Vignetta
Aveva
riflettuto per buona parte della notte su una
possibile risoluzione.
Il
piano d’azione era nato con le prime luci della mattina.
Si
era recato a lezione come al solito, ed era rimasto
chiuso nel suo tipico mutismo concentrato durante le spiegazioni del
professore.
Non
vi era traccia visibile della decisione che stava
maturando dentro di lui. Ma diventava più forte ogni volta
che vi si soffermava
di nuovo con il pensiero, che limava i bordi della sua strategia.
Al
termine dell’ora, Ludwig si caricò la tracolla in
spalla
e deviò dalla solita strada.
Aveva
scelto un percorso diverso, per quel giorno.
***
Le
ragazze della sua classe erano simpatiche.
O
almeno, alcune di loro erano più
simpatiche dei ragazzi che lo bulleggiavano.
C’era
Mariangela, che aveva sempre il naso tuffato nei libri
e un sorriso gentile per i personaggi del mondo reale; poi Rebecca, che
copriva
sempre la fronte con la frangia per nascondersi dalle persone, e che
riservava una
cordialità impacciata a chi entrava nel suo mondo
introverso. Sarebbe stato
bello mettere su tela l’espressione concentrata di Mariangela
mentre era
immersa nel mondo di fantasia cartacea: si immaginava il suo ritratto,
magari
in bianco e nero, immerso in un profluvio di personaggi magici e
colorati tutto
intorno. O risaltare il sorriso tremolante di Rosalba, magari con un
piccolo
punto luce sulle labbra.
Erano
un po’ meno simpatiche le ragazze della bancata in
fondo all’aula, posizione strategica per aggiornare lo stato
di Facebook mentre il prof spiegava
le
conquiste napoleoniche. Non vedeva niente di tramutabile in arte nel
loro
vestiario omologato, nei capelli stirati con la stessa piega o nei modi
di fare
affettati; sembravano una schiera di bambole addestrate ad abbigliarsi
e
comportarsi secondo precise direttive. Si chiedeva se i loro burattinai
fossero
la televisione o i giornaletti scandalistici.
Nel
loro codice di comportamento, era previsto lo
stritolamento psicologico degli esseri considerati inferiori o, per
meglio
dire, “sfigati”.
Il suo vivere fuori
dagli schemi lo rendeva tristemente un rappresentante della categoria,
quindi
un bersaglio delle loro cattiverie. La maggior parte delle volte si
limitavano
a ridacchiare in falsetto per le crudeltà dei bulli. Come in
quel caso.
Feliciano
si sentì strappare il foglio dalle mani; il
disegno sventolò nell’aria, mentre uno dei suoi
aguzzini commentava aspro:
«Cos’è
questo schifo? Sono solo cerchi e quadrati.»
«È
uno schizzo preparatorio» si difese Feliciano.
Allungò la
mano solo una volta per recuperare il foglio, che volò fuori
dalla sua portata.
Si ritrasse sul suo banco, in attesa che la tempesta si placasse: ormai
conosceva il copione.
«E
cosa vuoi disegnare? Un altro ragazzo?»
La
nota acida presente nella sua voce colò sul viso di
Feliciano, corrodendogli le guance. Il giovane strinse le spalle e
incassò la
testa, pronto a sopportare in silenzio.
I
bordi del foglio andarono a pizzicargli la fronte quando
il bullo cominciò a schiaffeggiarlo ritmicamente con
l’embrione di disegno.
«Hai
perso la lingua?»
Un
membro della sua combriccola di degenerati suggerì un uso
molto volgare che avrebbe potuto fare della sua lingua, e,
disgraziatamente per
lui, il professore scelse proprio quel momento per entrare in classe.
«Cosa
sono queste oscenità?» le vene sul collo da
tartaruga
dell’attempato insegnante disegnarono una ragnatela rossastra
per la
riprovazione. «E tu perché sei in piedi?»
«Stavo
solo guardando l’ultima creazione del nostro artista»
spiegò innocente il suo
aguzzino, calcando volutamente su quell’insulto mascherato.
«Beh,
l’hai visto. Torna al tuo posto.»
La
mano da teppista schiacciò il disegno sul tavolo,
lasciandolo miserevolmente sgualcito.
«Complimenti,
artista.»
Feliciano
non si scomodò di rispondere, mentre rassicurava
il foglio, lisciandolo con le dita prima di rimetterlo in cartella.
Aveva
provato a capire i motivi per cui se la prendevano con
lui in quel modo, ma non ci riusciva. Non aveva fatto nulla di male, a
parte disegnare
più degli altri. Ritagliarsi una porzione di mondo
fantastico con una matita e
un foglio era un delitto così grave?
La
teoria della relatività non riuscì ad
accattivarsi la sua
attenzione, che venne facilmente distratta dal volo di un uccellino
fuori dalla
finestra. Fu mentre seguiva il battito delle ali del volatile che lo
vide.
Il
cuore sembrò schizzargli dritto nel cranio;
l’impatto fu
così forte che si sentì strattonare verso
l’alto, e per poco non si sbilanciò
sulla sedia.
I
capelli dorati sotto il sole insipido di novembre e gli
occhi azzurri fermi in un’espressione seria, Ludwig stava
aspettando al
cancello della scuola.
Non
diede segno di averlo visto, così Feliciano
inalberò il
libro di fisica come scudo. Solo gli occhi castani spuntavano furtivi
dalle
pagine del libro.
«Vargas,
smettila di fare il buffone» lo riprese spazientito
il professore, dopo un quarto d’ora di occhiatine fulminee
alla finestra.
Feliciano
fu costretto ad abbassare il libro, e cercò di
evitare il contatto visivo con la finestra fino al suono della
campanella.
Gettò i libri nello zaino, in modo totalmente confusionario,
si alzò facendo
cadere la sedia e uscì dall’aula travolgendo quasi
il professore. Non diede
peso alle proteste del docente e di alcuni suoi compagni: non poteva
comportarsi in modo normale quando tutto era a soqquadro dentro di lui.
Il
cuore gli pulsava nel cranio, e il detronizzato cervello era finito
calpestato
dai piedi; il sangue si era rintanato nelle sue orecchie, dove
mugghiava come
un mare in tempesta, e la disposizione degli organi interni era
completamente
rovesciata. E continuò a correre in quello stato, il cuore
che pulsava
impazzito in un angolo indefinito della sua testa.
Arrivò
di fronte a Ludwig accaldato, scomposto e in
confusione.
Il
tedesco inarcò le sopracciglia fissando le sue guance
congestionate, le nuvolette di fiato ingrossato che sciamavano dalla
bocca del
giovane e i suoi occhi liquidi di perplessità.
«Come
mai…» ansò l’italiano.
Cercò di pettinare la chioma
scarmigliata dalla corsa e dal vento freddo, ma il suo tipico ciuffo
svettò
comunque sul resto dei fratelli, sfidando il cielo. «Come mai
sei qui?»
Ludwig
dovette compiere un grosso sforzo per costringersi a
fare una cosa simile in un luogo pubblico: allungò un
braccio verso il ragazzo
e gli circondò le spalle, avvicinandolo a sé.
«Sono
venuto a prenderti» mitragliò, abbastanza veloce
da
non avere ripensamenti lungo la frase. Le palpebre
dell’italiano batterono due
volte, smarrite: il tedesco aveva parlato così rapidamente
che non era riuscito
a cogliere le parole.
«Andiamo»
recise Ludwig.
Feliciano
lo seguì, ancora troppo confuso per districare una
singola emozione dal gomitolo che gli aggrovigliava lo stomaco. Ma il
braccio
di Ludwig che lo stringeva puntava spudoratamente la bussola delle sue
emozioni
verso la felicità.
Il
tedesco non parlò molto, le labbra cucite
dall’imbarazzo.
Non
era certo di avere fatto la cosa giusta.
I
bulli avrebbero potuto sfruttare quella visita a sorpresa
come nuovo pretesto per tiranneggiarlo. Ma doveva correre il rischio.
Avrebbero
continuato a sbeffeggiarlo comunque, che lui si fosse recato o meno ai
cancelli
della scuola. Tuttavia, in quel modo quei piccoli delinquenti avrebbero
saputo
che Feliciano non era solo, nella sua lotta per la sopravvivenza
scolastica.
E,
cosa più importante di tutte, ne sarebbe stato cosciente
anche l’italiano.
Accentuò
la presa sulle sue spalle, mentre uscivano in
strada.
***
«Anche
oggi il locale è animato» notò allegro
Antonio.
Lovino
lanciò un’occhiata torva alla sala, senza smettere
di
asciugare i bicchieri: un sovraeccitato Feliciano stava raccontando gli
avvenimenti del giorno ad un curiosissimo Francis e ad un sarcastico
Gilbert,
con un silente e imbarazzato Ludwig a fare da sfondo.
L’eroico
salvataggio del tedesco riecheggiava tra i tavoli
vuoti: come lo aveva aspettato per un’ora nel gelo di
novembre, come lo aveva
portato via dalla scuola, davanti alle facce attonite e disgustate dei
bulli.
Lovino
strinse il bicchiere con troppa forza sul dettaglio
del “braccio intorno alle spalle”, ed il bordo si
incrinò, lasciandogli una
piccola scheggia come regalo. Lo gettò nel bidone con enorme
indifferenza, e ne
afferrò un altro per farlo passare sotto le cure dello
strofinaccio.
Osservò
il volto del fratello: le labbra sembravano
alimentate da una miscela infinita, instancabili nel raccontare; la
pelle del
viso pareva esplodere sotto la pressione di un sole interno, tanto il
suo volto
era illuminato; gli occhi stessi brillavano, scattando da uno
all’altro dei
suoi ascoltatori, senza sosta, come cuccioli troppo vivaci.
Poggiò
il bicchiere nella credenza insieme ai suoi compari e
valutò, asciutto:
«Il
crucco ha fatto qualcosa di meno inutile del solito.»
«Davvero?»
il dubbio nella voce di Antonio era riconducibile
all’aria inferocita con cui Lovino aveva proferito quella
sentenza.
Il
ragazzo si voltò di spalle, perché il fidanzato
non
vedesse il suo volto.
«Era
molto tempo che non vedevo mio fratello così spensierato.
Ha fatto qualcosa di buono.»
Antonio
sorrise, avvicinandosi al giovane per abbracciarlo.
Lovino
poteva anche voltarsi, ma ormai sapeva riconoscere la
presenza delle lacrime anche dall’angolazione delle sue
spalle: le ritirava
così vicino alle orecchie solo quando aveva bisogno di
rattrappirsi su se
stesso per arginare il pianto.
«Allora
adesso approvi la loro relazione?»
Non
aveva previsto la gomitata, che lo colpì allo stomaco
con la precisione di un cecchino.
«Ho
detto che ha fatto una cosa giusta. Questo non vuol dire
che approvo che quel crucco stia attaccato a mio fratello»
precisò Lovino,
affrettandosi a sparire in cucina.
Antonio
massaggiò la bocca dello stomaco, e si sforzò di
arrancare dietro l’italiano guerrafondaio.
Durante
il tragitto, fissò per un attimo Feliciano. E
sorrise di rimando: quello che aveva detto Lovino era vero.
Era
tanto tempo che il più piccolo dei Vargas non era
così
felice.
Meno
due alla
fine ç_ç
Comincio
subito
a scrivere il prossimo per non farvi attendere troppo XD (sperando che
quei
tiranni degli esami mi diano un attimo di tregua per stare al computer
.-.).
Come
sempre, un
gigantesco grazie a tutti voi che siete arrivati fino a qui<3
A
presto!
Red