontro, sarebbe stato l’eufemismo del secolo.
Insomma, sapevo che era
Klaus il pazzo da atti sclerotici e potenzialmente distruttivi in pubblico,
sapevo che era lui quello dalle emozioni lasciate a briglie terribilmente sciolte e non Elijah, il
pacato, democratico, impassibile e illeggibile Elijah.
Ma, diamine, ero io. Io.
Nina Lefevre, quella che secoli prima aveva detto di amare come mai aveva fatto
prima, quella che poi si era ripromesso di odiare.
Eppure non avevo visto né
l’uno né l’altro sentimento.
Per la verità di
sentimenti io non ne avevo viste neanche le ombre.
Sospirai scuotendo la
testa, sapendo bene, invece, cosa vi era nascosto dietro quel nulla.
C’era Elijah, l’Elijah
uomo, che era stato tradito e ferito dalla donna che amava. C’era l’Elijah
vendicativo e rancoroso, che detesta con
tutto sé stesso mostrarsi debole. C’era l’Elijah al quale mille anni di esperienza
avevano fatto ben intendere quale fosse la strategia migliore, la più subdola e
atroce, per infierire su di una persona in casi simili, e che lui si era
premurato senza remore di mettere in atto.
Indifferenza.
Brutta, bruttissima bestia
da contrastare.
Perché insomma, delle urla
le avrei sapute trattare, placare, o per lo meno sovrastare con le mie in
quella tipica guerra primordiale e un po’ infantile dove vince chi riesce ad
intontire meglio l’altro spaccandogli i timpani e azzittendolo con l’utilizzo
di decibel ben più altisonanti. Ma la sostanziale e monocorde placidità dettata
da un disinteressamento ben studiato e per nulla invalicabile, come si spezza?
Quella era la domanda che
mi ponevo con sempre più crescente angoscia, perché anche se sapevo che sarebbe
stato difficile, che le mie sarebbero state illusioni e speranze vane che
avrebbero alimentato infiniti e devastanti sforzi, ero rimasta lì anche per rimediare.
Non mi aspettavo che mi
avrebbe perdonata non appena mi avesse vista, né che delle scuse avrebbero
sortito qualche effetto, ma come primo impatto, quello, era bastato a farmi
capire che probabilmente niente sarebbe
mai bastato.
Forse la mia morte. O
forse neanche quella.
Un saluto formale alla mia
destra mi fece sussultare, mentre il portiere del B&B, un uomo di mezza età
piuttosto tarchiato e stretto in una divisa blu scuro di una taglia
visibilmente inferiore alla sua, mi apriva gentilmente la porta.
Persa com’ero nelle mie
riflessioni, neanche avevo fatto caso di essermi trovata di fronte a “casa”.
Lo ringrazia con un
sorriso, entrando a passo svelto in direzione della reception per ritirare le
chiavi della camera.
Chiavi che, notai appena
mi avvicinai, non c’erano.
Uno strano senso di
disagio mi si diffuse in tutto il corpo, mentre frenetica controllavo tutte le
altre per vedere se quella mattina avevo erroneamente sbagliato collocazione,
ma pareva proprio che fossero scomparse.
-Mi scusi, ha bisogno di
aiuto?-
La ragazza dietro al
banco, vedendo probabilmente la mia espressione smarrita e vagamente
terrorizzata, si avvicinò curiosa.
-Si io…non trovo la chiave
della mia camera, eppure sono sicura di averla lasciata qui questa mattina-
-Che numero?-
-La 102-
-Mmmm…la 102 dice? Se non
sbaglio è passata poco fa una ragazza, ha detto di essere sua sorella e che le
avrebbe fatto una sorpresa salendo in camera. Credo sia ancora su-
Alzai le sopracciglia
scettica.
-Mia sorella? Le ha per
caso detto come si chiama?-
-No, mi spiace. Però posso
dirle com’era: giovane, alta, mora con qualche ciocca rossa, capelli lunghi e
occhi chiari. Parlava molto bene l’inglese, ma avrei giurato…non so, aveva un
accento straniero, russo direi, o comunque di quei paesi là. Questo infatti mi
pareva un po’ strano, perché lei dal nome è francese…ma ci sono problemi?-
Ciocche rosse…sbiancai, poi cercai di darmi un certo contegno.
-Nessuno, non si
preoccupi. Grazie- tirai un sorriso asettico, mentre la salutavo e salivo le
scale, ignorando lo sguardo dubbioso che mi rivolse fin quando non mi vide
sparire. D’altronde la mia testa era da tutt’altra parte.
Accento russo, ciocche
rosse.
Dio, non poteva essere…
Quando raggiunsi la
camera, notai la porta accostata ma non chiusa, segno che chi vi era dentro mi
stava senza ombra di dubbio aspettando.
Ci misi davvero poco a riconoscere
quell’odore, un misto di arance e cannella che pervase l’aria in maniera
familiare.
-Selena, qual buon vento-
Quando entrai con un
sorriso sarcastico sulle labbra, la trovai comodamente allungata sul letto, gli
occhi verde acqua fissi sulla porta ed un espressione dura a distorcere i suoi
lineamenti fini ma decisi.
-Che diavolo stai
combinando Nina?-
-Scusa?-
-Oh non fare
quell’espressione da santarellina ingenua con me, che non attacca. Dove è?-
-Dove è cosa?-
-Sai benissimo cosa,
stupida vampira traditrice! Cosa credi, che non me ne sarei accorta che era
sparito? Che non sarei stata in grado di rintracciarti poi?-
-Selena sei ridicola…io
non-
-Piantala! Dammi il libro
e torniamocene in Francia, questo giochetto è durato anche troppo per i miei gusti-
Smisi all’istante di
sorridere, indurendo lo sguardo e stirando le labbra in un espressione
determinata.
-Non posso-
-Come sarebbe a dire che
non puoi? Certo che puoi, e lo farai anche subito- si alzò col busto, rimanendo
seduta a gambe incrociate, mentre gli occhi le si sgranarono dallo stupore e
dall’orrore al tempo stesso –Non dirmi che l’hai perso o cose simili, perché ti
giuro che non risponderò delle mie azioni in tal caso-
Sospirai, buttandomi sulla
poltrona accanto alla mia, esasperata da quella giornata che sembrava non voler
finire di spacchettare nuove sorprese.
-No, certo che no. Solo
che in questo momento non ce l’ho io-
Chiuse un attimo gli
occhi, forse per evitare di assalirmi e staccarmi la testa, prima di riaprirli
ed espirare rumorosamente.
-Non ce l’hai tu- ripeté
annuendo con calma, troppa calma –E sentiamo, se non è qui con te, dov’è?-
-Stefan Salvatore. O
meglio, da una strega sua amica che sta cercando di decifrare tutti quegli
incantesimi che i tuoi antenati hanno lanciato affinché fosse protetto-
-E c’è una ragione se ci
sono, sciocca! Quel libro è pericoloso, perché non lo capisci? Non racchiude
solo un albero genealogico lungo un millennio con ogni singolo nome di ogni
vampiro esistito o ancora esistente su questa terra, ma racchiude segreti,
storie e vite che non andrebbero mai svelate, e che se finissero nelle mani
sbagliate causerebbero disastri inimmaginabili!-
-Mio Dio Selena, credi
forse che non lo sappia? Che sia così sprovveduta? In primo luogo mi fido
ciecamente di Stefan, e dovresti farlo anche tu, e in secondo luogo non
gliel’ho certo dato perché cercava una lettura distensiva con cui rilassarsi
prima di andare a dormire, qua siamo in pericolo tutti, tutti Selena! Lui, tu,
io…ogni singolo vampiro di questa terra. Se tu fossi stata ancora una strega,
avrei capito questo tua assurda e testarda reticenza, ma sei una vampira da più
di un secolo ormai, ti dovrebbe interessare la fine della tua specie-
-Ci sono altri modi per
sconfiggere Klaus, se quello che mi hai raccontato è vero, non c’era bisogno di
tirare in ballo il Libro-
-Forse. Ma questa è una
strada, la più sicura e logica al momento. Perché non tentare? Ti ripeto,
stiamo parlando di Stefan e forse tu non lo conoscerai, ma io si, e so che ci
si può fidare di lui. Metterei la mia vita nelle sue mani, anzi, lo sto già
facendo, lo stiamo facendo tutti quanti-
Sospirò scuotendo la
testa, probabilmente a corto di argomentazioni adatte a ribattere, poi
assottigliò lo sguardo, puntandomelo addosso con fare vagamente cinico.
-E immagino che il fatto
che qui ci sia anche Elijah non ti abbia minimamente influenzata, giusto?-
Se fossi stata umana,
sarei arrossita fino alla punta dei capelli dall’imbarazzo.
Gesticolai animatamente,
facendo tintinnare i vari braccialetti al polso mentre un sorrisetto di scherno
si dipingeva sulle labbra di lei.
-E questo che c’entra?
Sono venuta qui per portare il libro a Stefan, così che la mia eternità non
sfumi entro qualche tempo, non per altro-
-E perché sei restata
allora?-
-Santo cielo, cos’è questo
terzo grado? Sono rimasta per aiutarlo, mi sembra ovvio. Non si può dire abbia
un esercito dalla sua parte, e poi in Francia non avrei avuto molto altro da
fare-
-Quindi Elijah non c’entra
proprio nulla?- continuò lei imperterrita, curvando un sopracciglio scuro in un
espressione per nulla convinta.
Sbuffai.
-Anche fosse?- sbottai
esasperata.
-Nina…-
-Che c’è? Tanto non
cambierebbe niente…lui mi odia, mi disprezza e mi ignora, e tutte le mie
illusioni sul rimediare in qualche modo, sul farmi perdonare o perlomeno farlo
ragionare possono benissimo andare a farsi benedire, vista l’aria che tira-
sorrisi amara, abbassando lo sguardo sulla moquette logora.
-Quindi lo hai già
incontrato-
La sua non era
un’affermazione, ma annuii lo stesso.
-E non è andata per nulla
bene, a quanto vedo-
-Già…Non che mi aspettassi
questa grande accoglienza, sinceramente i giorni prima avevo fantasticato sui
vari modi con cui mi avrebbe uccisa una volta vista ma…ci speravo, ecco,
speravo che dopo due secoli l’odio si fosse attenuato, che se non mi avesse
perdonata, ci avrebbe almeno provato. Ma è Elijah. Speravo che se questo fosse
stato chiedere troppo, almeno che mi urlasse addosso la sua collera, si
sfogasse, perché le urla le so gestire. Povera sciocca, vero? Insomma, io
speravo in una reazione, ma lui non ne ha avute, e questo mi ha dimostrato
quanto le mie siano state illusioni, quanto lo abbia ferito irrimediabilmente-
-Che stronzata- alla mia
occhiata confusa e vagamente scioccata, si premurò di continuare –Ha mille anni
ma si comporta come un bambino, uno sciocco bambino viziato a cui piace fare i
capricci. Insomma, anche ammettendo che tu possa averlo tradito e che sia stata
una cosa non proprio leggera, sono passati secoli. Letteralmente. E ora se ne
esce col giochetto dell’ignorare al solo scopo di ferire? Queste cose le fanno
i bambini alle elementari, o i ragazzini alle prime cotte. E so che c’è tutta
quella cosa dell’onore e compagnia bella, perché quando uno nasce mille anni fa
nasce con il senso dell’onore radicato nel sangue quasi fosse una malattia
genetica, ma pensavo che in tutti questi anni fosse maturato, avesse capito
quando è ora di mettere da parte l’onore e l’orgoglio e ragionare con maggior
razionalità e concretezza. E un pizzico di sana modernità-
-Si ma…-
-Non ci sono ma che
tengano, Nina. E’ uno sciocco presuntuoso che non dà il giusto valore alle cose
ed alle persone. E tu dovresti smetterla di struggerti tanto dietro al suo
pensiero. E magari anche di venire fino in America a rischiare il fondoschiena
solamente per vederlo-
-Forse hai ragione, anzi,
con ogni probabilità hai ragione. Ma io lo amo- mi strinsi nelle spalle,
sorridendo appena –Lo amo, capisci Selena? E se non sono bastati duecento anni
per farmelo dimenticare, non ci riuscirai tu, ora, elencando i suoi difetti.
Perché sono difetti che io per prima ho scoperto in lui, e che ho accettato. E
so che mi farò male, so che non ricaverò niente se non altro dolore, ma non ce
la faccio a tornare in Francia, non ora che l’ho ritrovato. Mi odia, mi detesta
e mi ignora, ma è qui, qui accanto a me, nella mia stessa cittadina. Ho la
possibilità di vederlo, si sentire la sua voce, e Dio, Dio Selena, tu non puoi
capire quanto mi sia sentita felice in quel brevissimo istante in cui è
comparso nella mia visuale, prima di tutti gli insulti, prima della realtà, c’è
stato quel piccolo attimo di incoscienza in cui tutto è scomparso, e sono
tornata felice come un tempo- presi fiato dopo quello sfogo che, francamente,
mi liberò di un bel peso, poi scossi la testa come a riordinare le idee -E
comunque, Elijah o non Elijah, l’ho promesso a Stefan, gli ho giurato che
l’avrei aiutato e così farò-
Selena alzò gli occhi al
cielo esasperata, poi li abbassò su di me, sospirando pesantemente.
-E va bene, resta pure qui
a farti ammazzare e tieniti il libro, ma se pensi che io me ne torni in Francia
lasciandoti qui a fare follie ti sbagli di grosso. E poi vi servirà una mano
per poter sciogliere tutti quegli incantesimi, non sarò più una strega ma sono
magie della mia famiglia, ricordo ancora la teoria-
Sorrisi felice, saltando
su ed avvicinandomi a lei per abbracciarla. Era testarda, burbera e parecchio
scontrosa quando ci si metteva, ma rimaneva pur sempre la mia più grande amica.
-Grazie, grazie-
-Si si, vedrai come ti ringrazierò
io quando mi ficcheranno un bel paletto nel cuore…- rise con macabra ironia
facendomi sbuffare esasperata, ma ricambiò comunque la stretta.
La Rochelle, 1824
Ci trovavamo in una specie
di capanno abbandonato ai confini del villaggio, laddove l’erba iniziava ad
infittirsi per poi sfociare in un tripudio incolto che sfumava verso il bosco.
Il terriccio secco,
all’interno, era ormai ricoperto di fieno ed erba secca, che raggrumati in un
punto ben lontano dalle piccole finestrelle formavano un giaciglio soffice,
ricoperto da un vecchio telo bianco così da dargli almeno la parvenza di poter
essere un letto.
Io ero raggomitolata
proprio lì, avvolta in un semplice vestito che Selena era riuscito a
rimediarmi, nulla a che vedere con gli sfarzosi abiti cui ero avvezza indossare
ma che ormai mi parevano unicamente ricordi lontani e persi, le gambe strette
al petto ed il terrore che quegli infidi raggi scottanti, un tempo tanto amati,
potessero sfiorarmi la pelle, ora pulita e di nuovo nivea.
Selena mi aveva raccolto i
lunghi capelli un una treccia laterale che mi arrivava alla vita, treccia con
la quale stavo nervosamente giocherellando da un buon quarto d’ora, osservando
la strega di fronte a me pronunciare parole incomprensibili ad occhi chiusi, le
mani strette attorno a quello che avevo notato essere un piccolo ciondolo dalle
fattezze semplici ma graziose, un'unica pietra blu, probabilmente lapislazzulo,
incastonata in una corolla argentata dai temi astratti e floreali che vi si
intricavano attorno.
Mi aveva spiegato che quel
ciondolo mi avrebbe permesso di muovermi indisturbata sotto la luce solare
senza più il timore di poter bruciare viva, e quella probabilmente era stata la
notizia più bella che avessi ricevuto da quando mi ero trasformata assieme alla
possibilità di potermi nutrite senza uccidere, proprio come mi aveva insegnato
lei.
-Ecco fatto, prova- la sua
voce squillante mi fece sussultare, ma non ci misi molto ad afferrare la
collana che mi stava porgendo, infilarmela e posizionarmi con non poche remore
esattamente al centro del quadrato di luce al mio fianco.
Strizzai gli occhi, la
mente già proiettata verso il dolore che altre volte mi era capitato di
sentire, i muscoli tesi pronti al balzo che eventualmente avrei fatto per
sottrarmi a quella condanna che la natura aveva imposto a chi non era degno di
esser definito suo figlio, ma ciò che sentii, con sommo stupore, su solamente
calore, un piacevole calore che mi si propagò in tutto il corpo sotto
l’influsso dei raggi solari. Quasi mi ero scordata come fosse bello poter
percepire quella luce naturale sulla pelle.
Sorrisi, voltandomi verso
una Selena dall’aria vagamente orgogliosa e compiaciuta.
-Grazie Selena, questo è
il miglior regalo che potessi farmi, ti sono debitrice per l’eternità-
Lei sorrise e scosse la
testa, scrollando le spalle come a sminuire le mie parole.
-Sciocchezze, ho solo
fatto un incantesimo banale. E poi mi sono decisa di aiutarti, questo era il
minimo per cominciare- poi corrugò la fronte, sovrappensiero –Sai, ancora non
mi spiego perché il tuo creatore ti abbia abbandonata così, che io sappia
solitamente si impegnano per lo meno a spiegare il necessario affinché questi
nuovi vampiri sopravvivano ma tu, tu eri ignara di ogni cosa o quasi-
Io abbassai lo sguardo
rabbuiandomi leggermente, e me ne tornai sul giaciglio, sedendomi accanto a lei
che non aspettava altro che delucidazioni da quando mi aveva incontrata.
-Lei, la vampira che mi ha
creata intendo, non sapeva minimamente di averlo fatto. Era già andata via
quando sono…morta e poi rinata. Mi aveva solo dato del sangue per guarire da
una ferita, null’altro-
Selena arcuò le
sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli, un’aria di puro stupore
negli occhi sgranati e nelle labbra pronte a da sfogo al suo dubbio.
-Mi stai dicendo che un
vampiro ti ha dato il suo sangue per guarire?!-
Sorrisi amara, guardandola
si sbieco, le mani strette in grembo.
-E’ così difficile da
credere? Eppure sei stata tu a dirmi che ciò che viene definito mostro non
sempre si rivela tale, o mi sbaglio?- la citai con una vaga vena canzonatoria
nella voce bassa, prima di sospirare con aria stanca –E comunque, è una lunga
storia. Un giorno te la racconterò, te lo prometto, ma ora…ora è ancora presto,
fa troppo male…-
I suoi tratti si distesero
in un espressione dolce, quasi materna con quel luccichio zuccheroso che le
brillava negli occhi chiari, mentre annuiva accondiscendente, sorridendo
gentile.
-Tranquilla, nessuno ti
impone niente, avrai tutto il tempo che vorrai per affrontare il tuo passato e
metterlo a nudo anche di fronte agli altri, oltre che a te stessa. Ora pensa
solamente ad imparare a vivere di nuovo, mh?-
Le sorrisi grata,
allungandomi per abbracciarla mentre affondavo la faccia nei suoi capelli
scuri. Quando mi accorsi del gesto incauto e per nulla ragionevole che avevo
appena compiuto, mi scostai di scatto, guardandola con rincrescimento e vago
terrore negli occhi, temendo di averla spaventata, per quanto fosse questo
possibile dato il soggetto di cui stavo parlando, o perlomeno fatta arrabbiare.
Lei però, comprendendo la
ragione del mio brusco gesto e capendo ciò che mi tormentava lo sguardo,
scoppiò a ridere spensierata.
-Che sciocca che sei,
credi forse che abbia paura di te? Eppure pensavo fosse chiaro il mio gesto: ho
aspettato tanto a crearti quel ciondolo perché aspettavo tu fossi realmente pronta, e nel frattempo ti ho insegnato
a controllarti e ad essere più umana possibile, entro i limiti consentiti dalla
tua natura si intende. Ora lo sei, basti vedere come i tuoi gesti sono mutati
nel corso di queste settimane: sei più spigliata, sicura di te e dei tuoi
istinti, ora sei libera. Quindi
smettila di farti tante paranoie e abbracciami pure, stupida vampira-
Rise, ed io con lei, nello stesso istante in cui mi avverrò per un
braccio e mi attirò a sé, circondandomi le spalle con le sua mani e invogliando
me a fare lo stesso.
Forse avevo sbagliato a
decretare la mia morte, settimane prima, forse quella era la seconda
possibilità che qualcuno da lassù mi aveva concesso per riconsiderare la
bellezza della vita, per apprezzarla nuovamente come un tempo e chissà, forse
anche per rimediare agli sbagli che mi avevano portato a gettarmi nelle
profondità del mare in quella notte terribile.
Fatto sta che lì, tra le
braccia di quella che sapevo sarebbe stata la mia prima e vera amica in quella
mia seconda possibilità, mi sentii nuovamente felice.
Risi, guidandola per le
vie di quel piccolo paese con are ormai quasi esperto, attirando così lo
sguardo di non pochi passanti che si chiesero senza ombra di dubbio chi mai
fossero quelle due straniere. L’aspetto si Selena poi, vagamente eccentrico,
non aiutava per nulla.
-Per questo, cara
brontolona, ti sto portando a fare shopping. E nel frattempo potremmo anche
vedere di trovare un appartamento. A Stefan e agli altri ti presenterò oggi
pomeriggio, metà giornata non credo cambierà di molto le cose-
Non le dissi che avevo bisogno io di qualche oretta di
normalità e distrazioni, senza confabulazioni sugli Originari che mi avrebbero
portato alla mente solamente lui,
senza inchieste sul mio passato, senza incontri spiacevoli o altri particolari
che mi avrebbero nuovamente fatta ricadere nel mio stato depressivo angoscioso.
Il giorno prima era stato abbastanza intenso da bastarmi anche per tutto quello,
inoltre ero ben consapevole che ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per
ritornare su simili argomenti, da ora in poi; bearmi quindi di quegli istanti
con l’unica persona lì che sapeva abbastanza da non farmi domande e non
sfiorare quindi pessimi tasti scottanti mi sembrava il minimo da concedere alla
mia sanità mentale messa di già a dura prova.
Passammo quindi la mattina
tra un negozio e l’altro con l’intenzione di ricrearle un guardaroba decente, e
nel mentre ci preoccupammo anche di osservare qualche annuncio appeso nella
vetrina dell’agenzia immobiliare, nella speranza di trovare qualcosa di adatto. La piccola camera del B&B infatti non sarebbe più bastata, inoltre Selena mi aveva giustamente fatto notare quanto poco sicura fosse una collocazione simile in una situazione come quella. E poichè che alla proposta di Stefan di quella mattia di trasferirmi da lui avevo gentilmente rifiutato, trovandola sconveniente e un filino approfittatrice vista la possibilità di trovarmi un appartamento mio, quello era il momento per cercarlo.
Fu proprio su quel dannato
vetro riflettente, mentre Selena commentava l’ennesimo appartamento leggendo a
voce alta i vaghi dettagli scritti sotto l’immagine sgranata di cui si poteva
capire poco e niente, che li vidi.
Mi girai di scatto, non
prestando più attenzione a Selena che indisturbata continuava il suo
sproloquio, e fissando piuttosto lo sguardo su due figure maschili aldilà della
strada, intente a parlare civilmente.
Mi sentii sbiancare visibilmente
e la tentazione di darmela a gambe come una ladra fu estremamente allettante,
quando notai uno dei due uomini, Damon per la precisione, ruotarsi nella mia
direzione e sorridermi smagliante, alzando una mano in segno di saluto prima di
farmi un cenno per raggiungerlo.
Al che anche l’altra
figura si voltò, probabilmente incuriosita, incrociando il mio sguardo per una
frazione di secondo prima di ritornare a posare nuovamente l’attenzione su
Damon con fare disinteressato, quasi non mi avesse neanche vista.
Fui certa che il mio cuore
collassò, mentre me ne rimanevo fissa come un ebete nella stessa posizione,
quasi aspettandomi una rettificazione di quel comportamento distaccato mentre
l’immagine di quegli occhi duri e neri più delle ombre mi rimbombava in testa.
Sciocca speranza vana.
-Ora, ci sono due
possibili spiegazione al fatto che mi stai deliberatamente ignorando e alla tua
faccia che, se tu fossi ancora umana, si direbbe l’anticipazione di un conato
di vomito. O hai visto direttamente Satana, o uno di quei due fascinosi uomini
laggiù è l’Innominabile, in tal caso
non avrei dubbi su chi cascherebbe la mia scelta. In quanto non sono
propriamente credente, scarterei la prima ipotesi e volerei direttamente alla
seconda, anche perché Mr. Occhioni Blu ti sta evidentemente invitando ad unirci
alla conversazione-
Deglutii piuttosto
sonoramente, ringraziando il cielo che avesse parlato abbastanza piano da
risultare udibile unicamente a me, prima di voltarmi con una chiara espressione
eloquente dipinta in volto.
-Non credo sia una buona
idea Selena…-
-Non eri tu quella che
ieri, con cotanta determinazione, mi palesava tutte le sue buone ragioni per
rimanere nella stessa cittadina dove risiedeva anche lui? Ed ora ti tiri indietro tanto facilmente? Tanto vale
tornarsene a Parigi, se le cose stanno così-
La guardai con rinnovata
irritazione, lei non sapeva minimamente cosa stavo provando in quell’istante, a
pochi metri di distanza da Elijah, metri dalle sembianze di una voragine
invalicabile.
-E non eri tu quella che
ieri lo criticava tanto, e con lui la mia morbosa determinazione?-
Si strinse nelle spalle,
sorridendo maliziosa –Forse, ma questo non mi impedisce affatto di essere
curiosa di incontrarlo di persona. Sono duecento anni che aspetto il momento di
fargli il cu…-
-Selena!-
-Stavo scherzando. Senti,
sai quanto sia contraria a tutta questa faccenda, ma ti conosco abbastanza bene
da sapere cosa è meglio per te, questo mi da quindi il diritto di dirti che la
fuga non è contemplabile tra le varie opzioni-
-E queste perle di
saggezza le dovevi tirare fuori proprio ora?-
-Meglio tardi che mai-
sorrise, e solo quando alzai lo sguardo per sbuffare seccata, mi accorsi che
nel mentre avevamo attraversato la strada e di trovavamo quindi a pochi passi
dai due, che voltati ci fissavano in silenzio.
Se Damon appariva
sinceramente curioso, Elijah mantenne quell’impassibilità nello sguardo freddo
piantato quasi più sulla mia amica che su di me, che mi procurò un sordo vuoto
all’altezza dello stomaco.
Ringraziai mentalmente
Damon quando si decise a rompere il ghiaccio, mettendo un freno a quello che si
prospettava un lungo silenzio imbarazzante.
-Nina, qual buon vento.
Hai qualcuno da presentarci a quanto vedo- esclamò, regalando un’occhiata interessata
alla mia sinistra.
-Piacere, sono Selena
Vasilyeva, una sua amica. Tu sei…?-
-Damon Salvatore, ed il
piacere è tutto mio-
-Salvatore? Sei per caso
fratello di Stefan?-
-Esattamente. Vedo che sei
informata- sorrise, squadrandola con rinnovata curiosità.
-Ho solamente fatto i compiti
a casa-
In quel breve scambio di
battute, io non avevo fatto altro che gettare continue occhiate verso Elijah,
con la speranza che passassero inosservate, ed ogni volta lo avevo trovato con
la stessa espressione disinteressata, fredda, ad irrigidirgli i tratti mentre
fissava un punto non ben definito tra Damon e Selena.
Sentivo l’irrefrenabile
desiderio di parlargli, toccarlo, di attirare la sua attenzione in qualche modo
anche solo per farmi guardare per un istante, perché quella staticità, quella
monocorde indifferenza mi stava dilaniando il cuore, ma proprio in
quell’istante una frase pronunciata da Selena mi gelò il sangue nelle vene.
-Tu invece devi essere il
famoso Elijah, non è vero?- soffiò falsamente cordiale la mia amica, voltandosi
vero di lui, che sentendosi chiamato in causa le rivolse un’occhiata curiosa ed
inquisitoria al tempo stesso, una mano infilata nella tasca dei pantaloni e
l’altra abbandonata lungo il fianco.
Sbiancai.
-Non pensavo di poter
essere considerato addirittura famoso- disse lui, l’ombra di un sorriso sulle
labbra appena piegate.
Per un attimo contemplai
l’idea di afferrarla e trascinarla via da lì prima che potesse dire qualcosa di
terribilmente sconveniente, ma lei parlò prima che potessi fare alcunché per
evitare la catastrofe, per cui mi limitai ad affondare le unghie nel suo
braccio con indiscrezione, evitando che gli altri ci notassero e sperando che
quel gesto bastasse ad intimarle di tacere.
Se però il mio gesto passò
inosservato agli occhi di Damon, troppo preso ad osservare Selena, Elijah
sembrò invece notarlo bene, perché per la prima volta da quando avevamo
iniziato a parlare mi gettò un’occhiata di traverso. Avvampai, metaforicamente
parlando, e lasciai subito la presa, iniziando a torturami il labbro inferiore coi
denti in sempre più crescente imbarazzo.
-Beh, quando si è un
Originario non ci si può aspettare di non essere conosciuto, non trovi?-
Quasi sospirai di sollievo
a quella risposta, ringraziando il cielo che a Selena fosse rimasto ancora un
barlume di ragione e che lo stesse egregiamente sfruttando proprio in quel
frangente delicato.
-Presumo sia così, si-
rispose per nulla convinto, forse più che consapevole che la sua non era una
conoscenza scaturita da voci comuni o libri particolari, ma dalla storia di
un’amica. D’altronde, sarebbe stato più che normale.
Prima che altro potesse
essere aggiunto, decisi di intervenire.
-Come mai siete qui? Ci
sono novità su Esther per caso?-
Elijah stavolta fissò la
sua attenzione direttamente su di me, regalandomi uno sguardo di sufficienza
che mi fece sprofondare il cuore parecchie decine di metri sotto terra. Mi
chiesi come facesse a comportarsi a quel modo, come riuscisse a controllare i
suoi respiri, i movimenti del suo corpo, i suoi sguardi. Come potesse risultare
pacato e tranquillo, immobile a pochi metri da me, quasi dimentico di cosa
avevamo vissuto due secoli prima, neanche fossi
stata realmente un’estranea conosciuta il giorno prima.
Forse perché ha realmente dimenticato, forse perché
l’odio è davvero capace di cancellare ogni altra cosa.
Quel bisbiglio
impertinente nella mia mente mi fece spuntare lacrime amare agli angoli degli
occhi, ma scacciai malamente l’idea con un groppo in gola, inghiottendo quel
pianto isterico che tanto avrei voluto versare.
Io che non potevo non
fremere per quella vicinanza, io che non potevo non bramare il desiderio di
sfiorarlo, fissarlo senza indiscrezione, parlargli liberamente come un tempo,
trovavo tutto quel distacco inconcepibile ed impossibile.
-Io e Damon stavamo solamente
parlando dell’imminente festa che il sindaco Lockwood ha deciso di dare questo
finesettimana- chiarì lui con tono monocorde, evitando di guardarmi dopo quella
prima occhiata, quasi stesse cercando di zittire la fastidiosa curiosità di una
bambina capricciosa.
-Pensate che possa
accadere qualcosa?- continuai imperterrita, ignorando con una punta di fastidio
e molta delusione il tono vagamente sgarbato col quale aveva parlato.
Se gli scocciava così
tanto, poteva anche evitare di rispondere…
Lo vidi ridire, una risata
per nulla divertita e spontanea, mentre non fissava me ma bensì un punto
imprecisato sopra la mia spalla, quasi non fossi nemmeno degna della sua
attenzione.
-Le feste qui a Mystic
Falls sono sempre fonte di grande attrazione per disastri sovrannaturali, è
bene prevenire piuttosto che curare- liquidò così la faccenda, facendo un vago
gesto con la mano come a minimizzare la questione.
-E come pensate di
prevenire, se posso saperlo?-
-Intendiamo presiedere
tutti quanti e tenere d’occhio la situazione per captare eventuali nuovi
pericoli, così da spegnere la miccia prima che la bomba esploda. E per quanto
l’idea di una collaborazione con le loro maestà originarie non mi alletti più
di tanto, penso sia la cosa migliore in questo caso-
Annuii, gettando
nuovamente un’occhiata ad Elijah, il quale stavolta però pareva preso da ben
atro, mentre avvicinava il telefono che non avevo neanche sentito squillare
all’orecchio e si allontanava di qualche passo, dandoci così le spalle.
-Io vorrei essere presente,
potrei darvi una mano- annunciai con tono ostinato, fissando un Damon
sorridente negli occhi.
-Non sarò certo io ad
impedire che questa festa venga privata di una bella ragazza, e a tal proposito
potresti venire anche tu, Selena-
-Non ho ben capito il
fulcro della questione, ma accetto volentieri-
-Tranquilla, ti spiegherò
tutto oggi. Ah Damon- guardai un attimo Elijah, che sembrava però ancora
occupato a parlare al telefono, ma per precauzione mi avvicinai al vampiro di
un passo, poggiandogli una mano sul braccio per parlargli all’orecchio così da
non essere sentita –Selena ci darà una mano col Libro, sarei venuta a dirvelo
oggi ma ora che ti ho incontrato non ce n’è più bisogno. Il Libro è appartenuto
alla sua famiglia da sempre, e lei conosce il modo di spezzare gli incantesimi
che lo proteggono, insegnerà a Bonnie come farlo-
Lui mi guardò ed annuì –Non
confido particolarmente in un vecchio libro polveroso e ammuffito, ma grazie lo
stesso-
Mi scostai di poco e vidi
Elijah ritornare verso di noi. Non capii dove stesse guardando con tanta
insistenza fin quando non notai il suo sguardo basso indirizzato proprio nel
punto in cui la mia mano poggiava ancora sul braccio di Damon. Con un movimento
veloce la ritirai, gettandogli una fuggevole occhiata imbarazzata, eppure dallo
sguardo impassibile che ci rivolse sembrò non esser stato per nulla colpito dal
gesto. Ne rimasi quasi delusa.
-Sono spiacente, ma ho
degli affari da sbrigare e non posso restare. E’ stato comunque un piacere fare
la tua conoscenza, Selena. Damon, noi ci vedremo alla festa-
-Penso allora che anche
per noi valga lo stesso- annunciò tubante Selena, gongolando dell’espressione
per una frazione di secondo stupida che vide dipinta sul suo volto.
Fui tentata di tirarle una
gomitata ma mi trattenni per amor della mia dignità, osservando piuttosto i
tratti di Elijah assumere la solita maschera di pacato disinteresse, mentre
annuiva con impassibilità. Sapevo che percepiva il mio sguardo addosso, eppure
sembrava ignorarlo egregiamente come del resto ignorava anche me.
Lo sentvidi i salutare e
andarsene, e quando ormai era a qualche metro di distanza, diretto al suv nero
che intuii fosse suo, l’assurdo desiderio di bloccarlo e parlargli, ma
parlargli davvero, non come due
estranei che fanno finta di non conoscersi ma come gli amanti che eravamo
stati, fece si che i miei muscoli si muovessero di volontà propria, portandomi
ad inseguirlo col cuore in gola ed il respiro traballante di chi sa di stare
per fare un grosso errore.
Selena, forse intuendo le mie
intenzioni, cominciò a parlare con Damon al fine di distrarlo.
Mi fermai, mordendomi il
labbro e chiudendo gli occhi per un secondo, espirando per prendere coraggio,
certa che nulla di ciò che avrei detto avrebbe migliorato la situazione.
-Elijah…- quasi mi
maledissi per quel sussurro strozzato che avevo soffiato a fatica dalle labbra
schiuse, ma non ne ebbi il tempo perché lo vidi bloccarsi là, a pochi metri da
me, e voltarsi di poco, fissando gli occhi neri, profondi e invalicabili su di
me.
Percepii un brivido gelido
scivolarmi lento lungo tutta la spina dorsale, mentre ricambiavo lo sguardo,
pregando silenziosamente una qualche divinità di poter vedere qualcos’altro
oltre che freddezza sul suo viso marmoreo.
Non parlò, rimanendo
immobile in quella sua posa noncurante, una mano in tasca e l’altra mollemente
abbandonata lungo il fianco, aspettando forse di sentire cosa avevo da dire o
più semplicemente pensando che il silenzio pesante che aveva fatto calare
bastasse per farmi desistere dall’aggiungere altro.
Non seppi dove trovai il
coraggio per aggiungere quel qualcos’altro, ma lo feci.
-Noi dobbiamo parlare-
Inghiottii a vuoto
vedendolo sbattere le ciglia con disinteressata calma, mentre inarcava appena
le sopracciglia in un espressione di dubbio scetticismo.
-No, non credo-
-Ma noi…Elijah, ho bisogno
di spiegarti, di…-
-Non ho tempo Nina, e tu
non devi spiegarmi nulla. E’ un po’ tardi per le spiegazioni, non trovi? Forse invece
sarebbe ora che anche tu dimenticassi-
Non ho tempo…sarebbe ora che anche tu dimenticassi…
A quelle parole lo potei
udire nitido e cristallino il netto rumore dello squarcio che mi dilaniò il
petto, lasciando laddove c’era il mio piccolo cuore martoriato una voragine
stillante sangue.
Eppure trovai lo stesso la
forza di rispondere, di attaccare per non essere attaccata.
-Non mi sembra che tu
abbia dimenticato molto, se nei tuoi occhi emerge tanto odio-
Piegò lievemente le labbra
con amarezza, con cattiveria, ed il suo fu uno di quei sorrisi che invece di
scaldare, gelano nel profondo.
-Ho dimenticato ciò che
era da dimenticare-
E se ne andò così, con
quella frase carica di significati nascosti e talmente dolorosi che non potei
impedirmi di trattenere oltre le mute lacrime silenziose che fino a quel
momenro avevano lottato per rigarmi le guance, mentre da lontano lo vedevo
salire in macchina, metterla in moto e sparire lungo la via.
Ho dimenticato ciò che era da dimenticare.
Quindi è così, Elijah? Hai dimenticato me e l’amore
che ci aveva uniti, hai dimenticato tutto il superfluo e ti sei tenuto solo
l’odio di quel mio gesto?
- - -
Angolino dell’autrice (che rischia la decapitazione) - -
In primo
luogo: CHIEDO UMILMENTE SCUSA. E’ passato troppo, ma troppo tempo dall’ultima
pubblicazione e me ne rendo tristemente conto…non ho scusanti per avervi fatto
aspettare tanto, posso solamente dire di avere avuto un blocco ed infinite pare
mentali che non mi hanno permesso di scrivere qualcosa che non venisse quasi
subito cancellato per…beh per tutti questi lunghissimi giorni che non ho neanche
il coraggio di contare.
Sono
tutt’ora convinta che questo capitolo (da notare: quasi il doppio degli altri
per farmi perdonare :D) sia un emerita schifezza, sia a livello di contenuto,
che di sintassi, che di…tutto ecco. Ma mi sono imposta di finirlo, per cui non
dico più nulla e mi cucio la bocca per amore della vostra pazienza.
Allora…date
il benvenuto a Selena:) E’ un personaggio che avevo pensato già da tempo ma che
mi ero prefissata di far spuntare più tardi, però non ho resistito per cui
eccola qui:) la sua storia verrà svelata lungo il corso dei capitoli, per
adesso avete capito che era una strega che poi è stata trasformata in vampiro e
che è colei che ha aiutato Nina all’inizio della sua nuova vita. Ora, non so se
si è capito ma stavano entrambe a Parigi prima che Nina venisse a Mystic Falls,
con questo non dico che hanno vissuto 200 anni appiccicate come cozze, ma hanno
sempre mantenuto i rapporti nonostante i viaggi e gli anni di separazione e che
ogni tanto si sono ritrovate per periodi più o meno brevi. Lei, comunque, è
sicuramente la migliore amica che ha, tant’è che è l’unica a conoscere tutta,
ma tutta la sua storia (a proposito: c’è stata una rivelazione velata in un
flashback da cui si può intuire ciò che già molte di voi hanno capito di come
Nina è stata trasformata e da chi).
Non sono
successe grandi cose in questo capitolo, se si esclude appunto Selena e il
secondo incontro di Nina ed Elijah (che poi, che ne pensate?? A me non ha molto
convinto, però possono sempre essere le mie pare in agguato XD –lo spero- ) ma
già dal prossimo le acque si smuoveranno…eheheh la festa…no vabbè non vi dico
nulla.
Vi prego
ditemi che ne pensate (so che non ho il diritto di chiedere recensioni, ma dato
che l’ultima volta erano solamente due ahimè – sigh sigh- spero che stavolta
non siano proprio 0…) Vi chiedo ancora umilmente perdono, e ringrazio chiunque
continui a seguire e a recensire la mia storia, penso proprio di adorarvi :)
Un bacio e a
presto,
Deademia
PS: questa è
Selena