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Autore: HamletRedDiablo    13/01/2013    5 recensioni
La loro strana amicizia cominciò molti anni prima, tra le bancarelle di Natale.
Continuò anni dopo, tra i banchi delle università. E non fu più solo amicizia.
"Non aveva mai capito una cosa del suo stravagante amico. Disegnava spesso, ma non trasferiva mai su tela la realtà che aveva davanti agli occhi. Tratteggiava solo soggetti che esistevano nella sua fantasia.
Come se il mondo umano lo spaventasse."
[Dedicata alla sister]
[GerIta]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Vignetta

 

 

 

Aveva riflettuto per buona parte della notte su una possibile risoluzione.

Il piano d’azione era nato con le prime luci della mattina.

Si era recato a lezione come al solito, ed era rimasto chiuso nel suo tipico mutismo concentrato durante le spiegazioni del professore.

Non vi era traccia visibile della decisione che stava maturando dentro di lui. Ma diventava più forte ogni volta che vi si soffermava di nuovo con il pensiero, che limava i bordi della sua strategia.

Al termine dell’ora, Ludwig si caricò la tracolla in spalla e deviò dalla solita strada.

Aveva scelto un percorso diverso, per quel giorno.

 

***

 

Le ragazze della sua classe erano simpatiche.

O almeno, alcune di loro erano più simpatiche dei ragazzi che lo bulleggiavano.

C’era Mariangela, che aveva sempre il naso tuffato nei libri e un sorriso gentile per i personaggi del mondo reale; poi Rebecca, che copriva sempre la fronte con la frangia per nascondersi dalle persone, e che riservava una cordialità impacciata a chi entrava nel suo mondo introverso. Sarebbe stato bello mettere su tela l’espressione concentrata di Mariangela mentre era immersa nel mondo di fantasia cartacea: si immaginava il suo ritratto, magari in bianco e nero, immerso in un profluvio di personaggi magici e colorati tutto intorno. O risaltare il sorriso tremolante di Rosalba, magari con un piccolo punto luce sulle labbra.

Erano un po’ meno simpatiche le ragazze della bancata in fondo all’aula, posizione strategica per aggiornare lo stato di Facebook mentre il prof spiegava le conquiste napoleoniche. Non vedeva niente di tramutabile in arte nel loro vestiario omologato, nei capelli stirati con la stessa piega o nei modi di fare affettati; sembravano una schiera di bambole addestrate ad abbigliarsi e comportarsi secondo precise direttive. Si chiedeva se i loro burattinai fossero la televisione o i giornaletti scandalistici.

Nel loro codice di comportamento, era previsto lo stritolamento psicologico degli esseri considerati inferiori o, per meglio dire, “sfigati”. Il suo vivere fuori dagli schemi lo rendeva tristemente un rappresentante della categoria, quindi un bersaglio delle loro cattiverie. La maggior parte delle volte si limitavano a ridacchiare in falsetto per le crudeltà dei bulli. Come in quel caso.

Feliciano si sentì strappare il foglio dalle mani; il disegno sventolò nell’aria, mentre uno dei suoi aguzzini commentava aspro:

«Cos’è questo schifo? Sono solo cerchi e quadrati.»

«È uno schizzo preparatorio» si difese Feliciano. Allungò la mano solo una volta per recuperare il foglio, che volò fuori dalla sua portata. Si ritrasse sul suo banco, in attesa che la tempesta si placasse: ormai conosceva il copione.

«E cosa vuoi disegnare? Un altro ragazzo

La nota acida presente nella sua voce colò sul viso di Feliciano, corrodendogli le guance. Il giovane strinse le spalle e incassò la testa, pronto a sopportare in silenzio.

I bordi del foglio andarono a pizzicargli la fronte quando il bullo cominciò a schiaffeggiarlo ritmicamente con l’embrione di disegno.

«Hai perso la lingua?»

Un membro della sua combriccola di degenerati suggerì un uso molto volgare che avrebbe potuto fare della sua lingua, e, disgraziatamente per lui, il professore scelse proprio quel momento per entrare in classe.

«Cosa sono queste oscenità?» le vene sul collo da tartaruga dell’attempato insegnante disegnarono una ragnatela rossastra per la riprovazione. «E tu perché sei in piedi?»

«Stavo solo guardando l’ultima creazione del nostro artista» spiegò innocente il suo aguzzino, calcando volutamente su quell’insulto mascherato.

«Beh, l’hai visto. Torna al tuo posto.»

La mano da teppista schiacciò il disegno sul tavolo, lasciandolo miserevolmente sgualcito.

«Complimenti, artista

Feliciano non si scomodò di rispondere, mentre rassicurava il foglio, lisciandolo con le dita prima di rimetterlo in cartella.

Aveva provato a capire i motivi per cui se la prendevano con lui in quel modo, ma non ci riusciva. Non aveva fatto nulla di male, a parte disegnare più degli altri. Ritagliarsi una porzione di mondo fantastico con una matita e un foglio era un delitto così grave?

La teoria della relatività non riuscì ad accattivarsi la sua attenzione, che venne facilmente distratta dal volo di un uccellino fuori dalla finestra. Fu mentre seguiva il battito delle ali del volatile che lo vide.

Il cuore sembrò schizzargli dritto nel cranio; l’impatto fu così forte che si sentì strattonare verso l’alto, e per poco non si sbilanciò sulla sedia.

I capelli dorati sotto il sole insipido di novembre e gli occhi azzurri fermi in un’espressione seria, Ludwig stava aspettando al cancello della scuola.

Non diede segno di averlo visto, così Feliciano inalberò il libro di fisica come scudo. Solo gli occhi castani spuntavano furtivi dalle pagine del libro.

«Vargas, smettila di fare il buffone» lo riprese spazientito il professore, dopo un quarto d’ora di occhiatine fulminee alla finestra.

Feliciano fu costretto ad abbassare il libro, e cercò di evitare il contatto visivo con la finestra fino al suono della campanella. Gettò i libri nello zaino, in modo totalmente confusionario, si alzò facendo cadere la sedia e uscì dall’aula travolgendo quasi il professore. Non diede peso alle proteste del docente e di alcuni suoi compagni: non poteva comportarsi in modo normale quando tutto era a soqquadro dentro di lui. Il cuore gli pulsava nel cranio, e il detronizzato cervello era finito calpestato dai piedi; il sangue si era rintanato nelle sue orecchie, dove mugghiava come un mare in tempesta, e la disposizione degli organi interni era completamente rovesciata. E continuò a correre in quello stato, il cuore che pulsava impazzito in un angolo indefinito della sua testa.

Arrivò di fronte a Ludwig accaldato, scomposto e in confusione.

Il tedesco inarcò le sopracciglia fissando le sue guance congestionate, le nuvolette di fiato ingrossato che sciamavano dalla bocca del giovane e i suoi occhi liquidi di perplessità.

«Come mai…» ansò l’italiano. Cercò di pettinare la chioma scarmigliata dalla corsa e dal vento freddo, ma il suo tipico ciuffo svettò comunque sul resto dei fratelli, sfidando il cielo. «Come mai sei qui?»

Ludwig dovette compiere un grosso sforzo per costringersi a fare una cosa simile in un luogo pubblico: allungò un braccio verso il ragazzo e gli circondò le spalle, avvicinandolo a sé.

«Sono venuto a prenderti» mitragliò, abbastanza veloce da non avere ripensamenti lungo la frase. Le palpebre dell’italiano batterono due volte, smarrite: il tedesco aveva parlato così rapidamente che non era riuscito a cogliere le parole.

«Andiamo» recise Ludwig.

Feliciano lo seguì, ancora troppo confuso per districare una singola emozione dal gomitolo che gli aggrovigliava lo stomaco. Ma il braccio di Ludwig che lo stringeva puntava spudoratamente la bussola delle sue emozioni verso la felicità.

Il tedesco non parlò molto, le labbra cucite dall’imbarazzo.

Non era certo di avere fatto la cosa giusta.

I bulli avrebbero potuto sfruttare quella visita a sorpresa come nuovo pretesto per tiranneggiarlo. Ma doveva correre il rischio. Avrebbero continuato a sbeffeggiarlo comunque, che lui si fosse recato o meno ai cancelli della scuola. Tuttavia, in quel modo quei piccoli delinquenti avrebbero saputo che Feliciano non era solo, nella sua lotta per la sopravvivenza scolastica.

E, cosa più importante di tutte, ne sarebbe stato cosciente anche l’italiano.

Accentuò la presa sulle sue spalle, mentre uscivano in strada.

 

***

 

«Anche oggi il locale è animato» notò allegro Antonio.

Lovino lanciò un’occhiata torva alla sala, senza smettere di asciugare i bicchieri: un sovraeccitato Feliciano stava raccontando gli avvenimenti del giorno ad un curiosissimo Francis e ad un sarcastico Gilbert, con un silente e imbarazzato Ludwig a fare da sfondo.

L’eroico salvataggio del tedesco riecheggiava tra i tavoli vuoti: come lo aveva aspettato per un’ora nel gelo di novembre, come lo aveva portato via dalla scuola, davanti alle facce attonite e disgustate dei bulli.

Lovino strinse il bicchiere con troppa forza sul dettaglio del “braccio intorno alle spalle”, ed il bordo si incrinò, lasciandogli una piccola scheggia come regalo. Lo gettò nel bidone con enorme indifferenza, e ne afferrò un altro per farlo passare sotto le cure dello strofinaccio.

Osservò il volto del fratello: le labbra sembravano alimentate da una miscela infinita, instancabili nel raccontare; la pelle del viso pareva esplodere sotto la pressione di un sole interno, tanto il suo volto era illuminato; gli occhi stessi brillavano, scattando da uno all’altro dei suoi ascoltatori, senza sosta, come cuccioli troppo vivaci.

Poggiò il bicchiere nella credenza insieme ai suoi compari e valutò, asciutto:

«Il crucco ha fatto qualcosa di meno inutile del solito.»

«Davvero?» il dubbio nella voce di Antonio era riconducibile all’aria inferocita con cui Lovino aveva proferito quella sentenza.

Il ragazzo si voltò di spalle, perché il fidanzato non vedesse il suo volto.

«Era molto tempo che non vedevo mio fratello così spensierato. Ha fatto qualcosa di buono.»

Antonio sorrise, avvicinandosi al giovane per abbracciarlo.

Lovino poteva anche voltarsi, ma ormai sapeva riconoscere la presenza delle lacrime anche dall’angolazione delle sue spalle: le ritirava così vicino alle orecchie solo quando aveva bisogno di rattrappirsi su se stesso per arginare il pianto.

«Allora adesso approvi la loro relazione?»

Non aveva previsto la gomitata, che lo colpì allo stomaco con la precisione di un cecchino.

«Ho detto che ha fatto una cosa giusta. Questo non vuol dire che approvo che quel crucco stia attaccato a mio fratello» precisò Lovino, affrettandosi a sparire in cucina.

Antonio massaggiò la bocca dello stomaco, e si sforzò di arrancare dietro l’italiano guerrafondaio.

Durante il tragitto, fissò per un attimo Feliciano. E sorrise di rimando: quello che aveva detto Lovino era vero.

Era tanto tempo che il più piccolo dei Vargas non era così felice.

 

 

 

 

 

Meno due alla fine ç_ç

Comincio subito a scrivere il prossimo per non farvi attendere troppo XD (sperando che quei tiranni degli esami mi diano un attimo di tregua per stare al computer .-.).

Come sempre, un gigantesco grazie a tutti voi che siete arrivati fino a qui<3

A presto!

Red

   
 
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