Era di cattivo umore e Gabriel sentiva che centrava qualcosa.
Il padre lo chiamò nella sua stanza. Le mani gli tremavano.
Il ragazzo aspettava impaurito i soliti tre dolorosissimi ceffoni seguiti da quello sguardo di odio che faceva ancora più male.
Non capiva, però, cosa aveva fatto quella volta. Non aveva preso nessuna nota o brutto voto a scuola ultimamente.
Preso da quei pensieri Gabriel non si accorse che suo papà si era accasciato a terra.
In preda al panico corse a chiamare la mamma. Non c'era!
Marta! Nemmeno!
Doveva chiamare l'ambulanza ma quale era il numero per l'emergenze?!
Ah si: 118!
Per fortuna l'ambulanza arrivò velocissima.
Caricarono suo padre. Gabriel non sapeva che fare.
Lo fecero salire.
A vedere suo padre così pallido e immobile gli venne da piangere.
Mentre si disperava il papà aprì gli occhi.
Era la prima volta che si guardavano così a lungo. A casa si lanciavano solo occhiate di sfuggita.
-"Era questo che cercavo di dirti"- disse al figlio, che però non capiva.
-"Sono malato di cancro."
Distrutto da questa lacerante notizia Gabriel abbassò di colpo la testa e chiese -"da quando?"-.
Il padre rispose -"da troppo tempo."-
A quel punto non si trattenne più.
Per la prima volta, Gabriel, osò urlargli contro -"Perchè? Perchè non hai mai detto nulla? Perchè? Non ha senso! Potevi guarire! Potevi continuare a vivere! Perchè!?"-
-"Io non avevo scelta. Non sarei potuto guarire in nessun modo. Non volevo farvi stare male e non ho detto nulla. Però, adesso, una cosa la devo dire. Scusa Gabriel. Scusa perchè non ti ho mai dimostrato tutto l'affetto che dovevo dimostrarti. Salutami Marta e mamma. Dì a loro che le amo. Ciao. Ti voglio bene Gabriel."-
La sua voce si era fatta sempre più fioca fino a spengersi del tutto.
Li aveva lasciati.
Lo aveva lasciato.
Per sempre.