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Autore: Poison Lover    13/01/2013    2 recensioni
Gerard si girò verso di lui, per poi abbassare lo sguardo subito dopo. - E se io avessi delle cattive abitudini?- chiese, piantando improvvisamente gli occhi in quelli del ragazzo.
Bert si sentì immediatamente a disagio, quegli occhi lo spaventavano. - Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.- replicò, alzando un sopracciglio, contrariato.
Gerard fece un gesto di noncuranza con la mano. - Da quando ti importa del galateo e delle regole di buona conversazione?- ribatté, vagamente irritato.
- Lascia perdere. Okay, che genere di cattive abitudini? L'alcool? Lo sappiamo tutti ormai, e nemmeno io mi astengo da quest'effimero piacere.-
- Non parlavo di quelle abitudini.-
- Puoi spiegarti meglio? Non ho ancora il dono di leggere nel pensiero. - rispose Bert, lievemente irritato da quello sconclusionato scambio di battute. Gerard spostò lo sguardo altrove, fingendo di interessarsi a una fotografia attaccata con lo scotch alla parete.
- Droga.-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti. Premetto col dire che cercherò di essere il più puntuale possibile con gli aggiornamenti, ovviamente per quanto la scuola e gli altri impegni mi permettono.In secondo luogo, volevo darvi una rapida panoramica della storia. È divisa in tre parti: la prima non dura più di cinque capitoli, ed è più che altro una sorta di introduzione alla storia vera e propria, che si svilupperà nella seconda parte; quest'ultima dovrebbe essere compresa in più capitoli, e inoltre premetto che prenderà una svolta più drammatica e che saranno presenti tematiche come il sesso e la droga. La terza parte sarà ambientata durante il periodo della pubblicazione dei dischi dei My Chemical Romance, in particolare di 'I Brought You My Bullets, You Brought Me Your Love' e 'Three Cheers For Sweet Revenge'. Non so dirvi esattamente quanti capitoli avrà la storia, ma conto di scriverne un numero piuttosto consistente, mi ci sono appassionata molto, ad essere sincera.Aggiungerei anche che Bert McCracken dei The Used è uno dei principali protagonisti. Bene, dopo questa inutile quanto noiosa premessa, siete liberi di leggere l'abominio qua sotto. Spero di non aver fatto troppi errori, se notate qualche mostruosità grammaticale non esitate a farmelo presente, anzi le recensioni, sia positive che negative, sono le benvenute.Buona lettura. :)

XOXO




PART 1.


-Chapter One -

Same old shit

 
 
 
It's a new day, but it all feels old, it's a good life, that's what I'm told, but everything it all just feels the same. 
And my high school, it felt more to me like a jail cell, a penitentiary. 
My time spent there only made me see that I don't ever wanna be like you. 
- The Anthem, Good Charlotte.
 
 
 
 
Come tutte le mattine, era irrimediabilmente in ritardo. 
Il bus era passato ormai da un paio di minuti e lei aveva rinunciato a correrci dietro nel vano tentativo di attirare l’attenzione dell’autista. Sarebbe stato inutile e controproducente, oltre che imbarazzante. 
Così si rassegnò all’idea di camminare per dieci isolati, fino alla scuola.
La scuola. Provava una sorta di assoluta repulsione nei suoi confronti: non riusciva a trovare nulla di interessante nella squadra di football o nelle cheerleaders, e le lezioni erano totalmente inutili quanto noiose; eppure aveva una sete di conoscenza non indifferente, le piaceva imparare, scoprire cose nuove. Ovviamente, però tale sete di conoscenza si estendeva solo sugli argomenti di cui era sinceramente interessata e, a dire la verità, non erano molti; amava l’arte in tutte le sue forme, che si trattasse di quadri o fumetti, libri o musica. 
Una goccia, subito seguita da una seconda, le bagnò una guancia, pungente, disogliendola dai suoi pensieri. Alzò di poco la testa, giusto in tempo per prenderne un’altra in pieno volto. 
<< Cazzo… >> mormorò fra i denti. Aveva cominciato a piovere. Affrettò il passo, anche perché avrebbe fatto sicuramente tardi a scuola e l’idea di rimanere chiusa fuori sotto il diluvio proprio non le piaceva. Come se non bastasse, faceva freddo. Dopotutto erano anche le otto del mattino ed era ottobre inoltrato.
Giunse in vista della sua scuola che ormai era bagnata fradicia. Spense il walkman, miracolosamente sopravvissuto all’esposizione alla pioggia, e attraversò di corsa il cortile che la separava dal portone. Era chiuso. Si fermò ad un passo da esso, appoggiata con le mani sulle ginocchia, senza fiato. Aveva corso per tutto quel tempo, e nonostante ciò era comunque in ritardo di un quarto d’ora abbondante. Sapeva che non l’avrebbero fatta entrare, era sempre così. 
Con rabbia, scalciò un foglio di carta fradicio, probabilmente staccatosi dalla bacheca, e si sedette sui gradini. Sentì l’acqua gelida penetrare il tessuto sottile dei suoi jeans e rabbrividì. Scuotendo la testa, si coprì la testa con il cappuccio della felpa e riaccese il suo walkman. La musica era una delle rare cose che riusciva a calmarla. Le altre erano, in successione, disegnare, leggere scrivere. Sin da piccola, quando suo padre era ancora vivo, covava in segreto il sogno di diventare qualcuno. 
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente da una voce forse un po’ troppo acuta e vagamente irritante che imprecava e borbottava a mezza voce frasi sconnesse.
Alzò di poco gli occhi, irritata, giusto in tempo per vedere un ragazzo che lottava con il proprio zaino, incastratosi nella ringhiera degli scalini. Represse un sorriso e resistette alla tentazione di andare ad aiutarlo, dopotutto era quasi divertente guardarlo cimentarsi nell’epica impresa di sciogliere il nodo con cui uno dei lacci aveva avvinghiato la ringhiera. 
Dopo un paio di minuti di imprecazioni di tutti i tipi, il ragazzo riuscì nell’impresa e, con'espressione a metà fra il soddisfatto e l’irritato in volto, salì i pochi scalini che lo separavano dal portone. Non la degnò di uno sguardo quando le passò accanto, si limitò solo a spostarsi di lato per evitare di calpestarla. 
Bussò rumorosamente al portone, ma quando constatò che nessuno sarebbe venuto ad aprirgli, sbuffò e, scendendo di un paio di gradini, si sedette accanto a lei. Non sembrava intenzionato a rivolgerle la parola, perciò si sentì libera di tornare a concentrarsi sulle note cariche di rabbia che quella musica sparata a mille nelle orecchie le regalava così generosamente. 
Passarono in completo silenzio almeno dieci minuti, fino a quando lui non si mosse leggermente e con un po’ di fatica, estrasse dallo zaino un block notes e quello che doveva essere un carboncino; iniziò a tracciare qualcosa sulla carta, concentrato. Lei lo osservò di sottecchi, vagamente divertita da come teneva la lingua appoggiata al labbro superiore, tra i denti. Si chiese con una punta di curiosità cosa stesse disegnando, ma da quella posizione non riusciva a vedere nulla e se si fosse sporta sarebbe passata per ficcanaso, così rinunciò all’idea di sbirciare e ritornò alla sua musica. 
<< Scusa, potresti salire di un gradino? >> di nuovo la sua voce cupa. Lo fissò un po’ stupita. Le aveva rivolto la parola? 
<< Come, scusa? >> fece, ancora stranita. Perché avrebbe dovuto farlo, poi? Lui si girò lentamente a guardarla in faccia. Bè, almeno si degnava di farlo da quando era arrivato. 
<< Mi copri il paesaggio. >> rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Lei guardò verso il punto che le stava indicando. Paesaggio? Definire il cortile della scuola paesaggio era alquanto azzardato. Stava per ribattere con qualcosa di pungente, ma si trattenne. Non aveva voglia di discutere, per di più con un perfetto sconosciuto, quindi si limitò a fare come le aveva chiesto, dopotutto a lei non cambiava molto. Issandosi sulle braccia, si sedette sul gradino superiore. I jeans bagnati si erano quasi incollati al marmo un po’ grezzo, e fece una smorfia quando sentì il freddo al sedere. 
Rimase per un po’ in attesa di un suo ringraziamento di qualsiasi tipo, che però non arrivò. Sbuffò rumorosamente, quel ragazzo cominciava a darle sui nervi. 
Con la coda dell’occhio, vide che però da quella postazione poteva vedere senza problemi il suo block notes. Stava disegnando la fontana del cortile, ecco perché le aveva chiesto di spostarsi. Dopo una più attenta analisi, però, vide che il soggetto era piuttosto stilizzato, e che ci aveva messo un tocco personale, decisamente macabro: le ombre pesanti gli davano una profondità che nella realtà non esisteva, i fiori che circondavano la fontana erano perlopiù morti o secchi, dalle foglie spigolose, e l’acqua era stata resa nera dal carboncino troppo calcato. Dietro, il cielo era scuro, e una luna dall’aspetto freddo si affacciava da un lato del foglio. 
Un po’ stupita da quel singolare disegno, alzò gli occhi sul suo autore. Anche lui aveva un aspetto un po’ inquietante, a giudicare dal suo pallore spettrale e dai folti capelli, un po’ lunghi e neri come la pece che disordinatamente gli cadevano in ciocche leggere sugli occhi. Non riusciva a vedere questi ultimi però, anche perché erano ridotti a due fessure nello sforzo della concentrazione. 
Rimase ad osservare lui e il suo disegno, rapita da quei suoi movimenti un po’ insicuri della mano e dalle sue espressioni a volte addirittura buffe che assumeva quando sbagliava qualcosa, fino a quando lui non alzò lo sguardo su di lei. Sembrava scocciato, forse si era accorto che lo stava fissando. Sentì le guance avvampare, aveva appena fatto una delle sue peggiori figure di merda, e cercando di sembrare disinvolta volse la testa dall’altra parte, cambiando canzone.
Lo sentì scuotere leggermente la testa, e si sentì una perfetta idiota. Si era fatta beccare in pieno. Pensò a un modo carino per rimediare alla situazione, o quantomeno per evitare che lui si facesse strane idee, ma alla fine non le venne in mente nient’altro se non dirgli semplicemente la verità. Perlomeno non l’avrebbe presa per una psicopatica. Almeno non lui.
<< Carino, il disegno. >> lo disse a voce così bassa che stentò a credere che lui potesse sentirla. Invece si girò verso di lei con un’espressione indecifrabile in volto. Ora poteva vedergli gli occhi: erano grandi, e di un verde spiazzante, luminosi. Le sorrise debolmente.
<< Grazie. >> aveva un bel sorriso. Lei agitò una mano in aria come per dire ‘di niente’, poi tornò a concentrarsi sulla canzone. Ora c’era un vecchio pezzo degli Smashing Pumpkins, uno dei suoi preferiti per giunta. 
<< È Stumbleine? >> di nuovo, la voce del ragazzo la fece trasalire. Doveva avere un udito finissimo per essere riuscito a riconoscere la canzone proveniente dalle sue piccole cuffie. Oppure, lei doveva aver impostato il volume ad un livello troppo alto. Annuì forse con troppa foga. Le piaceva parlare di musica, e ancor più le piacevano le persone che se ne intendevano. 
<< La conosci? >> chiese stupidamente. Certo, se l’aveva riconosciuta, era ovvio che la conosceva. Si diede della cogliona mentalmente, ma cercò comunque di ostentarsi sicura e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. Il ragazzo ricambiò il sorriso e posò il carboncino e il block notes al suo fianco, nello spazio vuoto in mezzo a loro. 
<< Già. Piacciono molto a mio fratello. >> 
Non dissero più nulla per un po’, fino a quando lei non si accorse che il disegno si stava sciupando sotto la pioggia. Lo fece notare al ragazzo, che però non reagì; si limitò a guardare il block notes aperto sulla pagina su cui stava disegnando, con un’espressione quasi malinconica. 
<< Tutto si scioglie, alla fine. >> disse dopo un po’. Lei lo guardò senza capire. Magari non ci stava del tutto con la testa.
<< È un peccato lasciare che si rovini, era venuto bene. >> replicò, non trovando nulla di meglio da dire.
<< A me piace di più così. È più realistico, ora. >> commentò guardando i tratti sbavati e sciolti della sua fontana nera. Lei si limitò a stringersi nelle spalle, non sapeva più cosa rispondergli. Se lo trovava più carino così, problemi suoi. 
In quel momento, sentirono la campanella delle nove suonare. Ora forse sarebbero potuti entrare, se qualche anima misericordiosa li avesse aperto.
Fortunatamente, uno dei bidelli venne verso di loro e spalancò il portone con un sorriso.
<< Ragazzi, ma da quanto tempo siete sotto la pioggia? Siete fradici! >> commentò a voce alta, gioviale. << Ellison, sai che basta urlare per farti aprire! >> continuò sorridendo, all’indirizzo della ragazza; lei annuì distrattamente. Era vero, John era sempre stato gentile con lei, fin dal primo anno, e ogni qualvolta che lei arrivava in ritardo, se era di turno veniva sempre ad aprirle. Ma quel giorno non aveva voglia di entrare, a dire la verità. Alla fine era stata meglio sotto la pioggia che a stare a sentire la vecchia gallina di scienze.
<< Lo so John… Pensavo non ci fossi oggi. >> rispose cercando di apparire convincente. Il bidello le sorrise comprensivo e le diede uno scappellotto leggero dietro alla nuca. 
<< Avanti, entra, o farai tardi anche a questa lezione! >> le disse con un sorriso. Lei ricambiò e si allontanò quasi di corsa. Era vero, stava per fare tardi anche alla lezione di educazione fisica. Un’altra materia che odiava. Sentì dei passi scomposti e frettolosi dietro di lei, e quella voce irritante dare libero sfogo ad una serie di parolacce che la fecero sorridere involontariamente. 
<< Ehi, sai per caso dov’è la palestra? >> le chiese il ragazzo, ansimando per la corsa. L’aveva praticamente inseguita per tutti i corridoi. Lei sorrise, avvicinandosi al proprio armadietto e cercando di ricordarsene la combinazione. La dimenticava ogni volta.
<< Ehi… Ma mi senti? >> continuò lui, ora a pochi passi da lei. Com’era? Sette, cinque… e poi?
<< Senti… Sono nuovo di qui, e non ho idea di dove sia la palestra. Ho lezione di educazione fisica ora, e non posso saltare ben due lezioni già il mio primo giorno, per quanto l’idea possa allettarmi! >> aveva alzato di poco la voce, che ora era diventata decisamente irritante. 
Ellison non gli rispose fino a che non ebbe ricordato la combinazione. Con un sorriso soddisfatto, si girò verso di lui e lo guardò di sbieco.
<< Anche io ho lezione lì. Se vuoi ci andiamo insieme. >> gli rispose, un po’ scocciata. Gli stava simpatico, tutto sommato, ma le dava fastidio quando veniva disturbata mentre cercava di fare qualcosa.
<< Okay… Grazie. >> 
Gli fece strada per i vari corridoi e alla fine raggiunsero la palestra quasi in tempo.
Quasi.
Il professor Middleone, un omone palestrato e dalla testa lucida li fissava con aria di sfida, ticchettandosi l’orologio al polso destro con un dito, visibilmente scocciato eppure dall’aria vagamente soddisfatta.
<< Bene bene, a quanto pare la nostra cara signorina Watts ha il potere di portare sulla cattiva strada anche le nuove reclute… A proposito, benvenuto signor Way. >> proruppe l’uomo, guardando malignamente il ragazzo di fianco a lei. I ragazzi all’interno della palestra ridacchiarono, beccandosi subito un’occhiataccia del professore.
Ellison entrò a capo chino, con i pugni stretti dalla rabbia. Odiava quella scuola anche per via di quell’uomo altrettanto odioso. Era ormai da quattro anni che tentava di umiliarla in tutti i modi, e ci riusciva sempre. Il “signor Way”, come l’aveva definito lui, camminava insicuro poco dietro di lei, e poteva sentirne l’imbarazzo. 
<< Avete qualcosa da dire a vostra discolpa? >> continuò Middleone, con un sorriso sadico stampato in volto. I due ragazzi si guardarono tra di loro per un secondo, poi scossero la testa. Ellison continuava a stringere i denti per evitare di mandarlo a fanculo. 
<< Bene, allora venti giri di palestra e quaranta flessioni. Ora! >> tuonò con un sorriso soddisfatto. 
Era sempre così: bastavano un minuto di ritardo o anche solo una semplice svista da parte sua durante un esercizio per beccarsi qualche decina di giri di corsa o altre torture varie. 
Odiava educazione fisica. 
  
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